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10 MAGGIO 2005 dal Giornale di Vicenza
Comunali sul piede di guerra
Slogan e cori da stadio a palazzo Trissino. I sindacati: «Eravamo in 450. È esploso il malessere
covato in questi mesi contro la gestione del personale». L’Amministrazione: «Erano non più di
220. Il Fondo produttività? La torta è sempre quella, ma hanno cambiato la divisione delle fette» di G. Marco Mancassola Cori da stadio, fischi, slogan urlati e amplificati sotto le volte cinquecentesche di palazzo Trissino. «Fuori, fuori», urlano sotto qualche goccia di pioggia decine di dipendenti comunali all’indirizzo delle finestre della Giunta. È l’inizio delle “Crociate” in chiave sindacale che stanno per investire il municipio di Vicenza, un’azienda che conta mille dipendenti di ruolo e duecento a tempo determinato. Ieri l’assemblea indetta dalle Rsu e da tutte le organizzazioni sindacali andata in scena al teatro Astra ha registrato un boom di presenze, come non si vedeva da tempo, a detta degli organizzatori. Sui numeri, come da copione, è guerra: i sindacati parlano di circa 400 dipendenti, per l’Amministrazione molti meno, circa la metà. Sia come sia, è stata presa la decisione di proclamare lo stato di agitazione, che da un lato raffredda le relazioni diplomatiche e dall’altro scalda il clima. Nei prossimi giorni verrà decisa la strategia e il menù della protesta. Giovedì sera, ad esempio, potrebbe essere l’occasione per un clamoroso presidio in sala Bernarda, dove è programmato il consiglio comunale. C’è poi chi preme per il blocco degli straordinari. La prossima settimana si terrà un nuovo confronto fra rappresentanti dei lavoratori e Amministrazione, ma nell’aria è sempre più forte l’odore di scontro, mentre sullo sfondo si profila la sagoma dello sciopero. La carne al fuoco è molta. Ci sono questioni economiche, come la capienza del fondo produttività, una sorta di quattordicesima del dipendente comunale, che i lavoratori chiedono venga rimpinguata a dovere. Ci sono poi problemi nei rapporti con le Rsu, definiti sempre più tesi, appesi a un dialogo che si fa sempre meno continuo. C’è la richiesta di ricalibrare la percentuale ammessa per i part-time nel comando di polizia municipale. In generale, a giudicare dalla veemenza degli slogan scritti e gridati nel corteo che ha concluso l’assemblea all’Astra e che ha accompagnato i dipendenti lungo le vie del centro storico fino all’atrio di palazzo Trissino, serpeggia una sensazione di malessere generalizzato. Questo è quanto sottolineato dai sindacati, in un periodo già bollente per il fuoco di fila intorno alla direttrice del personale, Carla Marcolin, che è un ex sindacalista, vale la pena ricordarlo. «Da un lato dicono che non ci sono i soldi, dall’altro spendono che è un piacere», lamenta Sergio Merendino, della Cgil. Il riferimento, abbozzato anche dai colleghi, è alle recenti delibere sull’assunzione di un portavoce del sindaco e sul riconoscimento di tre “alte professionalità”. Germano Raniero delle Rdb-Cub torna a criticare le «assunzioni illegittime» di personale a tempo determinato e i procedimenti disciplinari per futilità: «La dirigente è istruttrice e giudicante, è ora di costituire un collegio disciplinare». Danilo Piciocchi, del Sulpm, boccia l’interpretazione fortemente riduttiva del part-time per i vigili, che dovrebbe poter essere aperto fino al 25 per cento. Sul fondo produttività, Maurizio Dei Zotti della Cisl punta a «ricercare la disponibilità al riconoscimento della qualità del lavoro svolto quotidianamente. Diamo atto che è stato raschiato il barile, ma si può lavorare di fantasia e provare a trovare ulteriori risorse per premiare la disponibilità dimostrata, come nel caso dei vigili con il quarto turno o degli asili nido con l’apertura da settembre a luglio. Non chiediamo la luna, basta poco». Assemblea