Nomadi traslocati negli ecocentri
Proposta della Chiesa ai Comuni
Caritas e vescovo: «In quelle aree ci sono i sottoservizi per Rom e Sinti»
di Eugenio Marzotto
Un mini campo nomadi per ogni ecocentro. È la prima proposta concreta che tenta di risolvere la questione degli accampamenti di Rom e Sinti sparsi nella provincia che hanno suscitato negli ultimi mesi montagne di polemiche e prese di posizione.
È la Chiesa vicentina a rompere gli indugi con appelli e proposte. Il vescovo si rivolge prima di tutto ai nomadi, ma anche alle comunità cristiane, ai Comuni e alle Ulss: «Possiamo tollerare che questi fratelli Rom e Sinti non abbiano condizioni minime per vivere, terra, acqua, dimora e sentirci a posto come cristiani?».
Così, dopo lo sgombero di via Nicolosi, il fossato di Schio e le denunce dell’associazione Opera Nomadi, arrivano appelli e proposte. Don Giovanni Sandonà direttore della Caritas, un’idea ce l’ha per evitare il sovraffollamento dei campi e gravi condizioni igienico sanitarie: «Trasferiamo una o due famiglie negli ecocentri dei Comuni interessati. In questo modo potremmo risolvere una serie di problemi. In quelle aree sono predisposti allacciamenti per l’acqua e sottoservizi, si tratta di zone lontane dai centri abitati ma comunque non isolati, senza contare che spesso gli ecocentri sono gestiti da associazioni o cooperative che potrebbero rapportarsi con le famiglie nomadi. Un accordo ventennale per esempio - prosegue don Sandonà - garantirebbe ai Comuni l’integrazione sul territorio e un impiego per i nomadi visto la loro tradizione nel riciclo dei materiali».
Sono i due livelli d’intervento pensati dai rappresentanti della Chiesa berica. Da una parte la sensibilizzazione, dall’altra il braccio operativo che cerca il confronto con istituzioni e cittadini.
Del resto il richiamo al dialogo che arriva dal vescovo Cesare Nosiglia ha i toni di chi non vuole più aspettare. E ieri in un incontro con la stampa al palazzo delle Opere Sociali ha chiarito che «il problema non si può rimandare, si devono affrontare con coraggio situazioni che riguardano vite umane e la cura di molti bambini. La prima condizione - continua il vescovo di Vicenza - è che siano gli stessi nomadi a voler migliorare la loro condizione, da parte della Chiesa non ci sarà nessuna forma di assistenzialismo ma promozione al dialogo. I nomadi che vogliono essere aiutati ad uscire dalla precarietà devono rispettare le regole di questa società, ma tutti insieme dobbiamo pensare a soluzioni concrete per aiutare degli essere umani».
Cesare Nosiglia, i volti e le malecondizioni di Rom e Sinti li ha visti a vicino, quando qualche mese fa si è recato in visita pastorale nei campi di via Diaz e via Cricoli. «Parlano veneto meglio di me - scherza - è gente che vuole integrarsi, vive qui da generazioni. Serve un piano serio sul lavoro e sulla scolarizzazione dei minori».
Guai a pensare però che i nomadi presenti in città e provincia seguano le orme dei loro padri. Il censimento fatto dalla Caritas, peraltro difficile da definire, parla di 450 nomadi stanziali di cui un centinaio rappresentato da minori, distribuiti in quattordici Comuni.
Molti, se si pensa che il freddo alle porte rischia di mettere in ginocchio intere famiglie e decine di bambini. Ma il percorso indicato dal vescovo sembra lungo e molto, molto difficile. «Settimane di ricerche e richieste ai comuni - spiega il direttore della Caritas, non hanno portato a nulla».
Insomma, nessun privato o ente pubblico disposto a fornire un’area che sia attrezzata per affrontare l’inverno e nessuno che riesca a garantire container per ripararsi dal freddo. L’unica per ora a farsi avanti è stata la parrocchia di Saviabona che fornirà ai bambini in età scolare docce calde e stufette per passare l’inverno