22 DICEMBRE 2004

dal Giornale di Vicenza

"Basta beneficenza, servono piani"
Teatro, ancora niente bustapaga "ora ci deve pensare il Comune"
Gli studenti bocciano il trasporto pubblico.
«L’Unione degli Studenti ci accusa ingiustamente»

Il welfare in crisi
«Basta beneficenza, servono piani»
Don Sandonà: Non possiamo farci carico delle povertà due volte all’anno

di Chiara Roverotto

- Don Giovanni Sandonà che cosa mettono in luce i dati di questa ricerca?
«I nodi critici del sistema di protezione sociale locale. Innanzitutto, come ha spiegato recentemente in un’intervista anche il presidente della commissione d’indagine sull’esclusione sociale del ministero del Welfare, Giancarlo Rovati, aumenta la fragilità delle famiglie e le separazioni stanno diventando un fattore di rischio e di povertà. Si tratta di realtà nuove, che richiederebbero interventi specifici e un aggiornamento delle reti di sostegno familiare. Gli ordinari sussidi economici sembrano inadeguati a fornire risposte efficaci».
- E sugli immigrati?
«Sulla base dei numeri possiamo constatare che i percorsi repressivi della legge Bossi-Fini non hanno saputo contenere, e forse neanche ridurre, irregolarità e clandestinità. Servirebbero percorsi meno burocratici e più permanenti, capaci cioè di regolarizzare subito chi ne ha i requisiti. L’attuale sistema di norme, infatti, rende difficile la regolarizzazione: da un lato sta favorendo il ricorso al lavoro nero, dall’altro spinge molti immigrati verso la precarietà e l’illegalità. E li vediamo al ricovero notturno: operai edili che lavorano, ma non hanno il permesso e quindi alcuna tutela».
- Si punta il dito anche sul problema casa, del resto in città la situazione è critica.
«Manca in generale un’efficace politica della casa. Quando parliamo di esclusione sociale conclamata, la sola offerta di un alloggio come occasione di promozione sociale appare una soluzione precaria. Ha senso, ad esempio, assegnare una casa a una persona che vive l’esclusione, se poi viene lasciata sola? Non significa di fatto scavarle la tomba? Se la casa, infatti, è una risposta necessaria, non è altrettanto detto che un percorso di inclusione sociale sostenibile significhi assenza di altre forme di promozione umana. Non si potrebbe pensare a piccole convivenze assistite, a misura familiare e condizionabili alla disponibilità dei soggetti a percorsi di integrazione? Senza questi percorsi complessivi, pur avendo un tetto sopra la testa, si può infatti incorrere in una regressione escludente la persona. Senza contare che l’aumento del lavoro precario mette in crisi le prospettive per il futuro di molte famiglie, ma diventa devastante per chi vive sulla sua pelle una situazione di esclusione sociale».
- Case, lavoro, immigrati, anziani: il welfare sta scoppiando?
«Il bisogno di assistenza sociale sta aumentando per quantità, per qualità e in complessità, ma le risorse economiche disponibili sono sempre meno. Il sistema dei servizi sociali esige oggi più che in passato una multidimensionalità che nelle intenzioni e nei fatti non viene favorita. La dimostrazione più recente arriva dalla bocciatura nella Finanziaria della normativa sulle detrazioni fiscali a favore delle onlus. Servirebbe una mobilitazione delle risorse dell’intera comunità, che mettesse in rete le istituzioni, ma anche la famiglia, il vicinato, il terzo settore, il volontariato, le associazioni di categoria, con la definizione di obiettivi condivisi e con strumenti concertati. Invece predomina una visione personalistica ed individualizzata dei ruoli istituzionali e non».
- Insomma, mettere tutti d’accordo non è semplice?
«Nel sociale siamo di fronte ad un agire per lo più improvvisato, che rincorre le emergenze. Mi chiedo: quali politiche sociali sono previste a livello locale e nazionale per i prossimi anni? Sono note le finalità o si tratta di un agire mosso da impulsi reattivi più che di una vera progettualità? Non ci sono nè un filo conduttore né solide basi su cui fondare una programmazione, come d’altronde non sembra possibile per chi opera sul territorio trovare una controparte che fornisca le proprie linee politiche e un contesto progettuale di riferimento chiaro e progressivo, almeno di un quinquennio».
- In pratica si sta facendo beneficenza?
«Il sistema di beneficenza avanza afono se non si interroga sulle cause del disagio che si impegna di "curare", rischia di diventare una resa muta e invisibile all’omologazione buonista che una o due volte l’anno si fa carico della povertà e della sofferenza privandole di ogni inquietante interrogativo, dettato da una diversità che continua a far paura perché obbliga al confronto e a rivedere i propri schemi di giudizio. Si è resi poveri attraverso politiche di welfare inique, l’assenza di servizi, l’abbandono e l’isolamento, la dimenticanza, la bassa qualità della vita, la povertà delle relazioni. Parlare di povertà e di precarietà significa interrogarsi su cose concrete, che riguardano il modello di sviluppo della nostra società: dall’organizzazione dei servizi, a quella del mercato del lavoro, ai diritti sociali, ai modelli di riferimento dell’identità».

