|
18 NOVEMBRE 2005 dal Giornale di Vicenza
Tremila studenti in piazza contro il governo
Tremila studenti in piazza contro il governo di Anna Madron Sono scesi in strada in massa, muniti di striscioni, tamburelli, megafoni. Hanno percorso le vie del centro e si sono ritrovati tutti in piazza San Lorenzo per una sorta di comizio. Niente di elettorale, anche se la mobilitazione di ieri - lo spunto era ricordare la repressione nazista avvenuta il 17 novembre 1939 contro una manifestazione studentesca a Praga - aveva come bersaglio la riforma della scuola, il decreto legge sull'Università, i mancati finanziamenti all'edilizia scolastica, per citare solo alcune delle ragioni che hanno fatto incrociare le braccia agli studenti vicentini in una giornata di protesta nazionale. Riuscita, a giudicare dai dati, resi noti in tarda mattinata dal Csa al quale le singole scuole hanno comunicato il numero dei presenti e quello degli assenti. Al Quadri, ad esempio, non sono entrati in classe 766 alunni su 952; al Canova 366 su 597, al Da Schio 640 su 685; al Fusinieri 556 su 715; al Pigafetta 590 su 855, al Rossi 672 su 1.099; al Fogazzaro oltre 800 su 1.450. Una sfilza di dati che rendono l'idea di quanto fossero vuote le aule ieri mattina e di quanti studenti - circa 3 mila secondo le stime dell'Uds - circolassero invece in centro storico, provenienti anche da fuori città. Alla mobilitazione indetta dall'Uds, sotto lo slogan “Con questo presente quale futuro?”, hanno aderito infatti anche l'Unione studenti di Cittadella, il Collettivo studentesco di Schio, il Comitato interistituti di Thiene. Soddisfatti gli organizzatori che in piazza hanno elencato uno per uno i motivi del dissenso. «Siamo contrari alle politiche governative sulla scuola pubblica - ha ribadito Taddeo Mauro, capofila dell'Uds - crediamo che il disegno dell'attuale Governo sia quello di privatizzare la nostra scuola sulla scia del modello americano. I continui tagli mettono in ginocchio tutta l'istruzione pubblica, con il risultato che mancano risorse per l'edilizia scolastica, fondi per i progetti studenteschi. Quanto all'Università, il decreto non fa che “precarizzare” le condizioni dei più deboli, i ricercatori, e consente ai soggetti privati di intervenire, mettendo a repentaglio il carattere pubblico della ricerca e della didattica». Infine la rappresentatività all'interno delle scuole. «Vogliamo più democrazia all'interno dei nostri Istituti - hanno urlato i ragazzi -. La riforma degli organi collegiali cancella i rappresentanti degli studenti nel Consiglio di classe, diminuisce il numero dei rappresentanti degli studenti nel Consiglio di istituto, reintroduce il voto in condotta come criterio determinante ai fini della promozione o della bocciatura. Insomma l'antidemocraticità è insita nella riforma Moratti, che è stata approvata senza passare attraverso la discussione parlamentare tramite una legge delega e senza tenere in alcuna considerazione le proposte e le perplessità degli studenti». Al liceo Lioy la preside chiama la Digos «Nessun manifestante entri a scuola» (an. ma.) Mattinata movimentata quella di ieri al liceo scientifico Lioy dove gli studenti hanno proclamato l'autogestione, in concomitanza con la manifestazione dell'Uds a poche decine di metri di distanza, in piazza San Lorenzo. L'assemblea straordinaria chiesta dagli alunni del liceo scientifico è dunque scivolata in tre ore di autogestione che non sono filate, però, del tutto lisce. «Alcuni studenti - spiegano i rappresentanti del Lioy - erano decisi a far entrare a scuola un gruppetto di manifestanti con i quali discutere le motivazioni dello sciopero: riforma, tagli nella Finanziaria, decreto legge sull'Università. Altri, invece, erano dell'avviso di tenere il dibattito esclusivamente all'interno della scuola, senza ingerenze esterne. Alla fine si è deciso di aprire il portone ad un gruppetto di cinque o sei ragazzi che non avevano nessuna intenzione di creare caos, ma soltanto di contribuire alla discussione». Lo scompiglio, però, è arrivato ugualmente. «La preside - proseguono i rappresentanti - ha chiamato la Digos che è subito intervenuta per bloccare chiunque tra i manifestanti fosse intenzionato a varcare la soglia del Lioy». Tensione e nervosismo fin verso le 11 quando tutti hanno "rotto le righe" e sono usciti da scuola. Non prima, però, di aver protestato contro la delibera che da tre giorni proibisce di fumare negli spazi aperti. «Ieri mattina nei cortili esterni abbiamo fumato tutti - aggiungono - e nei prossimi giorni porteremo alla preside e in Consiglio d'Istituto una raccolta di firme di coloro che si schierano 'pro' fumo». Quanto ai "contro", «sono in minoranza - concludono gli studenti».
