08 SETTEMBRE 2004

dal Giornale di Vicenza

Sì alla legge 40.Ma con riserva.
Pestato dai compagni di cella. Dal S.Pio X al S.Bortolo.
Oggi maxi-cena. E nel menù entra anche la polemica.

«Sì alla legge 40. Ma con riserva»
Hüllweck: «È molto debole e deludente, però è anche un passo avanti»

di Silvia Maria Dubois

«La prudenza non va confusa con l’intransigenza». Sembra essere questo il messaggio del sindaco Enrico Hüllweck a proposito della legge 40, quella sulla procreazione assistita e già nel mirino della protesta da mesi per i suoi caratteri restrittivi. Il sindaco ora si esprime a 360 gradi, senza risparmiare commenti, critiche e preoccupazioni.
- Si alza la protesta inerente alla legge sulla procreazione assistita: lei cosa ne pensa?
«Una legge deve sempre essere considerata uno strumento transitorio e modificabile ed è questo che differenzia le norme religiose, che in genere devono essere considerate eterne, dalle norme di una democrazia dove l’eletto dal popolo periodicamente deve dare espressione del trasformarsi della società e quindi deve anche farsi carico del periodico aggiornamento delle leggi. Dunque, per ritornare sul nostro argomento e cioè sulla legge 40, è sempre meglio una legge che fa un passo in avanti e che poi è perfettibile e aggiornabile, rispetto a 15 anni di vuoto legislativo che più o meno abbiamo avuto. D’altra parte è impossibile credere di fare una legge perfetta che può a sorpresa essere messa in mora da un progresso scientifico di cui non sappiamo il futuro».
- Che intende dire?
«Se noi conoscessimo tutto della genetica forse potremmo anche pensare di fare una legge perfetta; oggi, invece, possiamo solo sperare in una legge adeguata alle attuali conoscenze e attuali possibilità della medicina».
- Insomma, lei è a favore di questa legge o no?
«Questa legge non risolve la totalità dei problemi, però ne risolve molti. Abrogarla potrebbe farci rischiare il ritorno al caos. Approvarla e sperimentarla, invece, ci permetterebbe in una seconda battuta di attuare aggiornamenti alla luce di esperienze controllate. Io stesso, comunque, mantengo qualche critica nei confronti della 40».
- Quali sono i punti che non condivide?
«Per esempio non sono d’accordo sul concetto di età potenzialmente fertile (art. 5): non esiste un’età precisa alla quale tutte le donne smettono di essere fertili. Abbiamo un innalzamento della vita media nell’ultimo mezzo secolo e questo dovrebbe far ridiscutere sul limite drastico a cui abbiamo posto la fine di certi diritti. Se una donna di una certa età sta ancora bene, ha un tenore di vita agiato, ha un carattere equilibrato e un consistente periodo di vita davanti a sé, perché impedirle di essere madre?
Poi naturalmente c’è il punto che riguarda l’inseminazione eterologa, vero dramma di tutta la faccenda».
- Perché?
«L’inseminazione omologa risolve le infertilità femminili, ma quando è il maschio a non essere fertile resta solo la fecondazione eterologa. Il problema, però, è che con questo sistema un donatore potrebbe far nascere tanti figli in coppie diverse e quindi un domani fratelli potrebbero sposare sorelle, provocando le malattie note di questi casi. Allora bisognerebbe avere la certezza che un donatore è unico su tutto il territorio “internazionale”: cosa impossibile anche perché abbiamo dall’estero casi di soggetti affascinati dall’idea di essere donatori che attuano donazioni multiple. Bisognerebbe, dunque, attivare dei meccanismi di controllo per consentire ai donatori una sola donazione, ma così sarebbero scopribili e magari individuabili dal figlio, visto che necessariamente si dovrebbero registrare a qualche elenco. Insomma, c’è un evidente contrasto fra il fatto di garantire l’anonimato da una parte, e il bisogno di creare meccanismi di controllo, dall’altra. Credo che, anche in veste di medico, questo sia il problema più sentito».
- È per questo genere di timore che la legge è così restrittiva?