Stranieri ma anche italiani Caritas come ultima spiaggia
Non hanno lavoro, casa e spesso sono divorziati o separati Gli immigrati sono irregolari e hanno bisogno di assistenza

(c. r.) Nel 2003 le persone che si sono rivolte allo Sportello accoglienza e allo Sportello donna della Caritas di contrà Torretti sono state 1.383 (1.107 immigrate e 276 italiane), sono stati realizzati 1.743 interventi ed erogate 1.868 prestazioni, di natura economica e non solo. Da notare il notevole trend di crescita del bacino di utenza, che in quattro anni è quasi triplicato (»145%). « Complessivamente - spiega Cristina Ghiotto, che ha curato al ricerca - si tratta di una povertà monetaria, materiale e culturale: la mancanza di un reddito o la sua insufficienza a garantire standard di vita minimi è riscontrabile nell’ 86,1% delle persone, mentre 6 volte su 10 ad esso si associa la mancanza di un’abitazione. Analizzando l’età emerge un dato significativo: aumenta la presenza dei giovani sotto i 30 anni (21,1%) e una contrazione della fascia anziana, a conferma del fatto che le persone in età avanzata in difficoltà trovano altri interlocutori locali ». Secondo la ricerca la mancanza di un reddito o la sua insufficienza caratterizza il 51,8% degli italiani che si sono rivolti alla Caritas. Solo uno su quattro sta vivendo un rapporto coniugale, la metà non ha mai costruito la propria famiglia, e aumentano sempre più quelli che vedono dissolversi il proprio vincolo matrimoniale (18,9%). Più della metà non è inserita nel mercato del lavoro, pur essendo in età favorevole (il 56,7%). Alla Caritas le persone italiane in difficoltà chiedono, soprattutto, un aiuto di tipo assistenziale (66,1%), che si traduce prevalentemente nella richiesta di sussidi economici (33,8%) e in soluzioni alloggiative di fortuna (26,2%). «D ai numeri - continua la ricercatrice - emerge tutta la debolezza della rete relazionale e il limite funzionale dei servizi pubblici che dovrebbero intercettare la domanda e i bisogni sul territorio: la maggior parte infatti (il 56%) dichiara di non essersi rivolta a nessuno in precedenza per chiedere aiuto. Si tratta di risultati che mettono in luce anche l’inadeguatezza del sistema di protezione sociale, che non risulta essere in grado di prevedere risorse aggiuntive per chi non rientra nei requisiti che danno diritto a forme assistenziali pubbliche. Ne è una riprova il fatto che gli stessi servizi pubblici rinviano una parte dei casi proprio alla Carit as» . Il 47,5% degli immigrati che bussano alle porte della Caritas non ha il permesso di soggiorno, e questo vale soprattutto per le donne (54%) mentre gli uomini sono al 39,5%. Quali bisogni esprimono le persone straniere che si rivolgono alla Caritas? Essenzialmente assistenziali (51,6%): in particolar modo richiesta di sussidi economici (23,9%) e di soluzioni alloggiative temporanee (24,6%).


Teatro, ancora niente buste-paga «Ora ci deve pensare il Comune»

