22 GENNAIO 2005

dal Giornale di Vicenza

Alla Chinotto è nata la Gendarmeria.
Teatro, scioperanti licenziati
Auto ferme dal 2 all'8 febbraio.
Si sciopera anche in caserma
SCHIO.Si farà l'ospedale nuovo. E unico

Alla Chinotto è nata la Gendarmeria

Da ieri mattina è ufficiale. Con la firma di Roma la caserma “Chinotto”, fino a fine dicembre sede della Scuola allievi brigadieri dei carabinieri, è diventata quartier generale della nuova Gendarmeria europea. Si tratta di un istituto di formazione per i militari di cinque paesi (Italia, Francia, Olanda, Spagna e Portogallo) che saranno impegnati in operazione di peacekeeping nel mondo. La struttura - che si chiama Eurogendfor - è destinata ad ospitare circa tre mila militari provenienti dai cinque paesi, di cui 900 di pronto intervento. Gli italiani hanno messo a disposizione i carabinieri che già intervenivano in caso di necessità, come in Iraq o nella ex Jugoslavia. Nel frattempo sono attesi in città una cinquantina di alti ufficiali per coordinare la struttura di via Medici. L’iniziativa era stata voluta dal governo italiano, che con il ministro della Difesa Martino aveva firmato in Olanda, il 17 settembre scorso, il trattato con gli altri 4 ministri. «Si potrà usare Eurogendfor in molti casi, da una situazione di crisi di natura quasi militare fino ad una quasi normale in cui possa intervenire la polizia». La caserma è stata sistemata per accogliere i militari che dopo la firma di ieri dovrebbero arrivare alla spicciolata. Ma la presenza di Eurogendfor in città non è stata accolta da tutti con favore. I “ragazzi del capannone sociale”, un’associazione che raccoglie varie anime del pacifismo, ha annunciato una manifestazione di protesta «contro la militarizzazione di Vicenza».


Teatro, scioperanti licenziati
Il manager Coccimiglio ha attuato la sua minaccia Presidio all’ingresso: «Questo è un caso nazionale»
La Cgil ’occupa’ il cantiere e si rivolge al giudice e al prefetto

