24 LUGLIO 2006

«La base Usa è al progetto esecutivo»
I salafiti pronti a colpire col veleno

«La base Usa è al progetto esecutivo»
Il sottosegretario Forcieri: «Solo un “no” degli enti locali fermerebbe tutto»

di G. M. Mancassola

Il Governo non ha ancora deciso, i giochi non sono ancora fatti. Agli americani, che hanno progettato la costruzione di una nuova caserma per ospitare duemila soldati in una porzione dell’aeroporto “Dal Molin” non è ancora stato detto sì. Ma perché Roma decida di valutare altre soluzioni, bisogna che da Vicenza emerga una posizione contraria degli enti locali, vale a dire Comune, Provincia e Regione. Altrimenti, il processo innestato due anni fa rischia di diventare irreversibile. Pesa parola per parola Lorenzo Forcieri, sottosegretario Ds al ministero della Difesa, l’istituzione che ha il peso maggiore in questa vicenda. Usa gli strumenti della diplomazia per disegnare i contorni di una partita delicata, che si gioca sul tavolo dei rapporti Italia-Usa, ma anche sul tavolo delle relazioni fra Governo centrale e comunità locale. Forcieri si è confrontato con il ministro Arturo Parisi e conferma quanto emerso negli ultimi giorni: due anni fa, durante il Governo Berlusconi, è stata data una disponibilità di massima per esaminare uno specifico progetto per la costruzione di una caserma a stelle e strisce. La scelta degli americani è caduta su Vicenza, dove già c’è la Ederle. Il caso, poi, ha voluto che l’ora delle grandi decisioni finali scoccasse con il cambio della guardia a palazzo Chigi. Cosa accadrà, quindi? Per rispondere, l’on. Forcieri non si nasconde, armandosi di schietto realismo.
- A Vicenza c’è fame di notizie sul progetto più discusso degli ultimi anni. Qual è lo stato dell’arte?
«Posso dire che dal precedente ministro della Difesa è stato dato un assenso alla richiesta avanzata circa due anni fa dagli Stati Uniti. A seguito di questa disponibilità, gli americani hanno presentato un progetto per l’area in discussione. Si tratta di un ampliamento di una presenza che c’è già e non interessa la pista né riguarda voli».
- Ecco, proprio l’eventuale utilizzo della pista dell’aeroporto “Dal Molin” per voli militari e missioni di guerra ha creato ulteriori preoccupazioni fra la popolazione, che si sono aggiunte alle proteste per l’impatto urbanistico, viabilistico e ambientale che la caserma avrebbe sulla zona dell’aeroporto. Possiamo quindi escludere questa ipotesi?
«Direi di sì, dal momento che è un risultato già acquisito, frutto dell’accoglimento di specifiche richieste avanzate da tempo e che sono state rispettate. I militari Usa continuerebbero a servirsi dell’aeroporto di Aviano».
- Quale sarà il prossimo passaggio ufficiale lungo l’iter del progetto?
«In questo momento il progetto di massima presentato dagli americani è in fase di trasferimento in un progetto esecutivo, applicandolo alla realtà dell’area interessata. Ci troviamo quindi ancora nel pieno dell’analisi tecnica, a cui sta lavorando una commissione mista italo-americana, che se non ricordo male ha coinvolto anche gli amministratori e tecnici di Comune e Provincia all’inizio dei lavori».
- In quella occasione, le delegazioni vicentine avanzarono richieste per cercare di ridurre l’impatto ambientale e risolvere i problemi viabilistici in una zona della città già sofferente. Quante possibilità hanno queste richieste di essere accolte? Che tipo di “risarcimento” verrà assicurato alla città all’esterno del nuovo insediamento per realizzare servizi e infrastrutture mancanti?
«In questo momento posso dire che si cercherà di venire incontro alle esigenze normali e legittime manifestate per migliorare il problema, evitando di creare ulteriori problemi alla popolazione. Anzi, potrebbe essere l’occasione proprio per risolvere questi problemi».
- Da lontano si ha la sensazione che i giochi siano in gran parte fatti e che il Governo avrà pochi margini di manovra. Siete ancora in tempo per dire “no, grazie”, oppure la base s’ha da fare punto e a capo?
«Credo che il problema sia rappresentato da cosa vogliono le istituzioni locali. La domanda è: c’è accordo o c’è contrarietà? Se c’è accordo, si possono valutare richieste e condizioni per accettare il progetto. Se invece c’è una posizione nettamente contraria, il Governo non ha alcuna intenzione di fare forzature e imposizioni. Molto dipenderà dalla presa di posizione della comunità locale».
- Il sindaco, prima di esprimersi, attende risposte chiare dal Governo Prodi. Il consiglio comunale ha già affrontato due volte il dibattito sull’ipotesi della nuova caserma, senza ricavarne una posizione esplicitamente contraria, ma nemmeno favorevole. Da più parti, allora, si invoca la convocazione di un referendum comunale: può essere questa l’occasione per capire cosa vuole realmente Vicenza?
«Non voglio entrare nel merito delle discussioni a livello locale, ma credo che la questione si debba porre con estrema chiarezza: se dovesse emergere una posizione contraria degli enti locali, ci assumeremo l’onere di valutare altre soluzioni. L’autonomia del Paese è fuori discussione».
- Gli americani, però, a quanto pare hanno molta fretta, perché se entro settembre non avranno risposte dal Governo, rischiano di perdere il finanziamento dell’Amministrazione Bush per la Ederle-bis. Riuscirete a dire sì o no entro la fine dell’estate?
«Al di là della tempistica dei finanziamenti americani, la vicenda va avanti già da molto. Credo, quindi, sia giusto dal punto di vista della correttezza istituzionale dare risposte all’alleato americano in tempi brevi»

