26 GENNAIO 2005

dal Giornale di Vicenza

Cogi, sventola il rosso
In Comune i dati dell’Ulss su malattie e morti da pm10
«Ma non si può condannare chi lotta per libertà e dignità»
S. Bortolo, soldati come a casa loro Si intensificano i rapporti Usa-Ulss

Teatro in tribunale
Cogi, sventola il rosso
E l’ufficiale giudiziario oggi andrà in Comune

di Ivano Tolettini

Ma il costruttore edile Giuseppe Coccimiglio a che gioco sta giocando? Zona, uomo o applica in maniera sistematica la tattica del fuorigioco? Per adesso il tribunale gli sventola il cartellino rosso del debitore e la faccenda per l’impresario si complica. Firmando a favore della “Technoprove ” un decreto ingiuntivo di 17 mila euro, il presidente Dario Pafundi ha autorizzato, indirettamente, la ditta creditrice a rivolgersi in Comune per recuperare i quattrini che il titolare dell’impresa Cogi, impegnata nella costruzione del teatro in viale Mazzini, le deve e finora non ha voluto versare. Dunque, mentre il pirotecnico imprenditore e funambolico presidente-allenatore del Foggia Calcio è alle prese con una causa di lavoro intentatagli dalla Cgil a nome dei muratori stranieri licenziati in tronco la scorsa settimana dopo che erano andati a protestare in Comune poiché non erano stati retribuiti, Coccimiglio si trova a confrontarsi anche con questa seconda grana legale, che testimonia che qualcosa non quadra nel suo stato di salute finanziaria. La vertenza risale a parecchi mesi fa allorché la società “Cogi Costruzioni Industriali spa” che fa capo all’imprenditore calabro-pugliese, si è resa inadempiente nei confronti della società di cui è titolare Egidio De Meo. Sul finire del 2003 la “Techoprove” aveva ricevuto l’incarico di eseguire le prove e le indagini fisico-meccaniche e chimiche sia in laboratorio che in cantiere sui materiali usati per la realizzazione del teatro. Si trattava di un controllo di qualità ad ampio spettro. Sono prove previste dalla legge e pertanto sono obbligatorie. Le prestazioni da parte della “Technoprove” sono avvenute nell’arco di qualche mese e, al termine, sono state emesse due fatture per complessivi 15 mila 453 euro. Tutto a posto? Macché. Da quel momento la società vicentina che ha sede in via dell’Industria 22, e che fa della qualità uno dei suoi caposaldi, non ha più visto il becco di un quattrino. Ha più volte sollecitato il pagamento delle fatture, ma il signor Coccimiglio non ha più degnato di una risposta Technoprove. Così, mentre il cantiere avanzava con i ritmi che sono sotto gli occhi di tutti, all’ingegnere De Meo non è rimasto che rivolgersi a uno studio legale. È toccato all’avvocato Francesco Di Bartolo preparare il dossier per chiedere, senza ascoltare la controparte (“inaudita altera parte”, come la chiamano i giuristi), l’emissione del decreto ingiuntivo. Il 25 giugno 2004 il tribunale, dopo avere valutato la documentazione, ha firmato il decreto che condannava la società debitrice a tirare fuori i soldi e “Technoprove” l’ha notificato a “Cogi” il 12 luglio. Tuttavia, il patron Coccimiglio, o chi per esso, non ha mai risposto ai solleciti del creditore. Un comportamento che non ha bisogno di commenti tenuto conto che il Comune ha regolarmente pagato gli stati di avanzamento lavori. Coccimiglio non ha risposto a “Technoprove” neppure - e questa circostanza deve far riflettere molto sulle modalità con cui la “Cogi” intrattiene le relazioni a trecentosessanta gradi, al di là delle sue parole - quando a dicembre è stata fissata l’udienza per far diventare esecutivo il decreto. Il 15 dicembre il tribunale ha dichiarato il decreto esecutivo e questa mattina l’ufficiale giudiziario si presenterà in Comune per avviare la pratica del pignoramento presso terzi. In buona sostanza, il Comune sarà avvisato della situazione debitoria di “Cogi” e che dovrà trattenere 17 mila 660 euro quando la prossima volta l’economo firmerà l’assegno per Coccimiglio. Visto che il patron non paga di tasca propria, ci penserà palazzo Trissino a farlo in forza dell’ordine del tribunale. Coccimiglio, a che gioco sta giocando con il più importante cantiere della città?

