26 MARZO 2005

dal Giornale di Vicenza

Antenne, il pericolo c'è "Lo dicono le ricerche"
"In Consiglio soltanto bugie"
La riforma taglia la chimica "Condannano gli studenti"

L’esperto
Antenne, il pericolo c’è «Lo dicono le ricerche»

di Maria Elena Bonacini

Antenne, il pericolo esiste. E Levis propone «un monitoraggio continuo». È quanto emerso dalla tavola rotonda svoltasi in Camera di commercio e organizzata dalla Circoscrizione 1 alla quale hanno partecipato i professori Silvano Pupolin e Paolo Francescon, rispettivamente docenti di elettrotecnica e telecomunicazioni e di medicina fisica e nucleare all’università di Padova, e Angelo Gino Levis, che ha insegnato di mutagenesi ambientale all’università patavina, membro permanente della commissione tossicologica dell’Istituto superiore di sanità di Roma e consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) all’agenzia internazionale sul cancro. E proprio Levis ha lanciato l’allarme riguardo alla pericolosità dei campi elettromagnetici. «Il quadro degli effetti a lungo termine di questi campi sulla salute - spiega Levis - si fa sempre più preoccupante anche a causa della letteratura fuorviante finanziata dai gestori che ne vuole dimostrare l’innocuità».
Elettrodotti. «L’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro - continua Levis - ha invece riconosciuto che, nel caso degli elettrodotti, l’esposizione residenziale a onde estremamente basse (elf) causa, già al di sopra di 0,2 microtesla, un incremento di leucemia infantile. Limite confermato in Italia dall’Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) e dall’Istituto superiore di sanità e recepito dalla magistratura che l’ha utilizzato in diverse sentenze, mentre quello cautelativo previsto dalla legge è di 10 microtesla».
Telefonini. «Ricerche finanziate da organi statali - prosegue il professore - cui è stata data poca, se non nulla, evidenza, mostrano poi un incremento fino a quattro volte del rischio di tumori al cervello, all’occhio e all’orecchio, più elevato sul lato della testa al quale si appoggia il telefonino e proporzionalmente a quanto a lungo si usa il cellulare. Ma se per i tumori è necessaria un’esposizione prolungata per 10 anni, gli effetti acuti (fra gli altri disturbi al sonno, emocrania, perdita di memoria) possono manifestarsi anche dopo tempi più brevi. I limiti cautelativi individuati dalla letteratura scientifica e recepiti anche dalla magistratura ordinaria sono infatti di 0,5 Volt metro (V/m), cioè dieci volte inferiori ai 6 Volt metro attualmente previsti per legge. I valori mediamente registrati nelle case sono comunque tra gli 0,5 e 1 Volt metro».
Umts. Questo per quanto riguarda i gsm. E gli umts, cioè i videotelefonini di nuova generazione? «Necessitano di una potenza minore - spiega il professore - ma hanno frequenze molto più alte e pericolose. Il Comune di Caldaro (Bolzano) ne ha per questo vietato l’installazione».
Stazioni radiobase. Resta da sciogliere il nodo delle temutissime stazioni radiobase. «Non ci sono ancora studi a questo proposito - afferma Levis - ma non si possono trascurare, relativamente a chi vive nelle vicinanze di stazioni radiobase per la telefonia mobile, le segnalazioni di “clusters” (sciami) di tumori, né i dati epidemiologici sulle correlazioni tra la comparsa di disturbi tipici dell’“elettrosensibilità” e i valori di campo elettrico cui sono esposti che è di 0,6 - 0,2 Volt metro».
Uno dei dibattiti aperti è quello sul numero di antenne in un sito. «La presenza di antenne a stretto raggio - spiega Pupolin - può essere meno nociva di una sola con un perimetro più ampio da coprire. La potenza necessaria per irradiare una cella dipende infatti dalle sue dimensioni. Diverso il discorso per quanto riguarda il co-siting, nel quale le diverse potenze vengono a sommarsi, nocivo nei centri abitati ma che può essere vantaggioso in aperta campagna».
Cordless. La “botta finale” riguarda però i cordless. «Che funzionano con lo stesso principio dei cellulari - conclude Pupolin - e di conseguenza sono pericolosi». Come tutelarsi? «Un aiuto - conclude Levis - è l’auricolare che tiene il cellulare alla maggior distanza possibile dall’orecchio. A patto, però, che si tratti di un semplice amplificatore collegato al telefono dal filo. È poi meglio, nelle telefonate lunghe, alternare gli orecchi ed effettuare solo le chiamate strettamente necessarie e il più brevi possibile». Cosa possono fare i Comuni? «Un piano per decidere i punti dove installare le antenne - spiega Levis - usare le migliori tecnologie togliendo gli impianti vecchi installati per i telefoni analogici e vietare le installazioni proponendo siti alternativi per la delocalizzazione». «Inoltre - conclude il professore - dovrebbero attivare una rete di monitoraggio con centraline che registrino di continuo i valori e che siano collegate a internet. In alcune città dell’Emilia Romagna ogni giorno i giornali pubblicano i dati registrati nei diversi punti e in laguna a Venezia è stato sperimentato un sistema che permette alla gente di sapere in ogni momento i valori di campo che ha in casa».


