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12 DICEMBRE 2006 dal Giornale di Vicenza
Bush rivede la presenza militare americana
Bush rivede la presenza militare americana di Marino Smiderle Che gli Stati Uniti dovessero mettere mano all’organizzazione delle strutture militari oltreoceano, lo si era capito fin dalla caduta del muro di Berlino, nel 1989. Che farsene di 315.434 soldati (fonte The Heritage Foundation), quando la minaccia dell’Unione Sovietica si era dissolta come neve al sole? Otto anni di Reagan (ricordate il fantomatico, ma evidentemente efficace, scudo stellare?) avevano disintegrato l’apparato nervoso dei leader comunisti e in un radioso 9 novembre milioni di europei riguadagnarono la libertà. Svanito il nemico, ecco che lo zio Sam riduce gli effettivi in Europa a 287.061 l’anno successivo, a 145.302 nel ’93, a 107.052 nel ’97. Di qui al 2004, però, il numero è rimasto più o meno stabile fino all’annuncio di Bush dell’agosto 2004. Nel frattempo c’era stato un dettaglio non di poco conto: l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e, a seguire, gli interventi militari a guida Usa prima in Afghanistan e poi in Iraq. Di fronte a questo mondo stravolto dagli eventi, con gli equilibri internazionali andati per aria per una nuova strategia antioccidentale lanciata dal terrorismo islamico, Bush decide di dare un altro taglio: per cominciare, via 70 mila militari dalle basi di Europa e Asia. Non è tutto: entro il 2010 il numero dei militari americani in Europa dovrà essere ridotto a meno di 30 mila unità. Tenuto conto che nel 2005 già si era arrivati sotto alle 100 mila, siamo di fronte a un taglio dalle proporzioni bibliche. Tra le più tagliuzzate, ovviamente, la Germania, il paese che, storicamente, ha sempre ospitato il maggior numero di soldati statunitensi. Del resto, durante la guerra fredda la frontiera principale era là. Ora il nemico è in Medio Oriente e la strategia delle alleanze sta cambiando velocemente. Il succo è: meno soldati ma più specializzati e pronti al dispiegamento. In questa ottica Vicenza rappresenta un’eccezione alla politica della lesina, visto che al governo italiano è stata chiesta la disponibilità dell’aeroporto Dal Molin quale sede di altri due battaglioni del 173° Airborne Combat Team, attualmente di stanza a Bamberg, in Germania. Con gli attuali parà in servizio alla caserma Ederle, il numero dei militari in servizio salirebbe a circa 6.000 unità, con relativi aumenti del personale civile. La base di Vicenza non è l’unica di cui si chiede un incremento. La base navale di Napoli, per esempio, ha visto di recente il trasferimento dalla Gran Bretagna di qualche migliaio di effettivi. In compenso dal 2008 sarà sbaraccata la sede della Maddalena, in Sardegna. Nessuna variazione di rilievo, invece, per Aviano (principale base aerea del sud Europa) e Sigonella. Un conto è la strategia globale degli Stati Uniti, un altro conto è l’effettiva disponibilità del governo italiano a fare in modo che i piani vengano messi in pratica. Se per La Maddalena c’è stata la convenienza comune a chiudere i battenti e a trasferire la nave appoggio Emory Land e la flotta di sottomarini altrove, per il Dal Molin si è scatenata una contesa che, al momento, non ha partorito alcuna decisione. O meglio, gli Usa pensavano di avere già avuto l’ok dal governo Berlusconi nel 2003, mentre oggi, con il governo Prodi, tutto è tornato in discussione, malgrado il sì ufficiale già adottato dal Consiglio comunale. C’è stata la mobilitazione dei comitati e dei noglobal, che ha portato in piazza 15 mila cittadini contrari al nuovo insediamento militare. Ragionando sullo scacchiere militare globale, e non sulla singola città, gli Usa non ci metterebbero molto a portare i bagagli altrove. I problemi sarebbero due: trovare un sito alternativo e smontare una città nella città quale è la Ederle. Se trovare una città dell’est Europa (in Romania piuttosto che in Bulgaria) disposta a ospitare qualche migliaio di soldati americani non sarebbe certo un problema, smontare la Ederle non sarebbe poi così agevole. Dice: che c’entra la Ederle col dal Molin? C’entra, c’entra. Perché nel famoso piano di Bush licenziato nel 2004, la parola d’ordine è ridurre e concentrare. Nel caso di Vicenza è prevalso il secondo verbo: concentrare. E quindi aumentare. Se dovesse però sfumare il Dal Molin, ecco che anche la concentrazione verrebbe fatta