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14 NOVEMBRE 2006
Quelli del “No” entrano in Consiglio A Caldogno è ammessa la protesta
Domani il comitato parteciperà alla seduta comunale, il 24 sarà a Roma (g. z.) Li chiamano “il popolo delle pignatte”: «È il nostro modo pacifico di dire no al Dal Molin facendoci sentire con tutto quello che fa rumore, proprio come è avvenuto giovedì 26 ottobre in piazza dei Signori. Lo stesso faremo domani alle 19 fuori dal Comune di Caldogno, prima della seduta consigliare dedicata alla nuova base. Ma appena inizierà ci zittiremo: a Caldogno infatti, a differenza di Vicenza, la cittadinanza potrà prendere parte». Dopo il “sì” del consiglio comunale vicentino il programma dei comitati per il no al Dal Molin si fa sempre più fitto, nella speranza di coinvolgere tutte le autorità possibili, dai comuni vicentini fino al Governo: «Il 24 saremo a Roma - spiega Cinzia Bottene durante una conferenza stampa svoltasi ieri a Caldogno nella zona del cono di volo dell’aeroporto - dove speriamo di avere un incontro con il ministro Parisi. Il giorno dopo faremo un convegno al Canneti». Impegnativa è anche l’organizzazione della manifestazione del 2 dicembre che, assicurano i comitati, «si svolgerà in modo pacifico. Nonostante la campagna “terroristica” fatta dalla stampa, assicuriamo che anche questa volta chi ha interesse nel fomentare il terrore nei vicentini sarà smentito: prima del 26 ottobre sembrava che a Vicenza sarebbero arrivati i barbari, e invece alla fine abbiamo anche pulito tutta la piazza». Una manifestazione, quella del 2, che avrà respiro nazionale, se non addirittura europeo e oltre: «Sono previsti anche manifestanti statunitensi - aggiunge la Bottene - ai quali daremo la prima fila. L’assemblea permanente riunisce, a prescindere dalle credenze politiche, tutti i vicentini (circa 600 sempre in contatto via mail) che per molteplici ragioni prettamente tecniche sono compatti nel dire no ad una nuova base militare, ovunque la si voglia costruire. Vogliamo che a Vicenza accada come ad Aviano, che a causa della base ha perso ben 5000 abitanti?». La prossima riunione si svolgerà giovedì alle 21 alla Cooperativa Insieme e lunedì 21 al centro Lisa Conti di Costabissara.
Dal Molin. I parlamentari dei Comunisti italiani, Galante e Bulgarelli: «Il futuro della base Usa va concordato in maggioranza» di Eugenio Marzotto Il ministro Parisi stretto tra due morse. Maggioranza spaccata sul futuro del Dal Molin da una parte e Oliviero Diliberto leader dei Comunisti italiani (molto influente negli equilibri di Governo) che annuncia la sua presenza alla manifestazione del 2 dicembre, dall’altra. Non sono piaciute all’ala radicale del centro sinistra le parole del ministro Parisi che ieri, rispondendo al collega Pecoraro Scanio, aveva dichiarato che sulla base americana di Vicenza «Non esiste nessun accordo nella maggioranza». Come dire insomma che il destino della base dipende dalla Difesa e dal Governo, non certo da una mediazione all’interno della coalizione che finora non c’è stata. Ieri Severino Galante esponente del Pdci e membro della commissione Difesa dichiarava alle agenzie: «Da troppo tempo il ministro Parisi “ciurla nel manico” sulla questione del raddoppio della base americana di Vicenza. È ora di smetterla di giocare sugli equivoci lessicali». «Se il ministro Parisi - aggiunge Galante - dovesse autorizzare il raddoppio della base militare a Vicenza, senza il preventivo accordo di tutte le componenti della maggioranza, egli non godrebbe più della fiducia dei Comunisti italiani». E a criticare le posizioni di Parisi ci pensa anche il senatore Mauro Bulgarelli dei Verdi-Pdci che ricostruisce così il rapporto epistolare con il suo ministro. «A Parisi, che ha dichiarato che non esiste alcun tipo di accordo con forze della maggioranza circa l’insediamento della base Usa nell’area dell’aeroporto Dal Molin, vorrei ricordare che in una lettera indirizzata a me e ad altri senatori aveva assicurato che, nonostante gli impegni presi dal precedente esecutivo, l’attuale governo