di Piero Erle

Licenziati in tronco per aver commesso la colpa di andare in Consiglio comunale a protestare per il mancato pagamento degli stipendi. Ieri mattina alle 7, in via Battaglione Framarin, su otto lavoratori della Cogi è piombato l’ordine che aveva già preannunciato a giornali e tv l’amministratore delegato Giuseppe Coccimiglio della Cogi di Firenze nella sua brevissima comparsa a Vicenza: licenziati. Motivo: stando a quanto lui stesso aveva dichiarato, per aver scioperato senza giustificazione. E per essersi presentati in Comune a protestare. Ce n’è abbastanza per scatenare il sindacato. Tanto che ieri mattina sono arrivati subito sul posto Antonio Toniolo, segretario vicentino della Fillea-Cgil, con Danilo Andriollo della segreteria confederale berica. «Non hanno pagato lo stipendio nemmeno ai tre che vedete al lavoro - spiegavano - e le dichiarazioni fatte alla stampa da Coccimiglio sono gravissime. Ci mobiliteremo: per ora stiamo ’presidiando’ il cantiere, ma da lunedì scatterà l’occupazione. È incredibile: cose da anni ’50». Immediata la richiesta di un incontro in prefettura, subito accolto: in tarda mattinata infatti lavoratori e sindacati sono stati ricevuti dal viceprefetto Vincenzo Foglia. E alle tre del pomeriggio davanti al cantiere, sempre assieme ai lavoratori licenziati che lo presidiavano, si sono presentati anche Andrea Righi della segreteria nazionale Fillea-Cgil, Michele Carpinetti segretario regionale di categoria e Oscar Mancini, segretario vicentino della Cgil. «Ringraziamo dell’attenzione il prefetto e il suo vice: abbiamo chiesto che la prefettura convochi le parti, perché si è creata una situazione gravissima», spiegano i leader sindacali. Che divulgano un comunicato anche del segretario nazionale Fillea-Cgil Mauro Macchiesi, mentre l’agenzia Ansa divulga la notizia che il presidente del Foggia calcio (Coccimiglio) ha licenziato operai per sciopero: «Il problema non è tanto l’arroganza di un presidente di una squadra di calcio, ma ci chiediamo come sia possibile che una stazione appaltante, che sia un Comune come in questo caso, non rispetti la legge sugli appalti pubblici e quindi non si sostituisca all’impresa nel pagare i salari arretrati e revochi l’appalto a imprese che calpestano i diritti fondamentali dei lavoratori». «Licenziare per aver scioperato? Questo è un caso nazionale. Il sindaco tace e giovedì non ha nemmeno parlato con i lavoratori in Comune. Per fortuna il prefetto ha ascoltato le nostre istanze. Noi chiediamo - spiegano sul posto Mancini, Carpinetti e Righi - che il Comune, in base alla legge, risponda in solido delle mancanze della ditta, rescinda il contratto e si faccia carico di garantire i rapporti di lavoro degli operai con la ditta che subentrerà». Anche i consiglieri del centrosinistra (Alifuoco, Quaresimin, Asproso, Franzina e Soprana) hanno inviato al sindaco una lettera sulla ’gravissima situazione del cantiere per il nuovo teatro’. Lo scontro adesso è duro e a tutti i livelli. La Cgil ha presentato prima di tutto un ricorso urgente al giudice del lavoro per far reintegrare gli otto dipendenti licenziati. Ha anche scritto nei giorni scorsi al Comune per chiedere che sia il municipio a pagare gli stipendi dei dipendenti, applicando quanto stabilisce il contratto tra Comune e Cogi: il Comune stesso, a quanto si sa, replica che spetta all’Ispettorato del lavoro stabilire se ci sono persone cui non è stato pagato lo stipendio e le individui. Da piazza Biade comunque partità una lettera di richiesta di chiarimenti alla Cogi proprio per chiarire ancora una volta questa incredibile vicenda degli stipendi. Comunque sia, al di là delle dichiarazioni rese da Coccimiglio (da notare che la sua ditta non risulta aver pagato neppure da 6-7 mesi le bollette dell’Aim: la corrente è stata tagliata e poi ri-concessa per misteriosi motivi) è proprio la ditta Cogi ad essere comunque entrata in una sorta di conto alla rovescia. Come già detto dal nostro giornale, il direttore dei lavori Mario Gallinaro ha inviato una lettera-ultimatum fissando il termine del 13 febbraio entro il quale completare una serie di lavori ingenti, per dimostrare una buona volta che il cantiere sta ’cambiando marcia’. Perché se no, lo ha già ricordato Gallinaro alla Cogi per iscritto, si procede con la legge che stabilisce che se si accumulano ritardi «per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del programma», viene fissato un termine entro cui compiere i lavori prescritti dal direttore stesso. Al termine di questo periodo il direttore dei lavori verifica, con l’appaltatore o con testimoni, lo stato di fatto e invia la sua relazione al responsabile del procedimento (nel caso del teatro è l’arch. Gianni Bressan dirigente comunale). Sulla base del verbale, «qualora l’inadempimento rimanga» - dice la legge - l’ente appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, delibera la risoluzione del contratto». Per la Cogi, quindi, le tre prossime settimane sono decisive.

Hüllweck: «Lo sciopero non può essere motivo di licenziamento»
«E se l’impresa non ce la farà allora interverrà il Comune»

