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23 MARZO 2006 dal Giornale di Vicenza
L’Alta velocità passerà per Vicenza
L’Alta velocità passerà per Vicenza di Gian Marco Mancassola
Ora è ufficiale: l’Alta velocità passerà per Vicenza. La lunga attesa è finita. Ieri a Roma si è riunito il Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica. Dalla seduta sono stati sfornati decine di progetti. Nel mucchio, c’era anche la tratta della Tav fra Verona e Padova, il tassello che mancava sull’asse della pianura Padana. Il via libera riguarda la variante al progetto presentato nel 2003 dalle Ferrovie. I supertreni non correranno più lungo binari affiancati all’autostrada, ma lungo i binari, potenziati, ammodernati e raddoppiati, della linea storica. Questo significa che passeranno attraverso la stazione del capoluogo berico.
Le scritte Acab ora ha un nome Denunciato studente Caserma Chinotto: identificato anche un altro vandalo (d. n.) Identificato e denunciato uno dei giovani che ha tinteggiato i muri della città con gli slogan di Acab, che si dichiarava in lotta contro i “servi” del sindacato, contro Gianfranco Fini e a favore dell’antiproibizionismo. La Digos ha segnalato in procura P. V., 18 anni, studente del Lampertico, che abita in zona Anconetta. Frequenta il Capannone sociale, partecipa alle iniziative dell’Unione degli studenti e del Coordinamento studentesco, non ha precedenti penali ed è accusato di imbrattamento e danneggiamento per le scritte comparse sulla sede della Cgil in via Vaccari, su quella di An in piazza Biade e su parecchi altri stabili, da Anconetta a corso S. Felice. La polizia sta cercando almeno un altro complice. Era la notte del 18 febbraio scorso quando alcune persone, con pennarelli indelebili, vergarono sul portone di An e quindi in via Vaccari delle scritte contrarie alla nuova legge sulla droga e di attacco politico al sindacato, meritando parole pesanti da parte degli esponenti politici. Successivamente si scoprì che analoghe frasi, sempre firmate Acab (con la dicitura Achab è il capitano che voleva ammazzare la balena bianca Moby Dick nel celebre romanzo di Melville, ma in realtà è acronimo di All cops are bastard, cioè letteralmente “Tutti i poliziotti sono bastardi”), campeggiavano in altri muri di Vicenza. La sigla non era sconosciuta in questura: scritte analoghe però risalivano al biennio 1996-98. Quella notte le telecamere installate dal Comune in piazza dei Signori e in altri punti del centro storico filmarono almeno un paio di persone impegnate a scrivere davanti alla sede di An. Le registrazioni però non permisero di riconoscere gli autori, anche perché erano coperti dal cappuccio e l’oscurità non permetteva una visione chiara. Grazie alle riprese, però, i poliziotti della Digos, guidati dal vicequestore Eduardo Cuozzo, riuscirono a farsi un’idea dei movimenti dei writers nostrani. Gli investigatori costruirono una mappa delle scritte riuscendo a scoprire come i giovani fossero partiti da viale dell’Industria per concludere l’opera in zona Anconetta. Come a dire che erano arrivati a casa. I sospetti si concentrarono su V., e i poliziotti ottennero dal pm Barbaglio un mandato di perquisizione. In casa non furono trovati pennarelli, ma un foglio di quadernone in cui campeggiava la scritta Acab, vergata con le stesse caratteristiche grafiche: a tradire V. sarebbe stato il tratto con cui legava la seconda A con la B. Identico, secondo gli inquirenti, sia sui muri che sul quadernone. Il vicentino È stato denunciato e nelle prossime settimane sarà sentito. Nel frattempo proseguono gli accertamenti per individuare il complice. Un secondo ragazzo, D. S., 17 anni, studente residente in città, è stato denunciato dalla Digos alla procura dei minori per imbrattamento. Gli agenti lo hanno riconosciuto dai filmati fra le 7-8 persone che il 19 gennaio scorso, durante la manifestazione dei Disobbedienti con Luca Casarini davanti alla caserma Chinotto con la Gendarmeria europea, mentre scriveva sui muri alcuni slogan, fra cui “Stop global war”. È stato riconosciuto fra la folla di giovani grazie al fatto che portava un casco e un passamontagna che poi si è tolto. Gli altri sono ancora in via di identificazione.
