Un’oasi alle porte della città. Il Pagiannunz (Parco Giardino dell’Annunziata) appariva così, da una decina d’anni a questa parte, a chi arrivava ad Abbiategrasso, cittadina di 30mila abitanti e a 25km dalla metropoli Milano. Una piccola preziosa porzione di territorio, divisa da una strada, dove l’uomo e la natura si erano ripresi la terra ma anche la storia: da una parte un orto giardino comunitario e un bosco di salici; dall’altra un’area umida, habitat ideale per talpe, ricci, volpi, lepri, pipistrelli, germani reali, gallinelle d’acqua, aironi cenerini e bianchi, cavalieri d’Italia, nitticore, garzette, tritoni crestati e punteggiati, raganelle e rane verdi. Un luogo simbolico ed emblematico se pensiamo che intorno a quest’area pulsante di vita, sorgono tutt’ora: un’enorme area dismessa, un tempo azienda che produceva lavatrici e pentole smaltate; l’ex convento dell’Annunziata costruito nel ‘400, oggi praticamente vuoto ma fino al 1996 abitato da una piccola comunità autosufficiente e accogliente poi sfrattata in vista dei lavori di rigenerazione; e un centro sociale, il Folletto25603 che da più di dieci anni, dall’interno della città, da un ex casello ferroviario, promuove riflessioni e progetti sul territorio e l’agricoltura e connessioni con altri luoghi, come Milano con il progetto de La Terra Trema.
Il Pagiannunz, per i suoi abitanti, è stato luogo da osservare nelle sue trasformazioni stagionali, di cui godere per le immagini, i profumi e i colori che sapeva regalare e da scoprire per le molteplici specie animali e vegetali che lo andavano ad abitare. Oggi che questo luogo è stato quasi interamente distrutto, abbiamo la prova che per i suoi proprietari e per gli amministratori pubblici, non ha mai rappresentato tutto ciò. Per i suoi proprietari il Pagiannunz è sempre stato visto come un’area libera da mettere a profitto con la realizzazione di un centro commerciale, housing sociale o un cinema multisala. Nonostante a pochi metri di distanza sorga una delle tante aree dismesse e vi siano, sparse in tutta la città, centinaia di case sfitte e invendute. Per gli amministratori invece il valore di quest’area è sempre stato legato soprattutto alla possibilità di incassare oneri di urbanizzazione e di realizzare servizi per la città e ottenere risorse per ripianare bilanci in sofferenza. Si tratta degli ingredienti fondamentali sui quali dal dopoguerra ad oggi si è basato lo sviluppo delle città e l’economia che oggi è in crisi.
Contro un’area di alto valore paesaggistico e sociale e una comunità desiderosa di volerla salvaguardare, si sono quindi espressi interessi economici e speculativi “legittimi” ma anche, ancora una volta, un modello di sviluppo che resiste alle crisi dei mercati, incluso quello immobiliare, sostenuto da una cultura convinta che la recessione economica si possa superare solo con la ripresa del settore dell’edilizia.
Da mesi gli abitanti sono impegnati in una lunga resistenza che ha visto in parte distruggere l’area umida. Una distruzione che è avvenuta a causa di un proprietario interessato a mettere a profitto un’area libera, di un’amministrazione indecisa se adottare uno sguardo di lungo periodo o se cogliere opportunità economiche ma di respiro corto, e di una legge debolissima sul fronte della tutela dell’ambiente e del contenimento del consumo di suolo. Tre elementi comuni che ritroviamo nella metropoli Milano e in tutte le esperienze di città che resistono al cemento in Italia ma anche in Europa e nel mondo.
Oltre al Pagiannunz pensiamo ad esperienze come il Parco del Pini Oltre il Pioppeto, il Comitato La Goccia, il Giardino Argelati, la rete NoExpo, le opposizioni alle tangenziali e a tutte le opere di collegamento come TEM, Bre.Be.Mi e Pedemontana. Significativo è poi il progetto delle Vie d’Acqua, che in apparenza ammicca ad una mobilità sostenibile e lenta ma nella realtà modificherà in modo irreversibile i quattro parchi urbani della periferia ovest milanese: Parco Sandro Pertini, Boscoincittà, Parco delle Cave, e Parco di Trenno dove già ha luogo un’assemblea itinerante. Sta poi nascendo una mobilitazione contro le trivellazioni petrolifere del progetto “Melzo” nell’hinterland ad est di Milano che, secondo la Regione Lombardia, non deve nemmeno essere sottoposto a Valutazione d’Impatto Ambientale.
In ognuna di queste “città” troviamo: abitanti che si riprendono spazi di ascolto e di partecipazione sulle questioni che riguardano il futuro dei territori nei quali vivono; occasioni di confronto a livello locale che incrociano trasversalmente e in profondità la società e le istituzioni e i livelli sovralocali; persone che vengono chiamate a rispondere delle proprie responsabilità sul futuro dei luoghi, non demandando più, a un soggetto terzo, il compito di riconoscere diritti e tutelare i cosiddetti “beni comuni”. Si tratta di cambiamenti radicali sul piano delle prassi amministrative, delle leggi e delle relazioni tra poteri forti (politici ed economici). Viene discusso tutto ciò che è ritenuto ovvio, convenzionale e scontato: diritti di proprietà, vocazione “naturale” delle aree, impossibilità di convertire le destinazioni d’uso dei suoli da edificabili a verde pubblico o ad aree da tutelare, grandi progetti che sembrano tanto necessari quanto inevitabili e attori storicamente deputati a decidere sul futuro delle città. Siamo di fronte a esperienze di comunità di persone che provano a costruire nuova giurisprudenza e a tracciare nuove rotte possibili verso politiche più rispettose dell’uomo e della terra e più attente alle trasformazioni sociali e ambientali in corso.
Incontro | Venerdì 29 novembre 2013 ore 20 | Leoncavallo s.p.a. – Milano
La città che resiste al cemento
Trasformazioni urbane radicali e rapide. Grandi eventi, Expo. Mercati, rendita e speculazione immobiliare. Cementificazione. Agricoltura periurbana e politiche urbane. Resistenze.
Modera Alice Boni.
Incontro con: TerreInMoto, OffTopic, Parco Argelati, Parco del Pini Oltre il Pioppeto, Comitato La Goccia, Pagiannunz, Martesana Libera – No Triv.
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