intendeva riconsiderare nel suo complesso il progetto». Bulgarelli replica così alla smentita diffusa ieri dal ministero della Difesa circa le dichiarazioni del ministro Pecoraro che, intervenendo al congresso dei Verdi, aveva parlato ieri di un impegno preso con Parisi per evitare «lo scempio dell’allargamento della base militare». «In realtà - spiega Bulgarelli - esiste un impegno preciso del governo a riconsiderare la questione, soprattutto alla luce della fortissima mobilitazione popolare della città contro la nuova base, della quale, si afferma nella lettera, si sarebbe tenuto conto ai fini della decisione. Che il ministro non abbia memoria di quell’impegno è preoccupante, anche perchè le amnesie sono contagiose - conclude il senatore dei Verdi - e non vorrei esserne vittima io stesso». Intanto a Vicenza si rischia un’altra frattura dentro il governo dopo la partecipazione di alcuni ministri alla manifestazione dei precari di qualche settimana fa. Anche i Comunisti italiani infatti aderiranno alla manifestazione del 2 dicembre contro la nuova base militare all’aeroporto Dal Molin. La notizia arriva dal segretario regionale Nicola Atalmi che insieme al segretario nazionale Oliviero Diliberto e ai segretari vicentini Giorgio Langella e Marco Palma il 2 dicembre saranno in piazza. La contrarietà dei Comunisti italiani, precisa una nota del gruppo, è totale, non solo relativa quindi all’ubicazione, ma al raddoppio della presenza militare Usa. «Al di là della devastazione ambientale ed urbanistica del territorio permettere la costruzione della nuova base statunitense, vorrebbe dire abdicare alle prerogative di nazione indipendente, allontanarsi dall’Europa, diventare, di fatto, un paese succube di una potenza straniera. È anche, e soprattutto, una questione di sovranità e di dignità nazionale». Diliberto e compagni insistono sulla necessità della «lotta con l’obiettivo chiaro di fare in maniera che il Governo, accogliendo le preoccupazioni dei cittadini e delle forze politiche e sociali vicentine, si esprima impedendo la costruzione della nuova base al Dal Molin». Referendum, si riparte da zero di Antonio Trentin Referendum sulla base Usa al Dal Molin e giudizio del Comitato degli Esperti per ammetterlo o bocciarlo: nulla di fatto e si ricomincia da zero. Ieri è calato il sipario sul primo atto dell’operazione “Consultare Vicenza” tentata dagli oppositori del progetto americano per l’area di Sant’Antonino. Ma continua la loro “mission impossible” di tenere lontana dall’aeroporto la 173ª brigata statunitense che ha programmato di riunirsi con i reparti già presenti alla Ederle. Da oggi i gruppi di quartiere contrari alla super-caserma, e i loro supporter politici, riproveranno a far breccia sulle procedure comunali risultate ostiche e impraticabili: messi di fronte alla certezza che il quesito originario sarebbe finito ko con relativo blocco preventivo dell’idea stessa di consultazione popolare, hanno ritirato la loro richiesta e hanno convenuto con i “saggi” comunali la possibilità di formularne un altro. Che ripercorrerà il già conosciuto binario, probabilmente con maggior e miglior celerità. Il Comitato degli esperti, infatti, ha espressamente chiesto al segretario generale del Comune, Angelo Macchia, che la trafila del nuovo quesito (presentazione, registrazione, inoltro al sindaco, trasmissione ai “saggi”) sia più rapida, molto più rapida, di quanto lo sia stata a palazzo Trissino in ottobre, nei giorni che preparavano la seduta consiliare conclusasi con il “Sì condizionato” espresso da 21 consiglieri di Forza Italia, Lega Nord, Alleanza nazionale e Udc. In definitiva: ci vorrà ancora qualche settimana per sapere se la conta popolare sui Sì e sui No alla base americana sarà possibile - non prima della prossima primavera inoltrata, quando in teoria lo permetterebbero i tempi ufficiali previsti dallo statuto comunale - o se come parere di Vicenza al ministro Arturo Parisi resterà valido soltanto l’ok a maggioranza risicata votato dal centrodestra in sala Bernarda. Ieri sera il secondo appuntamento