«Tutte le identità non sono che simulate, prodotte come un effetto ottico, attraverso un gioco più profondo che è quello della differenza e della ripetizione». La «differenza si deve dire che la si fa, o che si fa", non è che la «crudeltà», il «mostro», sorge dall'indeterminato (non è il simulacro, che mantiene un rapporto con l'identità). La ripetizione "nuda" è selezione pura, ripetizione del differente (non è la generalità né l'abitudine o l'identità), ritorna sulla ripetizione. Le ripetizioni "vestite" sono il mondo dei simulacri, in cui la differenza è somiglianza, l'altro è simile.
«Se la ripetizione è possibile, lo è tanto contro la legge morale quanto contro la legge di natura. O, risalendo i principi, si contesta l'ordine della legge come secondario, derivato, mutuato, "generale"; si denuncia nella legge un principio di seconda mano, che devia una forza o usurpa una potenza originali. Oppure, al contrario, la legge è tanto meglio rovesciata quanto più si discende verso le conseguenze, sottomettendosi con una minuzia troppo perfetta: è a forza di sposare la legge che un'anima falsamente sottomessa giunge ad aggirarla e a gustare quei piaceri che si presumevano proibiti, come ben si vede in tutte le dimostrazioni per assurdo, negli scioperi bianchi, ma anche in taluni comportamenti masochisti di derisione per sottomissione. La prima maniera di rovesciare la legge è ironica, e l'ironia vi appare come un'arte dei principi, del ritorno verso i principi e del rovesciamento dei principi. La seconda è lo humour, che è un'arte delle conseguenze delle discese, delle sospensioni e delle cadute. Si deve forse intendere che la ripetizione sorge in questa sospensione e in questo ritorno, nel senso che l'esistenza si riprende e si "reitera" in se stessa, dal momento che non è più costretta dalle leggi? La ripetizione appartiene allo humour e all'ironia; essa è per natura trasgressione, eccezione, poiché esibisce sempre una singolarità contro i particolari sottomessi alla legge, un universale contro le generalità che fanno legge.
[...] Giobbe è la contestazione infinita, Abramo la rassegnazione infinita, ma essi sono la stessa cosa. Giobbe pone in questione la legge, in maniera ironica, rifiuta tutte le spiegazioni di seconda mano, esautora il generale per rivolgersi al più singolare come principio, come universale. Abramo si sottomette umoristicamente alla legge, ma ritrova appunto in questa sottomissione la singolarità del figlio unico che la legge comandava di sacrificare.»
(Gilles Deleuze, "Differenza e ripetizione")