Sbrollini: «Se non c’è il no lavoriamo sull’impatto»
La segretaria Ds: «Bisogna evitare di strumentalizzare la vicenda Siamo al governo, dobbiamo dire ai cittadini come stanno le cose»

(g. m. m.) «Siamo al Governo, non siamo all’opposizione. Per questo dobbiamo parlare con responsabilità ai cittadini, senza illuderli». Daniela Sbrollini, segretaria provinciale dei Democratici di sinistra e consigliera provinciale, ha seguito il dibattito e l’evoluzione degli eventi sul caso “Dal Molin” con l’apprensione di chi assiste a una corsa fatta a colpi di attacchi e strumentalizzazioni destinata a finire in un vicolo cieco. Una settimana fa, in occasione del consiglio nazionale della Quercia, ha incontrato il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri. Da quel faccia a faccia sono maturate alcune riflessioni che ora la Sbrollini cerca di trasferire al resto del centrosinistra: «Bisogna avere ben chiari i gradi di responsabilità in questa vicenda, che spettano innanzitutto al Governo Berlusconi e all’amministrazione Hüllweck, che non hanno informato la cittadinanza mantenendo il progetto nell’assoluta segretezza». La segretaria diessina non è però allineata nemmeno con coloro che promettono mari e monti: «Credo sia importante parlare con i cittadini, informarli con sano realismo di come stanno effettivamente le cose, raccontare loro la verità senza illuderli. Credo che il Governo valuterà altre soluzioni solo nel caso in cui da Comune, Provincia e Regione arrivi un netto no alla base. In caso contrario, ritengo sia giusto che a settembre, quando ci sarà il momento delle decisioni, Vicenza e Roma si incontrino, tutte le parti in causa partecipino a una concertazione per cercare di ridurre al minimo l’impatto sulla città e l’ambiente». «Di sicuro va evitata - prosegue la Sbrollini - la tentazione di strumentalizzare la vicenda. Non comportiamoci come se ci fosse un’altra maggioranza al governo, siamo realisti e non accusiamo il Governo attuale di colpe che non ha, costretto a ereditare una situazione creata dal centrodestra, con il precedente Governo e con la Giunta Hüllweck. Tutto il centrosinistra deve assumersi la responsabilità propria di chi è al governo del Paese, per cercare di trovare la soluzione migliore».


