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24 SETTEMBRE 2005 dal Giornale di Vicenza
Firmato l’accordo Vicenza istruirà i militari per la pace
I corsi si terranno alla Chinotto Washington. L’impiego di forze militari per compiti di pace, come dimostrano anche le emergenze uragani negli Stati Uniti, sta diventando sempre più diffuso. È stato firmato ieri a Washington un memorandum d’intesa tra Italia e Stati Uniti che concretizza sul piano finanziario un progetto già approvato dal G8 in Georgia: la creazione in Italia, a Vicenza, di un Centro di formazione di istruttori destinati a diffondere l’uso di unità militari come forze di pace. Il Piano d’Azione, chiamato Expanding Global Capability for Peace Support Operations, era stato presentato insieme da Italia e Stati Uniti al G8 in Georgia del giugno 2004, dove era stato approvato. Il Piano prevede l’istituzione di un Centro di Formazione alla caserma Chinotto, la ex-scuola Brigadieri dei carabinieri di Vicenza, dove ha anche sede il Comando della Gendarmeria Europea. Il Centro svilupperà soprattutto gli aspetti della dottrina comune delle forze di pace, della interoperabilità con reparti civili e militari, il raccordo con altri centri di eccellenza (in questo settore) nei paesi del G8. Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha elaborato un progetto (i reparti saranno formati sul modello Carabinieri) che prevede un traguardo di circa tremila formatori da addestrare entro il 2010. Le attività di formazione dovrebbero cominciare tra alcuni mesi. I corsi prevedono aspetti di diritto umanitario, addestramento pratico in settori specifici (controllo della folla, scorta e protezione di personalità, controllo obiettivi sensibili). Al progetto hanno sinora aderito, con l’impegno a inviare personale da formare al Centro di Vicenza, diversi Paesi, compresi Camerun, Kenya, Senegal, Giordania, Marocco e India. Il Centro costerà circa 25 milioni di euro l’anno. Per il 2005 i Carabinieri hanno impegnato fondi per 8,5 milioni di Euro. Con la firma odierna del memorandum d’intesa gli Stati Uniti hanno assicurato un contributo finanziario di 10 milioni di dollari e la partecipazione di due alti ufficiali alla struttura di comando del Centro (uno sarà il vice-comandante). Il progetto è una iniziativa indirizzata soprattutto, ma non esclusivamente, ai Paesi africani e si inserisce nel quadro delle attività del G8 a sostegno della pace e della sicurezza in Africa.
Hanno manifestato in piazza sindacalisti, amministratori pubblici e lavoratori dell’ex Lanerossi In corteo aspettando lo sciopero Ma all’appello manca la città di Mauro Sartori In piazza per il posto di lavoro. C’erano un po’ tutti ieri mattina al corteo dei lavoratori dell’ex Lanerossi: Luigi Dalla Via e Alberto Neri, sindaci di Schio e Valdagno, un congruo numero di assessori, consiglieri comunali e provinciali, coordinatori politici locali, i segretari nazionali confederali del tessile e i loro rappresentanti territoriali, le rsu e una cospicua delegazione dei dipendenti della Marzotto messi in mobilità. All’appello mancava la città: pochi gli scledensi che per solidarietà o semplice curiosità si sono avvicinati alla statua del tessitore per ascoltare le recriminazioni sindacali. Eppure alla Lanerossi sono legate le sorti di centinaia di nuclei familiari, nell’area che va da Torrebelvicino a Piovene Rocchette, passando ovviamente per Schio. Aveva fatto più scalpore il crollo del tessitore, colpito da una manovra errata di un’autogru, che la chiusura dell’industria a cui quel simbolo è indissolubilmente legato. Ci sarà più avanti, dopo la metà di ottobre, uno sciopero generale che coinvolgerà le maestranze delle più importanti fabbriche dell’Alto Vicentino. La manifestazione di ieri, decisa all’ultimo momento a seguito della presenza a Schio dei massimi esponenti di Femca, Filtea e Uilta, è servita almeno ad accendere ulteriori riflettori sulla chiusura della Lanerossi. Nell’assemblea di fabbrica che ha preceduto il corteo, partito dagli stabilimenti di viale dell’Industria, è stato rinviata a lunedì ogni decisione sulle forme di lotta da attuare per fronteggiare la richiesta di mobilità per 125 lavoratori, che si sono potuti confrontare con i segretari nazionali di categoria, come ha spiegato al megafono Teresa Bellanova della Filtea, in un improvvisato intervento ai piedi dell’Omo. «Dobbiamo contrastare con ogni mezzo lecito una scelta ingiusta e immotivata che mette in ginocchio decine di famiglie, a suo tempo pronte ad investire il loro futuro su questo posto di lavoro. Dal ministro del lavoro Roberto Maroni, che continua a rinviare l’incontro richiesto, vogliamo risposte in termini di prospettive occupazionali», ha affermato Bellanova. Giannino Rizzo della Uilta localizza maggiormente il problema: «È da criminali lasciare andare alla deriva due stabilimenti così grandi, in grado di creare lavoro e sviluppare economia per il territorio. Non ci stiamo accorgendo che Schio sta morendo e che sta diventando giorno dopo giorno più povera, pur non essendo mai stata ricca». Parole pesanti quanto meditate. Ma il sindacato incassa pure una polemica. Ad attendere il corteo all’ombra del duomo c’era una rappresentanza del circolo scledense di Rifondazione Comunista che non ha sfilato ma si è limitata a presenziare con una decina di militanti muniti di bandiere rosse: «Siamo qua perché non potevamo mancare ma siamo critici nei confronti del sindacato - afferma lo storico leader dei rifondatori locali, Ezio Simini. - Si doveva lottare quando era il momento, anziché concertare. Allora in piazza sarebbero arrivati in migliaia. Invece siamo qui a contarci quando ormai resta poco da fare». I lavoratori ci credono ancora e, fra uno slogan e l’altro, auspicando un più ampio coinvolgimento delle istituzioni e dell’opinione pubblica, per ora latitante, per far recedere l’azienda dalla decisione di chiudere gli stabilimenti scledensi, ribadiscono il concetto in un volantino diffuso ai passanti: «Vogliamo un lavoro e un futuro». |