di Chiara Roverotto

Ieri hanno lavorato malgrado le proteste, oggi lo faranno perchè sperano di essere pagati prima di sera. In viale Mazzini la storia si ripete, anzi si ripropone con gli stessi personaggi, il medesimo copione e con un finale che, come sempre, resta sospeso tra le promesse che arrivano dalla ditta che ha vinto l’appalto per la costruzione del teatro - la Cogi di Firenze - e l’Amministrazione comunale che, in più occasioni, ha stigmatizzato il comportamento dell’impresa toscana, senza mai intervenire in maniera incisiva.
« Vorrà dire che toccherà a noi passare dalle parole ai fatti - dice Antonio Toniolo, segretario della Fillea Cgil - ormai questa situazione non può andare avanti, anche perché manca parecchio tempo alla conclusione dei lavori ». Ma che cosa hanno in mente i sindacati? « Praticamente - prosegue Toniolo - faremo valere l’articolo 13 del capitolato generale d’appalto nel quale si dice, senza mezzi termini, che se la ditta appaltatrice non è in grado di pagare le maestranze quest’ultimo compito spetta al committente, nella fattispecie all’Amministrazione comunale. E pur di mettere la parola fine a questa storia che, purtroppo, si ripete quasi ogni mese, faremo anche questo.... ». Insomma, un segnale forte quello che arriva dal sindacato senza contare che in questi ultimi mesi i blocchi e gli scioperi all’interno del cantiere sono stati tantissimi. E tutti per lo stesso motivo: la ditta non pagava gli operai. Al riguardo sono intervenute in più occasioni le minoranze che con interrogazioni urgenti chiedevano spiegazioni al sindaco. « Evidentemente qualcosa non funziona - prosegue il rappresentante sindacale - non è possibile che la ditta che gestisce il cantiere più importante della città abbia in continuazione problemi di liquidità per pagare gli operai. Senza dimenticare le minacce dell’amministratore delegato, il quale ha sostenuto che non avrebbe pagato gli operai, o meglio lo avrebbe fatto dopo Natale, se avessero fatto sciopero ancora una volta. Queste cose sono inaccettabili, ed è ora che il Comune se ne renda conto ».


Gli studenti bocciano il trasporto pubblico
"Pollice verso" da una ricerca degli allievi del Montagna Presentato il libro sui diritti dei giovani e sulla difesa civica

(fe. ba.) Quali sono i diritti dei giovani, e quali gli organismi preposti alla loro difesa? Queste domande sono state poste dall’ufficio del difensore civico di Vicenza ad alcuni studenti del Montagna, circa 160, seguiti attraverso un percorso di sensibilizzazione sui diritti fondamentali dell’uomo iniziato ancora con il precedente difensore civico, Francesco Buso. Gli studenti, che hanno chiesto di approfondire il tema del trasporto pubblico hanno assegnato una insufficenza al servizio di trasporto locale, giudicato inadeguato e troppo costoso. Il progetto di educazione ai diritti umani prende il via come una "costola" di una iniziativa più ampia denominata "Difesa civica e diritti umani a Vicenza" che si è svolta nell’arco di dodici mesi tra il 2002 e il 2003. Il progetto ha coinvolto anche altre associazioni del territorio quali l’Arciragazzi, l’Associazione diritti umani-sviluppo umano (Adusu), la cooperativa sociale La linea dell’Arco ed è costata circa 36mila euro, 10mila dei quali versati dalla Regione.Massimo Pecori, difensore civico subentrato a Buso nel febbraio 2004, ha presentato ieri nero su bianco nelle pagine del volume "Stand up for your rights", i risultati del lungo lavoro. Gli scopi dell’iniziativa erano quelli di avvicinare le principali associazioni che operano per la tutela dei diritti umani all’ufficio del difensore civico, e di incentivare il ricorso a questo canale privilegiato per le proprie "battaglie". Per migliorare e rendere più rapido il collegamento tra le parti è stato realizzato un forum online sul sito del difensore civico. Infine è stata avviata un’iniziativa di educazione ai diritti umani rivolta sia ai docenti che agli studenti di istituti superiori terminato nell’estate del 2003. Questa è forse la parte più interessante perchè ha coinvolto circa 160 studenti del Montagna, con i quali si è discusso d’informazione e di partecipazione attiva, concetti contenuti nel Libro Bianco della commissione europea e che erano stati alla base anche del Forum dei Giovani promosso dalla Regione Veneto a Jesolo due estati fa. Gli studenti hanno così aperto un canale di dialogo con il difensore civico, ma hanno proposto anche un tema di particolare interesse per loro: il trasporto pubblico. Un questionario è stato distribuito fra i 160 studenti, quasi tutti provenienti da fuori città. Una proposta spontanea che ha portato a conclusioni non troppo lusinghiere, da quanto si legge nel sunto delle risposte. Gli studenti si sono infatti lamentati per i ritardi delle corse, gli orari difficili, il servizio non eccezionale con corse sempre affollate nelle ore di maggiore utilizzo dei bus, autolinee e treni. Giudizi negativi anche sulle condizioni dei mezzi giudicati sporchi, vecchi, inadeguati e con scarso rispetto delle norme di sicurezza. I principali utenti dei mezzi pubblici hanno puntato il dito anche sui costi che variano dai 30 euro mensili per chi utilizza i mezzi urbani ai 50 per il treno o la corriera. Il voto assegnato al trasporto pubblico dagli studenti del Montagna è stato in media un’insufficenza (5). Il punto di vista degli studenti ha preso la forma di un video, che aveva come tema il sovraffollamento dei mezzi pubblici.