I salafiti pronti a colpire col veleno
Per i carabinieri il gruppo islamico sapeva usare ordigni chimici

di Ivano Tolettini

Una cellula terroristica in città che flirtava con Al Qaeda pronta a preparare attentati anche di tipo chimico. Il contenuto delle telefonate intercettate per i carabinieri del Ros e per la procura antiterrorismo di Venezia sono eloquenti. E gli inquirenti sono convinti che il covo guidato da Farid Gaad fosse molto pericoloso. Addirittura che potesse preparare ordigni chimici da usare contro obiettivi civili. Una riprova? La telefonata del 5 ottobre 2005 in cui l’aspirante kamikaze Yamine Bourhama, 33 anni, che sarebbe stato arrestato di lì a pochi giorni dalla magistratura campana, conversando con Khaled As, 32 anni, gli dice che sta aspettando 100 bottiglie di “profumo” da Khaled Serai, altro algerino arrestato di lì a poco dalla magistratura napoletana. Se per il gip Gallo con la parola “profumo” si potrebbe intendere non già una sostanza venefica, ma dello stupefacente da vendere e con il quale autofinanziare la cellula del fondamentalismo islamico eversivo, gli investigatori del Ros hanno una visione molto più netta. La cellula in sonno di Vicenza, dicono, era pronta a colpire sul finire del 2005, come già stava per accadere nel 2002. Se non avvenne fu per l’incisiva azione dell’apparato di intelligence che sconsigliò il gruppo salafita a proseguire i preparativi. Sui questa lunghezza d’onda si è sintonizzato il ministro degli Interni Giuliano Amato, il quale ricordando che il gruppo vicentino era pronto a sbarcare in Medio Oriente per allinearsi con i terroristi di Bin Laden, ha ricordato che bisogna mantenere alta la guardia. «È il chiaro segnale - spiega il dottor sottile - della necessità di mantenere grande attenzione per la presenza anche in Italia di gruppi organici al terrorismo di matrice integralista con mansioni non solo logistiche, ma anche di azione diretta». Quindi ha aggiunto: «Abbiamo la certezza dell’esistenza di cellule terroristiche nel nostro Paese e questo ci deve indurre a compiere i massimi sforzi per tutelare la certezza dei concittadini». Al contrario, la moglie di Farid stragiura che il marito non è un terrorista. «Aveva già deciso di vendere il call center di corso San Felice a Vicenza per tornare a lavorare nel Bresciano», spiega ai cronisti. Ma il giudice Gallo nell’ordinanza di custodia contro i quattro algerini accusati di terrorismo internazionale, scrive che Nabil Gaad il 23 gennaio di quest’anno si fece intercettare mentre fece «trapelare l’esistenza di un gruppo costituitosi con discrezione attorno al punto telematico di Vicenza ed aveva lasciato intendere che il phone center dovesse costituire meta di possibili attività illecite». Rispondendo alla domanda del proprio interlocutore Hamid Zougouari che gli chiedeva che cosa facessero nel negozio, Nabil disse: «Siamo rimasti lì e l’altro è rimasto dietro per vedere se veniva qualcuno». Per il gip Gallo il linguaggio criptico dei due magrebini sta a significare che gli algerini in odore di appartenenza al gruppo salafita stessero controllando anche i propri connazionali temendo che si fosse infiltrata qualche spia. Oggi e domani i fratelli Gaad, Khaled As e l’ideologo Alì Touati, tutti difesi dall’avv. Paolo Mele senior saranno ascoltati in carcere dallo stesso giudice per l’interrogatorio di garanzia. «La loro posizione è difficile per il clima che si è alimentato - analizza l’avv. Mele - perchè il quadro delle prove, sotto l’aspetto tecnico, non mi sembra così circostanziato. Se poi entrano altre considerazioni di natura ideologica ci spostiamo su un piano diverso». Ma i carabinieri del Ros del generale Ganzer già nell’inchiesta napoletana “Full Moon” avevano già raggiunto la certezza «dell’esistenza nella città di Vicenza di un’articolazione di sostegno al gruppo salafita per la predicazione e il combattimento jihadista». I quattro arrestati, osserva il gip Gallo, «costituiscono una propaggine in Italia del gruppo salafita e l’appartenenza e l’inserimento in tale organizzazione integra la commissione del reato di associazione terroristica di stampo internazionale di matrice islamica». Alla difesa il non facile compito di smontare l’impalcatura delle prove che per il pm antiterrorismo Luca Marini è granitica. «A Vicenza c’era una cellula di Al Qaeda pronta a colpire», ha ripetuto venerdì a Venezia.