con il copione “Decidano i Saggi” - già riunitisi a fine ottobre - è arrivato vicino alla chiusura di tutta la vicenda: se il quesito presentato per l’esame preventivo restava quello che era («Sei favorevole alla realizzazione del progetto Usa di costruzione di una nuova base militare nell’area dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza?») il Comitato presieduto dall’avvocato Silvano Ciscato l’avrebbe bocciato. La sensazione era chiara per tutti i presenti alla riunione in municipio. Ma siccome il referendum consultivo è sostanza tipicamente “partecipativa” - come ha sottolineato più volte lo stesso Ciscato - e siccome deve essere costruito in forma e con formula partecipative, si va ai tempi supplementari. I promotori referendari riscrivono il quesito, mettendoci dentro qualche più sostanzioso riferimento alle concrete conseguenze su Vicenza per l’arrivo della base “a stelle e strisce” (viabilità, impianti, energia, ambiente, urbanistica). Il quesito viene presentato ex-novo in Comune, perché l’ipotesi che si tratti di una semplice ridefinizione esplicativa del testo originario è stata negata ieri da un voto ben spartito (3 “saggi” contro 2) e decisamente significativo, perché potrebbe essere anticipatore di una situazione numerica già assestata nell’organo che giudica l’ammissibilità referendaria. L’iter riprende dal punto di partenza: una sconfitta per il fronte referendario, ma anche una chance imprevista, se il cambio del quesito (dalla secca indicazione del dilemma sul “progetto Usa” a un’articolato riferimento alle conseguenze urbane della base) potrà valere come sistema per aggirare il fatto che sulla base in se stessa il Comune non è competente. E che quindi il tema non è “referendabile”. Nella riunione di ieri la prima ora e mezza se n’era andata in questioni procedurali, culminate nel voto sul “via libera” all’audizione delle parti: un modo per non chiudere subito una partita che giuridicamente pareva segnata fin dall’inizio. A dibattere in quello che i rari commenti filtrati definivano un “approfondito contraddittorio” erano, oltre ai “saggi”, i portavoce del Comitato promotore (Luciano Volpato e Giancarlo Albera) con i loro consulenti politico-legali (l’avvocato e consigliere comunale diessino Gianni Cristofari e Sandro De Nardi arrivato per l’occasione da Diritto costituzionale dell’Università di Padova); e il direttore generale del Comune, Umberto Zaccaria, controparte tecnica («non mi ha mandato il sindaco né nessun altro - spiegava -: ho offerto la mia collaborazione agli esperti che l’hanno ritenuta utile») ma, in quanto rappresentante dell’Amministrazione Hüllweck, inevitabilmente sostenitore della parte schierata contro il referendum. Le barricate contrapposte alzavano le bandiere già note. Da parte del comitato referendario, quindi, l’accentuazione dello “spirito” della partecipazione popolare: aprire alla consultazione di tutti gli elettori un tema delicato, su un progetto Usa che avrà risvolti per decenni su Vicenza e la sua vita pubblica, per il quale il Comune non oggi ma per un lungo futuro avrà problemi da affrontare e soluzioni da trovare. E da parte di Zaccaria il rigoroso richiamo alla “lettera” delle normative: un rinnovato “niet” al voto popolare, secondo quanto già votato dal centrodestra il mese scorso, perché la materia militare e l’ubicazione demaniale della progettata caserma americana non sono competenza diretta del Comune («in linea teorica potrei essere d’accordo su un referendum per l’importanza dell’argomento - era il suo commento personale - ma legge nazionale sui referendum e statuto di Vicenza sono chiarissimi»). «Qualche volta a colpi di fioretto e qualche volta con bordate pesanti», come ha dipinto la situazione un “esperto” uscendo dalla riunione, lo scontro procedurale e giuridico tra le parti contendenti è andato avanti per più di due ore e mezza. Con un breve intervallo chiesto dai promotori del referendum per decidere se e come concertare il tentativo di aggiustamento del quesito. E appunto da questo ripartirà adesso tutta la questione.