«Sì, e credo che la stessa ratio abbia guidato anche la parte inerente alla ricerca e alla sperimentazione embrionale. Da un lato non vi è dubbio che la sperimentazione possa aprire nuove strade di terapia, dall’altra, però, si deve considerare il non grandissimo senso etico che anima le grandi imprese internazionali. Si potrebbe rischiare la selezione della specie, le modifiche dei caratteri umani e altre mostruosità. Il mondo in cui viviamo è questo: un mondo in cui per pochi dollari o per un po’ di petrolio si uccidono migliaia di uomini e di bambini. Non c’è da stupirsi, dunque, se la legge vuole proteggerci da tutto questo e da eventuali degenerazioni di mercato. È noto a tutti il traffico di reni, no? Secondo voi non c’è già qualcuno che potrebbe pensare al traffico di qualcosa d’altro? Credo si debba ragionare considerando anche l’aspetto peggiore dell’umanità. La legge ha il dovere di proteggerci anche da questo».
- Dunque lei considera questa legge positiva?
«No, a dir la verità la considero parecchio debole, delude alcune aspettative, visto che il dibattito sul tema è a dir poco ultradecennale, però è anche un prudente passo positivo sul quale conviene stare per un po’, accontentandosi e pensando a successive modifiche e senza buttare via tutto ora. Si vedrà sul campo di battaglia cosa andrà bene o meno».
- Ma questa legge non è un oltraggio ai diritti delle donne?
«Dovrebbero sentirsi più umiliati i maschi! Qui è la loro infertilità che li condanna a non avere un figlio!».
- L’opposizione alla 40 può considerarsi una battaglia fra laici e cattolici?
«La questione non va messa su terreni religiosi, bensì su terreni scientifici. Il fatto di dire che un fratello non si deve accoppiare con una sorella, ad esempio, non è tanto un fatto morale, ma una regola di preservazione da malattie. Le religioni, d’altra parte, hanno da sempre dei risvolti medici. Qualche esempio? La carne non si mangiava di venerdì mica perché l’aveva ordinato la Madonna, bensì perché questo evitava la gotta; anche nel Corano certe abitudini come non lavarsi con la stessa mano con cui si mangia è per questioni igieniche. Insomma, la religione quasi sempre è dalla parte della biologia».
- E sull’accanimento terapeutico sul corpo della donna, cosa ne pensa?
«Io faccio fatica ad accettare questo concetto perché come medico io, finché un paziente non è morto, continuo a curarlo in tutti i modi. Nel caso della fecondazione assistita, però, bisogna sapersi fermare, altrimenti si alimenta uno spiacevolissimo business che si potrebbe innescare. Mi spiego: la donna che vuole diventare madre a tutti i costi potrebbe sottoporsi a decine di tentativi in diverse cliniche private, dissipando il suo patrimonio economico e stremando la sua resistenza psicologica e fisica. Magari per poi scoprire alla fine che il suo apparato genitale non può accogliere nessun ovulo. Ecco, io credo che la legge 40 abbia anche qui voluto "tutelare" i cittadini dal caos e dalla speculazione e per farlo ha dovuto essere restrittiva».
- E dello scambio di provette che ultimamente si è verificato anche in Italia, cosa dice?
«È la dimostrazione di quanti errori già si possano commettere ora senza una legge apposita. A maggior ragione dobbiamo essere protetti da norme prudenti e caute. Purtroppo questa è la nostra umanità: un’umanità che è già capace di produrre e vendere “pasta” di embrione per soldi, una società dove non mancano gli scienziati pazzi e chi fomenta il traffico dell’illecito sfruttando il dolore altrui e il desiderio di maternità e di paternità di molti di noi. Per questo dobbiamo difenderci, innanzitutto».
- C’è qualche ambito dove la legge dovrebbe, invece, fare un passo indietro?
«Nei casi limite bisognerebbe appellarsi alla nostra sensibilità, non al codice civile e a prescrizione scritte. Io, per esempio, sono contrario a chi vuole congelare il seme per poi poterlo fecondare in futuro. Però ci sono dei casi di malattia, di sofferenza, dove il marito ancora giovane magari si ammala di cancro e deve fare una lunga chemioterapia che potrebbe creare dei problemi di fertilità. Ecco, in questi casi lascerei la coppia libera di decidere, sostituirei la legge con il tatto e il rispetto della volontà di chi soffre, permettendo l’inseminazione artificiale anche con la preservazione del seme, senza chiedersi se il donatore sopravviverà o meno».