altrove. Nel frattempo, con partenza da Aviano, i parà della Ederle (e di Bamberg) sono stati scelti per una nuova missione in Iraq. Ai primi dell’anno prossimo comincerà una nuova, dura avventura a Baghdad e dintorni, dopo che già nel 2003, all’inizio dell’operazione Iraqi Freedom, gli stessi parà dell’allora 173ª Brigata furono protagonisti di uno storico lancio sul nord dell’Iraq. Una partenza che dovrebbe coincidere con l’inizio dei lavori al Dal Molin. O, qualora non dovesse arrivare il via libera dal governo, con l’operazione Goodbye Vicenza. Un addio, dopo oltre 50 anni, che, per tanti motivi, trasformerebbe completamente la città. «Gli Usa sono molto fiduciosi» di G. M. Mancassola «Siamo molto fiduciosi di poter andare avanti con l’allargamento e l’espansione della base». Parola di Ronald Spogli, l’ambasciatore americano in Italia. Dopo giorni di silenzio, seguito alla manifestazione del 2 dicembre che ha richiamato nelle strade vicentine 15 mila persone per dire no al progetto di costruire una nuova caserma all’aeroporto Dal Molin, gli americani rompono la tregua. E lo fanno con il rappresentante di Washington a Roma, l’ambasciatore, l’emissario del presidente George W. Bush in Italia. L’esternazione. Gli Stati Uniti sono «molto fiduciosi» sulla possibilità che l’espansione e l’allargamento della base americana a Vicenza vada in porto: Spogli lo ha dichiarato ieri durante un incontro con alcuni cronisti italiani, sottolineando che Comune, Provincia e Regione «hanno votato a favore del progetto». Per la verità, l’unico ente che finora si è espresso con un voto pubblico di un organo politico è stato il Comune, nella celebre seduta del consiglio comunale del 26 ottobre scorso. «Noi - ha poi dichiarato Spogli commentando la manifestazione dei giorni scorsi contro l’allargamento - abbiamo un rapporto molto positivo con la città di Vicenza. Siamo lì da oltre cinquant’anni, abbiamo avuto e continuiamo ad avere un rapporto estremamente positivo con il Comune, la Provincia e la Regione. Ognuno di questi enti ha votato a favore del progetto». Per questo, conclude il rappresentante degli Stati Uniti in Italia, «noi siamo molto fiduciosi che andremo avanti con l’allargamento e l’espansione della base». Le reazioni. Dopo l’ottimismo a più riprese manifestato dal generale Frank Helmick, ora l’ambasciatore sceglie la formula della fiducia. Pronta la replica dal fronte del No. «La popolazione è in gran parte contraria all’ampliamento della base e il Governo ha ora il dovere di prestare ascolto alle esigenze della cittadinanza vicentina - afferma l’on. Severino Galante dei Comunisti italiani -. Le autorità statunitensi sanno benissimo, al di là del buon rapporto con la cittadinanza, che quest’ultima ha da sempre osteggiato questo progetto. Anche sotto il profilo istituzionale, le cose non stanno esattamente come afferma l’ambasciatore americano Spogli». «Il problema è che non si tratta di un allargamento, ma di una nuova base. È inequivocabile - attacca Giancarlo Albera, dei comitati contrari alla caserma -. Da tempo chiediamo di rispettare la sovranità dei vicentini sul loro territorio. Si deve ascoltare la cittadinanza. Si faccia il referendum». Domani pomeriggio si riuniranno i “saggi” chiamati a giudicare sull’ammissibilità del quesito referendario proposto dal fronte del No. Tutti da Parisi. Il comitato del Sì, nel frattempo, è in contatto con la segreteria del ministro della Difesa Arturo Parisi per ottenere un appuntamento a breve. Lo conferma Roberto Cattaneo, il portavoce, che spiega: «Siamo in attesa di una telefonata. L’incontro si terrà nei prossimi giorni. Vogliamo spiegare le ragioni del Sì e dei dipendenti della caserma Ederle», conclude Cattaneo. La riflessione. Si terrà domani sera alle 20.15 nel cinema teatro del Patronato Leone XIII la riflessione sulla questione Dal Molin a partire dai riferimenti biblici con il teologo don Dario Vivian. L’iniziativa è proposta dalle Famiglie per la pace. Come spiega uno dei promotori, Giovanni Marangoni, fioccano le adesioni all’incontro: dalle Acli, l’Agesci, i Beati costruttori di pace, le commissioni Giustizia e Pace cittadine e alcune parrocchie, come quella di Quinto Vicentino. «Ci chiediamo come stia diventando la nostra città - commenta - dopo la Ederle e la Gendarmeria europea, c’è ora la prospettiva della nuova caserma, che farebbe divenire Vicenza la città più militarizzata in Italia».