Popolarità in calo. Sondaggio sugli amministratori commissionato da Il Sole-24 Ore. Entrambi sotto il 50 per cento (g. m. m.) Campanello di allarme per Enrico Hüllweck e Manuela Dal Lago: sindaco e presidente della Provincia, infatti, sono accomunati da un calo di gradimento, registrato da un sondaggio curato dalla società Ipr e commissionato da Il Sole-24 Ore. Il primo cittadino figura al 91° posto, in ambito veneto davanti soltanto al collega padovano Flavio Zanonato 92°, in una classifica guidata dal torinese Sergio Chiamparino (73 per cento di consenso). Eletto nel 2003 con il 53,8 per cento dei consensi, Hüllweck registra ora un 49,3 per cento, segnando un ammanco di gradimento pari al 4,5 per cento. Eletta nel 2002 con il 57 per cento, la Dal Lago occupa invece l’88° posto con il 49,3 per cento (primo è il catanese Raffaele Lombardo con il 68,5 per cento di consenso), risultato curiosamente identico a quello racimolato da Hüllweck. La presidente, però, registra un calo di gradimento più forte, con un meno 7,7 per cento. In ambito veneto, la Dal Lago figura comunque davanti ai colleghi di Rovigo, Venezia e Verona. La domanda rivolta agli 800 intervistati per ogni Comune capoluogo, chiedeva un giudizio complessivo sull’operato del sindaco, con il quesito: «Se domani ci fossero le elezioni comunali, lei voterebbe a favore o contro l’attuale sindaco?». L’indagine è stata condotta fra il 1 settembre e il 29 ottobre, vale a dire il periodo più caldo per il caso Dal Molin. Ci si domanderà a lungo, quindi, se l’effetto della nuova base Usa abbia determinato questo calo di consenso. «Non so se dipenda dal caso Dal Molin o da altri fattori - commenta il sindaco Hüllweck -. Avrebbe potuto andare anche peggio. Credo che il sondaggio vada preso per quello che vale: rappresenta un segnale negativo, da esaminare con correttezza, chiedersi perché ci sono degli arrabbiati e lavorare di più e meglio». Non la pensa così il segretario cittadino dei Democratici di sinistra Luca Balzi, che inserisce Hüllweck nel “club dei 14”, vale a dire quei sindaci finiti sotto la soglia del 50 per cento.
Forza Italia e la destra se la prendono con l’assessore Laugelli, Tolettini col primo cittadino Caso nomadi, è bufera politica Il sindaco: «Sempre in contatto con le forze dell’ordine» di Mauro Sartori Il “caso nomadi” alimenta la bufera politica a Schio. A partire lancia in resta contro l’attuale giunta è Marco Tolettini, consigliere comunale di Forza Italia ma anche presidente provinciale dell’Ater, posizione questa che gli consente un osservatorio particolare del fenomeno. «Nel Veneto ci sono circa 20 famiglie nomadi ospiti di nostri alloggi e sono quelle che comportano maggiori problemi, portando all’esasperazione gli altri inquilini perché ci sono carovane che sostano nei pressi, creando di fatto piccoli campi nomadi». Tornando a bomba, è il caso di dirlo, sulla faccenda del fossato di via Lago di Misurina, Tolettini non usa mezzi termini nei confronti del sindaco Luigi Dalla Via: «Il vero motivo del provvedimento va ricondotto alla situazione drammatica che sta vivendo la nostra zona industriale. Le aziende sono da tempo prese d’assalto dai nomadi ed oggetto di ricatti, estorsioni e vandalismi collegati che considero inaccettabili. Chi ha responsabilità politiche ed è a conoscenza di quanto sta accadendo non può far finta di nulla. A maggior ragione il massimo rappresentante comunale. Mi auguro abbia provveduto a denunciare il tutto alle autorità competenti altrimenti si tratterebbe di una grave omissione». Il sindaco Luigi Dalla Via però respinge al mittente le accuse: «Negli ultimi mesi i contatti con gli imprenditori sono stati costanti e le loro segnalazioni sono state prontamente recepite - spiega Dalla Via -. Come è stato continuativo il contatto con le forze dell’ordine. Di quanto stava accadendo in zona industriale è stato dato ampio risalto dai media, in particolare dal Giornale di Vicenza e che la situazione fosse a quei livelli era risaputo. Adesso torna alla ribalta perché è il tema politico da cavalcare al momento». Alle accuse di essersi sottratto alle sue responsabilità di primo