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08 OTTOBRE 2006
«Riconvertire le basi conviene di più»
L’analisi presentata dal presidente del “Centro universitario di studi e ricerca per la pace di Trieste”: «Al Dal Molin una struttura offensiva» di Alessandro Mognon «Non è vero che porteranno più posti di lavoro: i militari Usa vengono qui perché conviene a loro, non per aiutare Vicenza». I Comitati per il no alla base americana al Dal Molin tornano all’attacco. Per spiegare perché la città non deve fidarsi di quello che dice il generale Frank Helmick comandante della Setaf «ma guardare cosa dicono realmente le carte». E fare un po’ di conti. Gianfranco Albera, portavoce dei comitati, ribadisce la posizione del No: «Sono i cittadini a questo punto che devono decidere, e per farlo bisogna conoscere tutti gli aspetti connessi a una struttura così grande. Anche perché il Governo aspetta una risposta dalla città. E noi non crediamo né ai generali né alla nostra amministrazione. Piuttosto, chiediamo un confronto con la Cisl sul problema lavoro». Andrea Licata, presidente del Cusrp, Centro universitario di studi e ricerca per la pace di Trieste, pone due questioni: il problema costi-occupazione e quello della reale natura della nuova base. «In Italia e a Vicenza lo Stato paga il 40 per cento delle spese per il mantenimento truppe - dice Licata -. Aviano ad esempio costa alla comunità circa 250 milioni l’anno. L’energia è quasi gratis, non pagano iva, consumano moltissima acqua. Poi ci sono le spese per bonificare i siti militari, perché non è vero, come dice Helmick, che la base non inquina: infatti le spese di bonifica sono uno degli spauracchi del Pentagono». I lavoratori? «Non ci sono, secondo i miei studi, benefici economici od occupazionali - dice Licata - Meglio la conversione ad usi civili, che in tutto il mondo ha portato reali vantaggi». E cita un libro in uscita fra poco: “Dal militare al civile-La conversione preventiva della base Usa di Aviano. Progetti e ricerche”, edizioni Kappavu. Dove si fa l’elenco delle 8 mila installazioni militari chiuse dalla caduta del Muro e riconvertite al civile. Come in Germania, dove sono state centinaia le basi smantellate. E dove al posto di hangar, camerate e depositi, dice il libro, sono nate zone commerciali, parchi, zone residenziali, percorsi turistici, fabbriche, musei e altro «spesso con aumento dell’occupazione». Ma anche su struttura e strategia futura della nuova 173esima brigade combat team di Vicenza il Comitato del No lancia allarmi: «La base del Dal Molin avrà carattere offensivo - spiega sempre Licata -. Nel suo sito internet la 173esima si definisce “la sola forza di risposta rapida dell’Us Army in Europa”. E in un altro sito militare c’è il documento ufficiale sul futuro della brigata, cioè dal 2010». Dove si parla di un esercito quasi da fantascienza che usa sensori, computer, apparecchi e carri armati telecomandati. Comunque anche sulla presenza o meno dei carri armati, presenza smentita dal generale della Setaf, i Comitati dubitano: «A Vicenza arriverà un reparto di cavalleria corazzata a cui è stato ordinato di cambiare mestiere, insomma dovranno guidare le jeep Humvees - dice il predidente del Cusrp -. Ma è probabile che non perderanno affatto la loro capacità di operare con i tank M1 e i veicoli corazzati M-2: sarebbe come chiedere agli alpini di fare i subacquei. Ci sarà sempre una quota di mezzi corazzati in magazzino pronti per l’uso al seguito della 173esima. E secondo alcune fonti questo magazzino verrà creato a Vicenza». E ancora: «La presenza dei lanciarazzi multipli Mlrs con la 173esima è confermata, così come non è stata smentita la nascita a Vicenza di un nuovo battaglione di commandos». Che poi queste strutture vadano o no al Dal Molin, al Comitato importa poco: «Questa sarà una base per le nuove guerre».