«Coccimiglio non può dettare regole»
Parla il direttore dei lavori. Cantiere “occupato”. Licenziamenti, fissata l’udienza

di Chiara Roverotto

« Qui non c’è nessuno che può accettare o meno ultimatum. Ci sono regole da seguire, procedure da rispettare e, soprattutto, un iter procedurale che non viene deciso da nessuno, se non dalla legge che in materia di appalti è molto chiara ». L’ing. Mario Gallinaro, direttore dei lavori per la costruzione del nuovo teatro non nasconde disappunto, incredulità. Le dichiarazioni di Giuseppe Coccimiglio amministratore delegato della Cogi, l’impresa fiorentina che ha vinto l’appalto e riportate ieri dal nostro Giornale, hanno fatto salire la “febbre” attorno al cantiere più importante della città. «Come ho già avuto modo di dichiarare - continua l’ing. Gallinaro - la Cogi è stata messa, come si dice tecnicamente, in mora, ed ha trenta giorni di tempo per accelerare i lavori. Non lo farà? Verrà comunque stilata una relazione dal sottoscritto i n qualità di direttore dei lavori e dal responsabile del procedimento, l’arch. Gianni Bressan. A quel punto il rapporto verrà inviato al committente dell’opera per cui al Comune, quindi sarà la giunta a decidere come intende muoversi. Non ci sono altre strade, la procedura in realtà è semplice, poi per le decisioni si vedrà... ». Intanto, la Cogi ha fatto arrivare sia all’ing. Gallinaro che all’arch. Bressan una lettera nella quale chiede una proroga di sei mesi per i ritardi che ci sono stati in questi due anni di lavori. Rallentamenti determinati - a detta dell’amministratore Coccimiglio - dalla bonifica bellica, durata 54 giorni. Dallo smantellamento di una vecchia fabbrica all’interno dell’area, altri 56 giorni. Sessanta per le questioni procedurali aperte con una ditta subappaltatrice, la Futura di Altavilla costate il licenziamento degli operai, una vertenza sindacale e poi la riassunzione da parte della Cogi e infine il maltempo: 26 giorni documentati dai bollettini dell’Arpav regionale. Quanto basta per l’amministratore della Cogi per chiedere una proroga di 196 giorni e in tempi molto stretti. « Anche in questo caso - spiega l’assessore ai Lavori pubblici, Carla Ancora - la proroga è di pertinenza del direttore dei lavori e del responsabile del procedimento poi, di fronte a una relazione, l'Amministrazione deciderà sul da farsi. Il cronoprogramma - continua l’assessore Ancora - è già stato discusso con la Cogi, ancora alla fine delle ferie estive, ma non so se sono rientrati anche questi 196 giorni di ritardo. Sta di fatto che le dichiarazioni di Coccimiglio nascondono forse la volontà di andare avanti, ma probabilmente alle sue condizio ni. E, questo, non credo sia proprio possibile ». Niente