Il comitato interpartitico che si batte per l’abrogazione ieri ha spiegato la sua opposizione alla nuova normativa
I banchetti mietono centinaia di no trasversali
Lo scorso week end 400 firme, il prossimo fine settimana sarà "referendum day"

(s. m .d.) Olol Jackson (Verdi) che dà ragione a Francesca Bressan (Forza Italia), Livia Coppola (Alleanza Nazionale) che termina i discorsi di Lalla Trupia (Ds), mentre musicisti, medici ed imprenditori firmano ai banchetti per i referendum contro la legge 40.
Sì, signori, Vicenza dei campanili e delle beghe per una volta ce l’ha fatta: ha dato vita ad un surreale, quanto straordinario comitato trasversale seguendo non i colori di bandiera, bensì ciò che si pensa dentro e che rivitalizza una primordiale solidarietà della specie in marcia compatta verso la difesa dei suoi diritti. "Il traversone" è nato ufficialmente il 31 agosto scorso, grazie al motore acceso dalla dirigenza Cgil ed è stato presentato alla stampa ieri, in tutte le sue varietà: donne e uomini di diversa appartenenza politica che hanno deciso di battersi per abrogare tutta o una parte della legge sulla procreazione medicalmente assistita. Scopo del gruppo è quello di sensibilizzare la città sui punti della legge e di raccogliere le firme necessarie per arrivare al referendum che prevede cinque quesiti: quello totalmente abrogativo, quello di abrogazione dell’art.1, quello di divieto della fecondazione eterologa, quello sulla ricerca scientifica e quello sulla salute della donna. "Siamo arrivate a questo punto perché questa rimane l’unica strada percorribile per eliminare una legge cattiva, insensata - spiega la Trupia - all’anno nascono ben 7 mila bambini con la fecondazione assistita, questi temi sono delicatissimi e riguardano la libertà delle coppie e della loro sfera più personale. Lo Stato ora invade queste dimensioni e ne vuole addirittura decidere le modalità".
"Questa legge andava prima discussa con chi ne è direttamente coinvolto - aggiunge la Bressan - solo chi ha sperimentato il calvario del bombardamento ormonale può dire cosa si prova a sottoporsi a tali dolorosissimi ed umilianti iter ed è per questo che ora dobbiamo informare la cittadinanza, anche dal punto di vista medico e culturale, su ciò che implica la 40".
"Questa legge è figlia della mancanza di donne - commenta la Coppola - all’origine c’è sempre un vuoto di rappresentanza che ci penalizza e che ci porta a queste conseguenze". "È vero - si collega Jackson che, per l’occasione, non vuole essere qualificato come "maschio", bensì come semplice essere umano - ma ora il Paese va coinvolto nel dibattito, ne ha il diritto e la necessità e noi ci attiveremo per questo". I banchetti vicentini, nel weekend scorso hanno già raccolto 400 firme, fra cui molti nomi eccellenti di attori, politici, dirigenti e deputati. Ora, il momento caldo, già battezzato referendum day, sarà dato dal prossimo fine settimana. Entro il 20 settembre, infatti, bisogna raccogliere le firme necessarie per sperare nel voto popolare. "Ce la metteremo tutta - promette Marina Bergamin, segretaria della Cgil, seduta a fianco delle rappresentanti di varie associazioni cittadine e di Giovanni Caneva (Comunisti italiani) e di Fiorenzo Donadello (Radicali) - i nostri banchetti saranno presenti il martedì e il giovedì presso i mercati della città e poi nei fine settimana nelle vie principali di Vicenza". Schio e Bassano si sono già attrezzate autonomamente. Tutti uniti, dunque, contro la legge "cattiva", nemica delle donne e delle coppie.


Lite fra detenuti in carcere. Ed è ancora polemica sulla sicurezza
Pestato dai compagni di cella Dal S. Pio X ora è al S. Bortolo
Ricoverato per un trauma cranico, guarirà in almeno un mese

