|
16 GENNAIO 2005 dal Giornale di Vicenza
Dino Carta voleva essere libero La sua morte fa ancora riflettere ( s. s .) In via Calderari arriva Franca Carta e accosta una grande foto del fratello Dino accanto alla lapide che nell’immediato dopoguerra la città ha posto nel punto esatto in cui il 12 gennaio 1945 il partigiano ventunenne era stato abbattuto a fucilate e lasciato morire dissanguato. Comincia così, con un gesto semplice ma carico di sentimenti mai sopiti, la commemorazione che apre a Vicenza il ciclo di manifestazioni celebrative della Resistenza, che culmineranno nell’appuntamento del 25 aprile in piazza dei Signori. Arriva anche l’altra sorella Fanny, ci sono alcuni ragazzi della scuola media dei Ferrovieri dedicata al giovane vittima della guerra di Liberazione, ci sono allievi del Patronato Leone XIII dove Dino ha studiato e dove ha passato tanti pomeriggi, c’è una rappresentanza dell’ istituto "Rossi" dove contava di conseguire il diploma di perito industrile. E c’è anche Mauro Marchetti presidente della circoscrizione 4 perchè quest’anno c’è una novità: per celebrare il sessantennale della Liberazione la circoscrizione ha istituito una borsa di studio di 600 euro per meriti scolastici intitolata al giovane partigiano. Il premio è stato assegnato a Matteo Santolin, 18 anni, residente in strada Nicolosi e studente del "Rossi", dove ora frequenta la quinta DT e lo scorso giugno è stato promosso con la media del 9,27 . Ma chi era Dino Carta? Dice l’assessore Maurizio Franzina, venuto in via Calderari a rappresentare il sindaco e l’amministrazione comunale: «Era un giovane che si è immolato per i suoi ideali e ricordarlo è sempre toccante. È grazie a chi è stato capace di opporsi alla dittatura e di combatterla che noi abbiamo riconquistato la libertà, che è un dono che va alimentato e accresciuto». Franzina elogia l’idea di istituire una borsa di studio e Marchetto spiega, con le parole della motivazione, che «si è voluto riconoscere i meriti di un ragazzo con la speranza che anche i sogni dei giovani di oggi possano realizzarsi». E degli ideali di libertà, che hanno spinto uno studente poco più che ventenne a non temere la morte, vengono evidenziati proprio da Ivo Fava, presidente dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia che d’accordo con la confederazione delle associazioni combattentistiche (presenti con delegazioni e labari) ha organizzato con il Comune la cerimonia. Infatti Dino Carta, figlio di modesta e stimata famiglia vicentina (il padre, pittore decoratore, aveva costituito col proprio lavoro una piccola impresa ed aveva casa e laboratorio in stradella dei Munari) aveva trascorso una adolescenza tranquilla: le elementari al Patronato, le superiori al "Rossi", una grande passione per il calcio. Quando dopo l’8 settembre 1943 il regime fascista riprese vigore col sostegno tedesco e molti giovani vicentini piuttosto di prestare servizio militare nell’esercito della Repubblica di Salò preferirono darsi alla macchia e rischiando la fucilazione o la deportazione in Germania fuggirono in montagna per formare squadre partigiane, anche Dino Carta espresse il desiderio di combattere per liberare il Paese dal nazi-fascismo, ma fu dissuaso dall’allontanarsi dalla famiglia (aveva un fratello disabile cui i genitori dovevano dedicare tutte le loro cure) e fu convinto ad arruolarsi nella "guardia repubblicana" e a restare a Vicenza con il compito di trasmettere agli amici entrati nella clandestinità notizie utili e di far passare ai posti di blocco le armi destinate ai partigiani. Forse per un sospetto o per una delazione il 12 gennaio 1945 venne convocato "per chiarimenti" al comando del suo corpo. Giunto alla caserma Ederle di porta Padova si sentì scoperto, quindi agguantò una pistola che era su un tavolo, saltò da una finestra in strada e fuggì: rincorso, fu abbattuto a fucilate in via Calderari dove ora c’è la lapide e morì dissanguato. Dice Ivo Fava: «Dino Carta è morto perchè voleva un’Italia libera da ogni dittatura, non accettava la guerra nazi-fascista scatenata per conquistare il mondo. Era animato da valori che dopo sessant’anni non sono scomparsi e che devono continuare ad animare tutte le persone alle quali stanno a cuore la pace, il progresso civile e sociale». A Como processo per Greenpeace con due vicentini «In 19 occuparono il forno» «Non fu bloccato il servizio» Como. I militanti di Greenpeace, fra cui dei vicentini, non bloccarono l’attività dell’inceneritore. È la testimonianza dell’ex direttore del forno di Como che due anni fa fu teatro di una clamorosa protesta da parte dell’associazione ambientalista per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inquinamento che secondo Greepeace era attribuibile all’inceneritore e che aveva provocato una concentrazione di piombo nel latte dieci volte superiore ai limiti fissati dall’Unione europea. Diciannove persone - fra cui i vicentini Pietro Dal Dosso e Lorenzo Dal Toso, la cui posizione è stata stralciata - sono finite nei guai per interruzione di pubblico servizio, ma in aula l’ex direttore ha precisato che il funzionamento venne ridotto, ma non bloccato, in seguito alla protesta del gruppo di cui facevano parte anche alcune persone che, in tuta bianca, scalarono la struttura comasca. Durante l’udienza un’imputata ha chiesto che vengano differenziate le posizioni dei militanti, perchè diverso fu il loro ruolo nell’occupazione simbolica del forno. L’udienza è stata rinviata al prossimo 7 febbraio, quando è attesa la sentenza del gip, che potrebbe accogliere l’opposizione chiesta dai difensori di Greenpeace al decreto penale di condanna emesso dalla procura. |