da dire, la situazione si sta facendo intricata, intanto il cantiere di viale Mazzini rimane occupato e presidiato dai sindacalisti della Cgil. Ieri mattina accanto al segretario provinciale Oscar Mancini c’erano Andriollo, Toniolo e tutti gli operai poco meno di una ventina. Infatti, oltre ai nove che, sulla carta, sono stati licenziati si sono aggiunti anche gli altri che lunedì erano al lavoro. Per cui l’attività è definitivamente bloccata. « E di questo prendiamo atto - prosegue l’ing. Gallinaro - , alla fine conteggeremo tutto ». Intanto, il giudice del lavoro ha fissato l’udienza dopo il ricorso d’urgenza presentato dalla Cgil ancora venerdì scorso per far reintegrare i nove operai che erano stati licenziati perché, non avendo ricevuto la busta paga, erano andati in Consiglio comunale a protestare. La discussione della causa, davanti al giudice Luigi Perina, inizierà il prossimo due febbraio. Insomma, è scontro duro da qualunque fronte si voglia affrontare la questione teatro: ieri sera c’è stata la conferenza dei capigruppo dell’opposizione e le bordate contro la gestione del cantiere da parte dell’Amministrazione non sono mancate. Anzi, Alifuoco, Asproso, Soprana, Quaresimin, Dalla Pozza, Franzina e Poletto hanno inviato l’ennesima lettera al sindaco e al direttore dei lavori nella quale elencano alcuni articoli contenuti nel capitolato d’appalto relativi alla proroga richiesta dalla Cogi. « A giustificazione del ritardo - si legge - nell’ultimazione o nel rispetto delle scadenze fissate nel programma temporale, l’appaltatore non può mai attribuirne la causa in tutto o in parte ad altre ditte, imprese o forniture, se l’appaltatore non ha tempestivamente per iscritto denunciato al committente il ritardo ». Senza contare - sostengono i consiglieri - che bonifica bellica, scavi, riempimenti e demolizioni erano inseriti nella gara d’offerta. « Vogliamo sapere se il sindaco intende aderire alla richiesta dell’impresa o se vuole usare tutti gli strumenti giuridici a disposizione per dare finalmente una svolta positiva al cantiere per ultimare il progetto del nuovo teatro ». Intanto, prende posizione anche la Uil che appoggia « pienamente - si legge in una nota - la lotta dei lavoratori impiegati nella costruzione del teatro, auguriamo vittoria contro imprese avventuriere e arroganti che non rispettano alcuna regola del lavoro : il pagamento dei salari, il rispetto di contratti, leggi e costituzione che regolano un mondo che preferirebbero prepotente e prevaricatore. Auspichiamo - conclude la nota della Uil - che le autorità siano garanti della legge e intolleranti con chi, del sopruso fa bandiera di imprenditore tentando il ricatto verso l'amministrazione di questa città ».