La cronistoria dei fatti che riguardano il cantiere ricostruita negli allegati alla delibera che ha deciso la rescissione del contratto
«In Consiglio soltanto bugie»
Alifuoco: «Rispondevano alle nostre interrogazioni con fatti inesistenti»

di Chiara Roverotto

«Altro che responsabilità, sono vere e proprie bugie quelle contenute nelle risposte date alle interpellanze e interrogazioni che alcuni consiglieri dell’opposizione avevano presentato in Consiglio comunale sul cantiere del teatro». Ubaldo Alifuoco, vicepresidente della Commissione territorio, non va tanto per il sottile: dalla cronistoria dei fatti che riguarda il cantiere più importante della città, ricostruita sulla base degli allegati alla delibera che propone la rescissione del contratto con la Cogi, « emergono con chiarezza le responsabilità degli amministratori coinvolti. Responsabilità - ribadisce Alifuoco - che consistono nel non aver capito ciò che stava accadendo e nell’avere trascurato, minimizzato e banalizzato le responsabilità della Cogi ». Ed è sufficiente leggere un po’ di relazioni, documenti e richieste per rendersi infatti conto che in viale Mazzini la situazione è precipitata ben prima del 20 gennaio, data in cui vennero licenziati i lavoratori. Ma andiamo con ordine. In una lettera della Cogi indirizzata al direttore dei lavori e al responsabile del procedimento del Comune (22 giugno 2004) si legge: « confermando la nostra intenzione di procedere senza alcuna incertezza con gli approvvigionamenti di materiali ed attrezzature necessarie, chiediamo la sospensione dell’applicazione delle penali annunciate nella lettera al fine di non penalizzare l’impresa in una fase come quella attuale, dove sono state impegnate ingenti risorse per poter ripartire con il giusto ritmo ». Dai documenti si evince che il direttore dei lavori aveva, già alla scadenza del primo anno di cantiere (un anno fa), riscontrato un ritardo di oltre tre mesi su dodici, e minacciato le penali. Sta di fatto che la Cogi, sempre sulla base della lettera, aumenta il personale fino a 28 operai e due tecnici (ma ne aveva promessi 40) e presenta un nuovo cronoprogramma che «no n può prescindere dal ritardo già accumulato fino quel momento: 100 giorni lavorativi dovuti al blocco dell’attività per la rescissione del contratto con la ditta subappaltatrice, la Futura, la riorganizzazione del lavoro con nuove attrezzature e la piovosità. Il nuovo programma lavori - prosegue la missiva - è stato redatto con l’ipotesi di completare l’opera entro il termine contrattuale ». Il direttore dei lavori accetta il nuovo cronoprogramma a condizione che il 1° settembre del 2004 venga effettuata una prima verifica sull’avanzamento dell’opera. «Il mancato rispetto della produzione prevista al 31 dicembre 2005 - avverte comunque Gallinaro - con sforamento massimo di 15-20 giorni comporterà l’automatica applicazione delle penali per il ritardo già previste e non applicate alla fine del primo anno e comunque previste anche alla fine del secondo ». Il 5 settembre in viale Mazzini arrivano i collaudatori in corso d’opera che, a loro volta, firmano una relazione indirizzata al Dipartimento dei Lavori pubblici. « Preso atto del nuovo cronoprogramma predisposto il 22 giugno 2004, evidenziamo apprezzabili ritardi rispetto alla produzione media giornaliera. In proposito i sottoscritti collaudatori evidenziano