Nella zona di viale Milano materassi sull’erba, preservativi e siringhe
di G. M. Mancassola
Una rustica “casa per appuntamenti” a cielo aperto, alle porte del centro storico, seminascosta nella vegetazione, a due passi dalla stazione delle corriere. È il boschetto del sesso a pagamento, scoperto da una pattuglia di vigili durante una serie di controlli mirati nel triangolo fra viale Milano, via Torino e S. Felice e Fortunato, dove bazzicano alcune prostitute.
Nel fazzoletto verde fra la stazione Ftv, l’ex Domenichelli e l’ingresso secondario dell’istituto scolastico Piovene, in fondo a via Torino, ignoti hanno aperto una breccia nella recinzione, creando un sentiero nella vegetazione. In fondo al sentiero, due rudimentali “appartamenti” riparati da alberi e fronde. A terra rifiuti di ogni genere, avanzi di cibo, abiti, scarpe, bottiglie, lattine, siringhe, carrelli della spesa e soprattutto preservativi: decine, centinaia di preservativi abbandonati in pochi metri quadrati. La cartolina del degrado è completata dal “soggiorno”, con tavolo e sedie, un divano mangiato dalle fiamme e un angolo cottura con vista sul parcheggio delle corriere. Il clou, e non poteva essere altrimenti, è il reparto notte: al centro, un materasso matrimoniale scassato, lurido, con i brandelli di una coperta infangata, sommersa da profilattici.
Controlli a tappeto. La pattuglia della polizia locale che ha fatto la scoperta ha presentato una dettagliata relazione al comandante Cristiano Rosini, allegata ai report delle attività di controllo operate nella zona. Da venerdì sera, infatti, erano scattati controlli notturni sul traffico. «Un dato rilevante è il fatto che su 48 auto fermate casualmente in via Torino, Firenze e Milano, in 34 c’erano a bordo extracomunitari», spiega il capitano Claudio Sartori. Le pattuglie hanno lavorato con il kit anti-contraffazione, esaminando con raggi ultravioletti e sofisticate lenti di ingrandimento i documenti sospetti. Il caso più eclatante riguarda un albanese, con precedenti legati al mondo della prostituzione, a cui è stato ritirato un permesso di guida internazionale risultato contraffatto.
Da viale Milano e dintorni è scattata una nuova strategia pianificata con il vicesindaco e assessore alla Pubblica sicurezza Valerio Sorrentino in base alla quale ogni settimana all’attività di pattugliamento di routine verrà affiancata un’azione di controllo a tappeto che interesserà di volta in volta un quartiere diverso. Strade e rioni verranno passati al setaccio, come accaduto in viale Milano, dove la preoccupazione dell’amministrazione comunale è scongiurare la nascita di fenomeni come quelli che hanno prodotto gli scontri di via Anelli a Padova.
Questa settimana i riflettori verranno puntati su S. Lazzaro e i Ferrovieri, schierando le tre pattuglie del terzo turno allungato. Da fine luglio, infatti, il servizio notturno 24 ore su 24 per due notti alla settimana è stato sostituito con un servizio spalmato su tutti i giorni della settimana che sposta da mezzanotte alle due la fine del turno serale. Nel mirino del comando di contrà Soccorso Soccorsetto e di palazzo Trissino ci sono anche i bar rumorosi, fonte di infinite lamentele e petizioni da parte dei cittadini. Nell’ultimo fine settimana è stata riscontrata una violazione a colpi di decibel da parte di un locale in pieno centro, nella zona della Basilica, da dove partiva musica a volume troppo alto.
Rissa in Campo Marzo. L’episodio più movimentato del fine settimana, tuttavia, è andato in scena domenica pomeriggio a Campo Marzo, quando una donna ha richiamato l’attenzione delle “pantere”, le guardie private ingaggiate per sorvegliare l’area verde, quando una ventina di stranieri stava avviando una maxi-rissa a base di calci e pugni. Le “pantere” hanno richiesto l’intervento dei vigili, che sono riusciti a sedare gli animi prima che gli eventi precipitassero. Al termine dell’intervento, sul prato è rimasto un carrello con a bordo un piccolo frigorifero e una damigiana di vino, che un venditore abusivo aveva trascinato per tutto il pomeriggio servendo panini speziati e bicchieri di rosso. Agli agenti non è rimasto che rubricare il carrello alla voce “oggetti smarriti”.