(d. n.) Un altro episodio di violenza all’interno del carcere cittadino. A farne le spese un detenuto di origine marocchina, da tempo al S. Pio X. In base alla ricostruzione, è stato pestato dai suoi compagni di cella per una banale questione di cibarie.
L’episodio risale a qualche giorno fa. Il magrebino Mohammed Badr Alam, 36 anni, è stato soccorso all’interno della casa circondariale (nella foto l’ingresso) e quindi trasportato in ambulanza in ospedale. È stato prima medicato al pronto soccorso e quindi ricoverato per qualche giorno. Ha subito un trauma cranico con un vasto ematoma. Se la caverà in circa un mese secondo la prognosi dei medici del S. Bortolo.
Su quanto avvenuto sono in corso gli accertamenti della procura e della polizia penitenziaria, che sta cercando di ricostruire nel dettaglio la violenza per punire i responsabili dell’aggressione.
Episodi del genere non sono frequenti all’interno della struttura di via Della Scola, ma nelle ultime settimane se ne è verificato più di qualcuno. Si tratta di fatti che gettano benzina sul fuoco per quel che riguarda le polemiche sul S. Pio X, soprattutto in merito al sovraffollamento e alla carenza di strutture adatte a garantire la sicurezza. Lo stesso numero di agenti, è stato sottolineato più volte, non sarebbe adeguato a controllare l’altissimo numero di detenuti, circa 250 contro i cento previsti.
Negli ultimi giorni di agosto erano stati denunciati un paio di violenze dello stesso genere, con detenuti costretti a ricorrere alle cure dei sanitari dopo furibondi pestaggi in cella. D’altronde, avevano rimarcato i sindacati - e in precedenza gli onorevoli di opposizione che avevano compiuto delle visite dentro la casa circondariale - il numero dei carcerati è troppo elevato, e la presenza nella stessa cella di pochi metri quadrati di due o tre persone quando la stanza era stata pensata e creata per una non possono che portare, a lungo termine, ad esasperare gli animi di coloro che spesso devono scontare periodi lunghi dietro le sbarre.
Se Alam se la caverà in qualche settimana, infatti, il pericolo è che altri detenuti possano essere vittime di violenze da parte dei compagni. L’intervento celere degli agenti non sempre è agevole, dacché sono spesso costretti a sorvegliare più reparti in poche unità.


In corso Palladio 800 a tavola
Oggi maxi-cena E nel menu entra anche la polemica
Pilan: «È per privilegiati»

In cucina fervono i preparativi e la macchina organizzativa ha già cominciato a scaldare i motori, ma nel menù della cena al “ristorante Palladio” di stasera è finito anche la polemica: a inserirla tra antipasti di soppressa con pan biscotto e risotto con radicchio e luganega, è stato in queste ultime ore il consigliere diessino della circoscrizione 1 Mattia Pilan, che in una nota al nostro giornale, tuona: «...ma che senso ha questa ostentazione di ricchezza, questo riservare la zona più bella della nostra città a pochi privilegiati, mentre la maggior parte delle famiglie italiane e vicentine si trova alle prese con sempre maggiori difficoltà economiche?».
Il programma. Da palazzo Trissino fanno sapere che alcuni posti (costo unitario 32 euro, più di 60 mila vecchie lire) sono stati riservati anche ai ritardatari. Il dubbio che si tratti di biglietti rimasti invenduti è forte, ma nella nota inviata dall’ufficio stampa si dice che si è voluto offrire la possibilità iscriversi alla “cena dei oto” fino alla sera stessa dell’evento. Con qualche notizie utili per i commensali dell’ultimo momento: stamattina sarà possibile aderire alla “tradizionale” iniziativa iscrivendosi al banchetto allestito all’angolo tra corso Palladio e contrà Cavour, dalle 10 alle 12,30, mentre in serata, a partire dalle 18, ci si potrà rivolgere direttamente in contrà del Monte, “tradizionale” accesso alla cena che avrà inizio alle 20. Chi prima di mettersi a tavola ha un po’ di tempo a disposizione, può partecipare a visite guidate gratuite alle sale principali di palazzo Trissino. Circa l’accessibilità all’area della cena, dalle 13 di oggi alle 6 di domattina non potranno circolare veicoli lungo corso Palladio, da stradella dei Filippini a contrà Porti, esclusi i residenti.
La polemica. Circa il "ristorante Palladio", invece, l’avv. Pilan si chiede cosa ne avrebbe pensato l’insigne architetto, dal momento che la cena, riservata a 800 persone, è stata reclamizzata con migliaia di depliant in carta patinata pagati dai contribuenti, mentre la macchina organizzativa, sempre a carico di tutti i vicentini, impone l’utilizzo di non meno di quindici vigili urbani. Pilan conclude: «.. si risponderà che questa cena fa parte delle tradizioni di Vicenza, ma io che sono vissuto in questa città dalla nascita, nel passato non ne ho trovato traccia, se non nella fervida immaginazione del nostro primo cittadino».