Dieci boati contro Prodi: «A casa...»
di Antonio Trentin
Dieci volte evoca il nome del Nemico, per farlo gridare al "popolo di centrodestra" e farlo coprire di vergogna e ludibrio. E altrettante volte i quattromila e passa di piazza dei Signori gli rispondono come chiede, ripetendo quasi come in un gioco perverso quel nome e imputandogli le sventure nazionali presenti e future (dovesse durare al governo, s’intende). «Chi è il premier che ci accusa di immoralità politica?» inizia Silvio Berlusconi dentro il microfono che fa rimbombare la piazza dei Signori a metà mattina di un sabato plumbeo e piovoso. «Prodi!» urla il mare di ombrelli gocciolanti. «Chi è il premier che ha promesso che mai avrebbe aumentato la pressione fiscale?». «Prodi...» lo rassicurano tutti. «Chi è l’unico premier europeo che ha perso il 18 per cento dei consensi?». «Prodi...» si sgola la "piazza dei moderati». E avanti con il duetto palco-piazza fino alla fine di Dieci Comandamenti peccaminosi lanciati dal Cavaliere contro il Professore. Militanza in visibilio e missione compiuta.
Così, con un grandioso colpo scenico che ha messo a tacere i dubitosi sulla sua efficacia comiziale in piazza, Berlusconi ha marcato il ritorno a Vicenza e ha rimesso il suo cappello sulla leadership dell’ormai ex-Casa delle libertà, puntando tutto su un patatrac prodiano a breve scadenza.
L’ha fatto, stavolta, davanti a un pubblico scontatamente amico: non aveva industriali da convincere, come nella magistrale "uscita" di primavera in Fiera, ma militanti da galvanizzare. Niente di più facile, stante il momento politico. Ma grande riuscita: una dozzina di applausi - più i boati anti-Prodi - in otto minuti di discorso.
Si sono ritrovati tutti insieme in comizio per la prima volta dopo la sconfitta, i capi di quella che è diventata opposizione per un soffio di voti. Li ha fatti arrivare Giancarlo Galan, presidente forzista in Regione, per un’adunata trasformatasi da «protesta dei veneti contro una Finanziaria scritta contro il Veneto» in primo assaggio della campagna d’autunno della coalizione. Li ha salutati Manuela Dal Lago, presidente leghista in Provincia, in versione "Pasionaria del centrodestra": «Non passeranno!» ha tuonato contro Prodi e l’Unione. Li ha accolti Enrico Hüllweck, sindaco forzista, che ci ha messo appena dieci parole per arrivare, non unico ma primo, all’inesorabile battuta politico-meteorologica: «Piove, governo ladro».
Una concentrazione di leader unica e irripetibile per Vicenza definitivamente trasformata nell’immaginario della politica da Sacrestia d’Italia a Santuario delle fedeltà berlusconiana.
Anche se il Tridente di centrodestra modello berico visto ieri non è più quello delle elezioni: Pierferdinando Casini latita e a Vicenza non è venuto, mentre il suo segretario nazionale Lorenzo Cesa tiene l’Udc collaterale e non più "organica". Anche se Gianfranco Fini medita traslazioni para-centriste per giocarsi il futuro da leader e ogni tanto si smarca: ieri l’ha fatto parlando molto di lavoro e di equità fiscale nei pochi minuti concessigli dal copione del grande raduno. Anche se adesso c’è la Lega di Umberto Bossi a fare da fedelissima: «Facciamo sentire a Silvio come ricambiamo gli amici...» è stato il ripetuto invito strappa-applauso del capo lumbàrd (previo un sapido ritorno alle origini: «Silvio, ti devo dire che ce l'abbiamo duro ed è per questo che qui è pieno di donne...»).