(g. m. m.) «Lo sciopero non è mai motivo per licenziare. Se è regolare, è sacrosanto». Il sindaco Enrico Hüllweck, memore del suo passato da medico-sindacalista, non si perde in troppi giri di parole per dire come la pensa sulle minacce enunciate giovedì sera e applicate ieri mattina dall’amministratore della Cogi Giuseppe Coccimiglio nei confronti degli operai scioperanti. «È doveroso - spiega Hüllweck - dire che il diritto di sciopero è sacrosanto. Probabilmente ci sono altre situazioni di cui non sono a conoscenza che spingono l’impresa a prendere determinati provvedimenti». La dura polemica sul cantiere del nuovo teatro è tornata a investire il Comune in tutta la sua violenza, ma il sindaco mette subito alcuni paletti: «Va detto che si è formato un clima intorno al cantiere che ha creato molte difficoltà alla ditta. Difficoltà che si stanno trascinando da Vicenza nel resto d’Italia, dove la Cogi opera». Di fronte al pressing dell’opposizione, poi, Hüllweck puntualizza: «Si sappia che il Comune è solvente. Tutti coloro che offrono forniture e manodopera stiano pur tranquilli: se la ditta non ce la farà, interverrà il Comune. I soldi ci sono». E sono i soldi della vendita della Centrale del latte, che Hüllweck si è sempre rifiutato, anche in tempi recenti, di impegnare per spegnere vecchi mutui e sgravare il bilancio comunale di rate e interessi: «Ora si capisce il perché e l’importanza di tanta cocciutaggine - prosegue il sindaco -. Ben diversa sarebbe la situazione se si fosse definanziato il teatro. E invece i soldi sono nel cassetto». Poi Hüllweck torna sulle presunte strumentalizzazioni lamentate da Coccimiglio: «È pretestuoso creare un clima di paure e sospetti alimentati ad arte per creare difficoltà che hanno per unico risultato il ritardo nei lavori». E a proposito di ritardi, su quelli legati ai pagamenti degli stipendi, Hüllweck resta fermo: «Stigmatizzo anche 12 ore di ritardo: ma un conto è dire che è sbagliato, un altro è creare allarmismi». Infine, dopo aver lasciata aperta la porta a ipotetici riconoscimenti di proroghe, Hüllweck dice la sua anche sulla prospettiva di chiudere o meno con la Cogi: «Se la ditta lavora, va bene: faccia la sua parte, lavori e finisca. E poi bisogna anche essere realisti: se non dovesse andare avanti, bisognerebbe rifare la gara e questo significherebbe fermare il cantiere per non meno di un anno e mezzo. A chi dice che il tempo sarebbe inferiore, rispondo raccontando la vicenda del progetto per il restauro della Basilica».


Auto ferme dal 2 all’8 febbraio
Linea dura sulle deroghe. Resterà a piedi anche il sindaco
Stop dalle 9 alle 18 negli ultimi giorni di Carnevale

