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19 OTTOBRE 2005 dal Giornale di Vicenza
La moschea di via dei Mille fa collezione di abusi edilizi
La relazione dei tecnici comunali dopo un accurato sopralluogo di G. Marco Mancassola La moschea di via dei Mille fa collezione di abusi edilizi. Questo, in soldoni, racconta il rapporto stilato da un’équipe di tecnici comunali che ha visitato all’inizio di ottobre il centro culturale islamico ricavato nella zona di S. Felice. Nei giorni in cui esplodeva vibrante la polemica sui lavori avviati nella zona di Ponte Alto per adattare un capannone e trasformarlo nella nuova sede del centro culturale, l’assessore all’Edilizia privata Michele Dalla Negra l’aveva anticipato: «Faremo controlli anche in via dei Mille per verificare se effettivamente è tutto in regola». Detto fatto, l’esito di quei controlli fatti da vigili e tecnici è stato consegnato al vicesindaco Valerio Sorrentino, che oggi sottoporrà la relazione all’esame della giunta comunale, per decidere che tipo di interventi adottare. Sorrentino sottolinea la mancanza di agibilità di alcuni locali e dei necessari permessi per la realizzazione di alcune opere. «A questo punto decide la Giunta - spiega il vicesindaco -, che credo inviterà gli organi preposti, vale a dire soprattutto l’Edilizia privata, a adottare i conseguenti provvedimenti». La pratica passerà, dunque, all’ufficio Abusi. In base a quanto riferisce il comandante della polizia locale, Roberto Dall’Aglio, l’edificio risulta di proprietà di Adriano Nori , che vive al civico accanto, ed è occupato dal centro “Ettwaba - associazione Fraternità e Pace”, diretto dall’Imam Oulhazi Touhami Ben Hedi. L’attività, prevalentemente religiosa, si svolge nei locali al piano terra, che in precedenza ospitavano un negozio. Le ore di maggiore frequentazione sono il pomeriggio e la prima serata, con punte di presenza che arrivano anche a un centinaio di persone il venerdì, sabato e domenica. «A tutt’oggi - precisa il comandante - non si riscontrano dalla sua apertura interventi per disturbo al vicinato o per motivi di pubblica sicurezza». Tuttavia, ci sono una serie di irregolarità, come rilevato dai tecnici comunali che hanno svolto il sopralluogo confrontando l’esistente con le concessioni edilizia rilasciate in passato in vista di un cambio di destinazione d’uso e con le prescrizioni fornite dalla commissione edilizia. La visita ha evidenziato che i locali per i quali erano state richieste le autorizzazioni per realizzare opere, «malgrado non sia stata comunicata la fine lavori, né sia stata presentata la richiesta di agibilità, erano occupati da alcune persone». I locali sono quindi utilizzati senza l’agibilità. Vengono, poi, rilevati la presenza di opere difformi da quanto concesso; la mancata realizzazione delle opere prescritte dalla Commissione edilizia, quali l’autorimessa e il bagno per disabili; l’utilizzo del locale accessorio, posto sul cortile interno, a uso ufficio. «Non essendo state realizzate le opere richieste con la concessione edilizia, si valuti se la comunicazione di inizio lavori sia legittima e in caso contrario se ritenere la concessione edilizia decaduta e quindi le opere eseguite in assenza di permesso di costruire». Infine, si sarebbero manufatti abusivi come la nuova tettoia nel cortile interno. Nel corso della visita, infine, «si è riscontrata la presenza di persone in atteggiamento di preghiera. E lo stesso sopralluogo ci è stato consentito, dagli occupanti dei locali, solo dopo aver tolto le scarpe».
