E la Ederle svezzò la generalessa Usa
Prima donna con le stellette: «La mia guerra con quel sergente a Vicenza»
di Alessandro Mognon
È finito su tutti i media americani il racconto del generale, anzi della generalessa Rebecca S. Halstead. Dalla Cnn all’Abc. Forse perché sembra uscito da un film tipo Ufficiale e gentiluomo o Full metal jacket. Un racconto, quello dell’unico generale donna dell’esercito Usa presente oggi in Iraq oltre che prima donna con le stellette uscita dalla mitica accademia di West Point, che ruota intorno alla caserma Ederle di Vicenza. Dove la prima durissima guerra che ha dovuto affrontare è stata quella con un sergente duro come il cemento stile «ma-che-c...o-ci-sta-a-fare-una-donna-qui». E che ha risolto, grande dote per un futuro generale, con una risata.
È il 1981 e una giovanissima e piccolissima Rebecca detta “Becky”, 22 anni appena compiuti per neanche un metro e 60 di altezza, fresca di accademia con il grado di tenente, viene spedita a Vicenza e si ritrova a comandare un plotone nella 69esima compagnia, gruppo artiglieria.
Siamo ancora in piena guerra fredda: a Berlino il Muro è più solido che mai, in Unione Sovietica il presidente è l’inossidabile Breznev sempre più malato ma sempre più ufficialmente “raffreddato”, Vicenza è a due ore di strada dal confine con la Jugoslavia ancora in lutto per la morte di Tito e sotto la collina di Longare ci sono le testate nucleari per i missili Nike.
Ma questo è niente. Il vero problema del microscopico tenente Halstead è quello di farsi obbedire da un sergente veterano del Vietnam. Basta immaginarlo: 90 chili per 1,85 di altezza, cicatrice in faccia figlia di un corpo a corpo con un vietcong e una pallottola di Ak-47 ancora impiantata in un polmone. E lui, proprio lui, si ritrova a prendere ordini da un tenente: 1) donna; 2) altezza-microbo che gli arriva all’ombelico; 3) tenentino appena uscito dall’accademia degli ufficiali “fighetti”. Insopportabile.
Lei, Rebecca Halstead, è entrata a West Point nel 1977 perché l’ha iscritta la madre, ed è solo dal ’76 che accettano le donne. Viene da un paesino sperduto, Willseyville (New York) e si definisce «una ragazza di campagna di una cittadina dove non ci sono manco i semafori».
È un mese di inferno, quello alla Ederle. Perché non c’è verso di farsi ripettare da quella specie di Clint Eastwood versione “Gunny”. Non lo dice, la generalessa, ma chissà quante gliene combina: ordini ignorati, risatine, battutacce. E alla fine scoppia: un bel giorno, forse sotto una pioggia torrenziale e dopo tre ore di duro addestramento, prende da una parte il sergente e guardandolo dal basso verso l’alto gli urla in faccia tutta la sua rabbia: «Lo so le tre cose che pensi di me, caro-il-mio-sergente-che-è-stato-nel-Vietnam: primo che sono il solito ufficialetto che ti tocca svezzare, secondo che vengo da West Point...». Pausa: il sergente con il sorrisetto si aspetta il finale «...e terzo che sono una donna». Ma la piccolissima Rebecca sale su una pietra alta 30 centimetri, lo guarda dritto negli occhi e gli dice «e terzo ce l’hai con me perché sono una nanerottola». Racconta il generale Halstead che il sergente d’acciaio che faceva la guerra con i vietcong non finiva più di ridere. Ma non l’ha più presa in giro. E questo, ha aggiunto, l’ha convinta che un giorno sarebbe diventata un generale: «Un consiglio per le donne soldato? Numero 1, non arrendetevi mai; numero 2, ricordatevi del consiglio numero 1».