|
10 LUGLIO 2006
Eccidio, “passano” solo i fiori
Schio/1. Il corteo degli ex repubblichini tenta di forzare il blocco delle forze dell’ordine di Mauro Sartori E il corteo non autorizzato sfilò ugualmente. In un percorso alternativo e sotto lo sguardo vigile di decine di poliziotti e carabinieri. In barba al divieto del questore di Vicenza, ex repubblichini ed estremisti di destra radunatisi ieri mattina al sacarario militare di Ss. Trinità, hanno sfidato le forze dell’ordine (almeno 250 agenti a presidiare ogni angolo del centro storico per evitare contatti con i contromanifestanti di sinistra), forzando un blocco in verità esiguo e sfilando per il campus dei licei, deciso a raggiungere in massa la vietatissima via Baratto, dove si trova il portone delle ex carceri mandamentali, luogo dell’Eccidio di Schio del 7 luglio 1945. È successo tutto rapidamente, secondo una strategia studiata tavolino e con momenti di tensione che hanno fatto temere il peggio e che si sono risolti pacificamente grazie al buonsenso degli agenti. Mentre i furgoni della polizia sbarravano ogni possibile transito verso il centro, alle 11 in punto oltre 600 manifestanti in camicia nera (ma più di un centinaio è rimasto a presidiare il sacrario), al grido di “boia chi molla!”, si è raggruppato dietro ai gagliardetti mettendo davanti anziani ex repubblichini ed ausiliari ultraottantenni. Subito svelata la tattica adottata: girando per la zona delle scuole, il corteo intendeva aggirare i blocchi dei militari. Lo sbarramento in via Ss. Trinità, all’incrocio con le via Fleming e Sanudo, non era particolarmente fitto e i pochi poliziotti si sono visti costretti a cedere il passo. Qualche strattonamento ma nessun episodio di violenza reale, anche perchè davanti c’erano gli anziani. Il corteo si è dunque sviluppato lungo via Marin Sanudo sino a raggiungere piazzale Summano e l’area degli istituti superiori, con il chiaro intento di arrivare a destinazione per una via alternativa. Intanto le forze dell’ordine si sono organizzate, riuscendo a bloccare i manifestanti all’altezza dell’Itis De Pretto, prima dell’imbocco in via XXIX Aprile. Lì si è svolta un’estenuante trattativa, con i più facinorosi intenzionati a forzare, fra cui un ottantenne che istigava gli altri a farsi beffe dello sbarramento «perchè siamo dalla parte della ragione». Alex Cioni di Continuità Ideale, Roberto Fiore, leader nazionale di Forza Nuova ed altri sono arrivati ad un accordo: il rientro al sacrario per via XXIX Aprile e la concessione, ad una delegazione, di portare una corona di fiori sul luogo del massacro. Non il solito ammassamento davanti al portone con saluto romano e ricordo di tutte le vittime, ma una cerimonia più sobria e limitata a pochi intimi. In file organizzate e composte, cantando slogan e inni nostalgici come “Giovinezza” alternati a “Fratelli d’Italia”, i manifestanti sono rientrati al sacrario per partecipare alla messa, celebrata con rito preconciliare da don Giulio Tam, meglio conosciuto come “il sacerdote nero”, sospeso a divinis ma sempre attivo in simili iniziative. Durante l’omelia ha fatto ampi riferimenti alle opere di Benito Mussolini e a “Dio, patria e famiglia”, ricordando come le 54 vittime dell’Eccidio siano «una testimonianza di fede sino al martirio». Al termine della funzione religiosa, una decina di persone, fra cui i vari responsabili dei movimenti organizzatori della commemorazione, compreso Federico Tonti, figlio di una delle vittime dell’Eccidio e capitanati dall’ausiliaria ottantacinquenne Giovanna Mattioli di Bologna, si sono recati sotto scorta in via Baratto e, davanti all’ingresso laterale dell’attuale biblioteca civica, in questi giorni soggetta ad interventi di manutenzione edilizia, hanno depositato i fiori. Atto finale di una cerimonia che continua a far discutere, mentre la città è ancora una volta distante e assente, salvo un manipolo di curiosi che ha preferito una mattinata blindata alla gita fuori porta. E fra chi prende le distanze da una manifestazione e l’altra, c’è chi si distingue, come nel caso dell’on. Giorgio Conte e dell’assessore