Ederle nel mirino dell’aspirante kamikaze L’immigrato stava raccogliendo denaro per finanziare la moschea nel capoluogo di Ivano Tolettini
L’aspirante kamikaze Yamine Bouhrama, arrestato a Napoli, voleva finanziare la nuova moschea di Vicenza. Aveva lavorato nella nostra provincia per due anni in una ditta di materie plastiche e aveva mantenuto buoni rapporti con numerosi fratelli. Poi aveva girovagato in Campania, rimanendo sempre in campana, tanto che avrebbe fatto sparire alcune microspie che gli investigatori avevano sistemato in un appartamento napoletano da lui frequentato.
L’obiettivo della micidiale incursione disegnata dalla rete europea del terrore era quello massimo per l’Italia, Roma. Ma gli estremisti musulmani non escludevano né Napoli né Brescia, e altri centri minori “serviti dai fratelli”, come per esempio una città con una caserma americana, qualora i controlli nelle principali città fossero stati capillari.
Il riferimento al nostro capoluogo nelle conversazioni era palese. Per questo le ombre lunghe del terrore si sono posate più volte su Vicenza nel corso dei colloqui ascoltati in questi mesi dai carabinieri del Ros.
Tra l’altro, in una telefonata intercettata dai detective, Bouhrama spiegava a un connazionale che i soldi che avevano necessità di raccogliere per autofinanziarsi servivano pure per la realizzazione di una nuova moschea a Vicenza.
Dal 2002 per gli investigatori è attiva nel Vicentino una cellula integralista islamica in sonno chiamata “Takfir wa al Hijra” (un gruppo radicale islamico formatosi in Egitto negli anni Sessanta).
Gli inquirenti su un punto sono convinti: i nordafricani ammanettati un paio di notti fa tra Napoli e il Bresciano stavano preparando un’azione suicida con le cinture imbottite di esplosivo. Le loro telefonate erano esplicite, non ci si potrebbe sbagliare. L’attentato avrebbe dovuto gettare nel panico l’Italia, magari già prima di Natale.
Il terzetto di algerini fermati dai carabinieri per associazione per delinquere con finalità di terrorismo internazionale aveva fitti contatti con almeno un paio di connazionali residenti a Vicenza, aderenti anch’essi al gruppo fondamentalista salafita per la predicazione musulmana e il combattimento contro gli infedeli.
Come si ricorderà due esponenti della cellula vicentina, Djelloul Halimi e Abdelkader Toubal, erano stati sottoposti a fermo all’inizio del 2004 per quarantotto ore. Il giudice non convalidò la cattura per mancanza di indizi precisi e ci furono polemiche.
La procura di Napoli, che dal 2001 tiene sotto controllo centinaia di adepti del gruppo salafita sparpagliati per la Penisola, entrò in polemica con il tribunale di Vicenza sostenendo invece la pericolosità dei due operai magrebini, i quali sono tuttora sotto inchiesta. Entrambi hanno sempre negato coinvolgimenti terroristici e il loro avvocato Paolo Mele senior ha sempre parlato di soggetti interessati esclusivamente alla religione musulmana.
Adesso i particolari sono più inquietanti. Nelle telefonate intercettate tra il “napoletano” Yamine Bouhrama, 32 anni, ed i “bresciani” Khaled Serai, di 35, e Mohamed Larbi, di 31, la piazza di Vicenza è stata menzionata più volte.
I tre sono stati bloccati nella notte tra martedì e mercoledì a Napoli e in due centri bresciani: Paderno Franciacorta e Bedizzole, verso il Garda. Bouhrama, che è ritenuto il personaggio di spicco e che si sarebbe allenato a fare il terrorista in Cecenia, stava per lasciare l’Italia e si spiega il motivo dell’intervento dei detective dell’Arma per impedire che lasciasse il territorio italiano.
Telefonate e incontri anche a Vicenza disegnano il mosaico dei sospetti. Sarà importante conoscere la decisione del gip Enrico Ceravone di Napoli dopo l’interrogatorio di Bouhrama, il quale ieri ha respinto ogni coinvolgimento terroristico. Questa mattina sarà il turno del gip di Brescia Roberto Spanò a valutare il materiale che è stato depositato dalla procura distrettuale antiterrorismo di Napoli per il fermo di Larbi e Serai.
Nei quattro faldoni che contengono i documenti raccolti dal pm Michele Del Prete i riferimenti a Vicenza sono numerosi. Il decreto di fermo è di 200 pagine e questa mattina, dopo l’audizione dei due algerini, il gip Spanò deciderà se convalidare o meno i fermi.