La città è solidale
C’è chi passa e lascia soldi per gli operai

(c. r.) Le bandiere della Cgil si vedono da lontano, sono state “issate” attorno a tutta l’area del cantiere, proprio su quei cartelli che l’Amministrazione comunale aveva fatto affiggere due anni fa,quando le ruspe entrarono nell’area: « scusateci per il disagio arrecatovi » e poi c’è il picchetto dei sindacati davanti all’ingresso di via Battaglione Framarin che resiste già da alcuni giorni. Evidentemente, il licenziamento di quei lavoratori, nove in tutto, la maggior parte dei quali moldavi e romeni, che giovedì scorso protestavano in Consiglio comunale solo perché non avevano ricevuto lo stipendio, come peraltro era accaduto anche in passato, deve avere colpito al cuore dei vicentini. Ieri non sono mancati cittadini che sono andati a portare la loro solidarietà agli operai. Non solo, dopo una stretta di mano, poche ma buone parole, hanno anche lasciato qualche euro. Nessuna cifra straordinaria ma, come si dice in questi casi, quello che conta è il gesto. Ed è stato importante. E, forse, nessuno degli operai se l’aspettava

Attestato di solidarietà non condiviso da tutti
Ma ora sul cantiere la Provincia è divisa

(s.m.d.) Sulla questione dei lavoratori del cantiere ora la maggioranza provinciale si spacca. Ieri pomeriggio, su iniziativa dell’opposizione, una testimonianza scritta di solidarietà verso gli operai corredata di sollecitazione d’intervento delle istituzioni, è stata firmata da 19 consiglieri appartenenti a Ds, Margherita, Comunisti Italiani, Italia dei Valori e Forza Italia e poi consegnata direttamente agli operai di viale Mazzini. Il documento, però, non è stato firmato da Lega, Alleanza Nazionale e Udc. «Diamo piena solidarietà ai lavoratori - si legge nella circolare “solidale” - le recenti dichiarazioni del titolare della ditta appaltatrice offendono ogni sicero democratico e prefigurano rapporti di lavoro che non possono sussistere nella nostra società di diritto». E ancora: «Chiediamo che le autorità preposte intervengano per risolvere la situazione che si è creata, ripristinando il diritto inalienabile al lavoro, alla sicurezza della retribuzione, al rispetto dei normali rapporti tra cittadini così come sono sanciti dalla legge e, in primo luogo, dalla Costituzione». Dichiarazioni non sottoscritte da Lega, An e Udc, appunto, e a spiegarne il perché ci pensa il leghista Gianfranco Zonin: «Non capiamo perché bisogna dare tanta enfasi alla vicenda di sei lavoratori, quando in tutta la provincia ce ne sono altri 3mila e 500 che rischiano il loro posto - racconta Zonin - forse ci si preoccupa tanto perché dietro a tutta la faccenda c’è Hüllweck e il Comune, ecco spiegata la gran cassa di risonanza che si vuol dare all’evento». «Insomma, noi non abbiamo ritenuto necessario firmare questo documento perché non vogliamo prestarci ad alcuna strumentalizzazione - conclude Zonin - come abbiamo già detto recentemente, la questione non dovrebbe nemmeno essere affrontata dalle istituzioni: è di competenza della magistratura».


In Comune i dati dell’Ulss su malattie e morti da pm10
Dopo le denunce, l’opposizione ora si spacca fra chi prende rigorose distanze dall’ordinanza e chi la sostiene

