|
23 LUGLIO 2006
Immigrati, è scontro su diritti e sanatoria Ieri un presidio in questura e un corteo per chiedere permessi più facili e veloci
Gli stranieri manifestano per chiedere meno burocrazia. Ma la Lega contesta il provvedimento che mette in regola 350 mila extracomunitari di Maria Elena Bonacini «Torneremo con il presidio ogni mese fino a quando la situazione non cambierà e se necessario faremo anche lo sciopero della fame». È categorico Khan Mahadi Hassan, presidente dell’associazione Moitri di Marano che ha organizzato il presidio di ieri davanti alla questura al quale hanno preso parte circa 150 persone da Pakistan, Senegal, Algeria, Marocco e Bangladesh (la maggior parte) per dimostrare contro «i ritardi e i maltrattamenti che subiamo negli uffici». Sul prato campeggiano due striscioni, che i manifestanti (raddoppiati lungo la strada), hanno portato in corteo lungo i viali Milano, Roma e corso Palladio fino alla prefettura, creando problemi al traffico. «Quando andiamo in Comune a prendere l’appuntamento per il rinnovo del permesso di soggiorno - spiega Hassan, bengalese, da 10 anni a Vicenza - paghiamo 5 euro per farci fare le carte, che dovrebbero essere giuste. Dopo 7 mesi, arriviamo in questura, manca qualcosa e dobbiamo ritornare dopo 1 mese. Se ci scade il permesso, però, non possiamo fare nulla. Qui la burocrazia è complicata e i tempi lunghissimi, danno appuntamento per gennaio/febbraio 2007. E se ti assenti, anche se non sei lavoratore, ma un parente, ti rigettano il permesso di soggiorno perché sei stato via troppo. Chiediamo che i tempi siano accorciati e, lavorando e rispettando le leggi, di avere diritti». Chi accusa la questura è Siddique Bachcu, dell’associazione Dhuumcatu di Roma, secondo cui «il questore dà una sua interpretazione della legge contro gli immigrati». Saquib Nazir, pakistano da 10 anni in Italia e da 3 a Vicenza, dov’è volontario allo sportello immigrati dell’Rdb cub, sottolinea che «Vicenza è peggiore delle altre città per il razzismo dei suoi amministratori. L’idoneità d’alloggio, che dobbiamo fare ogni 6 mesi, costa 78 euro, mentre altrove è gratuita o paghi solo la marca da bollo. Nelle altre città i call center sono aperti alla domenica, mentre qui no e per i ricongiungimenti chiedono troppi documenti. Il permesso di soggiorno è difficile da ottenere per una persona con un contratto a tempo indeterminato, figuratevi per chi lavora in una cooperativa. E lo sfruttamento sta aumentando, per questo chiediamo che la Bossi-Fini sia abolita e siamo orgogliosi di chiedere il diritto di voto, almeno amministrativo».
Gli arrestati contro la Moschea «Non segue la jihad, è moderata» E avevano portato in città un predicatore yemenita seguace di un terrorista di Diego Neri Non la sopportavano proprio, la moschea di Vicenza, anche se avevano collaborato in un’occasione con i suoi responsabili. Dalle intercettazioni a carico dei quattro algerini che gravitavano su Vicenza, arrestati l’altra mattina dai carabinieri per associazione terroristica internazionale integralista e associazione per delinquere finalizzata al procacciamento e alla falsificazione di documenti, emerge palese la doppia natura dell’Islam. Moderato, quello propugnato dalla Moschea e dal Consiglio islamico. Integralista e ferreo propugnatore della guerra santa quello per cui vivevano, e combattevano, i fratelli Farid e Nabil Gaad, Alì Touati e Khaled As. Ripetutamente, durante le intercettazioni telefoniche e ambientali, i carabinieri del Ros coordinati dal procuratore di Venezia Vittorio Borraccetti e dal pm Luca Marini hanno ascoltato i ragionamenti degli indagati - anche con i connazionali Khaled Serai e Yamine Bouhrama, già in cella da novembre - sulla moschea. «Benché non soddisfatti della leadership di Ouelhazib Touhami e Youssef Zouhair, Touati dice che sarebbe meglio non esporre pubblicamente le loro perplessità verso il suo direttivo, per non mettersi in cattiva luce agli occhi della maggioranza delle persone che frequentano il luogo di culto», scrive il gip sintetizzando le conversazioni. As, in un’occasione, si era lamentato dell’imam, affermando che è berbero e che aveva modificato alcuni testi del Corano non conoscendo l’esatta pronuncia di alcune Sure. Gli indagati sono degli islamici fondamentalisti, che criticano, talora aspramente, il profilo moderato della Moschea verso gli infedeli. Inoltre, non accettano che vi entri la politica: «Ieri hanno portato due ragazzi italiani della sinistra in moschea - disse Touati poco prima delle elezioni - e hanno messo loro a disposizione due sedie e un tavolo, lasciandoli parlare in merito alle prossime elezioni. Djelloul Halimi (che venne fermato per terrorismo, poi fu scarcerato e quindi espulso dall’Italia) era