Coca e sesso, 15 indagati
Coinvolti tre americani
già in servizio alla Ederle
(i. t.) Fiumi di cocaina e sesso, un connubio che funziona sempre per rastrellare soldi facili. Uno dei luoghi in cui la presunta associazione per delinquere avrebbe operato a vele spiegate era la caserma Ederle, dove l’insospettabile marito di una sergente dell’esercito Usa aveva accesso facile e contatti stabili con alcuni soldati indicati dalla procura come complici. Il nigeriano Thomas Oneyekwelu, conosciuto come Tommy, 37 anni, assistito dagli avv. Paolo e Matteo De Meo, è considerato il perno del gruppo che con disinvoltura avrebbe gestito per anni un giro di stupefacenti in grande stile e di ragazze per allietare le serate di molti vicentini.
Per gli inquirenti sarebbe stato un terminal sicuro anche per lo spaccio di “neve” importata tramite la piazza olandese.
Sono 15 gli stranieri indagati ai quali il pm Giorgio Falcone ha spedito gli avvisi di conclusione delle indagini legate a un’inchiesta condotta dalla squadra mobile della questura e dai carabinieri della Setaf, battezzata “operazione Palladium”, alla quale avevano dato man forte anche i detective statunitensi.
Il complesso lavoro impegnò la squadra narcotici della questura per un paio d’anni poiché aveva messo nel mirino la “banda” che avrebbe fatto capo a Thomas. Egli avrebbe agito su più fronti per favorire anche l’immigrazione clandestina di signorine destinate alla prostituzione.
Con il nigeriano sposato alla soldatessa americana, il sostituto procuratore Falcone ha intenzione di processare il connazionale Kingsley Odabi, 35 anni, all’epoca arrestato e residente a Quinto in via Pascoli; il fratello George Odabi, 43 anni, assistito dall’avv. Sonia Negro, e gli americani Christopher Williams, 39 anni, Stephen Harrison, 37 anni, che era domiciliato a Torri di Quartesolo in via del Commercio, ma di fatto risultava latitante per la giustizia italiana, e Ubert Linbergh Aris, 29 anni, difeso dall’avv. Paolo Sorgato.
Se Kingsley Odabi avrebbe avuto il compito di condurre le lucciole a destinazione, introducendole in Italia e riscuotendo il prezzo della loro cessione alle organizzazioni, il fratello George avrebbe mantenuto i collegamenti anche con l’estero dove le lucciole sarebbero state piazzate.
Infatti, dalla ricostruzione della polizia, il gruppo avrebbe operato in più diverse città italiane e in numerosi stati stranieri, come Svizzera, Ungheria, Polonia, Austria, Canada e Nigeria.
Il canadese William Bond, 40 anni, chiamato “Ike”, anch’egli latitante per le nostre autorità giudiziarie e difeso dall’avv. Negro, avrebbe avuto il compito di falsificare e inviare i documenti fasulli dei partecipanti alla ipotizzata associazione per delinquere. Mentre i soldati americani Williams, Harrison e Aris avrebbero fornito la copertura avendo pieno accesso alla base e aiutando Thomas per fargli intestare un’utenza telefonica che non fosse intercettabile dagli investigatori.
Ma c’era anche un via vai di plichi che contenevano documenti falsi per consentire a più persone di muoversi su scala internazionale senza essere scoperte. Come il caso di Onyeka Ugochukwu, 39 anni, soprannominato Ugo, il quale avrebbe accompagnato le connazionali nigeriane da avviare al marciapiede vicentino.
L’arresto di una padovana e di un amico straniero tra il ’95 e ’96 aveva consentito agli agenti di delineare il traffico di “neve” di buona qualità che diede il la ai successivi accertamenti che coinvolsero numerosi individui.