(g. m. m.) Contro l’ondata di polemiche e lamentele, l’assessore all’ecologia Valerio Sorrentino ieri ha esibito la relazione stilata dall’Ulss 6 e allegata al rapporto sulla qualità dell’aria in città nel 2003. «La situazione dei pm10 appare sempre più fuori controllo», si legge nella nota inviata nelle scorse settimane. Ad allarmare era soprattutto la conferma della correlazione fra l’andamento dei livelli di polveri sottili e i danni alla salute. Viene infatti sottolineato l’eccesso di eventi avversi attribuibili ai pm10. In base all’analisi, alla mortalità generale viene attribuito un valore di 1,8 per cento, alla mortalità cardiovascolare di 2,7%, alla mortalità respiratoria di 3,2%, ai ricoveri per malattie respiratorie di 3,4% e ai ricoveri per malattie cardiache di 1,5%. In altre parole, statisticamente c’è una correlazione fra gli incrementi delle concentrazioni di micropolveri e l’incremento di morti e ricoveri per problemi cardiovascolari o respiratori. Non di sole critiche, tuttavia, si alimenta il dibattito di questi giorni. Dopo aver presentato un esposto in Procura, ora Adriano Verlato, coordinatore dell’Ulivo, tende la mano: «Sono contento che il sindaco abbia deciso una settimana di blocco del traffico perché interessa anche a me sapere quali sono gli effetti del provvedimento. Indipendentemente dal risultato, è tuttavia bene precisare che lo stesso dovrà essere integrato con altre azioni coordinate: autobus ecologici, parcheggi di interscambio per tutti i veicoli che arrivano in città, controlli a tappeto sulle emissioni di tutti gli impianti privati e pubblici, riduzione sensibile del traffico privato in città, coordinamento con gli altri Comuni. Non si tratta di fare i Soloni, ma solo di essere responsabili verso se stessi e verso gli altri. Finora, vuoi per negligenza, vuoi per leggerezza, i provvedimenti assunti sono stati risibili e comunque tali da non alleviare in alcun modo il problema. Agli artigiani e ai commercianti , mi permetto dire che comprendo i loro problemi ma che questo esperimento è una cosa importante che va fatta anche se comporta dei sacrifici». Cita il Gattopardo , invece, il capogruppo diessino Luigi Poletto: «Se da un lato il varo di una misura così forte e invasiva per i cittadini come il blocco totale delle auto per una settimana rappresenta sicuramente un passo in avanti sotto il profilo dei "valori in gioco", quale dimostrazione di una nuova consapevolezza dei pubblici poteri che, chiamati a scegliere tra la tutela del diritto alla mobilità e la tutela del diritto alla salute, optano per quest'ultimo; dall’altro è da criticare con la massima energia la strumentalità e la spregiudicatezza con cui Hüllweck gioca questa partita, per porsi al riparo da eventuali indagini giudiziarie e per dimostrare mimetizzare l’assenza di politiche sostenibili di gestione della mobilità urbana. "Occorre dunque che tutto cambi in una settimana di blocco totale del traffico, perché nulla cambi in futuro nella mobilità cittadina"». Infine, dalla decisione del sindaco prendono decisamente le distanze alcuni consiglieri dell’opposizione, in una nota che vede primo firmatario il diessino Ubaldo Alifuoco: «L’ordinanza (caso unico in Italia) è frutto di una autonoma responsabilità del sindaco e della Giunta e nessun momento di coinvolgimento del consiglio comunale e dei gruppi di opposizione c’è stato. Consideriamo la decisione priva di quegli effetti che sono necessari per modificare una situazione di inquinamento dell’aria ormai insostenibile e fuori norma. Tra l’altro non si capisce perché il blocco riguardi un perimetro centrale senza alcuna concertazione con i comuni contermini. Ad esempio, per quale motivo non si è pensato di sospendere il traffico pesante dalla strada Pasubio». E proprio qui, venerdì torneranno le manifestazioni di strada anti-Tir dei comitati.


