|
15 APRILE 2005 dal Giornale di Vicenza Distrutto il virus giunto alla Ederle di Marino Smiderle «Il virus è qui e gli americani hanno avuto disposizione di distruggerlo. Si può procedere?». I carabinieri della Setaf, piazzati davanti al flacone contenente meno di due millilitri del virus H2N2, chiedono lumi al magistrato di turno, Vartan Giacomelli. Sono le 8 di mattina, Il Giornale di Vicenza riporta in prima pagina la notizia dell’allarme alla Ederle e il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, aspetta con una certa ansia la notizia della distruzione di questo germe “stagionato” che, nel 1957, causò milioni di morti in tutto il mondo. E l’Organizzazione mondiale della sanità ha impartito ai ministeri dei Paesi interessati l’ordine di distruggere quei flaconi, per evitare ogni possibilità di contagio. In più il Washington Post scrive che il presidente Bush è stato dettagliatamente informato: «Questo problema - rivela il portavoce della Casa Bianca, Scott McLellan - è un’alta priorità per il governo. I rischi che si diffonda un’epidemia sono molto bassi, ma non vogliamo correrne alcuno». Il dott. Giacomelli, non ravvisando alcuna fattispecie di reato, dà subito il via libera. Per il momento, non è una questione che riguarda la magistratura. Si deve distruggere quel virus letale al più presto, seguendo i protocolli scientifici del caso. Gli esperti dicono che il rischio è basso, che i laboratori sono abituati a utilizzare questi campioni con professionalità e sicurezza. Però, per non saper né leggere né scrivere, è stato ordinato di elevare lo standard di sicurezza dal livello 2, quello adottato in condizioni di normalità, al livello 3, più rigoroso. Mattinata complessa, ieri mattina alla Ederle. Lì dentro sono padroni gli americani, ma il territorio è comunque italiano. Particolare ancor più significativo quando si parla di virus, di agenti batteriologici o di qualsiasi altra diavoleria chimica. Per questo, fin dalle prime ore del mattino, una volta appresa la notizia dal giornale, il responsabile dell’Ulss 6, Antonio Alessandri, manda la dottoressa Paola Costa alla base Usa. Questa è una rogna che bisogna grattare in due (intesi come Usa e Italia), anche se a causarla è stato, probabilmente, un magazziniere distratto di Cincinnati, Ohio. Del resto, americani e autorità vicentine collaborano da tempo: stavolta devono far tesoro delle esercitazioni fatte insieme e passare alla realtà. Tocca fare sul serio. Alle operazioni di distruzioni parteciperanno, per gli italiani, il ten. col. (medico) Bosco, e, per gli americani, il comandante della clinica medica della Ederle, Ronald Keen. Cincinnati, Ohio, nomi che suonano familiari a Vicenza. In quale occasione sono saltati fuori? Al colpo di cannone della festa del 4 di luglio, alla Ederle? No, Cincinnati, Ohio, sono nomi che portano sfortuna a Vicenza. Da quella bella città, da quello Stato decisivo per Bush nell’ultima elezione, sede di importanti industrie chimiche, partì quel dannato carico inquinato al cesio che finì negli altiforni della Beltrame, gettando nel panico decine di operai e tecnici che stavano lavorando nello stabilimento. Stavolta il carico è più leggero, neanche 2 millilitri, faranno sapere i tecnici della Health Clinic Service della Ederle. La ditta che, per conto del College of American Pathologists (Cap), ha spedito a Vicenza la provetta con il germe dell’Asiatica del ’57, si chiama Meridian Biosearch. Non ha toppato solo con Vicenza, visto che provette di quella partita sono finite in circa 4 mila laboratori di Stati Uniti e Canada, in gran parte, ma anche in altri 61 sparsi in giro per il mondo. Tra cui, appunto, quello della Ederle. Dunque, si passa alla distruzione. Il germe killer viene trattato come sanno i tecnici e, alla fine, il pericolo passa. Il “lavoretto” finisce alle 17. «Il Comando italiano e il comando americano - si legge nel comunicato stampa della Setaf - di concerto con i carabinieri della Setaf, hanno diretto la distruzione della sostanza, alla presenza delle autorità italiane e statunitensi. I contenuti del test kit sono stati sottoposti ad una procedura di sterilizzazione che è stata certificata da rappresentanti del Servizio igiene e sanità pubblica del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss e della Sanità militare italiana, alla presenza del direttore della clinica medica americana e dei due comandanti, italiano e statunitense, dell’installazione». Però, spuntano subito domande, a cui non sempre è possibile dare risposta. Per esempio, risulta che questa provetta sia stata spedita a Vicenza diversi mesi fa, ed è sempre rimasta in laboratorio, senza che nessuno sapesse bene cosa ci fosse all’interno. «Ma era contenuta in un plico di metallo - spiegano gli americani - chiuso da un lucchetto in acciaio. Solo due tecnici, in questo periodo, hanno maneggiato questi contenitori, senza che però tale provetta venisse mai utilizzata per test o altro». Già, ma che tipo di laboratori ci sono all’interno della Ederle? Non è che, in un clima di paura per il terrorismo, si custodiscano