di G. Marco Mancassola

Il dado è tratto, il traffico a Vicenza si fermerà per una settimana intera, da mercoledì 2 a martedì 8 febbraio, ultimo giorno di Carnevale. L’ordinanza è stata firmata e presentata ieri mattina: si prevede il divieto di circolazione di tutti i veicoli a combustione interna, catalizzati e non catalizzati, dalle 9 alle 18 nell’area in cui oggi valgono le limitazioni ai vecchi diesel. E a chi sgarra, multe da 71a 286 euro. L’ordinanza annuncia anche il blocco totale del traffico per domenica 20 marzo; rimane in vigore il divieto di circolazione per i vecchi diesel e non catalizzate tutti i giovedì e venerdì fino al 25 marzo. La capitale dell’export italiano, simbolo del Nordest produttivo e laborioso, si ferma dunque, con un provvedimento unico in Italia e forse in Europa. Le ragioni. La decisione arriva dopo tre settimane consecutive marchiate da valori delle nocive pm10 fuori legge. «È un atto coraggioso, certamente impopolare - esordisce il sindaco Enrico Hüllweck, sostenuto dagli assessori all’ecologia Valerio Sorrentino e alla mobilità Claudio Cicero -. È bastato l’annuncio e già sono iniziate le proteste e le richieste di deroghe. Ma le eccezioni saranno pochissime: anche gli amministratori, sindaco compreso, andranno a piedi. Si tratta del tentativo di chiarire una volta per tutte se limitare il traffico serve o meno per contenere le concentrazioni di micropolveri. Crediamo che questo blocco possa essere sufficiente per fare la prova del nove, valutando l’andamento delle polveri in diversi giorni, con diverse condizioni atmosferiche». E se il test dimostrerà che fermando la città si può contenere l’inquinamento? «Dovremo chiederci: continuiamo? Facciamo il blocco permanente, magari meno duro? Per me si può anche fare un referendum: cari cittadini, preferite la libertà di movimento o la tutela della salute? Questa non è la sagra del blocco, questo è un sacrificio duro per un problema serio. E se dovesse funzionare, sarà un messaggio per le altre città e per l’industria automobilistica». Chi può circolare. Il Comune ha varato la linea dura anche nei confronti delle deroghe: durante la settimana di blocco non sarà ammesso nemmeno il car-pooling, vale a dire la possibilità di circolare per le auto con almeno tre persone a bordo. Possono invece circolare: i veicoli a gpl o a gas metano purché utilizzino per la circolazione esclusivamente tale modalità; i veicoli a emissione zero o funzionanti a motore elettrico; gli autoveicoli dei corpi e servizi di polizia stradale e altri autoveicoli con targa non civile; i veicoli con compiti di pronto soccorso, quelli di medici in servizio di visita domiciliare e di reperibilità, di paramedici o tecnici ospedalieri o di case di cura in servizio di reperibilità, di associazioni che svolgono assistenza sanitaria o sociale (con autocertificazione se privi di distintivi); gli autobus del servizio pubblico o al servizio di enti, aziende, comunità, scuole e bus turistici; taxi e autovetture a noleggio con conducente; i veicoli degli enti locali, Aim, Amcps, Ulss, Arpav, Poste, Enel, istituti di vigilanza e mezzi adibiti al pronto intervento su impianti, al trasporto di derrate deperibili, farmaci, per il funzionamento dei servizi pubblici essenziali purché individuabili da scritte e simboli (con autocertificazione se privi di distintivi); i veicoli per il trasporto dei disabili, degli ammalati, di chi deve essere sottoposto a terapie, cure, analisi (con autocertificazione se privi di distintivi); i veicoli per il trasporto dei pasti per le mense (con autocertificazione se privi di distintivi); i veicoli al seguito di cerimonie nuziali o funebri (con autocertificazione); i veicoli che devono recarsi alla revisione obbligatoria, per il solo percorso di andata e ritorno; i veicoli di turisti con prenotazione in un albergo o in una casa d'accoglienza della zona interdetta, per il solo percorso di andata e ritorno (con obbligo di esposizione di copia della prenotazione); i veicoli con targa estera e targhe E.E.; i veicoli di lavoratori turnisti con turni con inizio o fine in orari e zone non sufficientemente coperti dal servizio pubblico di linea (con autocertificazione o dichiarazione della ditta). L’autocertificazione. Il fac-simile dell'autocertificazione (uguale a quello per il blocco dei vecchi diesel e delle auto non catalizzate) è in distribuzione all'Ufficio relazioni con il pubblico, al Comando di polizia municipale e alle portinerie dei palazzi comunali; è inoltre scaricabile da internet, collegandosi al sito del comune www.comune.vicenza.it. I numeri di telefono ai quali chiedere ulteriori informazioni sono 0444 221598: Settore Ambiente; 0444 221360: Ufficio relazioni con il pubblico; 0444 545311: Comando di polizia municipale. Una segreteria telefonica con informazioni aggiornate è attiva 24 ore su 24 al numero 0444/222324.

Disobbediremo e occuperemo il Corso»
«Il sindaco fa bene a fare una simile provocazione perché i soloni si convinceranno che non si muterà di un microgrammo la concentrazione di polveri sottili»
Romano Pigato, presidente dell’Aci, toglie le auto dal banco degli imputati