e corteo hanno creato qualche disagio lamentato dagli utenti di alcuni servizi, come l’anagrafe, ma - rimarca Claudio Scambi della Uil - gli avvisi erano stati debitamente esposti per tempo e tutto è stato fatto secondo le regole. A stretto giro di posta arriva la replica dell’Amministrazione, attraverso l’assessore al personale Michele Dalla Negra, che prima rilancia: «È un attacco politico e personale alla dirigente Marcolin. Non si capisce perché molti slogan sono indirizzati a lei e non all’assessore». Poi fa quadrato intorno ai numeri: «Non so perché protestano. La torta delle risorse a disposizione non è cambiata, perché è imposta dalla legge. A essere modificata è soltanto la ripartizione, ovvero le diverse voci e il loro peso. Ma tutte le cifre sono frutto di un accordo fra le parti. Dirò di più: c’è una decisione di Giunta che assegna al fondo produttività la cifra massima, ovvero l’1,2% del monte salari. Bisognerebbe interrogarsi piuttosto sulla ripartizione di altre voci, come le progressioni orizzontali, volute dai sindacati». Sul part-time, Dalla Negra ricorda che era stata fatta una proposta per aprirlo al 10 per cento, in modo da non soffrire ripercussioni sull’organizzazione del lavoro in un settore così delicato. E le alte professionalità? «L’indennità passa da 8 a 10 mila euro all’anno lordi, liberando tre posti nelle posizioni organizzative. La realtà è che fanno più rumore pochi alberi che cadono, che una foresta che cresce».
È caccia ai pozzi da chiudere Ex Zambon: c’è un’altra zona con concentrazioni di inquinanti alle stelle di Piero Erle Sono i vecchi pozzi presenti nella grande area ex Zambon ad aver portato l’inquinamento da monoclorobenzene fino alla falda profonda, a 80 metri di profondità. E per questo la prima cosa da fare sarà chiuderli e interrarli definitivamente, in modo da evitare che la falda in superficie, inquinata dai resti dell’ex grande industria chimica, utilizzi quei ’tubi’ scavati nel terreno per raggiungere la falda sotterranea. È questa la risposta data dal vertice tecnico tenutosi ieri nella sede Arpav di via Spalato, che ha dato il via libera alle proposte tecniche della Zambon per la messa in sicurezza idraulica. Con un interrogativo che apre però un nuovo grande filone di indagine per l’area tra via Cappuccini e via Monte Zovetto. Secondo una piantina fornita al Comune dalla Zambon ancora 11 anni fa, nel ’94, ci sono in quell’area altri pozzi (forse tre): altri potenziali ’agenti inquinatori’, quindi. Un sopralluogo compiuto ieri pomeriggio da tecnici pubblici e privati non li ha individuati: forse non ci sono. Forse. E sarebbe un bene, perché quei pozzi si troverebbero a pochi metri di distanza proprio dal cosiddetto “edificio O”, dell’ex Zambon. Vale a dire quello in cui gli ultimi dati hanno ormai identificato un secondo ’focal point’ di maxi-inquinamento. È proprio questa infatti la bruttissima sorpresa che è emersa in maniera evidente dal “Piano di caratterizzazione” consegnato lo scorso ottobre dalla milanese Ecoappraisal, e dai suoi consulenti, per conto della Zambon. Uno studio, quel volume consegnato dalla Zambon, che colpisce i sensi prima che la testa: come chi li aveva preceduti in questi anni di discussioni e analisi, i tecnici nelle loro tabelle sui sondaggi svolti nel terreno e sulla falda acquifera parlano di “materiale nerastro”, liquido rossastro, granuli gialli, tracce violacee, forti odori di solventi. E molti di questi termini vengono usati per i campioni di terreno e per le acque prelevate dai piezometri installati proprio nell’area dell’edificio O. In quell’edificio, scrivono i tecnici, c’è «un’altra fonte attiva di contaminazione». Il monoclorobenzene risulta in quantità anche migliaia di volte superiore ai limiti di legge. Ma non c’è solo quello: il cloroformio risulta in alcuni campioni superiore di decine di