nella prima fila, poi c’era Touhami. Non ci posso credere». L’imam, per As, ha paura di usare il termine infedele per indicare chi non è musulmano. Un timore inconcepibile per l’algerino. In più occasioni i suoi presunti complici, infatti, gioivano alle stragi terroristiche organizzate contro l’occidente o contro i soldati americani in Iraq e Afghanistan. Più che dei loro riferimenti religiosi cittadini, gli indagati si fidano di uno “sceicco”, un predicatore yemenita, che secondo l’accusa si è formato alla scuola di un terrorista sostenitore della jihad più violenta. Questi venne portato a Vicenza, dove dormì nell’appartamento di via Marcello 20 (lì abitava Fard Gaad, proprietario del call center “Tutto il mondo al telefono” considerato la base della cellula eversiva) e accompagnato da Touati. Quest’ultimo si tenne in contatto con la moschea, dove portò il suo referente spirituale prima di scortarlo a Milano in cerca di offerte. Quei soldi, per i carabinieri, potrebbero essere finiti nelle casse del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, vicino ad Al Qaeda. Altri soldi sarebbero stati utilizzati per aiutare i connazionali arrestati per aver fatto parte di organizzazioni eversive e comunque per finanziare i gruppi. Anche a Vicenza avrebbe dovuto essere pianificato un attentato, mentre alcuni degli indagati avevano in animo di andare a combattere la jihad in Iraq. Domani e martedì i quattro arrestati saranno interrogati dal giudice e potranno chiarire la loro posizione. Nel frattempo i carabinieri, con i quali hanno collaborato i colleghi vicentini del reparto operativo, hanno iniziato lo studio di documenti, libri, volantini, materiale informatico sequestrato nel corso di 19 perquisizioni. Un lavoro che richiederà molto tempo. Ma l’inchiesta, che deve mirare a definire nel dettaglio il ruolo di ciascun indagato, si preannuncia lunga e complessa.
«Qui c’è apologia, non terrorismo» (d. n.) «In quello che ho letto ho trovato riscontri per parlare di apologia, non di terrorismo diretto. Ma attendo gli interrogatori, nei quali inviterò i miei assistiti a collaborare con gli inquirenti e di dire tutto quanto hanno fatto e sanno, e al tempo stesso mi auguro che i magistrati facciano capire quali elementi concreti hanno in mano, di cosa gli indagati devono rispondere». L’avv. Paolo Mele senior ha le idee chiare ma preferisce attendere prima di esprimere giudizi netti. Da ieri difende ufficialmente tutti e quattro gli arrestati su ordinanza del presidente dei gip di Venezia Giandomenico Gallo. Fra domani e martedì As, Touati, Nabil e Farid Gaad saranno interrogati e potranno difendersi dalle accuse. «Vanno premessi, ad ogni considerazione, due concetti. Il primo è che è triste verificare come dei cittadini stranieri, che da dieci anni vivono in Italia, alcuni con moglie e figli, covino dei sentimenti di odio e di rifiuto del nostro sistema sociale. Il secondo è che inchieste come queste devono essere viste nell’ottica di tutela della collettività; che è la nostra di cittadini italiani, che non dobbiamo essere vittime di inutili allarmismi, ma è anche quella degli stranieri, che non devono essere vittime di generalizzazioni persecutorie». Mele analizza poi le accuse mosse ai quattro algerini. «Dalle intercettazioni emerge una spiccata simpatia degli indagati per le iniziative armate di Al Qaeda: plaudono all’attentato di Londra, scaricano immagini, ne discutono. Sul piano apologetico questo assume un rilievo, il comportamento degli algerini è discutibile e censurabile. Ma su quello sostanziale è necessario chiedersi se c’è qualcosa di concreto o se la loro è solo una forma di partecipazione emotiva». Per il legale, l’atteggiamento degli algerini è da biasimare. «Possiamo censurarli, ma è il caso di incarcerarli perché sorridono alle bombe in metropolitana?». Inoltre, Mele ritiene che - sulla scorta di quanto letto nell’ordinanza di custodia - non vi siano prove concrete dell’attività di proselitismo, che si limitava all’accumulo di materiale scaricato da internet. «Ma lo può fare chiunque ha un po’ di dimestichezza con il computer. E poi - riprende - mi chiedo se sia opportuno violare la privacy delle persone fino al punto da verificare i siti ai quali si sono collegati: una cosa è approfondire, ma qui, ripeto, non vedo ipotesi criminose gravi come quelle contestate. In concreto, non è accaduto nulla». Il penalista, che in passato ha difeso più volte islamici indagati per terrorismo, conclude che finora non ha trovato traccia di elementi «più concreti di congetture e ipotesi. Facevano parte di un gruppo? Erano soltanto degli amici che coltivano una fede vissuta in maniera esasperata e sbagliata o hanno commesso reati gravi? Dovrà chiarircelo la magistratura».