- Azione studentesca
«L’Unione degli Studenti ci accusa ingiustamente»

Dopo aver trascorso un fine settimana in allegria a seguito della lettura dell’articolo “Carta giovani, l’assessore di AN chiama i suoi e l’UDS si arrabbia per i ritardi”, sono ora costretta a rispondere per rimediare ad alcune imprecisioni. Quando nasce il “caso”? Allorché, invitati ad una riunione della Consulta provinciale degli Studenti assieme ad un esponente dell’UDS, abbiamo reso noto il nostro progetto di Carta Giovani al quale stiamo lavorando da mesi e che è già da tempo stata portato all’attenzione dell’assessore comunale Arrigo Abalti. Quello che francamente ci stupisce sono le accuse, ingiuste, rivolteci dall’Unione degli Studenti. La proposta alla quale stiamo lavorando coincide solo in parte con quella dell’UDS, tant’è che abbiamo coniato lo slogan “Non di sola elemosina vive il giovane”, per sottolineare come la nostra idea per una Carta Giovani non si limita a ricercare qualche sconto negli esercizi commerciali convenzionati: anche nel nostro progetto sosteniamo l’esigenza di venire incontro alle esigenze economiche di chi studia, o comunque dispone di autonomia finanziaria limitata, con sconti nei negozi convenzionati, ma la nostra proposta non si limita a questo. Noi chiediamo una Carta PartecipAttiva, che divenga uno strumento per incoraggiare il giovane alla partecipazione, al confronto e alla responsabilità. Senza dilungarmi nella spiegazione del progetto, noi chiediamo una Carta che sia uno strumento per mettere in comunicazione diretta il giovane con il mondo che lo circonda: istituzioni, associazioni, scuola, mondo del lavoro, tempo libero; il tutto raggiungibile da uno spazio telematico a disposizione dei possessori della Carta PartecipAttiva, da una piazza virtuale che non sostituisca quella vera, ma che sia un modo di sfruttare le moderne tecnologie a vantaggio del giovane. Come si può capire da queste poche righe, non vi è - a differenza di quanto sostenuto dall’Unione degli Studenti - nessuna volontà di attribuirci la paternità della Carta Sconti proposta dall’UDS. Seconda imperfezione nella critica dell’UDS. La presunta minaccia di veto nella materia in questione, una specie di “o con noi, o la carta non si fa”. In sede di riunione in Consulta, Azione Studentesca si è detta disposta a lavorare ad un progetto comune, e possibilmente condiviso, di Carta Giovani con la Consulta stessa, con le altre organizzazioni studentesche e con i singoli studenti. Tanto da affermare che nel felice caso di approvazione del nostro progetto da parte della Consulta - con i naturali perfezionamenti - non avremmo avuto nessuna gelosia a che tale progetto sia presentato a nome della Consulta stessa. Riteniamo che la Carta PartecipAttiva sia un bene per gli studenti e per i giovani in generale; non interessa mercanteggiare sul fatto che nella proposta finale della Consulta ci sia più proposta originale di Azione Studentesca o quella di altre parti. Noi abbiamo messo a disposizione la nostra esperienza, la nostra forza, le nostre intuizioni. Nient’altro. Chiudo questo mio intervento chiarificatore con una ulteriore considerazione sull’UDS, questa volta non sul loro operato ma sulla loro identità: dall’articolo di giornale si apprende che essi non sono un’associazione di sinistra perché nel loro statuto si dichiarano associazione apartitica. A parte la differenza tra il termine apolitico e quello apartitico nota a tutti, e spero anche al loro Statuto, permangono dei dubbi. Avere la sede in casa della CGIL è una mera coincidenza? Che Guevara, tanto presente nei loro cortei e nel loro abbigliamento, viene sbandierato perché nella sua vita fu un importante rappresentante studentesco? Possiamo considerarli apolitici come da essi dichiarato sul giornale? All’interno dell’UDS sono confusi sulla loro identità o si vergognano di ciò che sono? Comunque sia, non ci fanno una bella figura.
Sara Berlato
Responsabile provinciale Azione Studentesca