migliaia di volte ai limiti di legge. E ancora: per il benzene sono state registrate concentrazioni superiori anche di mille volte rispetto ai limiti. E infine tra i tanti metalli pesanti che risultano in concentrazione preoccupante nel suolo (rame, zinco, piombo) ce n’è uno, l’arsenico, che ha fatto registrare a sua volta concentrazioni di migliaia di volte superiore ai limiti delle norme. Ma questo problema di inquinamento nell’area sud ovest, spiegano i tecnici incaricati dalla Zambon, ha anche due spiegazioni che non chiamano in causa solo l’industria farmaceutica. C’è un inquinamento infatti dovuto, scrivono, a materiale di riporto depositato lungo il perimetro dell’edificio O (lo stabilimento chimico), e c’è la rete fognaria che ha contribuito molto all’inquinamento del terreno, tant’è che i tecnici scrivono che nell’area sud-ovest, circa 1800 metri quadri di terra inquinata, in realtà basterebbe intervenire soprattutto sui punti vicino alla rete fognaria stessa. Affermazioni, queste, che vanno a braccetto con quanto scritto dai legali della Zambon nel ricorso presentato al Tar contro i provvedienti comunali: la mancata manutenzione della rete fognaria, come pure dei serbatoi e dei pozzi - è la tesi della Zambon, come specificava anche ieri a voce l’avv. Marco Tonellotto - è sicuramente una causa dell’inquinamento diffuso nell’area. E un altro tema che la Zambon solleva è la presenza diffusa di rifiuti - compreso amianto - lasciati dal Comune nell’area ex Zambon, utilizzata a suo tempo come deposito di materiali di qualsiasi tipo, comprese taniche usate e altro. Da parte sua, il vicesindaco Sorrentino - dopo essersi consultato con il consulente prof. Nedo Biancani, presente anche al sopralluogo di ieri - conferma che, dopo la tensione scattata nei giorni scorsi quando il Comune emise un’ordinanza a carico della Zambon perché provvedesse a mettere in sicurezza il pozzo numero 1, quello cioè in cui è stata rilevata a profondità di 80 metri una concentrazione altissima di monoclorobenzene, il clima tra azienda e Comune è migliorato. «La Zambon sta ottemperando all’ordinanza, e questo è un dato positivo. Tra l’altro è emerso chiaramente che l’inquinamento in fondo al pozzo - precisa Sorrentino - è lo stesso riscontrato nella falda di superficie». Come dire che non c’è inquinamento della falda profonda, ma solo una ’fuga’ dell’acqua inquinata verso il basso, lungo il pozzo che è stato trovato ’rotto’ in alcuni punti. Per questo adesso il primo obiettivo è stato condiviso da tutti: eliminare i rischi dovuti ai vecchi pozzi. Sperando di averli trovati tutti. Il bisogno di liberarsi della città fantasma (p. e.) Una città fantasma. Eccola, vista da dentro, l’area ex Zambon: da 25 anni l’industria non c’è più, e da allora il Comune da allora è diventato padrone di oltre 32 mila metri quadrati di “area quasi d’oro” a due passi dal centro. C’è stata l’Amcps (ma solo negli edifici verso la strada). C’è stato il magazzino del Comune, che ha contribuito a lasciar là dentro una ’discarica’ (già denunciata dal nostro giornale otto anni fa) vera nei fatti ma degna anche di qualche film surrealista, tra i ’gabbiotti’ dei vigili accumulati in un angolo e qualche rimasuglio di scene teatrali, taniche, bidoni e altro. C’è pure tanto amianto da rimuovere, assicurano i tecnici, in quegli alti scheletri di cemento che si affacciano sulle stradine interne della città fantasma. E c’è da rimuovere benzene e altre schifezze stipate in terra, sotto una buona soletta di cemento ’copritutto’ (come ha rivelato ieri sera ai cittadini il prof. Biancani). Fa paura l’inquinamento da eliminare, sì. Ma fa ancora più pena vedere un pezzo intero di città morto, lasciato là per 20 anni dalla proprietà pubblica che voleva costruirci la nuova Vicenza. Bisogna liberarsi dai fantasmi, specie quando infestano il futuro di una città.