Il Lisipo chiede aiuto alla Regione per la questione degli appartamenti delle forze dell’ordine «Sfratti? Scriveremo a Galan» «Dovevano avvisarci prima: molti si troveranno su una strada» «Scriveremo al presidente Galan e al Ministero per chiedere consiglio e aiuto: la situazione per molti nostri colleghi è pesantissima». A parlare è Tonino Curci, segretario provinciale del Libero sindacato di polizia (Lisipo), che è intervenuto sulla questione degli appartamenti agli appartenenti alle forze dell’ordine. In città sono centinaia gli operatori della sicurezza che vivono in abitazioni dell’Ater e che pagano un affitto proporzionato al reddito. L’azienda territoriale ha comunicato a coloro che sono andati in pensione o alle famiglie di coloro che sono mancati che devono lasciare gli appartamenti. Lo prevede la legge regionale, quando si sia conclusa l’attività di poliziotti, carabinieri, finanzieri o agenti di polizia penitenziaria. «Non vogliamo certo violare le leggi ma chiedere aiuto per i nostri colleghi - precisa con pacatezza Curci -. Ad una certa età, fra i 50 e i 60 anni, non c’è nessuna banca che dà un mutuo per comprarsi una casa, per la quale i pensionati hanno tempo un mese. Ci chiediamo perché la comunicazione non sia arrivata prima (è arrivata anche a chi è in pensione da 10 anni), perché al momento della stipula del contratto questo aspetto non sia stato evidenziato maggiormente. Il mutuo sarebbe stato fatto prima. Senza dire che a tutt’oggi ci sono degli alloggi sfitti: perché non occupare quelli prima di mandare via chi vive da decenni in un appartamento? Molte famiglie sono molto preoccupate, non sanno dove andare a vivere. Cerchiamo una soluzione condivisa».
Alessandra Mussolini ha presentato i candidati vicentini di Alternativa sociale «Leggi Biagi e Bossi-Fini: con noi Berlusconi è deciso a cambiarle» L’accordo con il premier prevede una revisione delle due normative (a. t.) Conterà anche meno dell’1 per cento elettorale - come misurano i sondaggi del Cavaliere diffusi dai suoi aficionados, quando si tratta di minimizzare l’accordo di febbraio - ma è una percentualina comunque importante, tra venti giorni alla conta dei voti per il Parlamento, quella che Alternativa sociale apporta alla Casa delle libertà. Il premier lo ha riconosciuto e ha dato spazio ai numeri (piccoli) e alle idee (pugnaci fino al confine della conflittualità con chi nella coalizione già c’è da sempre) dell’estrema destra. Ed è proprio per questo che la federazione imperniata sul nome di Alessandra Mussolini può oggi vantare ed esibire almeno un paio di potentissimi e controversi propositi programmatici firmati con Silvio Berlusconi: il primo è la modifica della legge Biagi («con noi il premier si è impegnato a cambiarla») e il secondo un ritocco nel concreto della legge Bossi-Fini («una legge di sinistra, è stata una sanatoria»). Se ha ragione la Mussolini - che ieri era a Vicenza per una tappa del suo tour d’incontri con la stampa e la militanza nel Nord Est e in Lombardia - due punti-chiave dell’attività di governo del centrodestra nel passato quinquennio verranno messi in discussione. Il primo nel senso dell’apertura al “sociale”: «Restiamo colpiti quando incontriamo le famiglie che hanno in casa giovani di trent’anni col lavoro precario». Il secondo nel senso di una chiusura restrittiva delle norme: «A partire dall’espulsione nei paesi d’origine dei detenuti extra-comunitari perché scontino lì la pena». Mussolini & C. a Vicenza, dunque, accolti dalla dirigenza di Azione sociale e Forza Nuova (manca qui il Fronte nazionale, terza componente del trifoglio della «Destra che non rinnega il passato» e resta fedele al non nominato ma incombente messaggio politico post-fascista) e venuti a spiegare il perché della ’normalizzazione’ che li ha portati in uno schieramento elettorale che contestano («c’è troppo centrismo»). La leader ha fornito così la spiegazione: «Perché Silvio Berlusconi ha stretto con noi quel patto. Perché portiamo nel centrodestra una caratterizzazione di destra. Perché sono state accolte le nostre idee sulla difesa della famiglia, dell’identità nazionale, dell’intervento sociale dello Stato». In contraccambio? Praticamente niente, se si misura con l’abituale metro delle poltrone: «Noi non abbiamo posti sicuri garantiti nelle liste di Forza Italia, come fanno i segretari di qualche altro partito» ha punzecchiato la Mussolini contro i democristian-socialisti di Gianfranco Rotondi e Gianni De Michelis o i repubblican-forzisti di Giorgio La Malfa. O praticamente molto, se si considera l’eccezionale sdoganamento politico che porta - caso più unico che raro in Europa - l’estrema destra accusata di xenofobia e nostalgie “nere” in un’alleanza di governo. «Siamo contro il centrosinistra che è il Male Assoluto e l'Antivalore per eccellenza. Combattiamo le Sacre Battaglie