19 SETTEMBRE 2004

dal Giornale di Vicenza

SCHIO.No global contro Grande Fratello.
Case e capannoni, territorio ko.
Nel vicentino 3500 "assistenti familiari".
Gendarmeria Ue E' gia qui la prima cellula di ufficiali.

Videosorveglianza
In funzione occhi elettronici che segnalano subito ai vigili le targhe delle auto che entrano nelle zone a traffico limitato.

No Global contro Grande Fratello
Corteo contesta le telecamere spia E il Comune filma le auto in centro

di Mauro Sartori

Da domani il "grande fratello" impedirà che i non autorizzati si inoltrino nella zona a traffico limitato del centro storico senza essere sanzionati pesantemente. Nelle vie Pasini e Pasubio e in piazzetta Garibaldi sarà attivata una telecamera di controllo e rilevazione dei veicoli transitanti, posizionata in via Garibaldi. Il sistema, denominato "Car control system", ha la funzione di rilevare le targhe degli automezzi che entrano nelle zone limitate e di trasmetterle poi automaticamente al Comando di polizia municipale affinché si possa procedere alla verbalizzazione dei transiti non autorizzati. Nel mese di agosto il Comune di Schio ha ottenuto, infatti, l'autorizzazione del Ministero delle Infrastrutture alla messa in funzione di questa procedura. Si inizia con un periodo cosiddetto di "preesercizio" che andrà dal 20 settembre al 31 ottobre.
Durante queste settimane il sistema di videosorveglianza sarà affiancato da un controllo "sul campo" da parte degli agenti di polizia municipale che in determinate fasce orarie, sia al mattino che al pomeriggio, registreranno tutte le auto transitanti nella Ztl. Questo consentirà di verificare il corretto funzionamento della telecamera. I transiti non autorizzati verranno verbalizzati dagli agenti di polizia municipale al momento del transito (la sanzione prevista è di 68,25 euro) o con notifica successiva dopo l'accertamento della violazione da parte dell'agente. I portatori di handicap autorizzati ad accedere alla Ztl da apposito permesso rilasciato dal Consorzio di polizia municipale, possono comunicare i numeri delle targhe degli automezzi utilizzati, perché vengano inseriti nel data base del sistema. A questi permane comunque l'obbligo dell'esibizione del permesso in caso di fermata da parte di un agente nonché l'espozione durante le soste in Ztl. La procedura di sorveglianza non sarà in funzione nelle ore di carico e scarico delle merci (dalle 8 alle 10 e dalle 14.30 alle 16) : in questo lasso di tempo i controlli saranno effettuati direttamente dagli agenti di polizia municipale. Al temine del periodo di "preesercizio", se il controllo dei dati rilevati dal "Car control system" avrà dato esito positivo, il sistema di videosorveglianza entrerà pienamente in funzione. Il nuovo sistema di sorveglianza entra in funzione, per pura combinazione, all’indomani di una manifestazione di protesta, promossa dai giovani del coordinamento Libera Zone nell’ambito di un fine settimana di autogestione nell’arena estiva della Campagnola, contro le telecamere dislocate in vari punti cittadini per controllare i punti "a rischio" sia per il traffico che per l’ordine pubblico.
Ieri pomeriggio un corteo chiassoso formato da un centinaio di ragazzi, alcuni dei quali in maschera ed una band su un carro a sparare musica hip hop e ska, è sfilato per via Btg. Val Leogra inscenando una "street parade".
«Schio, come altre città del Nord, sta sperimentando progetti-pilota di videosorveglianza che fanno discutere - sostiene Francesco Pavin, portavoce di Libera Zone. - La telecamera può servire per controllare il traffico ma non risolve i problemi derivanti dal disagio sociale. È un sistema repressivo che andrebbe subito abbandonato, investendo piuttosto su progetti sociali che riescano a prevenire il disagio. Andare a scovare chi va in Castello o nell’area della Campagnola per farsi uno spinello a cosa serve?»


Urbanistica
Case e capannoni, territorio ko
Il Vicentino "cannibalizza" l’ambiente, faticoso invertire il trend

