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20 LUGLIO 2006
Ora il “Dal Molin” imbarazza Roma
L’affaire della nuova caserma Usa. Dal Governo sempre i soliti vaghi accenni al passato: ma cosa deciderà? di G. M. Mancassola «Non c’è alcun accordo, si farà la concertazione con tutti gli enti». Lo assicura il ministro della Difesa Arturo Parisi, in una nota inviata ai consilgieri comunali Guaiti e Rolando dal capo della segreteria particolare del ministro, Sandra Cecchini. Da lontano, sembra che a Roma non sappiano più che pesci pigliare. L’affaire “Dal Molin” è una bomba con la miccia accesa che sta per esplodere e che nessuno vuole tenere in mano. Non c’è parlamentare berico di centrosinistra che non abbia promesso di andare a vedere le carte. Anche nel centrodestra si stanno affannando, per ora invano. Perché da Roma non arrivano risposte chiare, come va ripetendo da giorni il sindaco Enrico Hüllweck, che attende da un mese una replica alla sua lettera inviata per saperne di più. Ogni volta che viene contattato un sottosegretario, puntuale arriva la garanzia di esibire i documenti. E probabilmente le carte le vanno a vedere per davvero, ma queste devono far spavento, perché poi non si viene più a sapere nulla. Le uniche informazioni sono state riversate in un comunicato che continuano a passarsi di mano in mano ministri e viceministri. Il testo, da Rutelli a Chiti, rimastica sempre le stesse parole, riportate più o meno anche ieri in una nota del ministro della Difesa Arturo Parisi, che si è fatto sentire attraverso un comunicato fatto pervenire via fax ai consiglieri comunali Giovanni Rolando (Democratici di sinistra) e Sandro Guaiti (Margherita), che hanno trascorso due mezze giornate al telefono con Roma, rimbalzando da un gabinetto all’altro. «Si sottolinea che con la controparte Usa non sono stati sottoscritti impegni di alcun genere, ma nell’anno 2004 dal precedente Governo è stata manifestata la disponibilità di massima a tale concessione che al momento non si è tradotta in alcun accordo, subordinando, tuttavia, l’operazione alla formalizzazione di uno specifico piano», si legge nella nota firmata “il ministro”. Concetti grossomodo già elaborati dal sottosegretario alla Difesa Marco Verzaschi. Il problema, a questo punto, non è quanto fatto in passato. Il problema è il futuro, perché i militari americani hanno fretta ed entro settembre hanno necessità di avere l’ok per non perdere il finanziamento dell’amministrazione Bush. E le risposte, anzi, la risposta, perché a questo punto manca soltanto un parere, deve venire dal Governo, che però ancora non si sbilancia. È questo, invece, quel che vuol sapere il sindaco Hüllweck, è questo quel che vogliono i comitati e i cittadini, è questo quel che vogliono sapere gli stessi parlamentari ulivisti. Dal momento che qui, per ben due volte, il consiglio comunale non ha detto né sì né no, è da là che si aspettano risposte definitive, come peraltro previsto da una legge dello Stato datata 1976. «È in sede di definizione del piano - scrive ancora il ministro Parisi - che tutti gli aspetti connessi alla realizzazione del progetto potranno e dovranno essere valutati sia per quel che riguarda l’opportunità della sua attuazione sia per quel che concerne le condizioni di esecuzione, fra le quali quelle della sua sostenibilità sul piano urbanistico, il cui approfondimento non potrà non essere fondato sulla concertazione fra tutti gli enti e amministrazioni interessate». Secondo Guaiti e Rolando, «Vicenza è in tempo per dire no: fare come Ponzio Pilato significa rimettersi nelle mani di altri e rinunciare a un proprio ruolo attivo». Ma la domanda è: c’è davvero tempo per dare corso alla «concertazione fra tutti gli enti interessati» da qui a settembre, con le ferie di mezzo?
