R.C. su Il Caffé di domenica 6 giugno 2021

Vengono costituiti in previsione di eventi particolari. Li chiamano “gruppi di picchetto rafforzato”. Magistratura e polizia giudiziaria insieme per gestire eventuali disordini, tafferugli, scontri – di una certa gravità – in occassione di appuntamenti a rischio. E così è stato alcuni mesi fa, in marzo, quando si è iniziato a parlare dell’intimazione di sgombero che il Municipio ha annunciato (ma una data certa e una decisione certa non ci sono mai state) per gli “autogestiti” del Molino a Lugano, in viale Cassarate. Ma veniamo alla notizia, che ha del clamoroso.
Il giorno prima dello sgombero di sabato sera e della successiva demolizione, il “gruppo di picchetto rafforzato” aveva fatto il punto. E cioè, sapendo della manifestazione del giorno successivo indetta dai “Molinari” ci si era preparati sebbene nessuno, almeno ufficialmente, aveva messo in conto l’eventualità di uno sgombero e, tantomeno di una demolizione della struttura che li ospita da anni.

Erano stati pre-allertati alcuni procuratori, ovvero chiesta la loro disponibilità tra sabato e domenica. Si era data una “rinfrescata”, per così dire, alla procedura prevista. Polizia giudiziaria e magistratura, alla vigilia della manifestazione di sabato, erano dunque pronti a intervenire. Intervenire nel caso di atti di violenza, detto in una sola parola, di reati gravi. Non vandalismi, non insulti, non minacce… E ancora venerdì, cioè il giorno prima, nessuno aveva messo in conto la possibilità di uno sgombero o di una demolizione. E nessuno, ed ecco il fatto strano e nel contempo grave, nel corso del pomeriggio di sabato, della sera e delle prime ore di domenica, quando, a partire dalla 1.30 il Molino è stato demolito, ha ufficialmente informato di quanto stava accadendo. Né la magistratura, né il “gruppo di picchetto rafforzato”, né il procuratore di picchetto (cioè il magistrato di turno), né il procuratore generale. Il Caffè lo ha verificato da una fonte qualificata.
Di fatto, non essendo stati consumati reati gravi, formalmente non c’era nessun obbligo da parte della polizia di informare la magistratura. La violazione di domicilio (i “Molinari” nel tardo pomeriggio di sabato hanno occupato per qualche ora a Lugano lo stabile ex Vanoni) non è stata tale da richiedere interventi particolari. La polizia è intervenuta perché la proprietà, una Fondazione, attorno alle 19-19.30, ha fatto denuncia. Ma altri reati, quantomeno gravi, non sono stati consumati. Fatto è che la decisione di sgomberare il Molino – di cui ufficialmente il giorno prima nell’ambito del “gruppo di picchetto rafforzato” nessuno ne ha parlato – è arrivata dopo l’occupazione del Vanoni.
Quale nesso esiste fra l’occupazione di uno stabile distante alcune centinaia di metri dal “Molino” e lo sgombero di quest’ultimo? Ufficialmente nessuna, si è subito commentato nei corridoi del Palazzo di giustizia. E, soprattutto si è detto, forse si sarebbe potuto avvisare il procuratore di picchetto e il “gruppo rafforzato”. Ma non solo.
Se per lo sgombero il Municipio di Lugano ha dato a maggioranza il proprio ok, così non è stato per la demolizione. La polizia ha solo comunicato al Municipio, attorno alle 22.15, di voler procedere alla demolizione del tetto del “Molino”. Per ragioni di sicurezza. Per evitare che alcuni “autogestiti” potessero salire sui tetti per protestare. Il Municipio, sempre a maggioranza, ha detto sì. Ma solo per salvaguardare l’incolumità delle persone. Com’è che si è arrivati alla demolizione totale? E perché nemmeno per la decisione di abbattere il tetto si è informato il “gruppo di picchetto rafforzato” o il magistrato di turno?

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