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31 MAGGIO 2005 dal Giornale di Vicenza
Fiamm, bloccati tutti i tir
Fiamm, bloccati tutti i tir di Eugenio Marzotto I camion della Renault e della Bmw se ne devono tornare a casa vuoti. I tir che devono rititare le trombe Fca non passano oltre il cancello, a fermare il camionista francese e tedesco ci sono i lavoratori in sciopero che fanno blocco all'ingresso da giovedì sera, da quando i vertici della Fiamm hanno comunicato che il loro stabilimento di via Gualda a Montecchio chiuderà e la produzione verrà trasferita in Cechia, dove i salari sono inferiori a quei 1.200 euro che mediamente si guadagnano a Montecchio. Stesso destino per altri 260 circa lavoratori di Almisano. Circa 160 persone senza più lavoro, 160 famiglie senza stipendio,160 mutui da pagare, affitti sospesi sul filo che corre da qui alla Cina e l'India, altri teatri della ristrutturazione decisa dalla Fiamm. Il blocco è inziato giovedì notte, a turno gli operai presidiano l'ingresso con l'obiettivo di non far uscire gli avvisatori acustici. Finora ci sono riusciti, nel magazzino dell'azienda di Montecchio si sono accumulati quasi 30mila trombe per auto. E la gente ha tutta l'intenzione di andare avanti, di rinunciare anche al ponte delle vacanze del 2 giugno pur di vigilare sulla fabbrica a cui hanno dato tutto in questi anni portandola ad una produttività da 10 milioni di trombe auto all'anno. Sotto il gazebo allestito per il presidio tre lavoratori per volta escono dall'azienda ogni ora. Polo blu con il marchio rosso della Fiamm, jeans e scarpe antinfortunio, divise uguali di persone con gli stessi problemi. «Mio padre ha lavorato nello stabilimento di viale Europa per 35 anni, ed è morto a causa del piombo che serviva alle batterie per auto - spiega Gaetano Pellizzari -. Io qui ci lavoro da 28 anni e adesso mi vogliono buttare in mezzo alla strada a 50 anni, senza nessuna prospettiva di lavoro. Ho tre figlie, due vanno all'università, mia moglie guadagna per un part-time 400 euro al mese. Dove trovano il coraggio per farci tutto questo?». ha 41 anni, lavora all'Fca da venti. È uno scapolo che ha trovato un rifugio sicuro in famiglia. Vive con la madre e la sorella insieme si tira la cinghia e si va avanti. «Con i miei 1.200 euro si paga l'affitto e le bollette, ma quello che manca davvero sono le prospettive, se andremo via da qui dove troveremo un altro posto di lavoro? Quest'azienda ha già vissuto delle crisi e ne è uscita, speriamo che passi anche questa bufera». Barbara Tomasi ci scherza su. «Vorrà dire che mi manterrà mio marito». Ha 34 anni, da dieci fa l'operaia. Due figli, un mutuo e un avvenire incerto non bastano per togliergli il sorriso: «Io continuo a vivere di speranza». Chi invece non ci vuole credere è Valentina Ferrari 50 anni che si sfoga pensando alla chiusura dello stabilimento: «A 50 anni non mi prendono nemmeno per fare le pulizie. Sono qui da quando avevo 18 anni, ho vissuto la crisi dell'85 con una lunga cassa integrazione, ma questa fase mi pare più difficile. Mio marito si è salvato, è andato in pensione l'anno scorso e mi dice che alla fine andrà tutto bene, vedremo». Stefano Cariolato ha 29 anni, fa l'attrezzista. È un giovane operaio specializzato, l'dentikit giusto di chi un lavoro lo dovrebbe trovare fuori da qui. «Vivo con i miei e sono abbastanza tranquillo, ma resto con i miei compagni a lottare. Qui c'è tanta gente che il lavoro non lo può proprio perdere». Ad Oriana Tisato mancano otto anni per andare in pensione. Ogni giorno a casa l'aspetta il marito che percepisce una pensione da 480 euro. «Credevo di aver ottenuto un po' di stabilità nella mia vita, invece devo ricominciare da capo. Ma come faccio? A 52 anni ho un'età in cui non sono nè vecchia nè giovane. Non c'è nessun'altra azienda che può investire su di me». È disposta ad andare fino in fondo pur di vederci chiaro dentro le cifre che in questi anni la direzione Fiamm le ha mostrato. È una sindacalista di base Adriana Zaupa, 45 anni, che pensa prima di tutto ai suoi compagni. «Qui dentro si ricavano salari per famiglie monoreddito che magari hanno tre figli. Spero che in sede centrale qualcuno ci pensi». Oliva Mattiello è in pausa e sta sotto al gazebo per tirarsi su con yogurt e sigaretta. «Questa volta l'hanno fatta grossa, ho una figlia che si sposa e un affitto da pagare. Che prospettive abbiamo di fronte? Sono anni che andiamo avanti senza certezze». È