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Intervento fatto a nome della Campagna 270 all'iniziativa di solidarietà
"Allein machen sie dich ein - La solidarietà è un'arma" svoltasi MERCOLEDI' 30.11.2005 a Monaco (Germania) Il lavoro della campagna è partito dall'aumento della repressione che si sta vivendo in Italia in questi anni. Se facciamo un paragone con i cicli di lotta degli anni '70-'80, da un punto di vista di movimento vediamo che le attività si sono molto ridotte. Attualmente assistiamo a dei momenti di lotta anche molto significativi, ma che non riescono a darsi una continuità. E' ad esempio il caso del controvertice di GENOVA, che non ha determinato salti significativi nelle lotte del movimento, anche se ha sedimentato una maggiore consapevolezza delle dinamiche repressive. Oppure è il caso di alcune lotte operaie contro licenziamenti e precarizzazione, dagli operai FIAT di MELFI, agli AUTOFERROTAMVIERI di MILANO. Lotte che hanno messo in campo SCIOPERI SELVAGGI, PICCHETTI, ecc , al di fuori della gabbia costituita dai sindacati di stato; ma che sono rimaste momenti isolati. Complessivamente insomma, anche se non manca il fermento, il livello di lotta è piuttosto arretrato e discontinuo. Eppure, rispetto alla repressione che si sviluppava negli anni '70-'80, il livello attuale della repressione non è per niente diminuito, anzi al contrario viene fatto un uso sempre più sistematico dei reati associativi contro le soggettività che lottano. Da GENOVA in poi, registriamo 8.000 10.000 indagati per reati che hanno origine in situazioni di lotta. L'articolo 270bis, "ASSOCIAZIONE SOVVERSIVA CON FINALITA' DI TERRORISMO" (corrispondente italiano del paragrafo 129a), viene costantemente modificato e aggiornato con nuove parti. Gli attentati dell'11 SETTEMBRE da questo punto di vista hanno fornito solo un pretesto ai mass-media per giustificare o rendere pubblici una serie di provvedimenti che erano già precedentemente stati decisi. Come ad esempio nell'ambito dell'UNIONE EUROPEA, dove da decenni si lavora alla definizione di un quadro repressivo europeo coordinato fra i vari stati dell'unione. Dove lo "Spazio Giuridico Europeo", l'Europol, le normative sulle estradizioni, l'uniformazione della definizione di "terrorismo", e via dicendo, rappresentano il cuore del progetto della "Fortezza Europa", a disposizione dei singoli governi nazionali nella repressione delle lotte politiche e sociali. Come in Europa, anche nel resto del mondo; la situazione è analoga, con la GLOBALIZZAZIONE del concetto di TERRORISMO, e la persecuzione globale di chiunque venga definito terrorista anche da un singolo stato, e anche senza alcun processo formale. Così, con la promulgazione delle "LISTE NERE DEL TERRORISMO", in Italia si è creato all'interno dell'articolo 270bis la "FINALITA' INTERNAZIONALE". Nei mesi scorsi con la "LEGGE PISANU" si sono introdotte altre figure di reato come l'ARRUOLAMENTO e l'ADDESTRAMENTO in associazioni terroriste con finalità internazionali. Inoltre si è per la prima volta stabilita per legge una definizione di "CONDOTTA CON FINALITA' DI TERRORISMO". In generale in questi anni, e dagli anni '70, questa legislazione definita "SPECIALE", "DELL'EMERGENZA", qualcosa di provvisorio dunque, è invece sempre stata continuativamente applicata e implementata. Siamo passati dalla "EMERGENZA TERRORISMO" alla "EMERGENZA MAFIA", alla "EMERGENZA TIFOSI", alla "EMERGENZA IMMIGRATI", alla "EMERGENZA TERRORISMO INTERNAZIONALE".. Ogni volta con provvedimenti specifici, che in seguito venivano applicati contro le lotte, i militanti radicali, i prigionieri politici. Allora la domanda che ci siamo posti è: perché a fronte di un livello più basso delle lotte, dello scontro che riusciamo a sostenere, la repressione si mantiene intatta e si dispiega maggiormente? Il punto è che se dal nostro punto di vista le lotte sono calate, lo scontro è più esiguo, dal punto di vista della classe al potere, la necessità dello scontro di classe aumenta! E' evidente a tutti la situazione di crisi generale in cui versa il sistema del capitale. Per far fronte a questa crisi la classe al potere ha bisogno, sul piano interno ai paesi imperialisti, di approfondire lo sfruttamento della