Il ministero dà la risposta
(g. m. m.) La seconda lettera dal ministero della Difesa è arrivata ieri. Il documento, firmato dal capo di gabinetto, il generale Biagio Abrate, risponde alla maggior parte dei quesiti posti dal sindaco Enrico Hüllweck e ritenuti indispensabili per poter consentire al consiglio comunale di formulare un parere sul progetto della nuova base Usa al “Dal Molin”.
Prosegue, così, lo scambio epistolare fra Roma e Vicenza, iniziato a giugno con le lettere inviate da Hüllweck al premier Romano Prodi per conoscere i dettagli dell’operazione, riacceso l’8 settembre con l’ultimatum via fax del ministro della Difesa Arturo Parisi, a cui aveva replicato Hüllweck con una nuova richiesta di delucidazioni.
Per inquadrare le risposte date dal gen. Abrate, è quindi necessario fare un passo indietro e tornare alla lettera spedita da Hüllweck martedì scorso, nella quale venivano pretese alcune assicurazioni per poter dare una parere sul progetto: «La garanzia che l’aeroporto Dal Molin non verrebbe usato nemmeno occasionalmente da aerei militari e precise indicazioni sulle tipologie di armi e munizioni collocate; garanzie di salvaguardia della funzionalità dell’attuale aeroporto civile; la possibilità di localizzazione dell’inserimento in esame in altro sito, non necessariamente aeroportuale». E ancora: «La conferma o meno dell’ineluttabilità, in caso di abbandono del progetto, del trasferimento in Germania dell’attuale base Ederle, con conseguente licenziamento di circa 800 dipendenti vicentini ivi impiegati; possibilità o meno di un’eventuale priorità di riassunzione di tali dipendenti in altro settore; garanzie che i costi di un eventuale adeguamento della viabilità e dei sottoservizi alla nuova realtà insediativa non sarebbero a carico della amministrazione comunale; esistenza, da parte dello Stato italiano, di elementi di interesse alla realizzazione del progetto».
Nella sua risposta, il capo di gabinetto del ministero parte da quest’ultima richiesta: «Lo stato di paese amico e alleato degli Stati Uniti - scrive - fa sì che non esista un problema politico nell’orientamento del Governo, ma esclusivamente una questione di accettabilità del progetto. Nella riunione del 6 luglio presso la direzione generale dei lavori e del demanio di questo dicastero, cui la signoria vostra ha partecipato, sono stati forniti gli elementi di massima per caratterizzare l’insediamento richiesto. Quello che è stato chiesto con la lettera dell’8 settembre e che si torna a chiedere all’amministrazione comunale, sulla base e nei limiti delle informazioni già fornite dalla Difesa, è un giudizio sul progetto, muovendo dagli impatti sul tessuto sociale, sulla viabilità e sulle reti di sottoservizi, ferme restando le giuste osservazioni riguardo le responsabilità urbanistiche in tema di opere destinate alla difesa nazionale».
Roma sollecita quindi Vicenza a produrre una “lista della spesa”, vale a dire un elenco di opere ritenute necessarie: «Tale valutazione può consentire altresì la preliminare stima di quegli eventuali oneri di adeguamento che evidentemente non dovranno ricadere sull’amministrazione comunale, ma sui richiedenti ed è per questa ragione che è indispensabile averne al più presto contezza».
Viene poi il passaggio sul futuro della Ederle: «La richiesta degli Usa è stata presentata come conseguenza di un’opera di razionalizzazione e riunificazione delle forze in Europa, per cui è probabile che un mancato insediamento a Vicenza potrebbe portare a riunificare il reparto in altra sede anche non nazionale. Si precisa che è stato già stabilito come requisito dell’insediamento che non ci debba essere impatto sull’attività dell’aviazione commerciale sull’aeroporto. Inoltre, non vi sarà attività di volo militare connessa con il reparto Usa. Si rimane in attesa di un cortese urgente riscontro nel senso indicato, utile per il processo decisionale in corso». Il botta e risposta continua.