È arrivata nei giorni scorsi l’attesa certificazione del Comitato interministeriale per la struttura vicentina La Gendarmeria europea ora è operativa nel mondo Chiusa la fase di preparazione, potrà attivarsi in missioni di pace (d. n.) La Gendarmeria europea ha chiuso la fase preliminare di preparazione ed ora è pronta ad affrontare, con i suoi agenti e militari, le missioni di pace nel mondo. Nei giorni scorsi, infatti, è arrivata nella sede di via dei Medici l’attesa certificazione inviata dal Cimin, Comitato interministeriale di alto livello dei cinque paesi che fanno parte del progetto: Italia, Spagna, Portogallo, Olanda e Francia. Per il generale Gerard Deanaz, che comanda la struttura, è il coronamento di un progetto avviato oltre un anno e mezzo fa. Infatti, ora i militari dei cinque paesi che si sono formati a Vicenza potranno essere chiamati per la gestione delle fasi di crisi come una forza riconosciuta a tutti gli effetti. Alla fine dell’estate potrebbero arrivare le prime richieste dai teatri in cui già operano i carabinieri con le Msu, e cioè i Balcani, l’Africa o il Medioriente. L’anno prossimo, invece, il generale Deanaz lascerà il posto ad un ufficiale dell’Arma e l’Olanda subenterà alla Spagna come paese presidente. La certificazione è giunta in seguito all’operazione compiuta lo scorso aprile a Valdemaro, in Spagna, in cui venne simulato un contesto di crisi. Un’isola immaginaria, una situazione politica difficile con fazioni una contro l’altra, separate da questioni di odio razziale, profughi in spostamento sul territorio e una crisi internazionale in cui s’intrecciano emergenze terroristiche e problemi di criminalità di stampo mafioso: era questo lo scenario prefigurato alla Gendarmeria, e che aveva coinvolto circa 300 persone. Si trattava di un banco di prova, il secondo dalla nascita della forza, che doveva testare le sue capacità operative in scenari di crisi internazionale. Lo scopo era appunto ottenere la piena capacità operativa (Foc): nei giorni scorsi la certificazione è stata concessa. La Gendarmeria, infatti, avrebbe dimostrato capacità di pianificazione e di intervento. Per questo i militari che si sono formati a Vicenza, nella sede della Chinotto che ospita anche il Coespu, sono ritenuti pronti a svolgere missioni all’estero sotto l’egida dell’Onu, dell’Ue, della Nato o di altre organizzazioni internazionali. Dal capoluogo berico potrebbero partire le missioni di polizia internazionale. È chiaro che, precisa il comandante Deanaz, la decisione sull’impiego della Forza europea spetta ai politici. La Gendarmeria è nata per affiancare o, nei casi più difficili, sostituire le forze di polizia di un paese, per svolgere attività di antiterrorismo, intelligence, investigazione, lotta alla criminalità e per addestrare le forze di polizia estere secondo gli standard internazionali, sul modello dei carabinieri italiani. L’obiettivo da realizzare nei prossimi mesi è di disporre di 800 uomini dispiegabili in un mese nei luoghi dove si verifica l’emergenza.
|