che l’eventuale recupero dei ritardi potrà essere possibile soltanto incrementando in maniera considerevole la forza lavoro presente in cantiere ». In sostanza, secondo l’ing. Luigi Chiappini, nell’area dovrebbero essere impiegati almeno 30-35 operai che, evidentemente, non sono mai stati impegnati malgrado le promesse dell’appaltatore. Non solo. Nella relazione finale dell’arch. Gianni Bressan (responsabile del procedimento) si scopre che « l’appaltatore non ha messo in atto le annunciate iniziative adeguate ad assicurare incrementi nella produzione del cantiere, neppure dopo il sopralluogo effettuato dalla commissione collaudatrice del 5 settembre ». Ufficialmente, invece, l’assessore Ancora in consiglio comunale il 16 dicembre, tre mesi dopo quel sopralluogo, aveva sostenuto esattamente il contrario: «L’in cremento della forza lavoro ha prodotto un percepibile aumento della produzione anche se, ovviamente, non si è recuperato ad oggi tutto il tempo perduto nel primo anno e mezzo ... Basta mettersi all’uscita del cantiere e contare gli operai nella pausa pranz o» . Al 31 dicembre, data in cui il teatro doveva essere pronto al grezzo, la situazione è sotto gli occhi di tutti. E lo scambio di lettere prosegue: il 12 gennaio di quest’anno a scrivere è sempre l’ing. Gallinaro, che segnala all’impresa il grave ritardo nell’avanzamento dei lavori in confronto a quanto previsto nel programma aggiornato in giugno. Non solo: assegna 30 giorni alla Cogi per la completa esecuzione di tutte le strutture verticali fino a tre metri d’altezza, di tutti i solai in quota e il completamento delle impermeabilizzazioni dei muri controterra. Scaduto il termine, il direttore dei lavori procederà di conseguenza. La risposta della Cogi non si fa attendere e il giorno successivo richiede un’ulteriore proroga: 200 giorni (54 per la bonifica bellica, 56 per il ritrovamento e rimozione nell’area di vecchi manufatti, 60 per l’impresa subappaltatrice e 26 per la pioggia). La risposta del direttore dei lavori non si fa attendere: le motivazioni addotte dalla Cogi per la proroga sono antecedenti al cronoprogramma fissato a giugno, pertanto l’ing. Gallinaro propone di concedere solo 46 giorni consecutivi di proroga sul tempo contrattuale di 1.080 giorni. Anche la commissione di collaudo ritiene infondate le richieste della Cogi e propone di concedere da un minimo di 20 fino a un massimo di 40 giorni. Eppure, sulla stampa il sindaco si dichiara favorevole alla proroga di 200 giorni “perché le giustificazioni portate dalla Cogi appaiono fondate e giustificate ”. Si procede alla messa in mora dell’azienda (il termine scade il 10 marzo con un nulla di fatto), a vari sopralluoghi, fino alla decisione finale della rescissione. Alla fine viene accertato un ritardo di 120 giorni e viene applicata una penale di 461 mila euro e nell’ultima relazione dell’arch. Bressan si legge testualmente che dal 21 dicembre del 2004 non è stata eseguita alcuna produzione nel cantiere di viale Mazzini, e i lavori risultano di fatto sospesi dall’appaltatore senza giustificato motivo. «All a fine - conclude Alifuoco - la questione è sempre la stessa: ci sono tecnici che avrebbero dovuto controllare maggiormente l’impresa che aveva vinto l’appalto, prima di assegnarle i lavori, ma evidentemente si dovevano rispettare i tempi elettorali e ora questi sono i risultati ».

