La democrazia e lo stato delle cose (riflessioni sparse attorno a un’inchiesta)
È stata data proporzionalità a una vicenda caricata a dismisura. (Norman Gobbi, Cdt, 29.10.2021)
“Lasciati ispirare dalle ombre di ottobre, quando il cielo si copre, quando gli alberi salutano le foglie – castane – e si torna sulle strade. Lasciati bagnare da ogni goccia di pioggia a novembre, quando la nebbia scende, quando la città rivomita i suoi mostri e ti mancano i tuoi cari amati posti. Proteggiti dal freddo di gennaio e dal ghiaccio di febbraio con il fuoco di un camino”. (Inoki, Ispirazione, album Medioego)
Il concetto di democrazia come lo conosciamo alle nostre geografie è un concetto fuorviante. Ipocrita.
Ce l’ha ribadito la delegazione zapatista – composta da 200 donne, bambinx e uomini – che ha raggiunto l’Europa a settembre. Lo abbiamo poi condiviso a fine ottobre, in vari incontri in terra ticinese, in cui ci hanno raccontato le menzogne, gli inganni e le tresche del “democratico” governo messicano di “sinistra”. Ne abbiamo parlato nei vari incontri con collettivi locali – tra cui uno di condivisione tra l’esperienza dell’autogestione in Ticino e l’insurrezione zapatista, nello spazio pubblico liberato dell’USI – dove le/i compas hanno indicato come solo nell’autonomia, nell’autogoverno e nell’autodeterminazione siano possibili libertà ed emancipazione.
Quello stesso concetto ipocrita che gli attuali tempi di emergenza pandemica hanno confermato. Esplicitando la natura autoritaria e di controllo propria dello stato, in cui la libera scelta di persone e comunità viene messa in secondo piano per promuovere ulteriori forme di restrizioni. In cui la salute pubblica è chiaramente subordinata agli interessi economici. E dove a contare non è la prevenzione, la cura, il contenimento del virus ma l’obbligo del vaccino legato alla certificazione digitale.
A livello locale lo abbiamo invece vissuto dapprima sui nostri corpi nello sgombero e nella distruzione della parte abitativa dell’ex macello. In secondo luogo nell’inchiesta svolta dal procuratore pubblico Pagani e nel suo già preventivato decreto d’abbandono. Ancora una volta, a esplodere fragorosamente è la contraddizione tra quella che si vorrebbe la facciata democratica dello stato e il ricorso alla forza e ai metodi militari. Ovvero la strada da sempre più consona per spegnere il dissenso, la criticità e qualsiasi forma di non omologazione.
Perché sotto quelle macerie, sotto la cenere, il fango, le acque sporche, le pandemie, lo sfruttamento, il saccheggio, il crimine, il razzismo, l’esclusione, il volto del potere è sempre lo stesso: quello del disprezzo, della vendetta e della violenza di stato.
Ma non è una contraddizione che ci sorprende.
Non ci sorprende che il ricorso alla demolizione e all’intervento militare sia stata una decisione presa fin dal primo giorno della costituzione dello Stato Maggiore per gestire l’operazione Papi. Ossia la demolizione materiale dell’autogestione. Ad affermarlo sono le mail inviate il 12.03.2021 tra il vice comandante della polizia di Lugano, Macchi e lo Stato Maggiore, in cui veniva segnalato che, dopo lo sgombero del macello, si sarebbe potuto demolire lo stabile dormitorio degli occupanti. Davvero possibile che i comandanti della polizia cantonale Cocchi e quello della polcom di Lugano Torrente non ne sapessero niente?
A emergere è così la netta ed evidente contrapposizione tra la parte poliziesca – che parla della chiara possibilità della demolizione di parte dello stabile, di scontri duri, di possibili feriti e addirittura di morti – e quella politica che, con un candore ipocrita e vigliacco, asserisce di non saperne niente della più volte ipotizzata demolizione.
Tanto che del più volte paventato effetto “degenerazione” della manifestazione del 29 maggio – quello preso a pretesto dal municipio di Lugano come giustificazione dello sgombero – non ne rimane nessuna traccia. O probabilmente solo l’ultima delle beffe, quella che entra di diritto nello spazio temporale della menzogna, dell’infamia e della codardia. Qualificare infatti un’occupazione (della quale probabilmente un po’ tutti – visto il minuzioso dispiego di forze e tecnologie di controllo – erano al corrente) temporanea e rivendicativa di uno stabile in disuso e di prossima distruzione, è quanto di più assurdo e subdolo si possa prendere a giustificazione.