chissà quali agenti chimici? Domande, queste (e molte altre), che si fanno, per esempio, l’on. Lalla Trupia (Ds), che ha presentato un’interrogazione a Sirchia, e il consigliere comunale Luigi Poletto (Ds), che ha presentato una domanda di attualità sull’argomento al sindaco Hüllweck. Ma non è solo la sinistra ad interrogarsi sull’accaduto. L’on. Pierantonio Zanettin (FI) ha richiesto un question time a Sirchia, visto che «la cittadinanza chiede immediatamente spiegazioni onde evitare forme di psicosi e di panico collettivo, considerato che la base Ederle è inserita nel cuore della città». Nel caso specifico, gli americani della Ederle non hanno alcuna responsabilità. Anzi, non appena sono stati informati del pericolo che, loro malgrado, gravava sulla caserma, hanno attivato le procedure di sicurezza richiesta, agendo in collaborazione con le autorità italiane. A virus distrutto, e scampato il pericolo, resta l’inquietudine per come campioni così letali possano essere spediti per posta da una qualsiasi azienda di Cincinnati, Ohio. Per la verità, Meridian Bioscience non è un’azienda qualsiasi. È una delle migliori piccole aziende chimiche (circa 85 milioni di dollari di fatturato) quotate al Nasdaq. Tra le sue attività, figura anche la collaborazione con il Cap (con cui, però, ha un giro di affari di soli 3 milioni di dollari, il 3,5 per cento del totale delle attività, e da cui ottiene un utile di 750 mila dollari). Ieri, nelle prime ore di contrattazione al Nasdaq, le azioni della società perdevano quasi il 3 per cento. Neanche tanto, considerati gli sconquassi epidemiologici che l’azienda di Cincinnati ha combinato in giro per il mondo.
Lungo dibattito in Consiglio sulla vicenda, con il voto a maggioranza trasversale sulla necessità di un protocollo d’intesa (a. t.) L’Asiatica in fiala della caserma Ederle si è affacciata ieri sera pure in consiglio comunale, come logico e inevitabile considerato l’allarme sviluppatosi nel giro di poche ore su ciò che è stato un potenziale rischio di diffusione di un ceppo influenzale che fu particolarmente aggressivo. «Ho appreso anch’io dai giornali della presenza del virus nel laboratorio degli americani» ha raccontato un Enrico Hüllweck sindaco sguarnito di informazioni come chiunque in città. E poi ha raccontato da medico la storia e gli effetti dell’H2N2 che nell’inverno 1957-1958 aveva messo a letto una bella quantità di italiani («io compreso, da studente delle medie, curato ad aspirina e bevande zuccherate») e fatto qualche milione di morti per complicazioni cardio-bronco-polmonari in giro per il mondo. Naturalmente non è stato sul versante scientifico che si è sviluppata l’ora e mezza di dibattito dedicata al tema dai consiglieri e dal capo dell’Amministrazione, su sollecitazione del centrosinistra attraverso un documento con primi firmatari il verde Ciro Asproso e il diessino Luigi Poletto. Prima che Hüllweck riuscisse a dare certezze - esattamente alle 19.54 dopo essersi personalmente interessato presso una Ederle silenziosa per tutto il giorno con il municipio - opposizione e maggioranza si sono dedicate alla situazione dei rapporti tra Comune e amministrazione militare americana in una Vicenza che è base importante e in via di incremento per le forze Usa di terra (nuovo villaggio annunciato per i futuri contingenti alla Ederle) e dell’aria (aeroporto Dal Molin prossimamente spartito con l’Air force statunitense). Errore nell’invio? Fiala sotto acciaio presente alla Ederle da poco tempo o da tanto? Virus contenuto in un test-kit per chi e per cosa? Gli stessi interrogativi che hanno serpeggiato per Vicenza lungo tutta la giornata sono rimbalzati in sala Bernarda. Ma qui i risvolti di politica nazionale e di relazioni internazionale hanno fatto ipotizzare l’esistenza di dotazioni chimico-batteriologiche nei bunker americani, fatto chiedere più impegno al Comune per avere notizie dalla base Usa, fatto discutere e votare testi capaci di dividere i partiti di centrodestra. Il più rilevante - firmato da Poletto e Asproso e dai capigruppo di Margherita e Vicenza capoluogo, Marino Quaresimin e Giovanni Giuliari - ha avuto il “sì” compatto dei partiti dell’Unione di centrosinistra e qualche frastagliatura tra consensi e dissensi nella Casa delle libertà: 14 favorevoli, 11 contrari e 4 astenuti sulle poche righe che chiedono - e chissà mai se ci sarà risposta - se e quali procedure di controllo preventivo e di gestione in caso di calamità siano attive alla Ederle; e se e quali dotazioni militari batteriologiche, chimiche e nucleari abbiano gli americani a Vicenza. Un altro documento, stavolta approvato a larghissima maggioranza da destra e sinistra, invita il sindaco a stringere con la base Usa un protocollo d’intesa sui tempi e i modi dell’informazione relativa a possibili conseguenze dell’attività militare sulla popolazione vicentina. L’Amministrazione comunale è stata impegnata dal consiglio anche a prendere e fornire informazioni sul futuro potenziamento dei contingenti militari statunitensi e sulle relative decisioni in materia urbanistica.