di Antonio Trentin

La campagna diventata in mezzo secolo "residuale" nella psicologia sociale e nell’uso urbanistico, con un’accelerazione eccezionale nel ventennio finale del ’900. In ogni parrocchia una zona industriale, perché "piccolo è bello"... e poi ci si accorge che il nanismo pianificatorio è un delitto, anzi un suicidio. I vecchi poli manifatturieri che si riconvertono, ma continuano a mangiare spazio, inglobando come intrusi certi persistenti "relitti" urbanistici né carne né pesce, solo aree malamente superstiti. E ancora le strade che ci sono, eccome, in quanto servizio (pubblico) reso alle lottizazioni (private), ma restano insufficienti come supporto infrastrutturale allo sviluppo. Le residenze che si frammischiano con le aree produttive e i campi, impastando una poltiglia urbanistica che in certi ambiti (esemplare e studiato il triangolo Cassola-Rosà-Tezze) raggiunge record europei di assurdità. I capannoni poi - i mitici capannoni della passata e presente polemica politica - che da qualche parte, anche nell’Area Berica, punteggiano vuoti le ultime terre non vocate alle manifatture, costruiti lì solo perché c’è la legge Tremonti da far fruttare... È questo il Vicentino di pianura - e per fortuna montagna e colli abbassano le medie statistiche e confortano un po’ gli spiriti ecologisti - che è fratello gemello del Trevigiano e del Padovano? Sì, è questo. Ricco di imprenditoria, di fervore espansivo e di euro che si trasferiscono nelle tasche di tutti. Malato però di asfissia ambientale fino al punto di convincere proprio il top della provincia che produce, l’AssoIndustriali, a lanciare qualche tempo fa l’allarme sull’assetto territoriale - inteso come problema di saturazione e auto-paralisi - come nuovo "rischio d’impresa". Perché è inutile limare tempi-e-metodi in azienda, se poi oltre il cancello della fabbrica l’intasamento fa diventare un costo il beneficio di produrre in aree fin troppo addensate. Ha discusso di tutto questo l’Accademia Olimpica, ospite a Villa Cordellina di Montecchio in una mattinata densissima e corsa alla bersagliera, mandata avanti quasi per flash, buona come caparra di un futuro meeting ai quali i politici non possano sottrarsi - com’è successo invece ieri - e nel quale chi conta e comanda venga a dire che cosa dovrà succedere. C’è stata un’amara parola d’ordine che ha risposto per tutto il tempo di questo convegno montecchiano al quesito iniziale impostato da Gian Antonio Stella, giornalista e saggista del "miracolo Nord Est": «Che cosa c’è di sbagliato qua dalle nostre parti?» : la parola è fallimento dell’urbanistica. E faceva impressione veder assentire col capo, ogni volta che di fallimento qualcuno parlava, un ultraventennale "nume" della pianificazione veneta come il professor Franco Posocco, protagonista di una delle relazioni centrali presentate ai convegnisti. La realtà, d’altronde, era stata dettagliatamente fotografata nei risultati dell’indagine che ha dato origine all’appuntamento degli Olimpici - rappresentati a Villa Cordellina dal presidente Fernando Bandini e da Marino Nicolini responsabile della classe scienza & tecnica - e che è stata raccontata per la parte metodologica da Nuccio Bucceri e per la sostanza dei riscontri da Natalino Sottani. Due riferimenti per capire immediatamente il carico patito dal territorio. Primo: in mezzo secolo i vicentini sono diventati 808 mila da 607 mila che erano (il 33 per cento quasi esatto di aumento) mentre la superficie urbanizzata a cemento e asfalto è passata da 8.674 a 28.137 ettari, con il 324 per cento di aumento. Secondo: negli ultimi dieci anni, per ogni vicentino in più aggiuntosi al censimento sono stati costruiti 3600 metri quadrati di case, strade, fabbriche e servizi vari.
«La velocità del cambiamento ha travolto tutti» : Vittorio Pollini, "prof" a Ingegneria di Padova, ha spiegato così quello che è successo nel Veneto. Un "perché" sostanzialmente assolutorio per tre generazioni di classi dirigenti, forse autoassolutorio per gli stessi pianificatori di mestiere, certamente confessato con marcata amarezza.
Ricette da trarre? Pollini ne ha dettata una di deregulation temperata. Piuttosto del "parossismo pianificatorio" ( «la definizione è del "mostro sacro" Oriol Bohigas pianificatore della nuova Barcellona» ) che in Italia affastella uno sull’altro troppi strumenti regolatori, meglio l’accettazione della processualità con cui si esprime lo sviluppo, il suo indirizzo morbido con un mix privato-pubblico di intenti rispettati, la cura delle progettazioni come micro-urbanistica del frammento. Il tutto messo in carico a «un mondo della politica oggi latitante sulle decisioni e sulla capacità di creare consenso su di esse» . Una via possibile, questa? Posocco ha richiamato con più forza il fattore pianificatorio - dal Piano territoriale regionale di coordinamento alle applicazioni in Province e Comuni - e l’importanza degli enti pubblici «nel riordino e nella razionalizzazione degli insediamenti attraverso il riuso, gli accorpamenti e anche i trasferimenti» : una speranza che per realizzarsi ha bisogno di coraggio degli amministratori e anche di soldi, molti soldi. E chissà se il momento economico è favorevole. Di sicuro, senza visione prospettica, saranno guai serissimi. Due avvertenze su tutte, tra le altre uscite dal convegno di ieri. Urbanistica una: arriverà il Corridoio 5 e infrastrutturerà la fascia mediana est-ovest della regione, Vicentino compreso; se non ci saranno pianificazione e articolazione degli insediamenti, avrà effetti-calamita potenzialmente devastanti sull’indotto urbanistico, fino all’incubo di una malvivibile megalopoli centro-veneta. Politica l’altra, lanciata da Stella echeggiando le riflessioni ascoltate da Giuseppe Covre, già sindaco e deputato leghista, uno dei protagonisti del localismo anni ’90, e dalla presidente della Provincia di Vicenza, Manuela Dal Lago, altra leghista non sospettabile: attenzione al «federalismo sparpagliato» che tanti reclamano. Perché la sussidiarietà trasferisce in basso i poteri, ma non li correda di adeguate difese: «Chi protegge i sindaci?» dalle pressioni per nuove edificazioni tipo «ti porto una fabbrica e duecento posti di lavoro, non puoi negarmi un lotto...» . E perché la tentazione di affidarsi all’Ici e agli oneri di urbanizzazione - cioè all’espansione ulteriore del cemento e dell’asfalto - è in agguato dietro l’angolo di ogni bilancio comunale in difficoltà.