(E tra l’altro no, caro Stefano Camponovo, avvocato della fondazione Vanoni, non c’è proprio nessun motivo per un “pentimento”. Che la fondazione Vanoni se ne faccia quello che più le aggrada delle denunce. Per noi liberare uno spazio di contenzione è un dovere minimo. La fondazione al posto di vaneggiare di improbabili turbamenti di ragazze e ragazzi sui quali da sempre specula e lucra, al posto di pensare di ritirare le denunce – imposte da Borradori per coprirsi le spalle e giustificare lo sgombero del Molino – che ritiri la sua partecipazione al previsto centro chiuso per minorenni definiti problematici, quello sì vero e proprio luogo di turbamento carcerario).
Ad apparire “corretta” risulta invece – paradossalmente – la scelta militare della distruzione della parte abitativa per impedire la possibile rioccupazione della struttura. Il risultato finora ottenuto è lì a dimostrarlo. Se non che, le questioni che si pongono e che ci interessano, sono, evidentemente, altre.
Che ne è ad esempio delle collusioni, delle ambiguità, delle menzogne che emergono come corpi putrefatti da sotto le macerie? E perché squallidi e tristi personaggi – i Gobbi, i Borradori, le Valenzano, i Lombardi, i Foletti, i Bertini – non ci mettono la faccia, assumendosi direttamente la responsabilità del “fine che giustifica i mezzi”, di quello che è stato considerato da più parti come una vile azione fascista? E come è mai possibile ardire una tale trama e continuare imperterriti a mostrare una faccia come il culo e a occupare certe cariche politiche?
Eppure la contraddizione assordante non sembra inquietare troppo il procuratore Pagani che, senza mordente, già indica il risultato probabile dell’inchiesta: decreto d’abbandono. Un procuratore – ancora una volta – all’acqua di rose che, di fronte alla scelta di essere messo fuori dai giochi che contano o di rendersi ridicolo di fronte alla popolazione sceglie, in maniera scontata, la via della derisione.
Altresì derisorio – anche se tinto da vaghe sfumature inquietanti – è che, ancora prima del nuovo interrogatorio a Karin Valenzano Rossi di mercoledì 1 dicembre, il PG già faceva sapere della sua intenzione di pronunciare un decreto d’abbandono. Una procedura decisamente poco seria che, al di là della quasi scontatezza nel cercare d’addossare la responsabilità degli eventi all’elemento più “sacrificabile” – in quanto donna e ultima arrivata – dovrebbe far riflettere sulla credibilità delle così dette istituzioni.
Una procedura che si avvicina all’inquietante, nella quale Karin Valenzano Rossi – seguendo alla lettera i consigli del manuale anti-rep – di fronte alle vere domande dell’avvocato Castelli su quanto successo quella notte, si avvale del diritto di non rispondere, rimandando ai suoi precedenti verbali preconfezionati. No snitch la compagna Karin! Ma facciamo un po’ fatica a capire come mai – come da sempre ci insegnano sbirri, procuratori, avvocati, giudici e benpensanti vari – “se non hai niente da nascondere perché non rispondi”? Chi stai coprendo Karin? O sarà che dietro quei silenzi si nasconde tutta una serie di gravi responsabilità che toccano i vari livelli della gerarchia del Potere in Ticino? Responsabilità che assolutamente non si possono nominare!
Ma a risultare ancor più preoccupante è la scelta di non interrogare i massimi vertici della polizia cantonale e comunale (Cocchi e Torrente) e il loro responsabile – il feldmaresciallo Norman Gobbi che solo alcune settimane prima dello sgombero asseriva tranquillamente che fosse per lui, da leghista, quel posto lo avrebbe sbaraccato già da tempo (2) – in quanto persone NON a conoscenza dei fatti (sic!!!).
Insomma, alla luce di tutto, il Commando di facciata dell’operazione Papi (il sedicente Stato Maggiore) prevede un abbattimento illegale di un luogo abitativo con tutte le situazioni critiche del caso, mentre i reali vertici politici e militari della “sicurezza” di questo cantone non ne sanno niente! Ne sono all’oscuro. Non ne sono al corrente. Non approvano. Non battono ciglio.
E a rendere il tutto ancora più surreale è che, in quel giorno di fine maggio, tutti i vertici della polizia e i loro responsabili politici, sono in “vacanza”. Così da risultare del tutto assenti dal luogo del delitto. Anche se poi, nonostante l’invisibilità latente, voci di una certa insistenza raccontano d’aver sentito quella sera, il comandante Torrente pronunciare all’ex macello le parole “radere al suolo” al responsabile delle ruspe.