I collegamenti tra la Ederle, Camp Derby a Pisa e una base in Germania consentirono ai detective della questura di scoprire che gli americani favorivano i nigeriani per reperire i documenti falsi, soprattutto passaporti, che servivono per introdurre le nigeriane che partivano da Lagos e giungevano in Italia attraverso l’Olanda.
Una rotta, spiegano oggi gli inquirenti, che viene battuta ancora da altre organizzazioni criminali internazionali, visto che il racket della prostituzione africana, come ricordano le cronache recenti quando ad Alte è stata ammazzata una prostituta di colore, è uno di quelli più remunerativi.
Anche perché Thomas avrebbe agito su scala intercontinentale dato che la cocaina partiva dal Brasile e giungeva in Olanda, da dove veniva smistata in Germania e Italia.
Rubati i soldi delle gite, danni ai locali per circa 20 mila euro
di Anna Madron
Una notte di saccheggi e un risveglio da incubo. Li ha vissuti l’istituto tecnico per geometri Canova, bersaglio di un atto di vandalismo che ha prodotto danni per decine di migliaia di euro. Un disastro scoperto ieri mattina alle 7.30 da Cinzia Bellin, impiegata amministrativa, Annalisa Baccarin e Giuseppe Ventriglia, i collaboratori scolastici che prima di varcare le porte a vetri della scuola di via Astichello hanno infilato come di consueto la chiave nel circuito che avrebbe dovuto disattivare l’allarme. «Mi sono reso conto - spiega Ventriglia - che non funzionava e mi sono insospettito perché l’antifurto era stato inserito, precisamente venerdì alle 14,08, ora in cui ce ne siamo andati via tutti».
È bastata quindi una manciata di secondi per capire che qualcosa di grave era accaduto.
«Nell’atrio c’erano estintori per terra - prosegue il collaboratore - sul pavimento la polvere di marmo fatta uscire dalle bombole». Ma è al primo piano che la scena ha lasciato letteralmente senza fiato: porte in legno divelte sulle quali sono stati inferti calci e colpi di una violenza inaudita, armadi in lamiera, alcuni anche nuovi e ancora imballati, sfondati irrimediabilmente, fotocopiatrici ridotte a pezzi, macchine per il caffè sventrate, stampanti distrutte gettate sul pavimento nero come l’ebano per l’inchiostro fatto uscire apposta dai toner.
Nell’ufficio della segreteria amministrativa, accanto alla porta, la cassaforte che conteneva qualche migliaia di euro, residui di gite e attività varie, è stata scassinata e i soldi rubati. All’interno della stanza l’ennesimo sfacelo: i monitor ultrapiatti dei computer sfondati così come il fotocopiatore il cui valore si aggira, fanno sapere i tecnici, intorno ai 7-8000 euro.
Tutto intorno il caos con vetri e oggetti di ogni tipo sparsi a terra: fogli, documenti, buste, elastici, penne, cartelle, perfino piatti di carta e salviette custoditi negli scaffali e riservati ai momenti di festa. È questo il marasma che si sono trovati davanti carabinieri, polizia e uomini della Digos, quest’ultimi intervenuti anche per una scritta che ha subito attirato l’attenzione.
Una lavagnetta bianca, appesa ad una parete della segreteria, riportava un messaggio firmato “ACAB”, sigla già nota alle forze dell’ordine. Questo il testo: “Acab odia pulae, acab fuma, acab ganja”, parole solo apparentemente sconclusionate sulle quali gli inquirenti stanno indagando.
Anche il preside del Canova, Domenico Caterino, assente per ferie ma informato al telefono dai suoi collaboratori, sta cercando di capire chi potrebbe essersi scatenato con tanta furia all’interno della scuola. «Di furti ne abbiamo subiti tanti - ricorda Robert Mantione, tecnico di laboratorio - ma questa volta è diverso, chiunque sia stato ha infierito in modo spaventoso rubando appena qualche migliaia di euro dalle casseforti e un computer portatile. Tutto qui».