Accattonaggio urbano «Tolleranza zero? Sì, ma dove serve» Poletto (Ds) commenta il foglio di via per i punk-a-bestia e chiede nuove politiche di Silvia Maria Dubois «Sì alla “tolleranza zero”, ma all’interno di un approccio integrato». A proporlo è Luigi Poletto, capogruppo dei Ds a palazzo Trissino, commentando la decisione del vice sindaco Valerio Sorrentino a proposito del foglio di via prennunciato per i punk-a-bestia presenti in città da tre stagioni. «Che la sinistra sia buonista e poco sensibile alla questione della sicurezza e dell’ordine pubblico è una contestazione che non corrisponde a verità - spiega il consigliere comunale - anzi, noi abbiamo sempre argomentato che la sicurezza, al pari della salute, del lavoro, dell’assistenza e della formazione scolastica, rappresenta un vero e proprio diritto dei cittadini, costituisce una componente fondamentale della qualità della vita». «Ricordo che noi abbiamo sempre chiesto e chiediamo ancora “tolleranza zero” nei confronti degli illeciti amministrativi e della criminalità urbana diffusa - prosegue - proponendo un maggior coordinamento tra il Comune e gli organi statuari preposti alla prevenzione e alla repressione dei reati». Per Poletto, però, occorre criticare «la strumentalizzazione a fini ideologici ed elettoralistici del bisogno di sicurezza diffuso presso l’opinione pubblica, al fine di evitare che il livello di insicurezza percepita sia volutamente gonfiata rispetto al livello di insicurezza reale». Il diessino, che ci tiene a ricordare la netta distinzione fra forme di accattonaggio professionale e forme di accattonaggio rivelatore di un disagio sociale, passa subito alle proposte costruttive, precisando che «per le prime servono azioni decise di contrasto ripetto alle organizzazioni criminose dedite allo sfruttamento della mendicità surrettizia e professionale, mentre per le seconde vanno attuate delle azioni di sostegno e di aiuto sociale mirate». «È vincente in tutta Europa un approccio integrato alle politiche di sicurezza urbana - puntualizza Poletto - cioè di integrazione fra politiche di prevenzione e di repressione della criminalità diffusa con le politiche di governo fisico e sociale, capace di far coesistere la gestione rigorosa della sicurezza con l’implementazione di azioni efficaci di lotta all’emarginazione». «Tutte le realtà urbane vivono la presenza dei “senza dimora”, da chi pratica scelte di contro-cultura come i punk-a-bestia, alla situazione oggettiva dei richiedenti asilo o di immigrati con o senza permesso e chi vive un disagio soggettivo come tossicodipendenti o barboni occasionali - conclude il consigliere -. Si possono anche emanare provvedimenti come il foglio di via proposto dal vice sindaco Sorrentino, ma Vicenza deve saper coniugare l’inflessibilità nella repressione dei comportamenti illeciti con il mantenimento delle proprie caratteristiche di città aperta, accogliente, che sa gestire il conflitto, governare il disagio sociale, praticare la solidarietà».
