..…SULLE
AGGRESSIONI ALL'OSPEDALE SAN PAOLO DI MILANO…….
Il massacro
all'ospedale S. Paolo è uguale a quello della Diaz, se non peggio.
La sua brutalità è stata pari a quella della notte genovese
(gravi ferite lacero-contuse al volto, nasi e denti rotti, braccia e polsi
spezzati). In sovrappiù, le cariche della polizia hanno questa volta
coinvolto indiscriminatamente, oltre agli amici di Dax, personale di assistenza,
pazienti e loro parenti. Siamo all'assurdo che gli spazi del Pronto Soccorso
di un grande ospedale, la cui funzione dovrebbe essere quella di garantire
l'assistenza e la sicurezza dei cittadini, divengono scenario di cariche selvagge
e di una vera e propria caccia all'uomo.
Questo massacro,
a differenza di quelli di Napoli e Genova, è avvenuto a freddo, fuori
di ogni situazione di tensione sociale o di piazza: si era lì solo
per piangere la morte di un compagno ucciso per mano fascista e per avere
notizie degli altri feriti durante l'aggressione.
L'intervento
poliziesco è stato di tale gravità da determinare l'interruzione
del servizio di Pronto Soccorso fino alle sette del mattino successivo.
Se da una
parte apprezziamo l'operato degli infermieri e dei medici del S. Paolo, che
hanno prontamente assistito i feriti e protetto degenti e accompagnatori,
dall'altra denunciamo con forza il comportamento delle forze di polizia, anche
dopo i pestaggi: alcuni compagni feriti, invece di essere medicati, sono stati
caricati e trattenuti a lungo sulle “volanti” presenti in gran numero; uno
dei feriti più gravi, trasferito all'ospedale S. Carlo, è stato
tenuto ammanettato per tutto il tempo delle cure.
Di fronte
a tutto ciò, la direzione sanitaria non ha trovato di meglio che rimandare
a un successivo “esame delle Autorità competenti”, ciò mentre
rilasciava dichiarazioni di comodo avvaloranti la versione della polizia.
La stampa
ha toccato in questa occasione uno dei suoi livelli più bassi, propinando
al lettore le versioni più incredibili e offensive del senso di umanità
e della comune intelligenza: menzogne sull'assassinio (che sarebbe avvenuto
dopo una rissa tra punkabbestia), una mai avvenuta aggressione nei confronti
degli ambulanzieri da parte degli amici di Davide e, infine, la loro presunta
pretesa di averne indietro il corpo. Come in ogni informazione di regime che
si rispetti, le veline della questura determinano, senza la minima verifica
circa il reale svolgimento dei fatti, ciò che scrivono i giornali.
Salvo poi, a distanza di pochi giorni, dover correggere il tiro, perché
per esempio due medici, al di sopra delle parti, descrivono la brutalità
dell'intervento della polizia, o perché due funzionari entrano in contraddizione
con le prime dichiarazioni della questura. A proposito di quest'ultima, la
prima cosa che salta all'occhio è il suo procedere incerto: le “verità”
della prima ora vengono rettificate (“Chiedo severità ai vertici di
polizia e carabinieri, qualora si scoprano violazioni da parte dei loro uomini”,
secondo le parole del prefetto), e la sicurezza mostrata all'inizio si trasforma
in crescente imbarazzo. Per fare quadrato, e impedire che la pentola si scoperchiasse,
è intervenuto il ministro Giovanardi che, rispondendo a un'interrogazione
parlamentare, ha riautentificato la versione iniziale della polizia. Un poliziotto
non può avere torto! E c'è sempre un governo a coprirlo.
Quanto avvenuto
al S. Paolo non è frutto del caso, inserendosi invece nella tendenza
al rafforzamento degli apparati del controllo e della repressione, che sempre
più acquistano una funzione centrale nella regolazione dei rapporti
sociali: politiche di “tolleranza zero”, clima di guerra contro il “nemico
interno”, tracotanza poliziesca, metodi spicci e volontà di “farla
pagare” ai “compagni”, ai “comunisti”. Sempre più chiara appare, infatti,
nei comportamenti dei “tutori dell'ordine” un'ispirazione di destra e una
vocazione a farsi soggetti politici autonomi, a “mettere a posto loro le cose”.
Milano, 17/03/03