L’intervista
«Ma non si può condannare chi lotta per libertà e dignità»
Nessuna scrittura predica la violenza, tuttavia consente la legittima difesa «Diciamo no a tutti i terrorismi, ma esistono anche le guerre di liberazione»
«I nostri rapporti con la comunità cattolica sono buoni Rimane però aperta la questione cimitero»

di Chiara Roverotto

- Secondo lei ci possono essere musulmani di cultura europea? Senza contraddizione tra le due identità perché ogni cultura ha il suo modo di interpretare la religiosità?
«Sì, quasi un terzo dei musulmani presenti in Europa, per cui 14 milioni, sono nati o cresciuti in questo continente. Inoltre, sono alcune centinaia di migliaia gli europei che si sono convertiti all’Islam».
- Il velo rimane un obbligo religioso, molte musulmane non lo portano più, dimostrando che ne possono fare a meno: che cosa ne pensate?
«Dottrinalmente è un dovere della musulmana, ma riguarda il suo personale rapporto con Dio».
- E vietarlo, come è accaduto in Francia, che cosa rappresenta: una violazione dei diritti umani come più volte è stato scritto?
«Certamente sì, lo stato può, anzi dev’essere laico. Ma se impone il laicismo ai cittadini ci troviamo di fronte ad un intollerabile integralismo».
- Qual è la vostra posizione sui simboli religiosi cristiani?
«Nessun problema, riconosciamo, anche nell’ambito pubblico, il diritto della maggioranza della nostra comunità nazionale ad esporre i simboli cari alla loro tradizione spirituale e culturale».
- Che cosa ne pensa di quello che accade in Iraq, in Palestina o in Israele in nome di una fede che noi occidentali, forse, facciamo fatica a comprendere visto che abbiamo visto persone morire ingiustamente?
«Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Sarebbe un’ingiustizia e, soprattutto, una leggerezza. Ci sono le lotte di liberazione nazionale e gli episodi di terrorismo. Sono cose estremamente diverse. E, tuttavia, non possiamo non stigmatizzare con fermezza comportamenti o metodi che trascendono da quell’etica dei mezzi, trasgredendo la quale ogni azione del credente si vanifica e l’obiettivo raggiunto non ha più niente a che fare con l’intenzione iniziale».
- Più volte è stato detto e scritto che il Corano non predica la violenza e, allora, che cosa pensa dei terroristi che si fanno saltare in aria e degli shahid, più noti come martiri?
«Nessuna scrittura predica la violenza e, tuttavia, consente la legittima difesa. È drammatico e interroga la coscienza di ogni persona di cuore e di intelletto che alcuni giovani ritengano che non c’è altro modo che immolarsi per testimoniare il loro disperato rifiuto dell’ingiustizia e dell’occupazione».
- Voi li condannate?
«Il terrorismo va sempre condannato. Però faccio molta fatica a condannare chi lotta per la propria libertà e dignità».
- A Vicenza, per la prima volta a livello nazionale, è stata organizzata una manifestazione per dire no alla violenza e al terrorismo. Ma il consiglio islamico, che lei rappresenta, non ha aderito alla manifestazione: perché?
«Il consiglio islamico di Vicenza considera la condanna del terrorismo, l’educazione alla cultura della legalità, il contrasto ad ogni forma di estremismo un impegno quotidiano e un presupposto per una vera integrazione della comunità islamica in Italia. Pur condividendo la finalità di quella manifestazione pensiamo che il vero lavoro che deve impegnarci tutti sia quello intellettuale e culturale. Per cui, finita la manifestazione, che cosa abbiamo fatto a tutt’oggi perché la comunità islamica diventi una aperta e visibile, in grado di interagire con il suo contesto? È su questo che dobbiamo lavorare».
- Indagini, inchieste: prima sugli imam che predicavano la violenza nei loro sermoni e, poi, gli infiltrati: in città ci sono state indagini con arresti per presunti appartenenti al gruppo salafita: che cosa ne pensate?
«Attendiamo serenamente il giudizio della magistratura. Non possiamo, però, dimenticare che a fronte di tanto rumore in dieci anni di indagini sono stati inquisiti per reati connessi all’eversione e al terrorismo solo 250 musulmani, i condannati sono stati 6. Poi, dopo un grande strepito mediatico al momento delle operazioni, le scarcerazioni e le assoluzioni sono pressoché ignorate da quasi tutta la stampa».
- Come può esistere democrazia nei paesi musulmani dove l’apostasia è punita con la morte e quando il Corano sentenzia che la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo?