«Gli operai senza paga la Cgil dà un acconto»

(c. r.) « I lavoratori non vengono pagati dal Comune, l’Ispettorato del lavoro sta valutando la loro posizione. Ciò non toglie che aspettano lo stipendio di febbraio e, siccome devono pur vivere in qualche modo, abbiamo deciso di utilizzare il fondo di solidarietà e gli abbiamo anticipato trecento euro ». Antonio Toniolo, segretario provinciale della Fillea- Cgil sta seguendo la vicenda degli operai della Cogi da almeno un anno, da quando i ritardi nei pagamento degli stipendi erano all’ordine del giorno. Poi, a gennaio, la questione si è fatta più pesante con il licenziamento ingiustificato e il ricorso al giudice del lavoro. La sentenza dopo qualche settimana non lasciava dubbi: reintegro degli operai nella sede di lavoro di Vicenza. Ma intanto l’amministratore unico dell’impresa non si faceva trovare e il cantiere veniva formalmente chiuso, anche se continuava il presidio degli operai che ora si è trasferito a palazzo Trissino. « Non ci resta che un’unica possibilità - aggiunge Toniolo - la Cogi ci dovrebbe inviare le lettere di licenziamento dei lavoratori visto che la rescissione del contratto partirà il 5 aprile. Con quelle, i quindici operai che a tutt’oggi sono ancora in carico formalmente all’azienda fiorentina potranno chiede la disoccupazione ».


Scuola . La protesta dei docenti: «Così, per risparmiare, si attua il declino del Paese»
La riforma taglia la chimica «Condannano gli studenti»

di Anna Madron

La bozza del decreto legislativo che riforma le scuole superiori li ha fatti sobbalzare. E ha spinto gli insegnanti di chimica a prendere carta e penna per protestare contro una riforma che “penalizza fortemente l’insegnamento scientifico” al punto che in alcuni licei, come quelli ad indirizzo economico e artistico, la chimica viene completamente eliminata, mentre in altri risulta fortemente ridotta in termini di ore settimanali “al punto da non poter garantire una seria offerta formativa”, osservano i docenti, critici anche nei confronti delle nuove figure professionali di diplomati con competenze generiche introdotte dal decreto. E non è tutto. Perché anche nei licei classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane si prevede, stando alle indicazioni contenute nella bozza, l’insegnamento di un’unica disciplina denominata “chimica, biologia e scienze della terra”. «In altre parole l’accorpamento di tre discipline diverse, oggetto di tre corsi di laurea distinti il cui insegnamento - fanno notare i chimici - dovrebbe essere affidato a docenti con specifica abilitazione». Nel sottolineare che i tuttologi non esistono e che ognuno deve insegnare la disciplina per la quale si è formato all’Università, i professori di chimica puntano dunque il dito contro quelli che definiscono “errori gravissimi della riforma”, tali da privare gli studenti delle basi necessarie per accedere a facoltà come Medicina, Chimica, Biotecnologia. Una situazione che l’Anictc, la neonata Associazione nazionale insegnanti di Chimica e Tecnologie chimiche, presieduta dalla vicentina Antonella Balasso, non esita a denunciare, sottolineando che la bozza del decreto legislativo «produrrà effetti devastanti sulle possibilità di sviluppo scientifico e tecnologico del Paese». «Vengono infatti eliminate tutte le sperimentazioni che nel corso degli anni hanno permesso il raggiungimento di un’offerta adeguata alle necessità formative degli allievi e alle richieste scientifiche del Paese», spiega Balasso che a nome dei colleghi fa notare come la proposta di inserire qua e là qualche ora opzionale di Chimica sia «un palliativo insufficiente in una proposta formativa seria, che in tutti i licei dovrebbe invece prevedere un congruo numero di ore curricolari di chimica e tecnologie chimiche, comprensive di laboratorio per le prove pratiche. Tale disciplina dovrebbe essere insegnata dai docenti di Chimica e Tecnologie chimiche (classe di concorso A013) e non dai docenti di Scienze (A060), avendo i primi nel bagaglio della propria preparazione universitaria una media di 23 esami di chimica, contro un numero assai ridotto (da uno a sei) rispetto ai colleghi che insegnano Scienze». Morale, si rischia di «ridurre il bagaglio culturale degli studenti, impedire un pieno sviluppo delle attitudini personali, precludere la possibilità di acquisire competenze minime spendibili nel mondo del lavoro, privare l’Italia di tecnici qualificati ed altamente specializzati in un settore strategico per ogni Paese industrializzato, condannando il nostro Paese, in un futuro non molto lontano, al declino economico, tecnologico e culturale anche nel campo della ricerca e dello sviluppo in tutte le Scienze applicate». «Da notare inoltre - conclude Antonella Balasso - che l’eliminazione dell’insegnamento di Chimica e tecnologie chimiche avrà ricadute pesantissime anche sul futuro occupazionale dei docenti precari di questa disciplina che, dopo anche molti anni di competente e appassionato servizio specifico nella Chimica e nelle tecnologie chimiche, si vedranno condannati alla disoccupazione senza ritorno, disperdendone l’alta professionalità in un illogico e dissennato spreco di risorse umane». Il tutto non senza contraddizioni. A cominciare dai nuovi abilitati che le Ssis continuano a sfornare e che «dopo due anni di corso e il pagamento di circa 2500 euro, si ritroveranno senza alcuno sbocco occupazionale».