forza lavoro. E questo è sotto gli occhi di tutti: PRECARIZZAZIONE, LAVORO INTERINALE, LICENZIAMENTI, SFRUTTAMENTO IN NERO DEGLI IMMIGRATI, SEMPRE PIU' MORTI SUL LAVORO. Cos'è questo se non GUERRA DI una CLASSE, guerra del capitale, contro la classe operaia, contro la manodopera salariata? Se guardiamo la repressione da quest'ottica, è subito chiaro perché non diminuisce ma aumenta: questa guerra contro le classi più povere genera tensione, malcontento, resistenza e lotte. E visto che la crisi aumenta, dovrà aumentare anche questa guerra, quindi la classe al potere prevede che si svilupperanno la resistenza e le lotte. E si dota degli strumenti per prevenirle, frammentarle, depotenziarle. Analogamente sul piano internazionale; le aggressioni imperialiste alla Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e via dicendo, rappresentano il tentativo del capitale di trovare sbocchi alla crisi. Queste dinamiche guerrafondaie generano un'opposizione interna potenzialmente dirompente; anche questa, dal punto di vista del capitale, è da soffocare. L'insieme dei momenti di resistenza e lotta che si generano per il diritto al lavoro, contro la guerra, contro il razzismo, eccetera, crescono e tendendo a saldarsi, riconoscendo un nemico comune. Da lotte rivendicative o di opinione diventano potenzialmente coscienza di classe, e possono acquisire una prospettiva rivoluzionaria. Il tentativo della repressione è dunque di far richiudere ognuno nei suoi problemi giudiziari, di spaventare, per bloccare la crescita e l'unione delle lotte. Il perno centrale su cui si giustifica oggi l'azione repressiva è la cosiddetta "GUERRA AL TERRORISMO". Sul fronte esterno con quest'argomento si attaccano paesi sovrani. Sul fronte interno si accusano di terrorismo le lotte politiche, sociali, sindacali. L'attacco agli immigrati, in particolare quelli islamici, rappresenta poi un anello di congiunzione fra la guerra sul fronte esterno e la repressione sul fronte interno; fra la guerra contro i popoli aggrediti nel mondo, e la guerra contro la classe operaia in occidente. E' la guerra contro la classe operaia dei popoli aggrediti che si rifugiano in occidente. Il capitale ci sta dicendo una cosa molto chiaramente, quando per giustificare le guerre, i lager per immigrati, la repressione delle lotte, parla sempre si "guerra al terrorismo". Ci indica che si tratta di fronti diversi di una stessa guerra. Questo concetto, che si fatica tanto ad affermare nei "movimenti", il capitale invece lo sostiene chiaramente. Dunque la repressione viene progettata non come attacco alle singole lotte, ma come azione di CONTRORIVOLUZIONE PREVENTIVA, con l'obiettivo di ISOLARE LE LOTTE che si determinano, di isolare quelle realtà più o meno organizzate che propongono dei metodi di lotta che possono risultare efficaci, al di fuori delle compatibilità istituzionali. Spesso vengono attaccate le situazioni e i soggetti che non accettano il confine della legalità, altre volte anche soggetti che non oltrepassano questo confine; salvo poi rimodellare le leggi in senso più restrittivo per poter porre anche costoro "fuori legge". In effetti in questi anni l'uso sempre più dispiegato dell'articolo 270bis non ha determinato un numero elevato di condanne per "terrorismo". Il centro di quest'attività preventiva si è concretizzato invece nell'imbastire decine e centinaia di inchieste, fare centinaia di perquisizioni, arresti preventivi, sequestri di computer e documenti, accusando i cosiddetti "indagati" di essere terroristi. L'obiettivo principale di quest'attività, purtroppo spesso raggiunto, è stato quello di isolare chi viene colpito, dal resto delle lotte, di dividere fra pacifisti e radicali, fra legali e illegali, fra buoni e cattivi insomma. Molti buoni che accettano le cosiddette "regole democratiche", e pochi cattivi terroristi da reprimere. Questo è il metodo usato per evitare che chi pratica forme di lotta incompatibili, incisive quindi, possa socializzarle e diventare un riferimento. La legislazione viene rimodellata continuamente; comportamenti che fino a ieri erano legali, si cambia un articolo di legge, e oggi diventano illegali. La tendenza è quella che prima si individua chi si vuole criminalizzare con