I danni, però, quelli non si contano. A dire il vero l’Amministrazione provinciale un primo conteggio lo ha già fatto, «ventimila euro, ma è una stima decisamente per difetto considerato che sono stati divelti sette armadi blindati, danneggiati infissi, fotocopiatori e cinque computer», dicono gli architetti Cristina Verlato e Maurizio Peron che ieri mattina hanno effettuato un primo sopralluogo all’interno dell’istituto. Al secondo piano è stata presa di mira una cassaforte, nel bar interno le macchine per le bibite e le merendine e infine la palestra.
Anche lì ieri regnava il caos: i palloni sono stati trovati sparsi sul pavimento, quasi fosse stata giocata una partita di calcio, e i contenitori degli attrezzi gettati a terra. Dunque una scorribanda notturna che non ha risparmiato nessuna ala dell’istituto dove l’ipotetica “banda” di saccheggiatori (difficile pensare ad un unico Attila) sarebbe entrata da alcune finestre della scuola lasciate aperte, dal momento che non sono stati trovati segni di infrazione, come riferisce Giovanni Blasutig, comandante della compagnia dei carabinieri di Vicenza.
«Sono finestre a ribalta che non erano state chiuse ermeticamente - spiega Blasutig - probabilmente sono passati da lì». Una volta dentro l’edificio, però, avrebbe dovuto scattare l’antifurto - la scuola è collegata con i vigilantes dell’Ancr - i cui sensori si trovano sul soffitto di aule, corridoi, laboratori e uffici. Invece la sirena non è partita, «diversamente dalla settimana scorsa - raccontano i bidelli - quando è scattata almeno dieci volte e sempre di notte». Ci si chiede dunque cosa non ha funzionato e perché l’allarme, se è vero che è stato attivato alle 14 di venerdì, sia rimasto muto.
Torna la scritta “Acab”
che marchiò Cgil e An
Nel febbraio scorso il raid contro il sindacato e il partito
Fu denunciato un ragazzo ma non era il solo responsabile
(fe. ba.) L’ultima volta che la scritta “Acab” era comparsa sui muri vicentini era inverno, la notte del 18 febbraio. Le scritte furono tracciate con vernice indelebile sui muri della sede di Alleanza Nazionale in piazza Biade e, nella stessa notte, sui muri della sede di via Vaccari della Cgil.
Scritte analoghe furono trovate anche in altre zone della città. Gli investigatori giunsero alla conclusione che le scritte erano una sorta di protesta contro la legge sulle droghe da poco varata dal Governo di centrodestra, visto che il promotore era il leader di An, Gianfranco Fini.
In quell’occasione la Digos, grazie anche alle riprese di una telecamera piazzata sulla palazzina degli uffici del Comune in piazza Biade, riuscì a riprendere i responsabili del gesto.
Gli investigatori della questura riuscirono a stabilire una mappa del raid che presumibilmente era iniziato in viale Industria per concludersi in via Anconetta. Al termine dell’indagine fu fermato e denunciato un diciottenne, che fu accusato di imbrattamento.
I carabinieri del tenente Blasutig (ma alle indagini sta collaborando anche la Digos) stanno ora valutando se vi siano collegamenti tra i due episodi e, soprattutto, se quella scritta è stata vergata effettivamente da appartenenti ad una associazione che si firma con quella sigla.
Certo gli atti commessi all’interno dell’istituto Canova hanno una modalità e una violenza del tutto diversa, anche le scritte vergate con due colori diversi sulla lavagnetta sono da decifrare: “Acab odia pulae” e sotto “Acab fuma” e poi “Acab ganja” con infine la sigla ripetuta ancora.
Acab è l’acronimo della frase inglese all cops are bastard (tutti i poliziotti sono bastardi) ma qualcuno la riconduce al nome del celebre capitano del romanzo Moby Dick.
A Vicenza era comparsa già nel biennio ’96-’98 ed infatti era stata schedata nel database della digos.