In rivolta i docenti Avief
E la Moratti riduce anche la ginnastica

di Daniele Fattori

Dopo il coro di proteste levatosi in seguito alla lettura della seconda bozza di decreto della riforma Moratti, gli insegnanti di educazione fisica della provincia di Vicenza si stanno organizzando per far sentire il loro dissenso. La conferenza regionale dell’Avief (Associazione vicentina insegnanti di educazione fisica) di domenica scorsa è stata l’occasione per mettere a punto una serie di atti concreti, allo scopo di sensibilizzare tutte le componenti scolastiche e l’opinione pubblica, in generale. «Rispetto alla prima bozza - spiega il prof. Sergio Cestonaro, presidente dell’Avief (nella foto) - assistiamo ad un peggioramento della situazione, per quanto riguarda la presenza dell’educazione fisica nei piani di studio delle superiori. Nei licei viene mantenuta l’obbligatorietà di un’ora settimanale, con la possibilità di effettuare la seconda, scegliendola dall’area di scienze motorie nel monte ore opzionale-obbligatorio». «Se prima - prosegue - vi erano tre indirizzi su cui focalizzare la scelta, ora sono diventati cinque, con l’inserimento di musica e diritto, materie che hanno il sacrosanto diritto di esserci». «Quel che sembra ad una mia valutazione - continua Cestonaro - è che si voglia attuare una riforma partendo principalmente da un fattore di riduzione delle risorse».
- Quale valenza ha acquisito l’educazione fisica nel corso di questi anni?
«Tutti i docenti intervenuti alla conferenza regionale hanno sottolineato l’importanza della materia nel promuovere processi di socializzazione e valorizzazione degli alunni: come ad esempio l’inserimento degli alunni diversamente abili, l’integrazione degli alunni stranieri, l’aiuto agli alunni in evidenti difficoltà di relazione o di disagio socio-economico-familiare. Non solo: l’educazione fisica e sportiva, svolta in ambito scolastico, rimane in molti casi l’unico momento di attività motoria e preventiva svolta con regolarità, in particolar modo nel periodo dell’età adolescenziale.
- Quali misure pensa di adottare la categoria per sollecitare il Ministero a rivedere l’ipotesi di bozza nella parte relativa all’educazione fisica e sportiva?
«Dopo un dibattito molto ampio, come Avief, abbiamo redatto un documento sottoscritto da 150 docenti della provincia. In secondo luogo, intendiamo sensibilizzare tutte le componenti della scuola, affinché siano al nostro fianco nel promuovere iniziative di sostegno alla nostra protesta. Utilizzeremo poi le manifestazioni sportive studentesche provinciali, regionali e nazionali per fare informazione sull’argomento; qualcuno, ad esempio, ha concretamente proposto di stampare, indossare e diffondere t-shirt con la scritta “Non c’è educazione senza educazione fisica”. A livello nazionale, il Capdi & Lsm (Confederazione delle Associazioni provinciali diplomati Isef e laureati in Scienze motorie) sta organizzando una manifestazione a Roma per i primi di maggio. Altre associazioni provinciali si stanno muovendo, perché il problema è particolarmente sentito in tutta Italia dai docenti di educazione fisica».