«Appunto, nei paesi islamici più coccolati dall’Occidente non c’è alcuna democrazia e l’Islam viene usato come uno strumento di potere: "religio istrumentum regni" scriveva il Machiavelli ne Il Principe. Il caso dell’apostasia riguarda solo condizioni di tradimento di fronte al nemico che sono condannate in tal modo da tutti i codici militari del mondo. Per quanto riguarda la testimonianza della donna, ciò è legato ad una particolare condizione delle donne e ad una supposta generale sensibile impressionabilità e debolezza di fronte alla pressione ambientale. Questo è un tema su cui stanno ragionando e discutendo i sapienti musulmani in Occidente. Forse avremo risposte che ci permetteranno di affrontare la realtà odierna senza tradire il principio».
- Come sono i vostri rapporti con la comunità cattolica?
«Sono buoni e siamo interessati a rafforzare il clima di dialogo e di rispetto reciproco con la comunità cattolica e con tutte le altre minoranze religiose».
- La comunità islamica tra gli stranieri è la seconda per numero di presenze in provincia: prima ci sono i cristiani ortodossi e poi arrivate voi. Vi sentite liberi nell’esprimere la vostra fede?
«Abbastanza, anche se crediamo che ci sia ancora molta strada da fare. Rimane insoluto il serio problema dell’ora di religione per i nostri bambini, la questione dell’area cimiteriale e altre problematiche sollevate dalla bozza d’intesa presentata dall’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia nel 1990 (www.islam-ucoii.it ) e che tutt’ora non ha avuto risposta dal governo Italiano» .
- Più volte avete parlato della costruzione di un centro multiculturale e multifunzionale: ci credete ancora, rientra nei vostri progetti oltre a chiedere uno spazio per seppellire i vostri morti?
«Oggi la comunità islamica a Vicenza conta più di 25 mila persone portatori di diritti e di bisogni non solo materiali. Diritti sanciti dalla costituzione Italiana e dai vari trattati ratificati dall’Italia: il trattato di Copenhagen è solo un esempio. La libertà di professare la propria fede è uno di questi. E uno stato democratico e rispettoso dei diritti umani come l’Italia non può non tutelare i diritti delle minoranze. Mi sembra ovvio, quindi, che la comunità islamica pensi di dotarsi di uno o più sedi per poter rispondere ai suoi bisogni».
-E quando avverrà?
«Nel momento più opportuno e sicuramente in concerto con le istituzioni e nel rispetto delle leggi in vigore. Per quanto riguarda l’area cimiteriale, ultimamente abbiamo di nuovo sollecitato l’amministrazione a coordinare un tavolo con i diretti responsabili dei vari Comuni del Vicentino per dare una risposta provinciale a una questione che noi consideriamo urgente. Una lettera in questo senso è stata mandata al sindaco Hüllweck e ai presidenti della Provincia e dell’Anci Veneto».
- Come mai nelle carceri italiane ci sono molti immigrati (parliamo di spacciatori di droga, di uomini che sfruttano donne? Come è concepibile tutto questo rispetto a quanto prevede la vostra religione?
«La maggioranza degli altri reclusi sono italiani che, teoricamente, hanno una religione altrettanto rispettosa della proprietà, dell’integrità e dei diritti della persona. Sarebbe bello bastasse avere un certo nome e una certa identità per proteggere dalla devianza. Non è così. Inoltre, non possiamo trascurare la realtà di debolezza strutturale e dello stato di precarietà dell’immigrato. I veneti, calabresi o piemontesi emigrati all’estero a cavallo tra l’800 e il 900 erano accusati delle stesse cose».
- La società musulmana forse non dovrebbe pensare ad un nuovo modello di democrazia per permettere la liberalizzazione del pensiero e quindi il suo rinnovamento?
«Dov’è la società musulmana? Esistono società composte da musulmani, ma la società musulmana l’avranno solo in paradiso quelli che avranno la grazia di arrivarci. Noi dobbiamo lavorare per costruire società più eque e solidali nei luoghi in cui Iddio ci fa vivere. Per quanto riguarda il rinnovamento, questa è una caratteristica insita nell’Islam. Anzi il Profeta, pace e benedizione su di lui, ci ha promesso che ogni cento anni Iddio avrebbe suscitato un rinnovatore».
- Che cosa significa per voi integrazione?
«Essere cittadini responsabili senza negare la propria identità culturale e religiosa. Credo che questo sia possibile: essere cittadini nella diversità».
- Vicenza è una città che riesce ad integrarsi oppure è chiusa?
«Abbastanza».
- E allora che cosa servirebbe?
«Un impegno più forte della società civile e delle istituzioni non sarebbe male».
- Quali sono i problemi più importanti per la vostra comunità che sono rimasti inascoltati in tutti questi anni?
«I nostri problemi e le nostre richieste sono state raccolti come ho già accennato nella bozza d’intesa presentata dall’Ucoii. ( www.islam-ucoii.it ) Rispondere a quelle richieste risolverà molti dei nostri problemi e rafforzerà la convivenza civile tra i cittadini di oggi e di domani. Mi auguro che questo possa avvenire nel prossimo futuro».