su patria, tutela sociale, famiglia, religione» dichiara Roberto Bussinello, capolista al Senato nel Veneto, presente ieri a Vicenza con Alessandra Mussolini. «La nostra presenza, con nostre liste, nella coalizione è un fatto importantissimo - aggiunge Paolo Caratossidis, multicandidato alla Camera in giro per l'Italia, con una sfida a Alleanza nazionale - perché siamo catalizzatori di una Destra che non accetta di finire nel pantano centrista». «Quello per Alternativa sociale - completa Alex Cioni andando in cerca di voti degli aennisti meno morbidi e meno finiani - stavolta è un voto utile». Utile anche se l'obiettivo elettorale è difficile: Alternativa sociale ha come speranza principale quella di raggiungere la 'soglia minima' del 2 per cento nazionale, che vorrebbe dire una dozzina di deputati (ma niente senatori, che 'costano' proibitivamente in termini di voti). «Possiamo farcela, sarebbe una sorpresa che farebbe venire un attacco a qualcuno che so io...» profetizza la Mussolini. In alternativa, l'estrema destra può sperare nelle bizzarrie di una legge elettorale che non le piace («è altamente penalizzante per le formazioni che si presentano fuori dagli schieramenti maggiori»): in pratica che i concorrenti diretti nella classifica dei 'migliori perdenti' di centrodestra (il tandem Dc-Autonomisti/Nuovo Psi) facciano loro il 2 per cento e lascino al marchio-Mussolini il posto in graduatoria come 'miglior perdente' della coalizione. Una sconfitta? No, un guadagno, perché il piazzamento a ridosso dei vincenti varrebbe comunque una decina scarsa di posti a Montecitorio. Come? Proprio grazie a uno dei marchingegni della «porcata» congegnata dall'ex-ministro leghista Roberto Calderoli.
Nel 2001 gli scontri fra no global e polizia Genova, la testimonianza di un geometra scledense al processo sui fatti del G8 (m. sar.) Un pomeriggio di follia, sfociato in una carica delle forze dell’ordine che provocò un fuggi fuggi generale e una ventina di contusi solo fra i partecipanti alla manifestazione partiti da Schio. Al processo per i fatti di Bolzaneto, risalenti al 21 luglio 2001 durante il G8 di Genova, ieri l’attivista scledense di Rifondazione Comunista Claudio Benetti, 49 anni, geometra con la passione per il volontariato nell’Agesci, associazione dei boy scout, è stato chiamato a testimoniare su quanto accadde nella caserma. Ma anche a rammentare quel terribile sabato in una Genova assediata da no global e polizia, mentre ancora l’Italia e il mondo intero erano scossi dalla morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda. «Pensavamo che la tragica fine di Giuliani provocasse defezioni nella nostra comitiva - ricorda Gianmarco Anzolin, attuale segretario dei “rifondatori” e uno dei promotori della spedizione scledense -. Invece siamo riusciti a riempire ben quattro pullman in partenza da Schio. Tutto è filato liscio al mattino, ma al pomeriggio, quando eravamo in corteo e stavamo pacificamente cantando “Bandiera rossa”, siamo stati imbottigliati e caricati dalla polizia. La maggior parte di noi è riuscita a fuggire, ma almeno una ventina di persone ha riportato ferite e botte. Claudio è rimasto intrappolato». «Non sono riuscito a scappare - conferma Benetti, raggiunto ieri pomeriggio al telefono mentre stava ritornando dopo aver deposto al tribunale genovese -. Mi sono ritrovato schiacciato addosso a un muro, coperto dai gas dei lacrimogeni dai quali mi sono difeso indossando un passamontagna bianco. Un poliziotto mi ha accusato di essere un lanciatore di pietre e, nonostante i miei dinieghi, sono stato condotto alla Fiera per essere perquisito, insultato e colpito con calci alle gambe. Quello più tremendo è stato un pugno allo sterno che mi ha lasciato boccheggiante. Il mio medico a Schio ha riscontato un ematoma di sei centimetri di diametro». Secondo quanto racconta Benetti, le percosse e le sopraffazioni continuarono a Bolzaneto, dov’egli è rimasto fino al pomeriggio del giorno successivo, quando è stato tradotto al carcere di Alessandria, da cui è stato liberato in tarda serata. «Ci siamo trovati sulla strada, senza la notifica di un capo d’accusa, senza mai aver potuto telefonare ad un avvocato: solo dopo ho saputo che i compagni di Schio ne avevano già messo al lavoro uno». Nella deposizione di Benetti non ci sono solo ricordi dolorosi: «All’inizio della notte sono stati di guardia i carabinieri - ha riferito ieri ai magistrati - ed è stato il periodo migliore. Ci hanno lasciati per qualche tempo seduti, ci hanno portato dell’acqua, qualcuno di loro è venuto anche in seguito a confortarci. Si vedeva che soffrivano più di quanto soffrivamo noi. Vorrei conoscere i loro nomi per ringraziarli personalmente. Quelli che ci bastonavano erano della polizia e della guardia carceraria o penitenziaria».
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