E allora ci chiediamo, chi avrebbe dovuto rispondere di fronte a tutto questo? Il vicecapo della polizia cantonale? Un funzionario della polcom di Lugano? I responsabili delle ditte che hanno proceduto all’abbattimento? L’ex sindaco Borradori, mai tanto abile nell’imbastire menzogne e falsità, che si diceva speranzoso di non vivere in uno stato di polizia? (3) Lombardi che non ha mai avuto l’impressione di aver compiuto atti penalmente rilevanti quella sera (4), salvo essersi dimenticato di chiedere il permesso per la demolizione? O la Valenzano che si dispiace esser stata tacciata di bugiarda (5), mentre viene convocata per la terza volta in procura e si permette di non rispondere? O Foletti che ancora non sa cosa sia successo quella notte? (6) O il guidatore della ruspa all’oscuro di dove si trovava, perché nessuno gli aveva detto niente, tranne di radere al suolo lo stabile (ma non volevano solo togliere il tetto)?
Già, Pinocchio nel cuore della balena, forse….
Una farsa. Uno stato delle cose perlomeno imbarazzante. Uno sfregio alla tanto decantata democrazia. E la conferma della sua natura ipocrita. O meglio – e ci piace di più – un’enorme presa per il culo.
Da parte nostra la conclusione delle indagini, il nuovo interrogatorio, le relative denunce e l’(im)probabile riapertura dell’inchiesta non ci interessa troppo.
Quello che però ci preme rimarcare – una volta di più – è che l’autogestione non si arresta e non arretra. Che non si vende, che non si controlla, che non claudica. E che con questi maldestri faccendieri dell’odio non ha nessuna intenzione di dialogare.
Quello che ci preme ribadire è che l’attuale sistema di presunta democrazia non è nient’altro che una farsa, in cui la maggior parte delle sue componenti ha una naturale propensione verso la repressione e il controllo volto – secondo necessità e interessi – all’instaurazione di uno stato di polizia.
Necessità e interessi che a Lugano vengono tutelati attraverso una pace sociale e un decoro dietro il quale si celano scandali finanziari, riciclaggio di denaro e speculazione edilizia. Il silenzioso e mortifero funzionamento della macchina capitalista non deve essere disturbato e quando qualcunx crea problemi dev’essere schiacciato: guai a manifestare senza autorizzazione, scrivere sui muri o occupare degli stabili vuoti da anni!
Poco importa poi che una delle municipali responsabili della demolizione del Molino faccia parte del consiglio di amministrazione di una società finanziaria (Fidinam) che fornisce “consulenza privata” a uomini d’affari che riciclano milioni di dollari di mazzette in casi di corruzione, che in altre parti del mondo comportano la caduta di governi e seminano miseria. Non stupisce allora che se demolisci uno stabile dove vive qualche “anarchico brozzone” nessuno ti verrà a chiedere il conto.
A rendere visibile e a opporci con forza a queste contraddizioni, dovrebbe stare a noi – persone comuni, anime in rivolta, persone che camminano le strade e le vie di questo territorio. Fomentando la rabbia, l’insubordinazione, il dissenso. Ognunx con i propri mezzi, i propri sforzi, le proprie volontà, i propri interessi.
La gestazione del domani non si fa alla luce del sole. Si coltiva, si cura e si fa nascere nelle ombre inosservate dell’alba, appena quando la notte inizia a cedere terreno.
I terremoti che scuotono la storia dell’umanità iniziano con un “ora basta” isolato, quasi impercettibile. Una nota a metà tra la dissonanza e il rumore. Una crepa nel muro.
Nonostante vi credete assolti siete lo stesso coinvolti.
Contro il progetto Matrix e il suo mondo.
Contro sgomberi e repressione.
Autonomia, libertà, autodeterminazione.
1-10-100-1000 autogestioni
SOA il Molino
Note:
- Il procuratore Pagani è pure il responsabile dell’inchiesta, voluta riaprire dal tribunale federale di Losanna, contro due agenti della polcom di Lugano, accusati di aver picchiato selvaggiamente un ragazzo venditore di rose pakistano il 1 agosto del 2015. Inchiesta in emergono le evidenti responsabilità di copertura e depistaggio del comandante della polcom di Lugano Torrente. Una decisione se mandare o meno i due agenti a processo, è attesa prossimamente.
- https://www.liberatv.ch/news/politica-e-potere/1509632/norman-gobbi-da-leghista-il-molino-l-avrei-sbaraccato-anni-fa-ma-ora-serve-una-soluzione-definitiva
- Ma se la politica non sapeva niente della demolizione, significa che viviamo in uno Stato di polizia? No, spero proprio di no, assolutamente no. (Marco Borradori intervistato dalla RSI mercoledì 9 giugno 2021
- Idem.
- Idem
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