Per una giornata l’Ulss sotto i riflettori di tutta Italia di Franco Pepe All’ospedale è stato il virus-day. Una giornata convulsa, concitata, di quelle che si ricorderanno a lungo, ma in cui tutto è filato liscio e in cui, soprattutto, si è riusciti a mantenere la calma e a operare in sinergia con gli altri protagonisti di questo thriller di co-produzione italo-americana, che ha avuto come scenario la caserma Ederle. Ma vediamo, fotogramma per fotogramma, come si è sviluppata, con la tensione di una fiction da suspense, quella che è stata una storia vera. Tutto è iniziato ieri mattina presto. Ore 9. Il direttore generale dell’Ulss Antonio Alessandri arriva puntuale dopo il solito viaggio quotidiano Padova-Vicenza, saluta, compie il primo rito di ogni giorno, dà uno sguardo ai quotidiani, e, quando gli occhi vanno sulla prima pagina del nostro Giornale e legge del virus finito nel laboratorio della caserma Ederle, il terribile A/H2N2, quello che provocò la mortale “asiatica” della fine degli anni 50, i capelli gli si rizzano sulla testa. Ore 9.15. Alessandri convoca la sua unità di crisi di primo livello, chiama il direttore sanitario Eugenio Fantuz, la dirigente del dipartimento prevenzione Emanuela Bellotto, fa venire al terzo piano della palazzina uffici Angela Heithaus, la responsabile della reception Usa del S. Bortolo, che sarà molto preziosa per le traduzioni-lampo, e detta subito due dispacci da spedire in tempo reale al comandante dell’ospedale americano di camp Ederle colonnello Ronald Kenn, e alla dirigente per la prevenzione dell’assessorato regionale Giancarla Niero. Da Kenn il dg vuole sapere informazioni urgenti sui campioni di virus giunti da Cincinnati per conto del Cap, il College of American Pathologist. E da Venezia reclama disposizioni per garantire la sicurezza della cittadinanza. Ore 9.30. Chiama da Roma il ministero della salute, che a sua volta chiede informazioni di prima mano. Ore 9.45. Iniziano le telefonate incrociate fra Alessandri, il prefetto Angelo Tranfaglia e il colonnello Kenn per decidere cosa fare. Fantuz, intanto, annuncia che non esiste alcun pericolo per la salute pubblica, che non c’è allarme per la gente, che l’emergenza non supera il primo gradino dell’attenzione. Ore 10. Alessandri chiede a Roma in che modo intervenire, e dal ministero della salute dettano il protocollo Oms, quello dell’Organizzazione mondiale della sanità, da seguire in situazioni del genere, per distruggere il virus, secondo l’ordine arrivato da Parigi direttamente dal ministro Girolamo Sirchia, che nella capitale francese è impegnato in una riunione con i colleghi europei. Ore 11. Ora, come conferma la Bellotto, l’obiettivo è la distruzione del virus, un’operazione che i tecnici definiscono non difficile. Il prefetto, attivissimo, chiede che l’Ulss metta a disposizione di Kenn due funzionari per assistere nel laboratorio di camp Ederle alla distruzione dei test contenenti il ceppo A/H2N2. Alessandri indica la dottoressa Paola Costa, che lavora al dipartimento prevenzione, e Costantino Zocca, ispettore del settore igiene. Ore 15.30. È l’ora “X”. Nel laboratorio Usa, alla presenza dei due operatori dell’Ulss che dovranno certificare ufficialmente la distruzione del virus, iniziano le operazioni di sterilizzazione. Si seguono le procedure prescritte dalla sezione speciale “virology specimens” del Cap. Si effettua una sterilizzazione di estrema sicurezza con doppio passaggio in autoclave, di 45 minuti l’uno, il primo a 121 gradi e il secondo a 132 gradi di temperatura. Ore 17. Termina l’operazione. Ora la sostanza è inerte e non può più essere nociva. Alessandri, che, in collegamento con i suoi, ha seguito minuto per minuto tutte le fasi, tira un respiro di sollievo e chiama subito il ministero per comunicare che tutto è andato bene. La notizia viene girata immediatamente a Sirchia a Parigi. Il dg precisa anche che il materiale questa mattina verrà prelevato dagli stessi funzionari che hanno assistito alla distruzione, e verrà trasportato con un camion della Savi di Sandrigo fino all’inceneritore di Schio, dove verrà bruciato ed eliminato completamente. Ore 19. L’emergenza è finita. «L’Ulss - dice soddisfatto Alessandri che è ancora in trincea nella sua stanza di lavoro - ha dimostrato, come già nel caso-acciaieria e nel gravissimo incidente al pullman dei turisti moldavi, di saper gestire con la sua struttura, in collaborazione con le altre istituzioni, queste situazioni di anche di estrema difficoltà». |