di Franco Pepe

Romano Pigato (nella foto) , presidente (da 6 anni) dell’Aci vicentina, dei problemi dell’aria malata per colpa dello smog provocato dai motori, ne sente parlare da tanto, di battaglie per dimostrare che non è vero che le auto siano killer ne ha fatte pure tante, ma dinanzi a un bivio del genere, lui che rappresenta gli automobilisti vicentini, non si era mai trovato. Lo stop alla circolazione per una settimana, mentre l’Aci si prepara a celebrare lo storico traguardo del centenario - ieri a Roma è stato emesso un francobollo speciale e lunedì a mezzogiorno tutti i presidenti provinciali saranno ricevuti alla Camera dall’on. Casini - è un affronto a uomini e motori che non si aspettava, la misura è forte e la replica è genuina come il personaggio ed altrettanto forte.
- Presidente, arriva il blocco totale. Sembra la soluzione finale…
«Per me è solo una provocazione».
- Ma guardi che il sindaco fa sul serio.
«Ripeto, per me è solo una provocazione. Il sindaco fa bene…».
- Cioè lei è d’accordo con Hüllweck?
«Voglio dire che fa bene a chiudere la città per sette giorni, così finalmente, quando vedranno i risultati, i soliti soloni e gli scettici per professione si convinceranno una volta per tutte che le auto con la questione delle polveri non c’entrano proprio per niente, e la gente si metterà il cuore in pace».
- È sicuro che auto o non auto non cambia nulla?
«Non sicuro, strasicuro. Sono pronto a scommettere, I dati che abbiamo all’Aci, gli studi che abbiamo fatto, e sono studi seri, dimostrano che l’auto è innocente, che la chiusura del traffico non muta di un microgrammo la concentrazione delle polveri».
- Così, dice lei, meglio andare fino in fondo…
«Certo, ci sacrifichiamo una settimana, ma è l’unico modo per far capire a chi non vuol capire. Queste iniziative non servono a nulla. Si continua a prendere in giro la gente facendo credere che la salute è più protetta. Sono solo palliativi. E gli automobilisti ne hanno abbastanza. Non si può andare avanti all’infinito».
- Ma lei cosa proporrebbe?
«Le soluzioni non devo trovarle io. Ma intanto per cominciare perché, invece di predicare, non fanno più strade? La storia è sempre la stessa. Le strade sono quelle di 50 anni fa, la Pedemontana da quanto tempo l’aspettiamo?, e le auto aumentano».
- Però anche l’inquinamento aumenta e l’automobilista non può fare come Ponzio Pilato.
«Io dico solo che noi continuiamo a pagare bolli, tasse e tutto ciò che ci dicono di pagare, e che non possiamo tenere l’auto in garage. L’auto ormai è uno strumento di lavoro. E poi si sa in giro che il numero delle auto è destinato a crescere ogni anno del 5-6 per cento, che lo sviluppo dell’auto proseguirà? Cosa dovremmo fare, annullare il progresso, tornare indietro?».
- C’è la bicicletta…
«Ma io non sono Prodi. Battute a parte, la userei anch’io, ma il tempo chi me lo dà? L’auto non si può eliminare. No, per me questa è persecuzione. Una cosa inaccettabile».
- E se a Vicenza l’ostracismo continuasse?
«Se questo dagli all’untore non si ferma faremo come a Como, ma anche di più. Disobbediremo. Una ribellione silenziosa. Sa cosa faremo? Le macchine gliele porteremo tutte in piazza dei Signori. Occuperemo corso Palladio, tutto il centro. E che poi si divertano pure a farci la multa. Tanto non ce le risparmiano mai…».


Ieri prima astensione di quattro ore dal lavoro (sarà ripetuta per altri due venerdì) per costringere la controparte Usa a trattare
Si sciopera anche in caserma
Alla Ederle i 750 impiegati berici rivendicano il rinnovo del contratto

