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14 DICEMBRE 2006 dal Giornale di Vicenza
Due ore e mezzo di confronto a palazzo Trissino, bis tra una settimana di Antonio Trentin Altre due ore e mezza di riunione a Palazzo Trissino. E non sono bastate. Il Comitato degli Esperti, incaricato di vagliare la seconda versione della richiesta di referendum sul progetto per la base americana in via Sant’Antonino, non ha deciso. Se la consultazione popolare è ammissibile o no – e quindi se tra parecchi mesi Vicenza aprirà i seggi e allestirà le urne per contare i Sì e i No alla super-caserma Usa - è un’alternativa che verrà chiarita forse a ridosso della pausa amministrativa di Natale. Una nuova seduta del Comitato è convocata per mercoledì prossimo. Nessuno garantisce che sia quella decisiva. Il quesito, così come riformulato rispetto all’iniziale testo secco sul "volete voi la base Usa al Dal Molin", sembra avere fatto breccia nel possibilismo dei “saggi” comunali: non c’è stato un nuovo k.o. giuridico e la complessa materia aeroporto-base-conseguenze urbanistiche pare essere considerata “referendabile”. Ma c’è in ballo un dubbio grossissimo, finora poco comparso sullo scenario del confronto e delle polemiche. Eccolo: essendosi già espresso a maggioranza il consiglio comunale (21 su 40) con un Sì al progetto, non si trasformerebbe l’eventuale voto popolare in un parere confermativo o abrogativo (a seconda dell’esito) che non corrisponde alla natura consultiva dei referendum ammessa, e solo questa, dallo statuto comunale? Tecnicalità giuridiche, come si vede. Che non c’entrano con la portata “morale” di un appello referendario per far pronunciare i vicentini su un elemento importante del loro futuro. Ma che sono decisive per la correttezza procedurale. Il Comitato degli Esperti vuole vederci meglio dentro la questione: «Le va dedicata molta attenzione - commentava ieri sera il presidente Silvano Ciscato. - Non ci sono precedenti ai quali fare riferimento, non solo a Vicenza. Dobbiamo arrivare a un parere fondatamente espresso: non mi interessano gli effetti politici della decisione del Comitato o chi potrà sbandierare una vittoria, mi devo limitare alle condizioni giuridiche per questo referendum». Uscendo dalla riunione, la squadra del No - la coppia Albera-Volpato firmataria della richiesta di referendum e il consulente tecnico-politico Gianni Cristofari, consigliere comunale Ds - ha fatto trasparire non poca preoccupazione sull’esito finale: «Ma noi non crediamo che il nostro quesito abbia la caratteristica di essere abrogativo di una decisione dell’Amministrazione - ha commentato Giancarlo Albera -. Il voto dei cittadini, in caso di vittoria dei No, non abrogherebbe l’ordine del giorno votato dal consiglio comunale. Aggiungerebbe un’altra valutazione, quella dell’elettorato direttamente consultato, a una valutazione non decisionale, lo dice sempre il sindaco, espressa dai consiglieri con risicata maggioranza».
Più veloce la procedura Ecco il testo del quesito che ieri sera è stato sotto esame nella riunione del Comitato degli Esperti: «Visto il progetto presentato dall’esercito degli Stati Uniti d’America per la costruzione di una nuova base militare nell’area adiacente l’aeroporto Dal Molin di Vicenza, destinata ad accogliere l’intera 173. Brigata aviotrasportata americana, ritieni che il sito prescelto sia compatibile e adeguato dal punto di vista urbanistico, in relazione alle caratteristiche ambientali e alle dotazioni infrastrutturali dell’area stessa?». La nuova procedura referendaria - dopo lo stop del primo tentativo - era stata avviata il 30 novembre, con la presentazione del testo alla segreteria del Comune da parte di Giancarlo Albera e Luciano Volpato, per conto di gruppi, associazioni e comitati di quartiere riuniti nel “Comitato dei comitati”, promotore dell’operazione-referendum. Il va-e-vieni tra gli uffici, che in ottobre-novembre era durato qualche settimana, stavolta era stato rapidissimo. Già il 4 dicembre il sindaco aveva ‘vistato’ le carte per l’inoltro all’avvocato Silvano Ciscato, presidente degli Esperti. Nel giro di otto giorni, poi, la convocazione della riunione.