Ripercussioni sull'"oro blu" delle acque
In vent’anni il 40% di aree in più utilizzate per asfalto e cemento

Domande di nuovi insediamenti industriali nel Veneto presentate in Regione dopo il provvedimento del "blocco dei capannoni": 989. Varianti di Prg approvate nel Vicentino alla vigilia delle elezioni amministrative di primavera: 262. Il pressing sul territorio si legge in questi numeri, portati nel dibattito di ieri alla Cordellina da Antonio Verlato, consigliere nazionale di Italia Nostra. Il risultato è quel «3 per cento circa di occupazione di nuovi territori ogni anno, pari al raddoppio dell’urbanizzazione ogni 40 anni» citato da Francesco Framarin come trend in provincia e messo a base del convegno dell’Accademia Olimpica. Con un ragionamento allarmato: una tendenza così, di tipo esponenziale, non è sostenibile e «la cementificazione di nuovo territorio dovrebbe essere consentita solo in cambio della de-cementificazione di altrettanto territorio» . Un’utopia, stanti la natura incoercibile dell’economia, dell’impresa, dell’immobiliarismo, della speculazione? Nelle tavole pubblicate qui accanto il "giallo" è territorio urbanizzato della fascia centrale della provincia, letto via satellite dalla Land Technology & Services di Treviso, consulente dell’Accademia Olimpica per la ricerca messa a base del convegno di Montecchio. In meno di vent’anni - dal 1984 al 2002 - in 91 dei 121 Comuni del Vicentino, aree montane escluse, settemila e passa ettari di nuove urbanizzazioni si sono aggiunti ai quasi 18 mila che già c’erano: il 40 per cento in più, con tutte le relative conseguenze. Come quelle sullo stato idro-geologico dell’area pedemontana e della pianura vicentina di cui hanno parlato Giancarlo Dalla Fontana e Giustino Mezzalira, idraulico il primo, forestalista il secondo.
«L’uso del suolo negli ultimi decenni ha sottratto spazio ai corsi d’acqua, lungo i quali l’indice di occupazione delle superfici con insediamenti urbani e industriali corrisponde perfettamente alla media dell’intero territorio: tre volte di più in cinquant’anni. Bisogna restituire questo spazio - ha ammonito Dalla Fontana - per questioni di sicurezza ambientale e di recupero della naturalità» . Ma dove e come realizzare questa restituzione di spazio alle acque di superficie e come riprogettare i corsi d’acqua perché non siano vasi drenanti che trasportano via l’"oro blu" del Vicentino? La risposta dovrà essere cercata nel "dimenticato" spazio agricolo, uscito dalle prospettive socio-culturali della civiltà contemporanea e ridotto a zona d’occupazione (per residenze, fabbriche, strade): «È nel territorio agricolo che resta possibile l’azione di miglioramento della sicurezza e della qualità delle acque - ha spiegato Mezzalira - con cambiamenti delle colture che consentano di destinare a cassa d’espansione anti-alluvione i terreni; con creazione di invasi e zone d’infiltrazione che aiutino la ricarica delle risorgive, compromessa dalla cementificazione; con progetti di disinquinamento attraverso la fitodepurazione».