Il sindaco chiede la rettifica del verbale Dopo lo sfogo in consiglio comunale, il sindaco Enrico Hüllweck ha formalizzato ieri la sua richiesta di rettificare il verbale compilato dopo la riunione che il Comipa, il comitato misto paritetico regionale, ha tenuto alla Ederle il 15 giugno scorso, esprimendo parere favorevole alla nuova caserma americana all’aeroporto “Dal Molin”. Nel verbale era stato riportato in più di un passaggio il parere favorevole con cui Hüllweck aveva superato le valutazioni contrarie al progetto della nuova base manifestate dall’Edilizia privata. In realtà, il sindaco ha riferito in Consiglio di aver soltanto consegnato una lettera nella quale si precisava che il parere del dirigente Roberto Pasini non era da ritenersi ostativo all’operazione. «Purtroppo - scrive Hüllweck al comitato, al comando Usa della Ederle, alla Regione Veneto e al tenente colonnello Luciano Cavicchi - la mia precisazione è stata erroneamente tradotta come “parere favorevole del Comune al progetto stesso”. Appare evidente, invece, che il Comune non intendeva esprimere pareri prima di aver ottenuto da parte del Governo le risposte e le precisazioni» richieste in precedenza al Governo.
Clamoroso in sala Bernarda. Dopo cinque ore di dibattito, Hüllweck si alza in piedi e risponde alle provocazioni con eloquente gestualità «Gli attributi del sindaco? Meritano il tapiro d’oro» Il diessino Poletto ha richiesto la videoregistrazione del Consiglio: «È roba da Striscia la notizia» (g. m. m.) Se fossimo nei favolosi Settanta, gli anni di perle come “Giovannona Coscialunga” o “Quel gran pezzo dell’Ubalda”, ci avrebbero già ricamato sopra un film, qualcosa come “Gli attributi dell’incredibile Hüll(we)ck”. E invece siamo nell’epoca della politica spettacolo e così non resta che teorizzare, assecondando le scuole di pensiero più benevole, a un improvviso attacco di celodurismo, in memoria dei fugaci trascorsi leghisti. L’attacco è quello che ha colto l’altra sera il sindaco Enrico Hüllweck, che dopo cinque ore di spietati attacchi sul caso “Dal Molin”, di fronte a una sala Bernarda gremita di politici, comitati e cittadini, ha portato le mani alla cinta dei pantaloni esibendo con vigore l’artiglieria, la cui esistenza qualche consigliera aveva maliziosamente messo in dubbio. Una risposta fin troppo eloquente all’estenuante invito da curva sud: “Sindaco, fuori le ...”, trasfigurazione ben poco letteraria per dire: “Abbia il coraggio di prendere posizione”. L’episodio non è sfuggito a nessuno dei circa sessanta spettatori in quel momento presenti, che un giorno potranno dire con orgoglio “quella volta dei gioielli c’ero anch’io”. Né la gustosa scenetta è sfuggita a Gigi Poletto, capogruppo diessino, che ieri ha inoltrato la richiesta formale di prendere visione della videoregistrazione della storica seduta. «Non sono un moralista, rigetto l'eccesso di seriosità e ho il senso dell'umorismo - premette Poletto - in venticinque anni di esperienza nelle istituzioni locali ne ho viste, lo garantisco, di tutti i colori, di tutto e di più, ma mai un sindaco che si alza dal suo alto scranno e palesemente e quasi con regalità “mostra gli attributi”». «Potrei parlare di volgarità esibita - prosegue Poletto -, di sfregio della sacralità delle istituzioni, di caduta di stile, di impazzimento momentaneo, di esemplarità negativa. Ma non lo faccio perché sarebbe l'attribuire un eccessivo rilievo a un episodio su cui ironizzare ma anche da dimenticare. Piuttosto bisogna capire se la registrazione video riporta il clamoroso evento. In tal caso il sindaco sia coerente nelle sue raffinate modalità di esercitare i suoi alti doveri istituzionali. Consegni la registrazione a “Striscia la notizia”: meriterà la consegna del “Tapiro d'oro” e ne meneremo tutti vanto. Tutti, finalmente, parleranno di noi e la città potrà così emanciparsi dal suo atavico provincialismo. Evviva».