Fini dà il suo via libera agli Usa di Gian Marco Mancassola «Alleanza nazionale sostiene convintamente il progetto della nuova caserma americana al “Dal Molin”. Non è un favore agli americani. È un favore ai vicentini». Seppelliti i lontani tempi dell’autarchia, accantonate anche le manifestazioni di piazza che in estate avevano visto numerosi giovani capitanati dall’assessore regionale Elena Donazzan esprimere una pepata contrarietà alla base, la destra vicentina si compatta intorno all’operazione più discussa degli ultimi anni. Da Roma a Vicenza, da Venezia a Laghetto, An si schiera per il Sì più deciso alla caserma Usa. Reduce da un vertice romano con il leader nazionale Gianfranco Fini, l’on. Giorgio Conte, presidente provinciale del partito, scandisce l’outing a chiare lettere, lanciando una proposta agli alleati di centrodestra, maggioranza a Vicenza ma minoranza a Roma: «Se il Governo dovesse continuare questo risibile balletto delle responsabilità con il Comune, sia il consiglio comunale ad assumersi al responsabilità delle decisioni, dimostrando che a Vicenza non ci si nasconde. Siamo quindi favorevoli all’accelerazione del dibattito in aula e alla presentazione di una mozione che condanni l’atteggiamento del Governo e che appoggi l’ipotesi dell’insediamento al Dal Molin, al quale non esistono alternative concrete». Dall’ex vicepremier e ministro degli esteri Fini, Conte ha ottenuto un’ulteriore conferma di quanto gli aveva già garantito l’ex ministro della Difesa Antonio Martino: «Non vi è alcuna decisione pregressa e definitiva. La responsabilità esclusiva della scelta appartiene al Governo oggi in carica, ostaggio della sinistra integralista e massimalista, tanto da sottrarsi alle proprie responsabilità in materia di politica estera e di difesa. Siamo invece portati a credere, alla luce delle parole del ministro Parisi, che alcuni impegni siano stati assunti da questo Governo». Al termine del vertice romano di martedì, Fini ha confermato il suo sostegno al progetto, condiviso anche da altri due parlamentari presenti, il segretario regionale, Alberto Giorgetti e lo stesso Conte. In serata, poi, la direzione cittadina ha chiuso il cerchio. Il Sì di An è legato a doppio filo ad alcune «condizioni che tutelino il territorio e possano costituire valore aggiunto e un’opportunità per la città». Queste le garanzie pretese: il mantenimento della piena funzionalità della pista di volo per lo scalo civile; l’immediato avvio della progettazione di un asse stradale est-ovest, a nord del sedime aeroportuale, con funzione di collegamento con la caserma Ederle e di tangenziale nord per la città, in grado di rispondere alle esigenze di mobilità della zona, da realizzarsi contemporaneamente ai lavori di costruzione della base, in modo da sgravare dal traffico i viali Diaz, Dal Verme, Cricoli, Ragazzi del ’99 e Quadri; il finanziamento e la realizzazione di nuovi impianti sportivi in altra e idonea area; la richiesta di un aumento della presenza di forze dell’ordine (riclassificazione della questura) e di protezione civile (vigili del fuoco); l’eliminazione di ogni onere a carico delle amministrazioni locali e quindi della comunità vicentina. Nel computo delle opportunità, Conte e i suoi inseriscono anche «la necessità di tutelare l’occupazione di circa 750 vicentini attualmente impiegati alla caserma Ederle, che rischia la chiusura. Vi è poi l’oggettiva opportunità di vedere nel nuovo insediamento una nuova possibilità di lavoro per famiglie e imprese. Dalla presenza Nato la città ha sempre tratto benefici. I militari sono prima di tutto cittadini che lavorano. Ad essi deve andare tutto il nostro rispetto e la gratitudine. Il bene che queste persone producono è la sicurezza, immateriale ma assolutamente primario». L’appuntamento con il voto in sala Bernarda potrebbe coincidere con la prossima seduta del consiglio comunale. Forse mai in passato - annota il vicesindaco e segretario cittadino Valerio Sorrentino - i partiti della Casa delle libertà vicentina sono stati tanto uniti e compatti su un tema di queste dimensioni. Tuttavia, se le segreterie hanno spadellato i loro espliciti favori al progetto, resta da vedere quanto e come saranno coesi i gruppi consiliari. Il sindaco Hüllweck ha già detto che non farà l’ago della bilancia di fronte a una parità fra i Sì e i No. Ma che peso avrà un voto senza Hüllweck? «Auspichiamo che il sindaco colga i segnali che arrivano dalla sua maggioranza e dopo il confronto con il ministro Parisi, che ancora il ministro non ha concesso, possa avere a disposizione tutti gli elementi per prendere posizione».