Anche il difensore civico nella relazione annuale ha sottolineato le difficoltà di molte famiglie Cresce la “tensione abitativa” Aumentano gli alloggi vuoti a causa dei prezzi elevati di Mauro Sartori Un mini, due locali più bagno e garage, a Schio non viene a costare meno di 120 mila euro. E l’affitto dello stesso varia da 450 a 550 euro mensili, a seconda che sia arredato o meno. Numeri eloquenti che, secondo il difensore civico Domenico Costa, testimoniano della tensione abitativa esistente in città. Le due grandi aree Peep in fase di ultimazione o allestimento (Giarette a Ss. Trinità e Al Leogra a Magrè) non sono riuscite a calmierare i prezzi, essendo di poco inferiori a quelli di mercato. In questo contesto aumentano le famiglie in difficoltà per pagare l’affitto e far fronte al mutuo. Le domande per il Fondo nazionale di sostegno all’affitto, che gode anche di contributi regionali e dal 2003 comunali, sono più che raddoppiate dal 1999 ad oggi, a fronte di risorse stanziate pressoché uguali. Se nel primo anno ai 151 nuclei familiari scledensi ammessi è stato erogato un contributo pari al 90% del fabbisogno (addirittura il 98% nel 2000), adesso siamo ad una copertura attorno al 30% per le 360 famiglie del 2003, oltre la metà delle quali con redditi inferiori ai 10 mila euro annui, ultimo dato completo disponibile. E la forbice continua ad aumentare fra richiesta e disponibilità. Sintomo inequivocabile che l’incidenza dei canoni sui redditi si fa sempre più pesante. Eppure la crisi economica sta provocando un fenomeno che dovrebbe portare entro breve ad un abbassamento dei prezzi: infatti ci sono molti più appartamenti liberi in questo periodo, a causa della flessione della domanda. All’ufficio casa comunale sostengono che i primi segnali vanno in questa direzione, grazie anche alla diffusione dei canoni agevolati pattuiti fra sindacati dei proprietari e degli inquilini, benedetti dall’Amministrazione comunale che garantisce l’aliquota Ici del 4,8 per mille a chi vi aderisce, contro il 7 per mille riservato alle seconde case destinate alla locazione. Una conferma arriva da Cipriano Tessarolo, titolare di un’agenzia immobiliare scledense: «Il mercato è saturo e l’offerta di immobili è superiore alla domanda. I proprietari si trovano perciò a dover ridimensionare le pretese se vogliono locare gli alloggi. Parallelamente inizia la discesa dei prezzi di vendita vista la grossa quantità di invenduto». In attesa che il calo si concretizzi c’è però da registrare un aumento degli sfratti e soprattutto un ulteriore fenomeno sommerso relativo agli immigrati che, fiduciosi, hanno comprato casa ed ora, coinvolti nella crisi occupazionale, non riescono più a far fronte ai mutui sottoscritti. Secondo i dati del censimento 2001, le famiglie residenti sono 15.131 e le abitazioni occupate 15.029, di cui 10.917 di proprietà e 3.093 in affitto. In costante lievitazione pure gli scledensi che si rivolgono all’Ufficio Casa per essere inseriti nella graduatoria per l’assegnazione di alloggi comunali: sono stati 334 nel 2004 contro gli appena 180 del 1996. Rimane tuttavia esiguo il numero degli appartamenti annualmente concessi, che vanno dal massimo di 28 del ’97 per arrivare ai 6 dell’anno scorso. C’è infine un aspetto da non sottovalutare: se ufficialmente affitti e prezzi di vendita degli immobili sembrano destinati a scendere non è possibile valutare quanto sia ancora presente il ricorso al “nero”, pagamenti sotto banco magari applicando in bianco canoni considerati equi: «È una cattiva abitudine che, dai dati in nostro possesso, non è così diffusa in zona - commenta Gianluca Santacatterina, segretario della delegazione scledense di Confedilizia. - Noi la combattiamo da sempre e invitiamo i nostri associati a stipulare contratti di locazione concordati con canoni calmierati, come da accordi territoriali». |