un'accusa di terrorismo, e poi gli si fabbrica un reato apposta, come un vestito su misura. Reato che poi rimarrà nel codice penale come uno strumento in più a disposizione della controrivoluzione preventiva. Così chi viene colpito dalla repressione viene presentato, con l'aiuto dei MASS-MEDIA, come TERRORISTA. La minaccia chiara è che chiunque porterà avanti la sua lotta, o chiunque esprimerà solidarietà, sarà a sua volta considerato terrorista. E accanto a quest'uso terroristico della legislazione, va poi segnalato come l'attività della controrivoluzione preventiva si concentri anche contro i prigionieri politici, per isolarli dal contesto che li ha generati ed evitare che possano essere elemento propulsivo per le lotte. In questo senso registriamo recentemente l'applicazione ad alcuni prigionieri politici dell'articolo 41bis, il regime di isolamento duro inizialmente predisposto per i mafiosi, e adesso utilizzato contro i rivoluzionari prigionieri. Complessivamente quindi, registriamo in questi anni un uso sempre più ampio dei reati associativi contro chi lotta. Un isolamento sempre più scientifico contro ai prigionieri politici. Uno stillicidio di provvedimenti restrittivi delle libertà personali, applicati, anche senza processo, contro ai militanti radicali. Dai provvedimenti più classici quali l'obbligo di residenza, il confino, l'obbligo di firma; ad altri meno noti come il divieto di partecipare a riunioni, manifestazioni, o di vedere Tizio o Caio, e via dicendo. In complesso tantissime azioni della controrivoluzione preventiva, spesso di piccolo calibro, poco visibili, e che il più delle volte non si conoscono nemmeno, al di fuori delle realtà locali che le subiscono. E qui sta la seconda considerazione da cui è partita la nostra campagna: quest'insieme di episodi, preso complessivamente, reso visibile in tutta la sua portata, mostra chiaramente il carattere trasversale e strutturale dell'attività della controrivoluzione preventiva. Mostra chiaramente come sia falsa la tesi dei "pochi terroristi" che insidiano un "movimento democratico". Riuscire a dare a tutti l'indicazione che la repressione può colpire ovunque, che il suo vero obiettivo è l'eliminazione di ogni forma di lotta; Rendere chiaro che la solidarietà a chi viene colpito è un'arma di difesa che tutti abbiamo a disposizione, e che protegge tutti; Rendere chiaro che l'obiettivo della controrivoluzione preventiva è isolare, per colpire sia chi è isolato, sia il contesto da cui proviene; Chiarire tutto ciò è un obiettivo possibile, a partire dalla costruzione di una situazione che lavori al riguardo. Ed è un obiettivo importante, perché significa vanificare l'obiettivo principale di questo stillicidio di inchieste, perquisizioni, arresti. Significa far crescere la solidarietà dove lo Stato vorrebbe imporre la diffidenza, l'isolamento, la frammentazione. Questo è stato il primo obiettivo che ci siamo posti con la campagna. E su quest'obiettivo stiamo trovando un terreno sempre più fertile, dato anche che sono sempre di più i militanti e le realtà colpite dalla repressione. Su quest'obiettivo, si trattava a questo punto di individuare un terreno e un metodo di lavoro che potessero effettivamente far decollare la campagna, anche a partire dai pochi compagni che vi lavoravano inizialmente. Già molte volte in questi anni in Italia questa o quella realtà od organizzazione avevano provato a costruire gruppi di lavoro, assemblee, coordinamenti, contro la repressione. Sempre con risultati pessimi. Il più delle volte, a un incontro iniziale, seguivano incontri sempre più miseri che portavano a rinchiudere la discussione in un intergruppi di "addetti ai lavori", senza alcuna possibilità di avere un riscontro sul territorio e all'interno delle realtà di lotta. Viceversa la nostra idea era che dovevamo costruire un'esperienza comunicativa e feconda, un lavoro a cui chiunque potesse attingere o partecipare, senza prima dover aderire a una struttura organizzativa o a una determinata visione politica. Costruire un lavoro riproducibile anche in maniera decentrata, che ognuno potesse gestire sul suo territorio come meglio credeva. Per fare questo senza rischiare di cadere in ambiguità, anzitutto abbiamo dovuto