S. Bortolo, soldati come a casa loro Si intensificano i rapporti Usa-Ulss

(f. p.) La prossima settimana arriverà al S. Bortolo in veste ufficiale Ronald Keen. È lui il nuovo responsabile sanitario della caserma Ederle e prende il posto del col. Richard Trotta che seguirà tutta la 173ª brigata Airborne e il generale Jason Kamiya in partenza per la prossima missione in Afghanistan. L’intento, dopo l’accordo sancito con l’Ulss dagli emissari della International Sos, la multinazionale che gestisce i rapporti fra americani e strutture sanitarie in gran parte del mondo e assicura la copertura assicurativa, è di intensificare ulteriormente i rapporti con il S. Bortolo. Ora il governo Usa avrà un conto diretto con l’amministrazione dell’azienda berica alla quale pagherà le spese dei ricoveri ospedalieri dei militari di stanza a Vicenza e dei loro famigliari. Il dg Antonio Alessandri pone in evidenza questa collaborazione in crescita: «Il merito - dice - è anche della dottoressa Heithaus e delle 8 interpreti della reception che agiscono da cuscinetto fra la Ederle e il S. Bortolo e fanno sentire a loro agio gli americani che si ricoverano nel nostro ospedale». Per il direttore generale il "patto" stretto con la compagnia che rappresenta gli Usa è «un grosso riconoscimento all’eccellenza della sanità vicentina». E che gli americani apprezzino il S. Bortolo lo provano sulle pareti della stanza di Alessandri i molti diplomi giunti in quest’ultimo periodo dai generali della Setaf, oltre che la medaglia d’onore conferita allo stesso dg lo scorso Natale e la lettera di ringraziamento arrivata da Washington per quanto è stato fatto in occasione della visita alla Ederle nel 2004 di Dick Cheney, quando al S. Bortolo vennero allertati pronto soccorso e cardiochirurgia e gli 007 americani allestirono una linea dedicata con la White House per ogni evenienza legata allo stato di salute dell’allora vice Bush, sofferente alle coronarie e portatore di 5 by pass. «Questo accordo - commenta il direttore medico Edoardo Vanzetto - significa due cose: primo, le nostre prestazioni ospedaliere vengono definite ottimali. Secondo, anche gli americani si sentono parte integrante della comunità vicentina».

Rissa con 50 contendenti Il gip ha rimesso in libertà i cinque soldati americani

Tornano liberi i cinque militari americani di stanza alla caserma Ederle arrestati nella notte fra venerdì e sabato per rissa aggravata e resistenza a pubblico ufficiale. Il gip Marco Benatti li ha sentiti nell’interrogatorio di garanzia, ha convalidato il provvedimento preso dai carabinieri ed ha disposto che siano scarcerati. L’episodio risale alle 4 di sabato mattina ed è avvenuto davanti al locale "Seven" di via Zamenhof. I carabinieri erano intervenuti con una pattuglia per la segnalazione di una rissa ma quando erano arrivati si erano trovati di fronte una cinquantina di americani della caserma, in gran parte ubriachi, che avevano finito una festa fra connazionali. Per motivi che non sono emersi, ma che dipendevano soprattutto dall’alcol, erano venuti alle mani uno contro l’altro, scatenando un furibondo parapiglia. I carabinieri erano stati aggrediti ma poi avevano chiesto aiuto ad altri colleghi, che erano intervenuti in forze arrestando cinque militari statunitensi. In manette erano finiti James Austin, 19 anni, Marcelo Diaz, 25, Berry Ketcham, 19, Terrence Wyatt, 18, mentre in ospedale era stato piantonato dai carabinieri Jonathan Pierce, 24. Fra gli altri, era stato denunciato per favoreggiamento anche un militare della Mp americana che anzichè dare una mano ai carabinieri si era contrapposto alla loro azione rifiutandosi di collaborare. I cinque, assistiti dall’avv. Antonio Marchesini, sono stati sentiti dal giudice che li ha rimessi in libertà. Alcuni di loro hanno sostenuto di essere stati vittima di un’aggressione. Le indagini possono proseguire anche senza la loro reclusione.