«Altro che silenzi, c’era l’intesa
fra tecnici di Aim e americani» «Sia fatta piena luce sul comportamento degli amministratori comunali». Lo chiede il consigliere dei Verdi Ciro Asproso, che ha indirizzato una lettera al presidente del consiglio comunale Sante Sarracco, dopo la pubblicazione dei verbali della riunione fra tecnici Aim e americani sulla nuova caserma all’aeroporto “Dal Molin”. Asproso di dice «profondamente colpito e amareggiato», tanto più che la riunione risale a un periodo in cui furoreggiava la polemica sui silenzi dell’amministrazione comunale rispetto al progetto. In base ai dati di quel verbale, la richiesta idrica stimata è di 60 litri al secondo, con un picco di 250 litri al secondo; per l’energia elettrica servirebbe una potenza di 9 megawatt, mentre per il gas la richiesta stimata è di 900 metri cubi all’ora. «Ora che è caduto l'ennesimo velo di finzione e di ipocrisia - spiega Asproso - ora che abbiamo la prova dell'infedeltà agli obblighi istituzionali di una parte di amministratori pubblici, tra cui l’assessore Claudio Cicero e lo stesso sindaco Enrico Hüllweck, mi rivolgo al presidente Sarracco, quale garante dei diritti e delle prerogative del consiglio comunale, affinché sia fatta piena luce su tutta questa vicenda e sia fornita, ai capi gruppo consiliari, tutta la documentazione predisposta dai tecnici Aim per la fornitura di luce-acqua-gas e di tutti i sottoservizi, necessari alla realizzazione del progetto americano». «Le notizie sull’intesa fra Comune, Aim e Usa - conclude il consigliere di opposizione - dimostrano il totale scollamento tra esponenti della stessa coalizione di maggioranza e all'interno della struttura comunale». Asproso parla di «diplomazia segreta e parallela», di cui sarebbe stato incaricato Cicero, «all'insaputa di importanti settori del Comune, quali l'urbanistica e l'edilizia privata. Il fatto è di una gravità inaudita e prova che il sindaco è inaffidabile e in malafede».
Il lavoro dei tecnici (g. m. m.) Mentre in piazza dei Signori si discute se sono più numerosi i vantaggi o gli svantaggi della nuova caserma americana all’aeroporto Dal Molin, in strada S. Antonino procedono spedite ispezioni, analisi e perizie. Una delle schede contenute nel documento che il comando Usa ha fatto avere tramite il comitato del Sì allo stato maggiore di Alleanza nazionale in vista del vertice con Gianfranco Fini, riepiloga gli studi e le valutazioni attualmente in corso. Si va dalla bonifica dell’area da ordigni bellici (che sarà totalmente a carico degli Usa) allo studio e analisi del traffico. E ancora: verifica del livello di inquinamento odierno, studio architettonico, studio sull’energia per l’impianto di cogenerazione di vapore, studio sullo scarico delle acque meteoriche e le vasche di contenimento, verifica di impatto ambientale, impianti di depurazione e trattamento delle acque, verifica dei sottoservizi esistenti. Attualmente, viene specificato, la progettazione esecutiva non è ancora stata appaltata. Nell’elenco dei «benefici indiretti», vengono riportati, oltre alla bonifica bellica dell’area est, anche «il personale fisso nei cantieri e tecnici per 6-7 anni, la visibilità e la pubblicità della città con frequenti visite di personalità politiche dal Congresso e militari di alto rango, l’incremento del bacino d’utenza di potenziali clienti degli aeroporti, degli hotel e dei ristoranti, posti di lavoro nell’indotto, più sicurezza, con pattugliamento dell’area da parte dei carabinieri 24 ore su 24». Se al Dal Molin si procede spediti, c’è chi lavora per presentare possibili alternative, che orbitano sempre intorno a Vicenza est. Dopo le proposte dell’on. Mauro Frabris e di alcuni esponenti di Forza Italia, un’ipotesi alternativa al Dal Molin potrebbe essere ufficializzata a breve dalla Provincia. La presidente Manuela Dal Lago ne ha discusso in conferenza dei capigruppo: si tratta dei terreni, 15 campi in tutto, di proprietà della Provincia nella zona di via A. Moro.