di Sandro Sandoli

Tra i lavoratori della Ederle, che stanno scioperando e che presidiano via Gazzolle in attesa che una loro delegazione sia ricevuta dal prefetto, qualcuno non ce la fa a mordersi la lingua e a non buttarla in politica: «Se Berlusconi, quando va negli Usa a prendere ordini da Bush, dicesse anche una parola per noi, ci farebbe un grosso piacere». Ma la protesta non ha colore. Né ha (per ora) specifiche motivazioni economiche. Cioè chi sta stazionando davanti alla prefettura cita solo a mo’ di semplice “curiosità” il fatto che i berici, i quali hanno nell’organigramma della caserma di viale della Pace funzioni di quadro, ricevano la “misera” indennità di 130 euro oppure che i più “fortunati” dipendenti civili americani godano di una indennità-euro annuale che si avvicina ai venti milioni di vecchie lire. Il problema, per il quale sono sul piede di guerra i 750 vicentini (ma in passato erano anche più di 1000) che lavorano alle dipendenze del governo Usa e i loro colleghi delle basi militari di Catania, Aviano, Pisa, La Maddalena e Sigonella (in tutto sono circa 4500) è il mancato rinnovo del contratto, cioè, come lo chiamano loro, delle condizioni di impiego. Le quali sono scadute dall’ autunno 2003, mentre, nonostante parecchi incontri, il negoziato con la controparte continua a restare al palo. Il che giustifica ampiamente, come spiegano Grazia Chisin e Monica Brazzale della Uil e Ronald Carpenter della Cisl, perché stavolta l’hanno piantata dura: allo sciopero di ieri seguiranno in tutta Italia astensioni di quattro ore dal lavoro anche il 28 gennaio e il 4 febbraio. Insomma il braccio di ferro mira a riportare al tavolo delle trattative la controparte a stelle e strisce e ad ammorbidirne le posizioni, giudicate incomprensibilmente intransigenti. Tanto da invidiare chi ha che fare con gli imprenditori italiani. Infatti qualcuno mormora: «Almeno la confindustria ha una cultura del lavoro e delle relazioni sindacali, che invece gli americani non sanno dove stiano di casa». D’altra parte se dopo un anno e mezzo il contratto non è ancora stato rinnovato e anzi le parti sono ancora tanto lontane, probabilmente significa che qualcosa “non funziona”. Infatti dopo lo sciopero del 25 luglio 2003, che aveva fatto seguito alle prime discussioni sull’inquadramento unico, cioè il mansionario aggiornato alle nuove realtà lavorative, sembrava che ci fosse, da parte americana, la volonta di arrivare in tempi stretti ad un accordo. Invece la trattativa è andata avanti a zig-zag ovvero con “alti” che facevano intravvedere una conclusione positiva e con “bassi” che riportavano tutto in alto mare. Insomma gli incontri non sono mancati (dopo Sacile, ci si è ritrovati a Gaeta, a Vicenza, a Roma e a Sigonella) ma è come se non ci fossero stati. Dice qualcuno: «Non si capisce questa chiusura totale: gli americani vorrebbero chiudere il contratto a costo zero, rifiutano di discutere sia l’inquadramento unico che la previdenza integrativa e tutti i punti qualificanti della nostra piattaforma». Si precisa nell’ordine del giorno stilato dopo l’assemblea alla Ederle durante la quale è stata decisa l’adesione allo sciopero nazionale: «... la controparte ha dimostrato di essere incapace di trattare e di dialogare, non è disposta a concedere niente, non ha o non vuole avere la capacità di capire che un rinnovo contrattuale non può non avere costi.....Le regole negoziali possono permettere a entrambe le delegazioni di rinunciare a qualcosa in cambio di qualcos’altro oppure di ridurre la portata di una richiesta in cambio dell’avvicinamento su di un’altra: in entrambi i casi deve sussistere la volontà delle parti, non l’unilateralità di un soggetto, altrimenti si travalica ogni regola di democrazia». E queste cose sono state ripetute anche in prefettura, dove una delegazione composta da otto dipendenti vicentini della Ederle è stata per mezz’ora a colloquio con il vice prefetto vicario dott. Vincenzo Foglia. Il quale, essendo già a conoscenza del problema degli impiegati della caserma, s’è impegnato a contattare il comandante generale Camiglia, a informare i ministeri italiani competenti e a seguire gli sviluppi della vertenza.


