Ma è solo una precauzione. La prefettura: «Non c’è alcun allarme»
di Gian Marco Mancassola
Blocchi di cemento a sbarrare l’ingresso e fioriere a sbarrare la strada per proteggere il “check-point Chinotto”. L’accesso alla caserma Chinotto, sede deputata della Gendarmeria europea, è stato blindato per rafforzare le misure di sicurezza di un obiettivo ritenuto strategico. La decisione è stata assunta all’inizio di agosto e in breve nel quartiere di S. Bortolo sono state imbastite modifiche alla viabilità e allestiti sistemi di difesa. In Comune rispondono: richiesta del prefetto. E in prefettura chiariscono: non c’è alcun allarme.
La novità estiva non ha mancato di sollevare dubbi e perplessità nel quartiere. «Sono stato contattato dal prefetto Angelo Tranfaglia - spiega l’assessore alla mobilità Claudio Cicero - che mi ha manifestato l’esigenza, su richiesta dei vertici dei carabinieri, di realizzare una serie di modifiche alla viabilità della zona, per impedire un accesso diretto alla caserma. Quindi, ho dato immediatamente disposizione perché venissero curati gli accorgimenti richiesti, che sono stati allestiti prima di Ferragosto».
Della faccenda si è interessato anche il consigliere comunale dei Verdi, Ciro Asproso, che ha chiesto una serie di chiarimenti all’assessore e che ha ottenuto risposta direttamente dalla prefettura durante le vacanze in Finlandia: «Il fatto è che se non ci sono motivi gravi, si crea un circolo vizioso che la viabilità ridotta di agosto può sopportare, ma che il traffico a regime rischia di non reggere. Se invece la situazione è grave tanto da richiedere misure di questo tipo, allora forse questo non è il luogo migliore per ospitare strutture militari di questa importanza».
Le modifiche, infatti, comportano la chiusura di uno dei lati del triangolo fra via Medici, via Grappa e via Castelfidardo, sul lato della caserma. «Mi chiedo, poi - prosegue Asproso - perché gli stessi sistemi di sicurezza non siano stati adottati all’ingresso laterale posto lungo via Castelfidardo. E non è solo una questione estetica, anche se sembra di essere a Berlino ai tempi del check-point “Charlie”. Forse è il caso di fare una riflessione su un intervento che altrimenti rischia di apparire ingiustificato».
Dalla prefettura, il capo di gabinetto dott. Alfredo Minieri chiarisce che a Vicenza non c’è alcun allarme. «Si tratta di misure di sicurezza adottate attraverso accorgimenti tecnico-operativi per gli obiettivi politico-militari a carattere strategico. E la caserma Chinotto, da tempo indicata per la sede della Gendarmeria europea, è fra questi obiettivi, proprio come la Ederle. Molto semplicemente, si è ritenuto di adattare la viabilità per implementare i sistemi di sicurezza. In relazione alla minaccia terroristica e alla crisi internazionale, anche a Vicenza il dispositivo di contrasto è stato rafforzato».
La decisione è stata assunta nell’ambito delle strategie studiate dopo il maxi-vertice per la sicurezza seguito agli attentati di Londra: «È un semplice rafforzamento delle misure di sicurezza in una logica di maggiore attenzione - ribadisce il dott. Minieri - non c’è alcun allarme particolare».
«Credo che viabilisticamente ci si farà l’abitudine - commenta il presidente della circoscrizione 5, Marco Bonafede -. È una questione di sicurezza e quindi ci adeguiamo. Mi sembra sia soltanto aumentato il livello di guardia, senza allarmismi: non ci vedo segnali di pericolo».
Torna la violenza: perché?
Il sociologo: «È il segnale di un disagio diffuso»
di Marco Scorzato
Due giovani denunciati dai carabinieri di Valdagno per lesioni ai danni di un loro coetaneo, un’altra aggressione avvenuta in pieno centro davanti a numerosi testimoni, che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e, pochi giorni fa, un immigrato da anni in Italia finito in ospedale pieno di botte. Episodi di violenza che hanno turbato l’estate valdagnese e che, stando al racconto di vittime o testimoni oculari, avrebbero un’unica matrice: gruppuscoli di giovani dalle teste rasate che si richiamano alla simbologia dell’estrema destra.
Per un’aggressione subita da A.R. il 5 giugno scorso, la locale stazione dei carabinieri, guidata dal capitano Andrea Massari, comandante di compagnia e dal luogotenente Stefano Cassanego, ha denunciato per lesioni personali due giovani presunti responsabili, L. C., 22 anni, valdagnese, e P. I., 27 anni, di Cornedo.
Quanto c’entri l’ideologia è difficile stabilire e sarebbe affrettato affermare che si è in presenza di un "fenomeno". Le forze dell’ordine li giudicano episodi isolati e rifiutano, per ora, l’equazione tra violenza e ideologia.
Sta di fatto che vittime di queste aggressioni sono stati finora immigrati o giovani che per look e stili di vita sono agli antipodi dallo stereotipo di militante di estrema destra: una maglietta con l’icona di Che Guevara, un cappellino con simboli anarchici o dreadlock da rasta sono stati sufficienti per innescare una bega culminata con colpi da codice penale.
Un’altra aggressione è avvenuta in pieno centro, nella giornata della manifestazione organizzata dalla destra radicale a Schio, in ricordo delle vittime dell’eccidio. In quell’occasione, l’aggredito e i suoi amici allertarono le forze dell’ordine, ma non ci furono denunce.
Insomma, se a Vicenza sono alcuni “punkabestia” a guadagnarsi la ribalta delle cronache, in riva all’Agno, dove da qualche tempo sono apparse scritte xenofobe, svastiche e croci celtiche sui muri - poi coperte da altrettanto vandaliche risposte anarchiche - si torna a parlare di “skinheads”. Una parola che riporta l’orologio valdagnese indietro di circa quindici anni, quando un clima di xenofobia e violenze accolse la prima ondata di immigrati africani.
E proprio un immigrato, peraltro ben integrato a Valdagno, è stato vittima di un’aggressione che sembra avere una matrice analoga.
«Nessun episodio va sottovalutato - afferma il sociologo Luca Romano - ma va colto come segnale di disagio. Se l’ideologia diventa elemento identitario di un gruppo, vuol dire che c’è un pezzo di gioventù che ha scarsa fiducia nel futuro. In questa valle è sempre più forte e visibile la presenza degli stranieri e si avverte la percezione del declino e della crisi. È un po’ l’atmosfera che, nelle regioni dell’ex Germania Est, fu linfa vitale per i movimenti xenofobi e neonazisti. Questa è una chiave di lettura, anche se fin troppo nobilitante, e non significa che certe manifestazioni del disagio siano tollerabili».