Continua la rivolta. Minacciata l’occupazione. I vicepresidi: «Ma quest’anno non si può cambiare» Rossi, gli studenti in strada sotto gli occhi della polizia Un’altra mattinata di protesta contro l’orario di lezione “lungo” di Anna Madron Studenti in mezzo alla strada, traffico bloccato, striscioni, altoparlanti, camionette della polizia e professori che entravano e uscivano da scuola nel tentativo di ripristinare un po’ d’ordine e arginare la protesta. Un sabato mattina da fibrillazione quello di ieri all’istituto Rossi dove è andata in scena l’ennesima manifestazione contro l’orario scolastico, questa volta al grido di “occupazione, occupazione”. Queste le intenzioni degli alunni più determinati, decisi a passare dalle parole ai fatti, occupando la scuola in segno di dissenso contro quel quarto d’ora in più a fine mattinata - la campanella suona alle 13.30 anziché alle 13.15 - che sembra pesare come un macigno sulle spalle degli alunni, l’80% dei quali proviene da fuori città. «Questo orario è un calvario», recita uno striscione lungo via Legione Gallieno, teatro di “scioperi” studenteschi che vanno avanti ormai dall’inizio dell’anno scolastico, tanto che ieri sono stati gli stessi ragazzi ad avvisare la Questura che sarebbero scesi in strada ancora una volta in massa creando disagi agli automobilisti. E così è stato, con in più un’occupazione annunciata ma naufragata, dal momento che a scuola poteva entrare soltanto chi era deciso ad andare in classe per seguire le lezioni. Solo in pochi, però, circa 200 su 1200, hanno scelto questa strada, mentre tutti gli altri sono rimasti all’esterno a scandire slogan contro la preside Zeila Biondi e contro un orario definito «massacrante e impossibile da reggere». Soluzioni? «Una delibera esecutiva non si può cambiare - spiegano i vicepresidi del Rossi, Giorgio Spanevello e Pierluigi Piazza - di conseguenza quest’anno le cose dovranno restare così, mentre per il prossimo siamo già al lavoro per studiare un orario più soddisfacente». Una prospettiva che non sembra però consolare granché gli alunni, tutt’altro che rassegnati ad entrare in aula alle 7.45, alzarsi dal banco alle 13.30 e tornare a casa in qualche caso anche a pomeriggio inoltrato, come riferito da una rappresentanza più moderata di studenti che ieri mattina ha incontrato la preside Biondi, alla presenza dei vicepresidi, del presidente del Consiglio d’istituto e del Comitato genitori. Un colloquio al termine del quale i ragazzi hanno avanzato una sorta di compromesso non condiviso, però, da tutti: rosicchiare, cioè, qualche minuto di lezione, allungando così l’ultimo intervallo, in modo da lasciare agli studenti il tempo necessario per mangiare un panino e bere una bibita. Una sorta di minipasto per riempire lo stomaco di coloro che, una volta usciti da scuola, sono costretti a sobbarcarsi più di un’ora di viaggio, saltando da un bus Aim ad una corriera Ftv. Si cerca, dunque, un’intesa in una scuola dove il clima è turbolento e dove, alla vigilia delle preiscrizioni, è forte anche la preoccupazione per l’immagine che l’istituto sta dando di sé all’esterno. «In realtà stiamo facendo l’impossibile per aggiustare le cose, lavorando a favore dei ragazzi», spiega Spanevello, bersagliato di telefonate di genitori che chiedono se domani le lezioni si svolgeranno regolarmente, se chi è rimasto fuori a manifestare deve presentarsi munito di giustificazione, se alla luce della protesta in corso si intenda rivedere l’orario. «Quello vecchio andava bene - sbottano due studenti seduti sui gradini fuori da scuola - adesso perdiamo ugualmente il bus, veniamo lasciati a terra perché i tram sono strapieni e come se non bastasse torniamo a casa a ore inaccettabili, stanchi morti e con la prospettiva di rimetterci a studiare per il giorno dopo. E poi dicono che non ci sono cause di forza maggiore».
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