Domani il sindaco incontrerà l’ambasciatore Usa
Hüllweck: «Non è ancora sufficiente
per convocare il consiglio comunale»
«È una barzelletta: l’esercito mi sembra favorevole, mentre il Governo contrario»
(g. m. m.) A questo punto non resta che attendere l’incontro che il sindaco Enrico Hüllweck avrà domani a Roma con l’ambasciatore Usa Ronald Spogli. Il capo dell’amministrazione comunale, infatti, non è soddisfatto nemmeno della seconda lettera arrivata dal ministero della Difesa, che ritiene «insufficiente per poter convocare il consiglio comunale». Hüllweck parla di «barzelletta» quando ricorda che prima ha chiamato in causa il premier Prodi e gli ha risposto il ministro Parisi; poi ha punzecchiato Parisi e gli ha risposto un generale. «La prossima volta magari mi scriverà un maresciallo: chissà che sia la volta buona per avere tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno».
Il primo appunto di Hüllweck è proprio sulla firma in fondo alla lettera: non è quella del ministro, vale a dire di un politico, ma è quella di un generale, vale a dire di un tecnico. «Io vorrei sapere cosa pensa il Governo - osserva il sindaco - non quello che pensano i militari. È noto da tempo che i militari sono favorevoli al progetto. Non a caso, il tono della lettera è favorevole all’ipotesi dell’insediamento. Il Governo, invece, ha dato più di un segnale di contrarietà. Lo stesso Rutelli, a Vicenza, ha quasi invocato il no del Comune, per non parlare di quella formula, il silenzio-dissenso, in fondo alla lettera di Parisi. In questa lettera si dichiarano amici e alleati degli Usa, affermando che non ci sono problemi politici, ma fino a oggi il Governo si è espresso in termini negativi, con i suoi ministri o con rappresentanti politici della maggioranza».
Hüllweck si dice allora disponibile a incontrare qualunque esponente del Governo: «Non dico necessariamente a Vicenza. Posso andare anche a Roma, anzi, ci andrò mercoledì. La mia disponibilità c’è. La realtà è che mi sembrano in terribile imbarazzo».
Non tutto è da buttare, a detta del sindaco, che salva la garanzia sull’attività civile e commerciale dell’aeroporto e sul no ai voli militari, declinato con verbi all’indicativo e non al condizionale: «Mi stupisce però - afferma - che si dica che questo aspetto è “già stabilito”, come se ci fosse un accordo, quando invece avevano sempre dichiarato il contrario. Alcune risposte interessanti vengono date e vanno nella direzione di rendere più accettabile il progetto, ma che me le dia un generale dice poco, perché è sempre stato noto da che parte stanno i militari. Nella riunione del gruppo di lavoro, non a caso, di fronte a tutti quei militari, dissi: “ma le dichiarazioni di guerra le fanno i politici o i generali?”. Il giudizio del tecnico non può essere giudicato rappresentativo del giudizio del Governo».
Un’altra contestazione riguarda i contenuti della riunione a Roma del 6 luglio scorso, che il sindaco ha sempre definito «clandestina», tanto da rifiutarsi di firmare il verbale di presenza: «A Roma si era parlato di aspetti minimali, come le recinzioni. Se fosse vero che mi avevano fornito tutte le informazioni in quell’occasione, non avrebbero bisogno di chiedermi ora notizie circa l’impatto sulla viabilità e i sottoservizi. Tuttavia, prendo atto con piacere che il Governo precisa che le spese non saranno a carico del Comune, ma dei richiedenti».
Ieri mattina, il sindaco ha ricevuto per la prima volta in via ufficiale il nuovo generale americano della Ederle, Frank Helmick: un breve colloquio, in cui l’americano si è limitato a ricordare i desiderata statunitensi rispetto al Dal Molin e il sindaco a ribadire le tante perplessità politiche, in primis a Roma.
Domani il vertice con l’ambasciatore, poi la decisione se convocare o meno il consiglio comunale, con un’avvertenza: dal momento che, pallottoliere alla mano, l’esito del voto fra i 41 consiglieri si giocherebbe sul filo di lana, «io non ci sto a fare da scudo umano al Governo. Non sarò io a fare il ventunesimo voto indispensabile per il sì al progetto».
