riceviamo e pubblichiamo
GLI OMICIDI DI STATO CONTINUANO, LA REPRESSIONE NON #resta a casa.
Dalle prime ore della mattina del 9 aprile una rivolta infiamma la prigione femminile di Eleonas-Thivas in Grecia, per la morte della prigioniera Angisel Deniroulou, di 42 anni.
Angisel aveva problemi cardiaci e negli ultimi 3 giorni accusava forti dolori al petto. La direzione carceraria ha ignorato ogni richiesta di cure mediche e anche il trasferimento in ospedale.
Angisel per tutta la notte ha chiesto aiuto. È morta richiusa nella sua cella davanti agli occhi di 20 prigioniere che erano lì con lei.
Le altre prigioniere hanno immediatamente reagito, dando fuoco ai materassi, ai vestiti e distruggendo parte del carcere.
Dopo alcune ore sono intervenuti i MAT (squadre antisommossa, paragonabili ai reparti della Celere italiana – n.d.t.) che per fermare l’espansione della rivolta in altre parti della prigione hanno letteralmente soffocato le detenute lanciando moltissimi lacrimogeni all’interno, per poi irrompere e picchiare brutalmente, con molta violenza, le prigioniere.
Hanno rotto braccia, gambe e costole mandando infine molte di loro all’ospedale.
Il segretario generale della sezione anticrimine, S. Nikolaou, ha provato a nascondere le ragioni della rivolta e le ragioni della morte della detenuta.
Ha infatti mentito dichiarando che le prigioniere non hanno subìto alcuna violenza, che stanno bene e che era stata solo una piccola rivolta, aggiungendo che non c’era stato alcun intervento dei MAT all’interno del carcere.
Inoltre ha affermato che la causa del decesso è stata un infarto, senza però aver atteso l’autopsia.
La rivolta è andata avanti con il rifiuto di rientrare in cella la notte.
Nuovamente è intervenuta l’antisommossa, e in maniera ancora più violenta è entrata colpendo alla testa le detenute; tra le varie prigioniere ferite anche una che soffre di una forma molto seria di epilessia.
Un estratto dal comunicato delle donne detenute: “… Le prigioniere si sono ribellate, e questa rivolta si è espansa a tutta la prigione. Un mese fa un’altra detenuta è morta. L’indifferenza criminale per la salute delle prigioniere porta al fatto che molte di loro muoiano durante la prigionia. La responsabilità di queste morti è unicamente del governo e dei suoi ministri.
Esigiamo la scarcerazione immediata di tutte le detenute malate, di quelle che hanno i bambini all’interno e delle più anziane, cioè di 1/3 del totale della popolazione detenuta.
Non torneremo alle nostre celle, fino alla fine!”
Da ieri mattina, 10 aprile, sono stati avviati procedimenti disciplinari contro le donne che hanno resistito e si sono mobilitate contro l’indifferenza omicida dello stato.
Con la pandemia in corso i prigionieri e le prigioniere sperimentano sulla loro pelle l’assenza delle più minime misure di prevenzione contro il virus.
Allo stesso tempo, il loro isolamento viene intensificato attraverso il divieto di qualsiasi forma di visita ed altre restrizioni come il blocco delle loro lettere per 15 giorni e il divieto di ricevere pacchi.
Invece i secondini entrano ed escono dalla prigione senza seguire alcuna delle direttive dettate dall’emergenza sanitaria, non indossano né guanti né mascherine, il che li rende responsabili di una possibile trasmissione del virus all’interno delle carceri.
La pandemia evidenzia le distinzioni di classe.
Lo stato e i capitalisti non si interessano della vita umana. Gli omicidi dello stato e dei capitalisti durante la pandemia globale lo confermano.
Dal lavoratore di 52 anni della zona industriale di Sindos che è morto di coronavirus perché il proprietario dell’azienda, nonostante due casi accertati, ha continuato a far lavorare i suoi dipendenti (e ha mantenuto aperta l’attività anche dopo la morte del lavoratore) alla morte della detenuta, avvenuta per il disinteresse del governo e del ministero. Alle decine di morti avvenute durante le rivolte iniziate nelle carceri italiane, fino ai medici e gli infermieri che hanno perso la battaglia contro la pandemia perché lavoravano sprovvisti delle più minime misure di protezione.
La grande ondata di rivolte e mobilitazioni esplosa nell’ultimo periodo, ci ricorda che la lotta per la libertà, la solidarietà e la dignità non entra in quarantena.
In ogni parte del pianeta, dall’Italia alla Spagna, fino alla Colombia e alla Grecia, i prigionieri e le
prigioniere resistono per rompere il muro dello stato d’eccezione, e lottano per rimanere in vita.
Oggi le prigioniere mostrano la strada della ribellione sociale, innalzando una barricata contro la politica assassina del Ministero, che le sta trasformando in condannate a morte.
Diventano la scintilla delle lotte sociali e di classe che sorgeranno nel prossimo futuro, lotte che dobbiamo sostenere con ogni mezzo, e far si che siano connesse tra loro e generalizzate, perché lo scontento si trasformi in ribellione e la disobbedienza sociale in resistenza organizzata.
Contro la democrazia borghese che imprigiona tutte le persone che provano ad alzare la voce. Contro questi moderni inferni che ammassano e uccidono vite umane, noi rispondiamo:
NESSUNO È SOLO NELLE MANI DELLO STATO
NON ACCETTIAMO GLI OMICIDI DI STATO
SOLIDARIETÀ CON LE DETENUTE DEL CARCERE DI ELEONA-THIVAS
CHE VINCA LA LORO LOTTA PER L’IMMEDIATO DECONGESTIONAMENTO DELLE GALERE
Cassa di solidarietà con i compagni imprigionati e indagati