Un nuovo vertice in Comune L’identikit sociologico dei punkabbestia è pronto Ora andrà in prefettura È ormai definita l’indagine sociologica sul fenomeno dei punkabbestia. L’approccio “light” era stato deciso in estate, dopo una serie di episodi che avevano provocato una certa dose di allarmismo in città, accendendo i riflettori sullo stile di vita ai margini della società condotto da alcuni giovani, chi in solitudine, chi in gruppo, che vivono di espedienti, dormendo all’aperto e accompagnandosi con cani. Dopo un vertice fra Comune e forze dell’ordine in prefettura, si era deciso di affiancare l’azione repressiva con un’indagine sulle origini, le abitudini, le ragioni che hanno spinto questi ragazzi ad abbracciare uno stile di vita tanto radicale. Ieri si è tenuto un nuovo incontro coordinato dall’assessorato agli Interventi sociali, cui hanno preso parte anche rappresentanti delle forze dell’ordine e Ulss. Come spiega l’assessore Davide Piazza «siamo a buon punto, ora attendiamo l’esito della parte di ricerca affidata al Sert e poi consegneremo tutto in prefettura. Sono soddisfatto, ci sono dati utili per tracciare un profilo attendibile di questi ragazzi».
Il viceministro Sacconi incontra azienda e sindacati e chiede un piano industriale Verso la cassa integrazione Lanerossi, la fine sempre più vicina di Marco Scorzato Chiusura definitiva della Lanerossi, con due anni di cassa integrazione speciale per i lavoratori. È quel che si profila con sempre maggiore concretezza dopo l’incontro di ieri a Roma, nella sede del ministero del lavoro e delle politiche sociali, dove rappresentanti dell’azienda e sindacati si sono confrontati davanti al sottosegretario Maurizio Sacconi ed ai rappresentanti di Provincia e Regione. Per avere certezze, comunque, bisogna ancora attendere, visto che l’incontro è stato interlocutorio e che le parti in causa torneranno a discutere il 28 ottobre prossimo a Valdagno. Si sono delineati, in ogni caso, alcuni punti importanti. Il primo, da cui dipendono gli altri, non è corrisponde certo alle speranze dei lavoratori. Nemmeno davanti al viceministro, l’azienda ha fatto passi indietro rispetto alal decisione presa alla fine di agosto: il sito produttivo sceldense sarà chiuso e a nulla sono valse le proposte di Cgil, Cisl e Uil, reiterate ieri, di garantirne la sopravvivenza, anche temporanea. D’altra parte, tuttavia, dal sottosegretario Sacconi sono giunte alcune aperture alle istanze sindacali: innanzitutto, la disponibilità del governo a ragionare su 2 anni di cassa integrazione. Quest’ipotesi è tecnicamente possibile solo in caso di chiusura definitiva dello stabilimento. I sindacati, che erano presenti a Roma con i delegati nazionali Sergio Spiller (Cisl), Teresa Bellanova (Cgil) e Pasquale Rossetti (Uil), oltre che con i rispettivi rappresentanti territoriali Mario Siviero, Renato Omenetto e Antonio Visonà, hanno incalzato Sacconi sulla questione del piano industriale dell’azienda. «Vogliamo prospettive per il futuro produttivo ed occupazionale anche per lo stabilimento di Valdagno - dice Renato Omenetto della Cgil -. Il viceministro l’ha capito e ha chiesto ai dirigenti della Marzotto, Stefano Sassi e Massimo Lolli, di presentare un piano di rilancio che sappia aggredire i mercati, per tornare competitivi e garantire un futuro occupazionale anche nel Vicentino». Quello del piano industriale, giunti a questo punto, è ormai il punto centrale, tanto che su questo punto hanno insistito pure l’assessore provinciale al lavoro Giulio Bertinato ed il dottor Romano, in rappresentanza dell’assessore regionale Elena Donazzan. «Noi speravamo che l’azienda rivedesse la sua posizione in merito alla chiusura dello stabilimento di Schio -prosegue Omenetto -. D’altra parte siamo soddisfatti delle aperture sul fronte degli ammortizzatori sociali». Per Mario Siviero, della Cisl, l’incontro di ieri a cui ha partecipato anche Roberto Franco, responsabile dei centri per l’impiego del Veneto, è stato solo «esplorativo». «Attendiamo con ansia - aggiunge- l’incontro del 28 ottobre: dalla decisione definitiva su Schio, che ormai pare irrevocabile, diepnderanno gli ammortizzatori sociali. E soprattutto vogliamo sapere il destino di Valdagno, sul cui futuro, a tutt’oggi, l’azienda non ci ha dato alcun numero». |