Il sindaco torna a commentare la situazione in stallo e lancia una sfida a Roma (g. m. m.) «Il premier Romano Prodi e il suo Governo abbiano il coraggio di dire sì o no al Dal Molin prima della fine dell’anno. Vicenza non può aspettare all’infinito: è ora che si decidano». Il sindaco Enrico Hüllweck interrompe il silenzio sul progetto americano di costruire una nuova caserma all’aeroporto e torna a esternare sui complicati rapporti fra Vicenza e Roma, lanciando una sfida a palazzo Chigi. Dal corteo del 2 dicembre ad oggi le novità più significative sono due: l’ottimismo esibito dall’ambasciatore americano Ronald Spogli e la discesa in campo del ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che nei giorni scorsi ha chiesto informazioni ai Ds vicentini. La fiducia manifestata dall’ambasciatore viene liquidata da Hüllweck in poche battute: «Quando ho letto le dichiarazioni, mi sono fatto una risata. Mi è sembrato eccessivo. Forse dipende dall’ottimismo tipico degli americani. Al contrario, resto convinto che il Governo si stia orientando per bocciare la richiesta avanzata dagli alleati statunitensi. Il problema è che non sa come comunicarglielo, per questo è in crisi e sta cercando una scappatoia, che crede di aver individuato nel referendum. Ma per fare il referendum, anche se dovesse essere ammesso, ci vorrà molto tempo e Vicenza non può attendere tutti questi mesi. Questo è il senso delle lettere da me spedite a Prodi e Parisi: diteci come la pensate, qual è il vostro orientamento. Qualora sia sì, diteci come potete ridurre l’impatto sulla città; qualora sia no, diteci come pensate di ricollocare i dipendenti civili della caserma Ederle, se dovesse essere dismessa». La preoccupazione di Hüllweck è che il Governo propenda per una scelta o per l’altra senza fornire a Vicenza le garanzie richieste: «Temo che diranno no al progetto punto e basta, lasciando a noi il problema di riposizionare chi dovesse perdere il lavoro. Oltre a liberarsi dall’imbarazzo nei rapporti con gli Usa, il Governo punta a non avere responsabilità per il futuro dei lavoratori».
Tutto esaurito ieri sera al cinema-teatro per un incontro organizzato dal gruppo "Famiglia della pace" di Giovanni Zanolo «Un peccato mortale». Da ieri sera non battersi contro il Dal Molin potrebbe rivelarsi ben più che una semplice scelta di campo politica o ideologica. Da adesso si parla di «fede», «testimonianza del Vangelo», e «responsabilità dell’esser cristiani che discernono i Segni dei Tempi e di Dio nella storia e negli avvenimenti di ogni giorno». Non erano di certo cattolici «che pensano solo alle cerimonie e a quante luganeghe preparare per la sagra», usando le parole di don Dario Vivian, quelli che ieri sera hanno fatto il tutto esaurito al cinema Patronato Leone XVI per un incontro sul Dal Molin organizzato dal gruppo Famiglia della pace. Da ieri sera sarà infatti difficile etichettare il “popolo delle pignatte” che da mesi si batte contro la nuova caserma militare come “no global”, “sinistroidi”, antiamericani o semplici cittadini arrabbiati per la perdita di valore della loro casa. Adesso non prendere una posizione precisa sulla questione Dal Molin, per un cristiano, sarebbe secondo Vivian «essere inadempienti nei confronti di uno dei compiti più importanti per ogni credente: interpretare la storia come rivelazione continua di Dio, allo stesso modo in cui fece chi interpretò quei fatti di 2000 anni fa prima di scrivere il Vangelo. Ma interpretare e discernere la storia vuol dire anche prendere una posizione». E a questo punto, pur senza quasi mai nominare il Dal Molin, la dissertazione teologica di Vivian si fa carica di riferimenti impliciti all’attualità vicentina: «Prima di prendere posizione - continua Vivian citando il Vangelo di Giovanni e la Gaudium et Spes e Paolo VI - devo sempre tener conto di quanta "vita eterna", in senso qualitativo" e per tutti gli uomini del mondo, la mia scelta potrà in qualche modo contribuire a dare. Si tratta di una decisione che deve sempre prodursi secondo un’ottica pasquale». E a questo punto il gioco è fatto. Dopo le parole iniziali di Giovanni Marangoni (è stato lui a bocciare il Dal Molin come peccato mortale) sull’attuale «guerra civile in Iraq, dove ogni giorno muoiono a decine» è facile trarre le conclusioni, «essendo la morte e la distruzione incompatibili con la vita». Figuriamoci con la vita eterna. Insomma, una lezione accademica, quella di Vivian? In un certo senso sì, se non fosse stato per le immagini del progetto della caserma sullo sfondo che caricavano ogni concetto teologico di vita vissuta, lasciando dedurre ad ogni presente le proprie «nette prese di posizione». Ma le parole finali lasciano difficilmente scampo: «Non si tratta tanto degli "impatti" economici o ambientali. Discernere sul Dal Molin, per un cristiano, significa prendere in considerazione che è una questione militare. Qui ne va del Vangelo stesso. Non si tratta solo di Dal Molin, ma di essere o meno cristiani. Qui ed ora».
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