Il filo comune che lega tutti gli algerini è la catena ideologica del terrore “Takfir wa al Hijra”. Il commando, sostengono i carabinieri, in una delle ultime telefonate, diretta anche a Vicenza, parlava di avere pronto l’esplosivo e di volere farla pagare agli americani. Si specificava anche una nave carica di armi.
I fondamentalisti inneggiavano alla Jihad. Conversazioni che devono essere analizzate dai magistrati, ma che sono la testimonianza di una volontà di confezionare qualcosa di grosso. Un attentato per mettere in crisi le coscienze del nostro Paese. Il caso delle minacce al segretario dei Ds. Le anime moderate del centrosinistra fanno quadrato intorno a Luca Balzi L’Unione isola gli estremismi La dura condanna di «un gesto intimidatorio in stile mafioso» (g. m. m.) È un fiume di parole di condanna per un atto vile e intimidatorio, quello che scorre nelle pieghe delle tante anime del centrosinistra moderato il giorno dopo la scoperta della scritta apparsa a Parco città: «Bruciare Parigi è rock, menare Balzi è heavy metal». Da più parti sono giunte testimonianze di solidarietà all’involontario protagonista delle minacce, Luca Balzi, segretario cittadino dei Democratici di sinistra. L’Unione fa quadrato intorno al politico, ma nello stesso tempo non rinuncia a interrogarsi sull’identità degli autori delle intimidazioni. Il consigliere comunale diessino Ubaldo Alifuoco, dell’ala riformista come Balzi, abbozza alcune riflessioni: «Quello che è accaduto è gravissimo. C’è una tendenza in una parte della sinistra non abituata al rispetto democratico delle diversità, a demonizzare le posizioni del riformismo europeo. Questo può portare a indicare chi è più esposto come un traditore. Capita in grande a personaggi come Cofferati per la sua difesa della legalità, e capita in piccolo anche da noi. D’altra parte, il linguaggio usato non appare certo di destra». Il sospetto è che a Vicenza stia accadendo quello che è successo a Bologna e che l’attacco arrivi dall’estremismo massimalista di sinistra. «Queste minacce generano sgomento e preoccupazione - incalza il capogruppo in consiglio comunale Luigi Poletto -. Non sappiamo se le scritte abbiano un'origine politica (anche se personalmente propendo per una risposta affermativa) e, in tal caso, in quale area ideologica sia ascrivibile la responsabilità dell'inaccettabile atto intimidatorio. Non bisogna sottovalutare l'accaduto dunque: gli apparati statali preposti alla prevenzione e alla repressione dei reati sono chiamati ad una estrema determinazione nell'individuare i responsabili, a tutte le forze politiche spetta l'espressione di una solidarietà bipartisan non di rito, la società civile cittadina deve mobilitarsi per isolare gli estremismi di qualsiasi estrazione. Il segretario di un partito non è solo un individuo: nel nostro caso l'intimidazione si rivolge a una Sinistra democratica e riformista». Una ferma condanna arriva dalla segreteria provinciale della Quercia, retta da Daniela Sbrollini, che dice: « Il nostro partito è straordinariamente ricco di esponenti politici e di un pluralismo d'idee. Questi attacchi non ci impediranno mai di essere donne e uomini liberi nella loro attività politica». Solidarietà anche dalla segreteria cittadina: «È un atto di qualcuno che cerca, forse suggestionato dai dolorosi incendi di Parigi, inutili quanto inconcepibili parallelismi con Vicenza. Se così non fosse, acquisterebbe altro significato di gravità che non andrebbe sottovalutato». Giovanni Rolando, coordinatore della sinistra dei Ds per il Socialismo, dopo essersi curato personalmente che la scritta venisse rimossa ieri mattina, attacca: «La cosa grave è l’attacco vile e intimidatorio ai Ds di Vicenza. Non sottovalutiamo il gesto, al quale rispondiamo con fermezza. I Ds sono a favore della democrazia: chiediamo alle istituzioni di fare il loro dovere». Di «intollerabile e inqualificabile avvertimento politico in puro stile mafioso», parla Nico Rossi, presidente della Margherita vicentina: «Lo striscione di Parco città, in cui lo si minaccia apertamente, è solo la dimostrazione e la prova del valore e del coraggio delle scelte politiche dei Democratici di Sinistra a cui sono ostili solo quelle figure residuali di una vecchia politica capace solo di sterili denuncie e metodi stalinisti di intimidazione». «Nessuna indulgenza, per chi rifugge dal confronto democratico e predica l'intolleranza - commentano Erasmo Venosi e Ciro Asproso dei Verdi -. Un incomprensibile quanto deprecabile messaggio minatorio, che, negando il principio della libera espressione del pensiero, rifugge dal confronto democratico, persegue l'intimidazione dell'avversario ed incita all'intolleranza». |