Ricette alternative di governo, per il momento, nessuno ne detta, a centrodestra. Il farmaco che prescrivono Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega Nord - più l’ex-ministro democristiano Carlo Giovanardi arrivato a dire che naturalmente anche l’Udc è all’opposizione - è soltanto uno e urgente: «Mandare a casa Prodi». Esattamente quanto hanno proclamato decine di cartelli inalberati dagli aficionados di tre regioni e dalle avanguardie militanti dei «tartassati da questa finanziaria» che il centrodestra patrocina, i redditi da 40 mila euro, gli autonomi degli "studi di settore" in revisione, i professionisti "liberalizzati" dal decreto-Bersani.
«Siamo per l’Italia del lavoro contro l’Italia dei sindacati». «Il lavoro è con il centrodestra, il privilegio è a sinistra». «Pagare le tasse in ragione di un principio di equità». «Abbassare il carico fiscale per far emergere il sommerso». Queste sono solo alcune delle parole d’ordine buone a centrodestra per distinguersi da quei «loro» - e il Cavaliere ha preso dentro nella maxi-categoria degli avversari anche Giorgio Napolitano presidente della Repubblica - che «devono tornare a casa». Le hanno rinnovate Berlusconi, Fini e Rosi Mauro, leghista alla quale Bossi, affaticatissimo per la malattia, ha lasciato la parola. Da Vicenza, proclamata dall’ex-premier «simbolo dell’Italia che ci piace», contano tutti insieme che parta la riscossa: «Se siamo uniti - parola del presidente di An - il conto alla rovescia per la fine del governo Prodi è già cominciato».
Tormentone prima e dopo l’arrivo dei big nazionali sul palco
Una fetta di Lega fa sabotaggio
con i fischi all’inno di Mameli
Zaia: «Volevamo anche “Va’ pensiero”...». Ma non è bastato
Fischi leghisti all’inno di Mameli. Una volta, due volte... tutte le volte. Come ai bei tempi della secessione nordista. Partono sparsi dalla piazza, pochi rispetto alla quantità di chi (non leghista) intona "Fratelli d’Italia". Salgono tra gli ombrelli su cui sventolano le bandiere crociate e quelle col liòn serenissimo, dove i cartelli - dopo cinque anni di governo - sono tornati a tuonare "Basta tasse. Basta Roma".
Alle prime bordate il palco dei big è ancora sguarnito e nessuno sente né dice niente. Alle ultime, un’ora dopo, i capi di Forza Italia e Alleanza nazionale non ci badano: non hanno certamente la voglia di rovinare la festa né di prendersela con gli amici di Umberto Bossi che chiede l’applauso per «l’amico Silvio».
Il tormentone degli inni comincia verso le dieci e mezza, mentre i manifestanti s’infradiciano sventolando vessilli. Forse Berlusconi e gli altri leader stanno per scendere dal municipio, forse la regìa è fuori tempo. Partono le note dell’inno nazionale ed è subito "caso". Per capirsi: in piedi uno accanto all’altro sotto la loggia del Capitaniato, l’aennista Adolfo Urso e il leghista Stefano Stefani ascoltano e uno canta e l’altro no, ma tra la folla succede di più. Partono i sibili e non si fermano finché il disco non finisce.
C’è chi dice di non essersene accorto: forse è per spirito di coalizione, che già ha i suoi problemi e non è il caso di aggiungerci quelli musicali. Fatto sta che le italiche note appena finiscono inaspettamente ripartono con un bis: una risposta immediata ai fischi? Se davvero è così, ecco che questi, implacabili, ripartono anche loro e che poco dopo non risparmiano neanche l’europeo inno alla Gioia. Poi va avanti così ogni volta che tocca a Mameli e Beethoven: il sottofondo è fatto di contestazione sibilata.
La scampa, più tardi, solo il Va’ pensiero suonato dopo che ha parlato Rosi Mauro con accanto il Capo nordista. E la scamperanno, alla fine, gli inni di Forza Italia che metteranno il timbro alla mattinata vicentina. A quel punto ai leghisti "duri & puri" che si erano organizzati per esserci - e i vicentini coinvolti l’hanno fatto sapere poi in giro - non interessava più farsi ascoltare: l’obiettivo l’avevano raggiunto.
