Ci stanno martellando da giorni su tutti i fronti mediatici con la celebrazione
del 90° anniversario della “Vittoria”, dell’Indipendenza,
eccetera. Non ultima, nel senso che ce ne saranno anche altri, la “rossa”
Gruber, candidata di Rifondazione “Comunista”, che praticamente
invita Ignazio La Russa, inutile presentarlo e superfluo far notare che è
l’attuale Ministro della “Difesa”, un generale direttore di
rivista online, manco a dirlo militare, ed un ammiraglio della marina militare
americana ad una specie di thè delle cinque ritardato nell’orario.
Mancavano solo i pasticcini. Non è mancato lo spot televisivo di sostegno
alle forze armate.
Il tutto che auspicava il ripristino della festività del 4 novembre come
giorno fondante della “patria” e che, a quanto dice La Russa fra
l’affabilità generale, mette d’accordo tutti gli italiani
superando anche i “contrasti” successivi (ad esempio la guerra di
liberazione dal fascismo).
Sono decenni ormai che manco dalle aule scolastiche, per cui non so cosa insegnino
oggi ai ragazzi, ma la memoria ancora mi aiuta. E mi fa ricordare che quel che
loro celebrano con tanta pompa e tanto fervore patriottico, non è nulla
di cui possano andar fieri, a meno di raccontar palle, come sono ormai abituati
a fare a ruota libera.
Iniziamo dal loro orgoglio eroico. Prima della guerra l’Italia era saldamente
alleata di Germania ed Austria, nonostante quest’ultima tenesse ben saldi
dei territori che il nascente stato riteneva suoi. Insoddisfatta dalle promesse
in vista dell’imminente guerra mondiale, entra nel camerino e voilà,
ne esce salda alleata di Inghilterra e Francia. Nonostante l’opposizione
dei lavoratori, entra quindi in guerra, prende più botte dell’orso
alle giostre, e tira a finire la guerra in una situazione ben diversa da quella
di grande slancio patriottico che ci fanno credere oggi. Il tutto comunque,
va sottolineato, in una poco originale, vista l’attualità, posizione
dei partiti riformisti, che dichiararono di “non appoggiare nè
sabotare” l’intervento in guerra. Lasciando i lavoratori soli a
lottare.
E questi lottarono, con le diserzioni in massa al fronte (nell’ottobre
del 1917 erano 56.000 i disertori e 48.000 i renitenti), manifestazioni di strada
soprattutto di donne contro la fame e la miseria, scioperi, e l’insurrezione
di Torino nell’agosto 1917. Questo senza intenzioni scolastiche, ma giusto
per mettere in chiaro su quali mistificazioni stiano montando questo carrozzone,
che quest’anno vede addirittura i militari nelle scuole a “far lezione”.
Se poi vogliamo parlare della loro festa, di cosa festeggiano nel concreto,
dovremmo parlare dei loro progetti d’impero per assoggettare a colpi di
baionetta paesi in Africa ed Europa, con una puntatina in Cina, quegli stessi
paesi di cui ora chiudono nei CPT gli immigrati, salvo averne bisogno per sfruttarli
in bianco o in nero nelle fabbriche, nei cantieri, nei settori più spremuti
dei servizi, aggiungendo abbondantemente il loro sangue a quello dei lavoratori
italiani che muoiono ogni giorno sul lavoro.
Vogliono festeggiare i militari professionisti che mantengono a spese dei lavoratori
in occupazione di quasi trenta paesi stranieri. Chissà, magari nello
spot c’è anche il parà che stuprava le donne in Somalia,
o quello che faceva il tiro a segno in Iraq urlando “annichiliscilo”.
Ma tanto anche Veltroni ed i sindacati, nelle loro manifestazioni, suonano l’inno
di Mameli. Era l’ora, nel senso che almeno non infangheranno più
altri inni, semmai lo scoramento viene al vedere i manifestanti far loro eco,
manco fossero Gattuso alla finale dei mondiali. E da tutto questo, esclusi i
nostri compagni di lavoro “stranieri”. Vi vogliamo tanto bene, ma
fatevi da parte, oggi chiama la patria.
Ed invece bisognerebbe cercare di smontare tutto questo circo, scardinare la
loro ideologia dell’individualismo, perché non è nostra,
dei borghesi, anche piccoli, sì, ma nostra dei lavoratori no. La nostra
idea deve e non può che essere collettiva, di classe, ed internazionalista.
Dovremmo, stare ad ascoltare i nostri compagni di lavoro “stranieri”,
parlare di più con loro, perché oggi sono loro nel punto più
duro ed evidente della contraddizione di classe. Vivono sulla pelle molto più
di noi la violenza dello sfruttamento e dell’oppressione. Noi l’abbiamo
gridato per anni e decenni che il proletariato non ha nazione, e sarebbe ora
che si riuscisse a viverlo come una realtà.