cittadino e di tutore dell’ordine nel territorio comunale, Dalla Via risponde: «Qualcuno sta esagerando con le interpretazioni. La verità è che il fossato è stato scavato proprio per questioni di ordine pubblico, cosa che ho sempre sostenuto. Non mi sono mai nascosto, anche se a qualcuno piace pensare il contrario. Credo che ognuno abbia fatto la sua parte, sottoscritto compreso. Semmai mi rammarica che il tema, delicato e di scottante attualità, non venga affrontato con la dovuta serenità». Se nel mirino di Tolettini c’è il sindaco, in quello dei suoi colleghi di partito appare invece l’assessore Emilia Laugelli. La richiesta di dimissioni, sostenuta anche dai consiglieri di An e Lega, fra l’altro ribadita nella manifestazione di Forza Nuova e di Alternativa sociale, sono state formalizzate. «Nulla da dire sul solco scavato per evitare che un terreno di proprietà diventasse luogo di campeggio abusivo - esordisce il vicecapogruppo di Forza Italia, Enrico Bandolin -. Il sindaco è stato costretto suo malgrado a compiere un atto di forza pressato dai carabinieri, dai privati cittadini che non ne potevano più di subire le angherie di persone che saranno anche nomadi, ma che comunque per vivere delinquono per scelta. Come sempre si scaricano le responsabilità su Piovene, Malo, San Vito, Thiene. In realtà siamo costretti a coprire con un atto di forza il fallimento della politica d’integrazione voluta dall’assessorato ai servizi sociali». Il centro-destra chiede al sindaco di valutare attentamente l’opportunità di togliere la fiducia ad Emilia Laugelli, «la cui politica lassista e fallimentare, tenacemente perseguita in questi anni, ha portato grossi problemi di ordine pubblico». La mozione di sfiducia chiede anche una verifica sull’appoggio dei Verdi alla maggioranza, dopo le prime dichiarazioni del gruppo ambientalista, decisamente schierato contro il fossato. Protesta rientrata dopo le assicurazioni ricevute dal sindaco in merito al proseguo dei progetti d’integrazione sociale in atto. Intanto, l’estrema destra di Azione Sociale ha raccolto, nel fine settimana, 480 firme in calce ad una petizione che chiede all’amministrazione comunale di bloccare il progetto d’integrazione della famiglia Helt: «La nostra è una provocazione - ammette il portavoce Alex Cioni - ma siamo decisi a portare il malloppo di adesioni sulla scrivania del sindaco, affinché comprenda come sia sentita, in città, la problematica».
Videosorveglianza fantasma A Montecchio da tempo ci sono i cartelli, ma non le telecamere di Antonella Fadda Attenzione, zona sottoposta a videosorveglianza. Ma le telecamere dove sono? A Montecchio la videosorveglianza è fantasma, nonostante all'entrata del paese, subito dopo il casello autostradale, un segnale avvisa gli automobilisti che il territorio è sottoposto a controlli. Sulla segnalazione, tradotta anche in inglese, è specificato che la zona è monitorata grazie all'installazione e all'utilizzo di impianti di videosorveglianza del territorio e di telecontrollo ambientale. Ma delle telecamere non c’è traccia; anche se pare arriveranno a breve. «Questo cartello - spiega l'assessore ai lavori pubblici, Stefano Guderzo - era stato sicuramente installato dalla precedente Amministrazione, probabilmente come deterrente. Mentre le indicazioni riguardanti i cassonetti della spazzatura si riferiscono ad alcune telecamere mobili collocate a suo tempo dall'Mbs, per controllare eventuali infrazioni commesse nel gettare i rifiuti». Altre segnalazioni, soltanto di nome ma senza installazioni, indicanti "obiettivi sensibili", infatti, sono presenti in alcune aree ecologiche del paese. Ma neppure la polizia locale sembra essersene accorta. «Non ero a conoscenza della presenza dei cartelli, dal momento che in paese non esiste nessun piano di sicurezza con telecamere - afferma la dott. Paola Orefice, comandante della polizia locale castellana -. Provvederemo a far controllare». Ad ogni buon conto, anche a Montecchio le telecamere dovrebbero arrivare. L'amministrazione comunale, infatti, ha dato incarico per uno studio riguardante un progetto tecnico per l'installazione di videocamere