Intanto i risvolti sono corsi veloci lontano da piazza dei Signori: la notizia è finita in internet subito, nelle pagine dei quotidiani nazionali on-line, e fioccano i commenti, compreso quello illustrissimo del Montezemolo presidente confindustriale («una cosa vergognosa, una forma di populismo che non ci piace, una cosa non da paese moderno»). Ci mette una pezza, a spiegazione, Luca Zaia, vicepresidente leghista della Regione: «Abbiamo fischiato - dirà alla fine - perché volevamo ascoltare anche "Va’ pensiero"». Vero così così, perché di fischi ne erano volati anche dopo il Verdi padano. Ma lo spirito di coalizione è salvo. Come ribadito anche dal portavoce di An, Andrea Ronchi: «Deprechiamo e condanniamo i pochi fessi che hanno fischiato l’inno di Mameli, ma con questo episodio la sinistra non tenti di annullare il grande valore politico della manifestazione».
La fantasia della folla vista dai piani alti della città
Da “Mortadella scaduta”
a “Settimo, non rubare”
ecco gli striscioni in libertà
(ma. sm.) Com’è colorata la folla vista dai piani alti della Basilica Palladiana. La pioggia ce la mette tutta per stendere una patina di grigio sui vessilli dei partiti di centrodestra, ma gli ombrelli si vendicano sparando le tinte più disparate contro il cielo plumbeo. Che fatica, però, arrivare in vetta. Se non ci fossero stati il presidente del Consiglio provinciale, Paolo Pellizzari, e il difensore civico, Massimo Pecori (che ha l’ufficio con vista piazza), però, questo resoconto non sarebbe stato possibile, visto che dal recinto riservato alla stampa, all’interno della Loggia del Capitaniato, non si poteva certo apprezzare il quadro d’insieme e il genio dei compilatori di striscioni.
La curiosità, per la verità, è partita proprio al piano terra, lungo il tappeto azzurro che conduceva gli illustri oratori sul palco principale. Su quel percorso Forza Italia di Schio aveva esposto un lenzuolo con stampato un ipotetico sito internet: "www.mandiamoloacasa.gov". Visto che la fantasia degli anti-Prodi sembrava non aver limiti, non è restato che arrampicarsi sul tetto della città e scandagliare la grafomania della Casa delle libertà.
Proprio sulla sede di Alleanza Nazionale, al lato opposto del palco, i seguaci di Fini hanno sentito il bisogno di ricordare un comandamento al governo attuale: «Settimo: non rubare». Ogni riferimento alla finanziaria è puramente voluto.
A Berlusconi, poi, non sarà sicuramente sfuggito il toccante invito, esposto a caratteri cubitali sulle finestre di un’altana poco sopra la stessa sede di An: «Silvio adottami». Dolori della solitudine, acuiti dalla beffa elettorale dell’aprile scorso.
In mezzo alla folla, invece, campeggiava un "Mortadella scaduta", che è parso più un auspicio che una segnalazione ai carabinieri del Nas. E mentre si cercavano altri poeti e autori, dal palco veniva in aiuto Umberto Bossi: «Una volta c’era l’esproprio proletario, oggi c’è l’esproprio ai proletari». Annotate, ragazzi, annotate. Potrebbe venir buona per il prossimo appuntamento in piazza.
Un altro striscione, ispirato probabilmente da Standard & Poor’s, riassumeva così la situazione economica del nostro Paese: «L’Italia oggi declassata domani Schioppa». Non che fili benissimo, ma rende l’idea. Chiusura con una lenzuolata letteraria griffata Itc Rossi: «Noi con Silvio, tre metri sopra il cielo». Un cielo dispettoso che ieri continuava a mandare su piazza dei Signori acqua a catinelle, senza però stingere i colori della folla.