regionale Elena Donazzan, assenti ieri mattina ma che hanno voluto precisare: «A distanza di 61 anni dalla strage resta da fare ancora molta strada nel lungo percorso di pacificazione e riconciliazione nazionale. Lo denunciano le contrapposte manifestazioni politiche che si svolgono in concomitanza della ricorrenza, ma anche una buona dose di ipocrisia che aleggia in altre pubbliche circostanze - scrivono Conte e Donazzan in un documento diffuso ieri -. È sempre doloroso partecipare alle celebrazioni del sacrificio di tanti inermi cittadini scledensi, ma le ferite si possono rimarginare solo con la verità storica; la quale tarda ad essere resa nota, perché ancora tace chi sa, chi conosce i fatti e le responsabilità oggettive e politiche dell’eccidio». Benzina sul fuoco per il post corteo, che minaccia ancora scintille.
Schio/2. Proteste ufficiali per la bandiera Rsi esposta al Sacrario di Paolo Rolli «Abbiamo appena saputo che i fascisti hanno formato un corteo e hanno forzato il blocco delle forze dell’ordine». Sono le 11 quando dal palco di piazza Rossi, alla manifestazione promossa da partiti della sinistra, partigiani e sindacati per contrastare il raduno dei reduci della Rsi e della destra nell’anniversario dell’Eccidio di Schio, uno degli oratori dà al microfono la notizia che la situazione sta per degenerare. Fino a quel momento il presidio di piazza Rossi si è svolto regolarmente, e le circa trecento persone che vi partecipano hanno ascoltato e applaudito i diversi interventi di sindacalisti e rappresentanti politici, nonchè quello del presidente regionale dell’Anpi Franco Busetto. Dopo l’annuncio, però, l’aria cambia, e carabinieri e polizia blindano ancor più le strade che portano al Corobbo: via Carducci, via Mazzini e via Fusinato sono intransitabili, per non parlare di via Baratto, bloccata materialmente dai mezzi delle forze dell’ordine posti di traverso e presidiata da un impenetrabile cordone di agenti e militari. Una cinquantina di giovani di estrema sinistra si avvicina a via Carducci e all’altezza con via Gorzone inizia a fronteggiare i carabinieri schierati, senza comunque tentare azioni di forza, tanto che i militari non hanno nemmeno bisogno di alzare gli scudi e indossare i caschi. Le notizie del corteo che l’estrema destra sta tentando dall’altra parte della città, però, arrivano continuamente tanto ai manifestanti quanto al questore Dario Rotondi, che con il telefonino costantemente incollato all’orecchio per tenere sotto controllo la situazione su entrambi i fronti, si muove nervosamente per quelle poche decine di metri blindate come non mai, impartendo disposizioni ai suoi per fronteggiare eventuali colpi di mano da parte degli uni o degli altri: di qui non si passa, è la parola d’ordine. La situazione si va lentamente chiarendo solo verso le 13, quando i reduci dalla Rsi e i militanti di estrema destra ottengono di inviare una ristretta delegazione per deporre una corona di fiori all’ingresso laterale della Biblioteca; analoga concessione viene fatta ai manifestanti di sinistra. Mezz’ora dopo, un corteo di circa cento persone, con bandiere rosse al vento e cantando “O bella ciao”, presente anche la senatrice di Rifondazione Tiziana Valpiana, raggiunge la lapide che ricorda i fratelli Bogotto, posta sul retro della Biblioteca, dove viene deposta una corona di fiori ed Ezio Simini svolge un breve intervento. A quel punto, è oramai giunta l’una e mezza, i manifestanti di sinistra si sciolgono, e a tirare un sospiro di sollievo sono i responsabili dell’ordine pubblico, che hanno gestito oltre 250 carabinieri e poliziotti, che comunque continueranno a presidiare discretamente la città fino a sera. La giornata avrà però anche qualche strascico: «Presenteremo un esposto alla magistratura e un’interrogazione parlamentare in merito all’esposizione, al Sacrario militare, di una bandiera della Rsi - annuncia infatti la senatrice Valpiana -. Quanto alla nostra manifestazione, sono contenta della partecipazione, soprattutto da parte dei giovani, perchè dimostra che quelli della Resistenza sono valori ancora condivisi».