Il re del soul fa il pacifista alla Ederle James Brown incontra i soldati Usa reduci dall’Iraq: «Non credo alla guerra» di Eugenio Marzotto Balla, scherza, canta e tira pure frecciate in casa di quelli che la morte l’hanno vista in faccia. Canta I feel good, e alla fine dirà: «Vi voglio bene ma non posso darvi un supporto morale, io alla guerra non ci credo, credo piuttosto che ogni popolo abbia diritto alla propria indipendenza e all’audeterminazione». Mettete un uomo di 73 anni con i capelli tinti e cotonati come quelli di una bambola, vestito da capo a piedi di marrone davanti a dei soldati reduci da Afghanistan e Iraq. Avrete James Brown in formato pacifista. Un nero del sud, franco fino in fondo che spiega con la voce calma: «L’appoggio lo deve dare Bush è il suo mestiere». Il mito James Brown, “il padrino del soul” come si autodefinisce è giunto ieri pomeriggio alla caserma Ederle in visita al comando Setaf per salutare i soldati, i connazionali, i ragazzi che se ne sono andati in missione nelle zone calde del mondo e a loro dice, dopo aver ballato per qualche attimo con l’agilità di un ventenne: «Sono contento che siate tornati, è bello essere qui, ma diamo alla pace la possibilità di crescere». Loro, i soldati non fanno una piega, anzi. Chissenefrega della guerra e delle parole antimilitariste del mito in braghe a zampa. «Mr James - gli urla un ragazzotto - ho qui una bottiglia per te». «Grazie - risponde lui - ma temo che il dottore non me la farà bere». Quella bottiglia di vino rosso, alla fine la sequestrerà uno della sicurezza, un uomo basso e grasso che ammirerà l’etichetta intitolata alla missione afghana “Enduring freedom”. È stata una festa, con almeno trecento persone a salutare l’uomo del soul, il dannato Brown che sul palco parla come un predicatore: «Dobbiamo amarci tutti - dice con le pause giuste al momento giusto - voi fate il vostro lavoro con coscienza, sappiate che Dio è con voi e anche James Brown è con voi». E giù applausi, mamme che impazziscono dalla felicità, bambini che sparano flash e uomini sorridenti per avere il loro idolo a pochi metri. È l’America che fa festa. E c’è tempo anche per le targhe ricordo e per le strette di mano. La mano è quella del generale della Setaf, Frank G. Helmick, da un mese al comando delle truppe Usa a Vicenza che ha ringraziato per la visita “il padrino del soul”. Texano dalla battuta facile, il generale la butta sul ridere: «Ma gente come questa non invecchia mai, sembrano tutti giovani - scherza dal palco, guardando la platea - James, hai 42 anni?». «No - risponde l’altro - solo 73». E giù risate, braccia alzate e voglia di autografi. Che arrivano come di rito. Lui, il nero nato tra le campagne della Georgia da una famiglia poverissima, è sul palco a godersi tutto l’affetto dei connazionali che ricambiano. Ed uno per uno in ordine, come fossero a scuola, si mettono in fila indiana ad aspettare il loro turno. Foto ricordo, autografi, baci e abbracci. «Muoviamoci», urla il manager che deve tenere in piedi un carrozzone da una ventina di persone che hanno la responsabilità di far rivivere ogni sera, ad ogi concerto, il mito James Brown. Piazza dei Signori lo aspetta per le prove prima del concerto, ha la moglie in ospedale, ma sembra non essere preoccupato: I feel good. Lui si sente bene.
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