Voto compatto della Casa delle libertà. Disattese le richieste della città in difesa del De Lellis
Si farà l’ospedale nuovo. E unico
La commissione regionale ha dato il via libera al progetto

di Mauro Sartori

L’ospedale nuovo si farà. Per il De Lellis suonano campane a morto. La Quinta commissione regionale ha dato il via libera alla: “previsione di realizzazione di un nuovo polo ospedaliero unico per l’Alto vicentino”. Si farà a Thiene, o a Santorso, o come si era detto a Zanè? Con un blitz di fine mandato, dopo che la stessa Quinta commissione aveva chiesto un adeguato studio di fattibilità sulle strutture esistenti, prima di decidere in merito a quella nuova, l’ordine del giorno è andato dunque a segno grazie ad un rapido ricompattamento della maggioranza di centrodestra. Inutile la presa di posizione del sindaco e dei capigruppo. E mentre l’opposizione segnala che «i cittadini ora devono preoccuparsi seriamente del loro diritto alla salute» , Nadia Qualarsa, consigliere di Forza Italia sottolinea «l’importanza strategica dell’iniziativa» , nonchè «i positivi risvolti» che il progetto avrà «per l’intera comunità» .
I componenti in commissione di Lega, An, Fi e Udc hanno detto sì senza entrare nel merito della discussione, smentendo le divergenze che volevano Udc e parte dei forzisti, l’area Carollo, orientati diversamente, a fianco del centrosinistra. Questa delibera entra dunque nella programmazione sanitaria triennale ma non vanifica quella precedente, che chiedeva appunto uno studio di fattibilità per valutare l’esistente. E l’ipotetico finanziamento di 72 milioni di euro, a parziale copertura dei costi per la costruzione resta fissato per il 2008. «E’ assurdo quanto accaduto - è il commento a botta calda del diessino Claudio Rizzato, componente della commissione regionale per l’opposizione. - Viene proposta un’opera che finirà con il togliere servizi non solo all’Alto vicentino, vista la diminuzione di posti letto rispetto agli attuali 590 che diventeranno 400, ma pure alle altre Ulss. Perchè a fronte di un progetto che non potrà maturare prima di 15 anni, si bloccheranno i finanziamenti per le strutture operanti, e non parlo esclusivamente di Schio e Thiene. Dispiace dirlo, ma la salute è stata usata come merce di scambio per gli interessi elettorali di Forza Italia. E che la Lega si sia accodata, sarà motivo di riflessione per tutti». Che sia stato un segnale politico, quello espresso dalla commissione regionale, lo conferma Onorio De Boni, componente per conto dell’Udc: «La maggioranza ha trovato l’unanimità sul documento proposto dalla giunta, nonostante vi fossero ipotesi divergenti. In questa fase particolare, è prevalso il senso dell’unità, anche per non dare il via a speculazioni politiche. Di fatto, c’è tempo per rivedere il progetto. Il compito passerà alla futura legislatura». «Quanto avvenuto conferma che i sindaci non contano nulla in materia sanitaria - commenta Achille Variati, capogruppo della Margherita -. Sono state disattese le loro richieste facendo prevalere la logica dei numeri» Marco Tolettini, a nome dei forzisti scledensi, aggiunge: «Prendiamo atto della forte volontà della Casa delle Libertà, a livello regionale, di puntare su un ospedale nuovo. A questo punto crediamo siano inutili ulteriori crociate. Ormai i cittadini guardano alla resa ottimale dei servizi più che a dove sono collocati. Ora bisogna puntare su una ricollocazione opportuna delle strutture esistenti. Per quanto riguarda il De Lellis, la soluzione potrebbe essere quella di portarvi la sede dell’Ulss per non sprecare gli investimenti degli ultimi anni». Presi in mezzo alle polemiche, quelli della Lega Nord scledense non rinnegano la raccolta di firme avviata un paio di mesi fa e rilanciano: «Ieri si è deliberato sull’opportunità di realizzare un nuovo ospedale e di finanziarlo - afferma il segretario locale Pietro Bastianello. - E su questo passaggio non abbiamo nulla da contestare. Adesso cominciano i giochi. Le firme che abbiamo raccolto, quasi 2 mila, serviranno a sostenere l’ipotesi che venga costruito a Schio, perché è questo che ci interessa, utilizzando o meno l’area del De Lellis. A Venezia vedremo di incidere al momento opportuno»