Piccoli numeri, grandi scontri politici sotto la bandiera con falce e martello Pdci spaccato, una scissione “junior” taglia del 20 per cento gli iscritti in città Se ne va il segretario della sezione Palma e si porta dietro una dozzina di tesserati di Gian Maria Maselli Conservare identità e simbologia di partito, oppure “guardare oltre il recinto”. E poi: sezioni di partito “contro” società civile auto-organizzata. È su queste differenze di vedute che si è consumato il divorzio vicentino all’interno del Partito dei comunisti italiani. Si è infatti dimesso, addirittura restituendo la tessera “assieme al 20% dei 60 iscritti della sezione cittadina”, Marco Palma, da ieri ex segretario del Pdci vicentino, nel quale era arrivato qualche anno fa, proveniente dagli juniores Ds. La politica cittadina perde così il suo più giovane segretario di partito, anche se Palma annuncia che continuerà il proprio impegno, ma al di fuori dei partiti tradizionali. Ventitrè anni, studente di sociologia al secondo anno di specializzazione, Palma motiva così la propria scelta di uscire dal Pdci: «La direzione provinciale era arroccata sull’identitarismo, sulla conservazione del simbolo e del nome. Noi invece consideravamo più importanti i contenuti (reale rappresentanza dei cittadini, cooperazione internazionale, modello di sviluppo economico, estensione della tutela dei diritti dei lavoratori, difesa del suolo e dell’ambiente) capaci di creare una nuova prospettiva politica a Vicenza. Pensavamo ad un nuovo soggetto, capace di rappresentare anche i cittadini che per ora non si sentono rappresentati dai partiti così come essi sono oggi strutturati. Si è visto ad esempio nella vicenda Dal Molin che la società civile vicentina si è auto-organizzata, non rivolgendosi ad alcun partito. E questo conferma lo scollamento tra partiti e cittadini. C’è chi pensa che i partiti si debbano evolvere assieme alla società, e chi invece antepone a tutto la propria identità». E infatti, la visione di Palma si è progressivamente scontrata con la linea del Direttivo provinciale, riassunta dal segretario provinciale Giorgio Langella: «È noto che la posizione ufficiale del partito a livello nazionale è quella della confederazione della sinistra, un soggetto che veda confluire i partiti della sinistra più popolare, conservando però ognuno i propri simboli e la propria identità. Se Palma era entrato nel partito per creare un superamento del partito stesso, il suo distacco è una logica conseguenza». «Palma - replica Langella - dice che con lui se ne va la parte giovane e attiva del partito. Io credo invece che il Pdci a Vicenza abbia persone anche più giovani da proporre. E poi, se un giovane non rispetta le gerarchie e le direttive, non ho problemi a richiamarlo all’ordine. Il Pdci a Vicenza ora proseguirà nella sua opera di radicamento sul territorio. Alla sezione cittadina esistente se ne affiancheranno altre tre. Ognuna avrà un segretario e tutte saranno coordinate da una figura che il Direttivo si incaricherà di eleggere con votazioni sezione per sezione». E solo il tempo dirà qual è la formula giusta nella grande caccia alla rappresentanza della società civile.
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