utilizzando una rete Wi-Fi; cioè senza l'ausilio di fili ma sfruttando l'etere e le onde radio. «Tra breve tempo ci verrà consegnato il piano - continua l’assessore Guderzo -. Da lì si darà il via ad un progetto "sicurezza" serio con installazioni nelle zone ritenute più a rischio». E zone "a rischio" nella mappa della sicurezza del capoluogo castellano ce ne sono diverse. «Più che altro - commenta il comandante Orefice - le telecamere serviranno a prevenire più che a "curare". Molti cittadini ci segnalano degli atti vandalici a danno di alcuni monumenti, o anche la cattiva abitudine di gettare la spazzatura utilizzando sacchetti non a norma. La videosorveglianza, quindi, più che servire per atti punibili secondo il codice penale, sarebbe notevolmente più utile per monitorare episodi di inciviltà». Il controllo con una rete video non è cosa semplice da farsi. «Certo, molti cittadini hanno richiesto la presenza di un costante monitoraggio, ma prima di una eventuale attivazione c'è da considerare la legge sulla privacy - conclude l’assessore Guderzo -. Sarà lo stesso garante a dover dare il via al servizio. Occorrerà poi una delibera della nostra amministrazione. Solo allora anche Montecchio avrà le sue telecamere».
A dicembre saranno installati gli ultimi due apparecchi di Nicola Rezzara Entro la fine dell’anno saranno otto gli occhi elettronici che sorveglieranno la città del Grifo. Alle cinque telecamere già attive, nei prossimi giorni si aggiungerà la sesta a guardia del parco Fib e le ultime due per controllare il nuovo parcheggio “destra Chiampo” saranno installate a dicembre. Arzignano è quindi la città più sorvegliata dell’Ovest Vicentino. Il servizio comunale è nato un paio di anni fa, con un investimento di circa 150 mila euro sostenuto da fondi regionali. Piazza Marconi, la stazione dei pullman, la passerella che attraversa la strada provinciale, il parco dello sport e la piscina sono costantemente monitorati da apparecchi in grado di ruotare sul proprio asse di 360 gradi. E sono in arrivo altre tre telecamere per una spesa ulteriore di circa 60 mila euro. «Abbiamo messo sotto controllo le zone più frequentate e quelle più isolate. Le telecamere servono sia come deterrente per evitare che si verifichino reati, sia per individuare i colpevoli di azioni illegali», spiega l’assessore alla sicurezza Gianfranco Signorin. Le immagini vengono inviate al comando della polizia e visionate in differita da due agenti. Questo vuol dire che il controllo non avviene in presa diretta, nel momento in cui c'è la ripresa, ma i filmati vengono scandagliati ad hoc nel caso ci siano segnalazioni di reati o di persone sospette. «Per controllare 24 ore su 24 le immagini ci vorrebbero agenti dedicati solo a quel servizio», spiegano al comando di polizia. Nel caso vengano trovate immagini che documentano reati, scatta la denuncia alla procura. Se le registrazioni non servono, il sistema le cancella nel giro di 24 o 48 ore». Le telecamere operano automaticamente: sono in grado di mettere a fuoco ed hanno un sensore per individuare i movimenti. Nel caso non ci sia nessuno per strada la telecamera si spegne da sola, continuando però a ruotare sul proprio asse e riprendendo a filmare appena viene colto il primo movimento nel suo campo visuale. Un altro interessante congegno elettronico permette la tutela della privacy: un programma impedisce infatti all'occhio elettronico di filmare in dettaglio quanto avviene dietro alla finestra di una casa o all'interno di un auto. Quando la videocamera riprende movimenti dietro ad un vetro, l'immagine automaticamente si offusca, impedendo di scorgere chiaramente le figure. In molti, in città, si chiedono se sia possibile aumentare il numero delle telecamere per sorvegliare ulteriori zone; una su tutte il quartiere Matovano. Ma su questo Signorin è chiaro: «Non si può tenere sotto controllo elettronico tutto il territorio - conclude l'assessore -. Siamo sensibili agli stati d'animo ed alle preoccupazioni dei cittadini: nel caso ci siano segnalazioni inviamo le pattuglie della polizia municipale nei luoghi . È un controllo più elastico della telecamera». |