arrabbiata Giovanna Zaro, 43 anni, due figli da mantenere e un'invalidità del 48%. «Se mi lasciano a casa starò a casa, mi arrangerò in tutti i modi. Sono tredici anni che lavoro qui e di ritornare in fabbrica proprio non ci penso». La speranza di chi è emigrato qui per stare meglio, ha gli occhi di Anna Formisano, 26 anni, dal duemila vive a Montecchio. «Guadagno 900 euro al mese e ho due mutui per casa e auto sul groppone. Per fortuna mio marito lavora. Se mi licenziano torno a fare le pulizie». Andrà in pensione a fine anno, dopo 33 anni di lavoro alla Fiamm. Vive da solo tra casa e fabbrica. «Per me è una questione morale, sono qui per i miei compagni. Abbiamo dato il sangue - spiega Carlo Biasi - non ci meritiamo tutto questo». (e. mar.) La vertenza Fiamm arriverà in consiglio regionale ma si intensificano i contatti anche a livello nazionale, con i partiti pronti a trasferire in Parlamento le vicende dello storico marchio. Ieri intanto il sindaco Maurizio Scalabrin ha incontrato la presidente della Provincia Manuela Dal Lago la quale a sua volta ha convocato i sindacati per domani. La parola d'ordine per tutti è "nervi saldi". Lo stesso sindaco spiega che in questa fase c'è bisogno dell'aiuto di tutti, da destra a sinistra. «Guai alle fughe in avanti - spiega - lavoriamo insieme a più livelli e ce la faremo». In serata la segreteria provinciale dei Ds ha incontrato i vertici di Fim, Fiom e Uilm, mettendo sul tavolo due obiettivi. «Porteremo in Regione il caso Fiamm - spiega Daniela Sbrollini - e chiederemo l'interessamento della Giunta. A livello nazionale il nostro responsabile al lavoro Cesare Damiano, insieme ai parlamentari vicentini, cercheranno di coinvolgere il Parlamento».
L’ordigno dei talebani fa saltare l’Humvee su cui viaggiava con tre commilitoni La Ederle piange il quinto parà Muore in Afghanistan a 19 anni Era arrivato a Vicenza all’inizio dell’anno Pochi giorni prima in una missione aveva messo in fuga alcuni estremisti islamici (ma. sm.) Aveva da poco compiuto 19 anni. Era di pattuglia, operazione apparentemente di routine, a Shinkay, Afghanistan, 400 chilometri a sud est di Kabul. Steven Tucker si era unito alla 173ª Brigata (2° Battaglione del 503° Reggimento) all’inizio dell’anno: poche settimane di esercitazione alla caserma Ederle, training specifico in Germania, e poi via con la missione Enduring Freedom. L'altra notte una bomba è esplosa al passaggio dell’Humvee su cui Tucker viaggiava insieme ad altri tre commilitoni. Il giovane soldato di Grapevine (Texas) è morto, gli altri tre sono rimasti feriti, uno dei quali in modo molto grave. Un bollettino come tanti, di quelli che ogni giorno filano via nei notiziari come notizie di poco conto, ritenute normali, fisiologiche. Ma se la morte colpisce qualcuno che conosci, qualcuno che, fino al giorno prima, era un amico, un collega, un vicino di casa, ecco che non è più una notizia normale: è una tragedia. Così è per la comunità della Ederle, arrivata a contare il 5° morto dall’inizio della missione afgana. E fanno 14, se il bilancio si estende al death toll, il bilancio della morte, dell’anno passato dalla 173ª Brigata nel nord dell’Iraq. Si era appena diplomato alla Colleyville Heritage High School e, nonostante la passione e il talento per la musica e lo sport, Tucker ha deciso di seguire l’esempio del padre, ex soldato, e di due fratelli più vecchi, che fanno parte dell’Air Force. Sì, aveva scelto di far parte dell’esercito americano, con orgoglio e convinzione. Il papà, Charles, e la mamma, Rowena, erano molto fieri di lui. Si era già distinto in Afghanistan per la preparazione e il coraggio. In una recente missione si è reso protagonista di uno scontro a fuoco con le forze fedeli all’ex regime talebano, mettendo in fuga il nemico. L’altro giorno, alla caserma Ederle, è stata tenuta una funzione religiosa alla cappella per ricordare il parà scomparso in Afghanistan. «Era arrivato da poco tra noi - ha ricordato John Catlett - ma si era subito inserito e fatto benvolere da tutti». «Era la quintessenza del paracadutista - ha aggiunto il capitano Robert Curtis -. Combattete la battaglia che Tucker ha combattuto - ha detto rivolto agli altri soldati presenti - così il suo sacrificio non sarà stato inutile». Dalla fine del 2001, quando iniziò l’operazione Enduring Freedom in risposta all’attacco terroristico alle Torri Gemelle, Tucker è la vittima numero 144 nelle file dell’esercito americano |