Il sondaggio. Sono stati intervistati 125 ragazzi dai 13 ai 25 anni I giovani chiedono spazio «Vogliono socializzare» L’analisi sulla ricerca della coop “Il Mosaico” in Circoscrizione 6 di Maria Elena Bonacini Più luoghi di ritrovo non “imbalsamati” dalle istituzioni e che rimangano aperti pomeriggio e sera. Queste le esigenze dei ragazzi che abitano in Circoscrizione 6 emerse dalla ricerca realizzata dalla cooperativa Il Mosaico attraverso 28 interviste, 44 videointerviste e che hanno coinvolto 12 compagnie e 53 questionari raccolti nelle scuole medie Calderari e Ambrosoli: in tutto 125 ragazzi dai 13 ai 25 anni che hanno detto la loro sui quartieri, raccontando il proprio tempo libero e spiegando cosa si aspetterebbero dal territorio. Esigenze, per quanto riguarda le interviste, legate alla possibilità di riunirsi e divertirsi con attività musicali (concerti, luoghi dove provare, corsi), attività fisiche (skate park, campi da calcio) o organizzando feste e sagre, magari annuali, mentre c’è un buon equilibrio tra pareri positivi e negativi sui quartieri. Simili i risultati dei questionari: 42 ragazzi su 53, infatti, chiedono uno spazio a loro disposizione e identificano il centro giovanile con un luogo di ritrovo dove trascorrere il tempo libero per scambiarsi opinioni, giocare, divertirsi, svolgere attività di gruppo. Di tutt’altro tenore, invece, le interviste agli adulti, che hanno descritto i ragazzi come molto numerosi ed eterogenei, con grandi differenze tra compagnie ed età diverse, disorientati dalla presenza di figure genitoriali non sempre stabili, facilmente influenzabili dalla società, con molte risorse e potenzialità, ma privi di iniziative e con difficoltà ad assumersi impegni e a mantenerli con costanza. Risultati analizzati dal direttore del Sert Vincenzo Balestra, dalla dirigente dei servizi sociali Piera Moro e dal presidente della Circoscrizione 6, Matteo Tosetto, durante una serata ad hoc insieme ad operatori e residenti del quartiere. Proprio Balestra ha sottolineato come «la differenza tra le richieste degli adulti e dei giovani sia forse una delle cause della difficoltà di dialogo. Che ce ne sia poco è naturale, ma se i genitori chiedono di essere istituzionalizzati, i ragazzi non ci stanno. I giovani, invece, sono molto più avanti degli adulti, perché chiedono socializzazione e vanno in controtendenza rispetto ad un mondo individualista». Sia Moro che Tosetto hanno quindi sottolineato l’importanza di un coordinamento tra le attività delle associazioni e della Circoscrizione, coinvolgendo i ragazzi, ma anche «di fare un patto generazionale e relazionale per suscitare il bisogno di comunità nei quartieri». E dall’analisi è scaturita anche un’idea per il futuro, condivisa da entrambi, che potrebbe essere «Un assessorato comune sociale-giovani, perché non si possono curare “agio” e “disagio” con due mani diverse». «Bisogna aiutare i ragazzi - conclude Moro - ad approfondire le tematiche, mettendoli alla base di un progetto. Il consiglio comunale dei ragazzi non può, infatti, essere stato solo una moda, perché loro saranno la nuova classe politica».
|