Dieci anni di politica a Lugano
LIBERO D’AGOSTINO su Il Caffé del 20 giugno 2021
No, non è un caso se la polizia nelle ore che hanno preceduto la demolizione della sede del Centro sociale autogestito si sia mossa, come sembra certo, al di fuori del controllo della politica e della magistratura. Le macerie del vecchio Macello di Lugano, altro non sono che i detriti dell’ultima ondata di un autoritarismo che da anni infetta il Ticino. Inquinando lo spazio pubblico e manomettendo ripetutamente i meccanismi dello Stato di diritto.
La politica della ruspa messa in moto a Lugano è la brutale semplificazione di un processo che nell’ultimo decennio di allarme in allarme, di emergenza in emergenza (la criminalità d’oltre confine, i frontalieri, gli immigrati, i profughi, gli islamici, i richiedenti d’asilo)  ha riplasmato gli umori del cantone sotto le insegne della triade etno-populista: Identità-Sicurezza-Territorio. Creando una sorta di assuefazione alla politica illiberale e alla manipolazione delle regole democratiche.

L’anno zero di un sovranismo ruspante è il 2011 con l’arrivo del leghista Norman Gobbi alla guida del dipartimento Istituzioni. La battaglia per stroncare le incursioni dall’Italia di ladri e rapinatori, problema molto sentito dalla popolazione, ma preso sottogamba dalle altre forze politiche, offre il destro al neo ministro per potenziare la polizia cantonale, rianimarne lo spirito di corpo col nuovo comandante Matteo Cocchi, e cominciare a riorganizzare il Dipartimento. Per trasformarlo nella “fanteria dello Stato” che vigila sul Ticino. I nuovi dispositivi di sicurezza funzionano. Furti  e rapine si riducono progressivamente e i partiti si accodano alla richiesta di più uomini e mezzi per la polizia.
Sono le prove generali della difesa della “Porta sud della Svizzera”, sostenuta da una dilagante ostilità verso immigrati, frontalieri, profughi e richiedenti d’asilo, fomentata dalle campagne di Lega e Udc. Nel 2016, contro la minaccia islamica, il Ticino, primo cantone in Svizzera, adotta il divieto di dissimulare il volto, la legge anti burqa approvata in votazione popolare tre anni prima.

Non meno dura è l’azione di contrasto su immigrati e frontalieri. Nel settembre dello stesso anno, passa a furor  di popolo, l’iniziativa udc “Prima i nostri”.  Si afferma ufficialmente il “Primanostrismo”, l’ideologia minuta delle tutele identitarie, del “Ticino first” che s’imporrà nella politica cantonale. Contaminando anche gli altri partiti e condizionando pesantemente  l’azione di governo. La scarsa cultura liberale del Plrt e del Ppd, gli accenti oicofobici di una sinistra unita solo nei roboanti proclami massimalisti e la paura di gran parte dei politici di finire beffeggiati sulle pagine del Mattino, spalancheranno le porte  alla destra sovranista.
Così il “Primanostrismo” si tradurrà in uno stillicidio di provvedimenti restrittivi e dissuasivi verso gli stranieri, spesso al limite della legalità. Con un’ulteriore giro di vite nella concessione dei permessi di lavoro e di dimora: obbligo di presentare l’estratto del casellario giudiziale per i frontalieri e per ottenere la dimora in Ticino; tempi di attesa sino ad un anno per i permessi di dimora e domicilio; invasivi e massicci controlli di polizia sugli stranieri residenti nel cantone per accertare la loro presenza nei 180 giorni prescritti dalla legge; respingimenti sistematici dei richiedenti d’asilo; revoca dei permessi B e C  per motivi economici, ovvero per la dipendenza dell’aiuto sociale (solo grazie a un’ interrogazione del Ppd e alle pubbliche proteste, si risparmierà ai genitori stranieri di minorenni con nazionalità svizzera l’allontanamento dal territorio nazionale); espulsioni metodica  dei “delinquenti stranieri” senza badare più di quel tanto al principio di proporzionalità.

Nell’ offensiva anti stranieri si registrerà addirittura la richiesta agli ospedali di segnalare alla polizia o alle guardie di confine i sans papiers che si presentano al pronto soccorso.
Gobbi perseguirà con coerenza la sua visione di ordine e sicurezza, sfruttando abilmente la distinzione tra la policy, l’adozione delle giuste misure secondo lui, e la politics, ossia la capacità di sfruttare i rapporti di forza, di spiegare e far apprezzare agli altri le sue decisioni.
La strategia securitaria del Dipartimento Istituzioni segnerà un deciso passo avanti nel dicembre 2018: il parlamento approva la modifica della legge cantonale sulla polizia. Una riforma che limita diritti e libertà individuali, concedendo più poteri alle forze dell’ordine senza un effettivo controllo dell’autorità giudiziaria. Contro la nuova legge, per la quale mancano tutt’ora le direttive di applicazione, c’è un ricorso pendente al Tribunale federale.
Nella politica di emergenza permanente, alla costante ricerca di un nemico, di un pericolo su cui affilare le armi del potere, l’irrompere di una vera emergenza col coronavirus, spiana la strada ad un nuovo esercizio di disciplinamento sociale e ad una limitazione della libertà di stampa che si sarebbe voluto addomesticare del tutto alle indicazioni dello Stato maggiore di condotta. Una concezione riduttiva del diritto di informazione che, sulla vicenda della demolizione del Macello, ribalterà le domande e gli interrogativi dei giornalisti nell’accusa di alimentare solo dei “sospetti”.

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