stabilire precisamente su cosa dovevamo lavorare, e con che taglio. Abbiamo individuato l'articolo 270 (e seguenti) come lo strumento più contundente che la controrivoluzione ha in mano contro le lotte, e abbiamo stabilito che contro questo articolo avremmo impostato la campagna. Non per l'abolizione di questo articolo. Questa velleità da una parte avrebbe diviso chi riteneva corretta questa parola d'ordine e chi no. Inoltre sarebbe risultato un obiettivo impraticabile, dato che come dicevamo prima l'articolo 270 è lo strumento principale di un'attività repressiva strutturale, e non c'è nessuno spazio garantista da giocare per l'abolizione. Non per l'abolizione del 270 quindi, ma contro il 270, con l'obiettivo di indebolirne gli effetti, e contrastare cioè l'isolamento, l'intimidazione, la frammentazione che esso determinerebbe. Poi, abbiamo dovuto decidere come organizzare il lavoro; per evitare di costruire altri intergruppi di addetti ai lavori, abbiamo deciso di costituire un "COMITATO PROMOTORE" della "CAMPAGNA CONTRO L'ARTICOLO 270 E I REATI ASSOCIATIVI". E abbiamo deciso che al comitato avrebbero aderito i singoli compagni, e non le organizzazioni e realtà politiche. Questa scelta per il momento ha funzionato, e il comitato è diventato una realtà aperta e plurale. Abbiamo indetto una prima assemblea nazionale per presentare la proposta della campagna, e lì abbiamo proposto la costruzione di comitati e gruppi locali che potessero sviluppare la campagna sui territori. Abbiamo individuato alcuni altri obiettivi poi realizzati, quali la costruzione di una raccolta di materiali utili a chiunque volesse organizzare attività contro il 270, e la realizzazione di una mostra sul tema; La costruzione di un sito WEB su cui pubblicare tutti i materiali sul tema e sulla campagna; La pubblicazione di un "Manuale di Autodifesa Politico-Legale" che facesse un'analisi delle leggi che colpiscono chi lotta, e desse alcune indicazioni di comportamento a chi si trova inquisito con esse; La realizzazione di iniziative informative sull'articolo 270, ma anche su altre questioni connesse, anche a livello internazionale, e di iniziative di solidarietà con compagni colpiti dalla repressione e prigionieri politici. Altri obiettivi individuati, quali la realizzazione di una mappatura delle inchieste per reati associativi, la costruzione di un team di avvocati, la creazione di una cassa di sostegno legale, per il momento hanno un carattere piuttosto sporadico. Complessivamente i lavori del comitato sono risultati produttivi, e nel giro di qualche mese (e dato anche l'utilizzo sempre più frequente del 270 bis) si sono moltiplicate le realtà locali che hanno lavorato sulla tematica; soprattutto i materiali prodotti dal Comitato Promotore sono stati acquisiti in tutt'Italia come base di partenza per il dibattito sulla repressione. In definitiva, a partire dal lavoro svolto, in molte realtà si è acquisita la consapevolezza di quali siano i meccanismi e gli obiettivi della repressione. Al momento, mentre nel comitato promotore stiamo discutendo come proseguire il lavoro dopo questa fase della Campagna, sono sempre di più le situazioni che ci contattano per avere i materiali e organizzare iniziative di discussione. La nostra prospettiva è comunque quella di trovare le forme adeguate per dare continuità al lavoro contro il 270 e la repressione. In questa prospettiva pensiamo sia molto utile riuscire a costruire degli ambiti di dibattito anche a livello internazionale. Utilizzarli per rendere visibile la reale portata dell'agire della controrivoluzione preventiva; Per renderne visibile il carattere globale, internazionale; Per rendere visibile come ciò non dipenda dai singoli governi, da governi di destra anziché della cosiddetta "sinistra". Rendere tangibile, smascherare tutto ciò, costruire l'informazione su questo, la propaganda, la lotta, gli strumenti di analisi; Costruire contatti e dibattito fra tutte le situazioni a livello internazionale, in occidente e ove possibile anche oltre l'occidente; con le situazioni di immigrati, con chiunque porti avanti questo lavoro; Costruire questo significa dotarsi degli strumenti necessari a rendere il più possibile vani gli obiettivi della repressione. |