Layachi (Consiglio islamico): «Ma non siamo poliziotti»
«Se sono colpevoli è un fatto grave»
«La comunità dovrà riflettere e raddoppiare i controlli»

di Giovanni Zanolo

«Nel caso in cui la magistratura dovesse dichiarare colpevoli i quattro algerini, allora i rappresentanti della comunità islamica del Vicentino dovranno fare anzitutto un esame di coscienza e, in seguito, come minimo raddoppiare l’impegno nel controllo interno». Esordisce così, con una sincera quanto amareggiata ammissione di responsabilità, il presidente del Consiglio islamico della provincia di Vicenza Kamel Layachi, dopo la burrasca abbattutasi venerdì sulla comunità islamica vicentina in seguito alla notizia della possibile infiltrazione di quattro presunti terroristi arrestati venerdì. Ma subito dopo aggiunge: «Tuttavia sia ben chiaro: siamo una comunità religiosa, non un’agenzia investigativa». Dichiarazione, questa, che potrebbe suonare come un colpo alla botte dopo uno al cerchio ma che, invece, prosegue l’algerino Layachi, avrebbe il solo scopo di «mettere ben in chiaro quali sono le finalità prettamente educative della comunità: formare una buona dirigenza islamica come unico e vero antidoto ad ogni terrorismo e fondamentalismo. Ovvero imam perfettamente integrati, che conoscano la lingua e i valori italiani, e che sposino la linea di dialogo e moderazione che il nostro Consiglio islamico porta avanti da anni». Può veramente tale risposta rassicurare gli animi dei vicentini, ancora scossi dopo la doccia fredda che due giorni fa ha proiettato sulla “tranquilla” Vicenza l’ombra del terrorismo internazionale? «Noi facciamo il nostro dovere di educatori - ribadisce Layachi - non siamo poliziotti. Da sempre abbiamo cercato in tutti i modi di portare avanti, anche silenziosamente, moltissime iniziative di dialogo e informazione sull’Islam come religione di pace e apertura verso le altre religioni. Tutto ciò, purtroppo, non potrà mai assicurarci al cento per cento che qualche pazzo non riesca ad intrufolarsi. Noi facciamo il possibile. Se poi dovessimo avere anche il minimo sospetto su qualcuno, è evidente che è nostro obbligo riferirlo immediatamente alle autorità. Ma questo è un dovere che ha ogni cittadino in quanto cittadino e che non rientra nelle finalità della nostra comunità, che è e rimane una comunità religiosa». Insomma, come dire che tra migliaia di persone, qualche “esagitato” potrà statisticamente sempre esserci. Se a ciò aggiungiamo inoltre che i centri di preghiera islamici hanno poco o nulla in comune con le parrocchie cattoliche (nell’Islam non esiste clero e, a detta dello stesso imam di Vicenza città Touhami, passano «migliaia di persone»), la sottesa accusa di negligenza nei controlli rivolta ai responsabili della comunità vicentina dovrebbe farsi meno pesante. Eppure, in caso di colpevolezza dei quattro algerini, sarà ancora più difficile estirpare del tutto la domanda: come è stato possibile che nessuno abbia sentito o presagito nulla? Layachi, pur ribadendo ancora una volta l’impossibilità di un controllo totale (per lui personalmente impossibile, svolgendo la funzione di imam in molte località della provincia) ammette serenamente: «In caso di colpevolezza degli algerini, vorrà dire che si erano veramente ben nascosti. Sarebbe tuttavia un fatto davvero grave, che dovrebbe farci riflettere seriamente».