Rossi, tutti contro le ore più lunghe
Invettive contro la preside Biondi
ma a votare erano stati i docenti
di Anna Madron
Rossi atto secondo. Dopo il corteo di sabato, ieri mattina è scoppiata di nuovo la protesta all’istituto tecnico industriale dove centinaia di studenti, più della metà, hanno manifestato contro la preside Zeila Biondi e contro un orario definito “infelice e poco rispettoso delle esigenze di chi abita fuori città”, ovvero del 70% degli alunni.
Nel mirino l’ultima campanella della mattinata che quest’anno suonerà alle 13.35 anziché alle 13.15, allungando così di venti minuti il tempo scuola.
Morale, al Rossi si è scatenato un putiferio tra urla, striscioni, invettive contro la dirigente, accusata di non considerare le richieste degli alunni, determinati a riconquistare il “vecchio” orario che ieri in aula magna è stato oggetto di discussioni accese tra una delegazione di quindici rappresentanti e la stessa preside, alla presenza dei componenti del Consiglio d’istituto. «Ho ascoltato i ragazzi e spiegato loro l’iter che ha portato alla formulazione di questo nuovo orario - spiega Biondi - mi sembra abbiano capito, tanto che siamo riusciti a far rientrare i manifestanti in classe».
Dal fronte studentesco nella tarda mattinata di ieri è giunto dunque qualche segnale di tregua, anche se l’aria al Rossi resta elettrica e gli animi surriscaldati da due giorni di fuoco.
Lo ammette la stessa Biondi che parla di giornate difficili e faticose in cui di fiato se ne è sprecato parecchio. Per motivare agli occhi degli oltre mille allievi un cambiamento di orario che risale al 21 gennaio 2006, giorno in cui il collegio docenti votò a larga maggioranza - 121 insegnanti a favore, 22 contrari e qualche astenuto - l’introduzione delle ore da 60 minuti al posto di quelle da 50, quest’ultime con recupero obbligatorio da parte dei docenti.
Dunque in quel collegio a “vincere” furono i 60 minuti, proposta approvata in seconda battuta dal Consiglio d’istituto che indicò una serie di criteri da seguire, tra i quali un orario tutto antimeridiano che fosse compatibile con le esigenze delle aziende di trasporto, Aim e Ftv.
Dalle quali non arrivarono obiezioni sull’ingresso alle 7.45 e soprattutto sull'uscita alle 13.35, per un totale di cinque ore da 55 minuti e un’ora da 60 con cinque minuti di pausa. A queste vanno aggiunti i minuti della ricreazione che rientrano nel tempo scuola a tutti gli effetti, mentre dal conto restano fuori i dieci minuti tra le 13.35 e le 13.45 (ora in cui “naturalmente” dovrebbe concludersi la mattinata), che vengono però tagliati per “cause di forza maggiore”, in quanto i mezzi di trasporto non ne consentono lo svolgimento.
In questo modo il recupero, pomo della discordia e da tempo terreno di scontro fra preside e professori, non ci sarà, né per gli insegnanti né per gli alunni, quest’ultimi costretti però ad un orario quotidiano che dai ragazzi viene definito “pesante” quando non addirittura “massacrante”.
Osservazioni sollevate sia dai rappresentanti d’istituto che dal comitato studentesco, con cui la dirigente si è trattenuta a lungo ieri mattina per cercare un accordo e ricomporre la protesta. Obiettivo raggiunto, a quanto pare, dato che per i prossimi giorni - fanno sapere i ragazzi - non sono previste manifestazioni, in attesa di capire come la scuola, insieme alle aziende di trasporto, intenda affrontare le situazioni più critiche, di coloro che risiedono, per esempio, in zone scarsamente servite dai mezzi pubblici. Insomma la volontà di rasserenare il clima c’è.
«Siamo qui per lavorare a favore degli studenti - conclude la preside - non contro di loro».