Nel Vicentino 3500 "assistenti familiari"

(c. r.) L’81 per cento arriva dall’Est europeo, molte di loro hanno un’età compresa tra i 30 e i 40 anni, un’istruzione medio-alta e la famiglia a carico lasciata nella terra d’origine. Guadagnano tra i 600 e i 900 euro al mese, lavorando più di 10 ore al giorno, spesso senza ferie e riposi settimanali. Le statistiche sulla regolarizzazione degli stranieri elaborate dalla Caritas su dati del ministero dell’Interno segnalano un flusso di 341 mila tra colf e badanti nel solo 2003: il doppio rispetto a tre anni prima. A Vicenza sono state presentate 4.060 domande di regolarizzazione - quelle previste dalla sanatoria - solo per il lavoro domestico. Dalla sanatoria è emersa la presenza di circa 3.500 cittadine non comunitarie impiegate all’interno di famiglie per la cura di malati, disabili e anziani. Il fabbisogno stimato riguarda circa 4-4.500 famiglie. Lombardia, Lazio, Emilia e Veneto sono le regioni a maggiore densità. In sostanza la sanatoria prevista dalla legge Bossi-Fini per metà è servita a mettere in regola collaboratrici domestiche e nuove infermiere. Nel Veneto sono 93 mila le persone anziane invalide di cui 30 mila ricoverate in strutture residenziali; 20 mila si vedono riconosciuto il contributo regionale per l’assistenza sanitaria. Se si considera che in Italia sono un milione e duecentomila gli anziani non autosufficienti, e che si stima in 550 mila la presenza di badanti, quasi tutte straniere, si può parlare di un vero e proprio “sistema d'assistenza” parallelo che permette agli enti pubblici di risparmiare enormi risorse, se è vero che, per esempio, la Regione Veneto, grazie alle quasi 20 mila badanti presenti nel territorio, ha risparmiato in un anno 350 miliardi di vecchie lire (dal Rapporto 2002 sulle povertà stilato dalla Caritas). Secondo uno studio del sociologo vicentino Castegnaro riferito al Nord-Est - ma in tutte le regioni settentrionali d’Italia ci sono caratteristiche simili - tre badanti su quattro sono coniugate, ma solo il 15 per cento vive in Italia con la propria famiglia. La metà ha superato i 40 anni, il 16 per cento i 50. La scolarizzazione è elevata: il 18 per cento è laureata, il 40 per cento ha un diploma di scuola media superiore, molte sono infermieri professionali e ci sono anche donne laureate in medicina.
«È molto più remunerativo fare l’aiutante domiciliare in Italia - sostiene Castegnaro - che il medico in Ucraina o Bielorussia. La loro condizione in Italia può essere definita come una servitù di passaggio: orari lavorativi estesi che spesso coprono tutta la settimana, tranne qualche ora di libera uscita la domenica» . Insomma si tratta di manodopera qualificata, ma altamente flessibile negli orari e nelle mansioni, gente che non ha le condizioni minime di tempo per poter spendere e con grande capacità di risparmio. Il costo di una badante a tempo pieno varia da una punta massima di 900 euro al Nord fino a un minimo di 600 euro nel Mezzogiorno.


Gendarmeria Ue È già qui la prima cellula di ufficiali
Roma. C’è già una "cellula di pianificazione" composta da 30 ufficiali (un terzo dei quali italiani), nel quartier generale della caserma Chinotto, in via Medici a Vicenza. E «dai primi mesi del 2005» la Gendarmeria europea (Egf-Eurogendorf) composta da 800 uomini, e da una riserva di altri 2.300, potrà essere impiegata in ogni tipo di operazione internazionale, in tutto il mondo. Iraq compreso. Lo ha detto ieri il ministro della Difesa, Antonio Martino, che crede molto nell’Eurogendorf. I prossimi mesi saranno dedicati soprattutto a tirare su dal niente una forza multinazionale che, sulla carta, ha obiettivi ambiziosi e una gamma di compiti vastissima.
«Il modello della nuova Forza è mutuato dalle Msu, le Unità specializzate multinazionali guidate dai carabinieri che tanto bene hanno fatto e stanno facendo in Bosnia, Kosovo e, da ultimo, in Iraq» , ha detto il generale Luciano Gottardo, comandante generale dell’Arma. Non a caso il quartier generale è a Vicenza «dove disponiamo di una sede adatta, nelle vicinanze di un’area addestrativa» . Anche la composizione rispecchia quella delle Msu ( «che comunque continueranno ad esistere» , ha assicurato Martino), con una componente operativa, dedicata in genere alle missioni di pubblica sicurezza e di mantenimento dell’ordine pubblico; una componente investigativa, dedicata alla lotta contro il crimine e il terrorismo; una componente di supporto logistico, che si occuperà dei viveri, dei trasporti e della parte sanitaria. In tutto 800 militari, con altri 2.300 di «secondo approntamento», che però non risiederanno stabilmente a Vicenza, dove ci sarà il comando, permanente e multinazionale, che si occuperà della pianificazione operativa, mentre il resto delle forze sarà assegnato dai Paesi membri ogni volta che sarà ritenuto necessario.