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prestigio del terrore
di Georges Henein
[11 Settembre 2001 o 8 Agosto 1945?
Secondo i dispacci del Ministero della Verita' e' la prima delle due date
a inaugurare l'inaudita nuova epoca (l'ennesima, gli addetti ne dichiarano
aperta quasi una al giorno: tanto ormai chi si ricorda di tutte le ennesime
precedenti che nessuno ha mai dichiarato chiuse?): quella del protagonismo
mondiale del terrorismo.
Dopo la celebrazione di un certo numero di Settimane dell'Odio, seguono
immancabili disposizioni operative bellico-umanitarie del Ministero dell'Amore.
Ma, prima ancora che Orwell prevedesse queste forme del totalitarismo
spettacolare contemporaneo, esattamente cinquantasette anni fa, Georges
Henein aveva scritto "che era una delle date piu' basse dell'umanita'",
la data in cui la popolazione inerme di intere citta' giapponesi veniva
annientata dalle bombe atomiche statunitensi (e Stalin prontamente dichiarava
guerra al Giappone disfatto), a segnalare che il terrore totalitario usciva
trionfante, ricco di consenso e di prestigio popolare, dalla sconfitta
delle sue forme arcaicizzanti nazifasciste, attraverso la penetrazione
senza resistenze del comportamento politico hitleriano di tutte le istanze
organizzate di quelle che insistevano a chiamarsi democrazie.
Dopo oltre mezzo secolo la sua voce ci giunge chiara e brillante come
la luce delle stelle che non ci sono piu'. Anzi doppiamente, perche' -
se si guarda alla sua cancellazione totale da parte del paese che pure
dedica il massimo culto sciovinista ai minimi imbrattapagine, purche'
scribacchino o abbiano scribacchiato nel suo idioma - ufficialmente Henein
non c'e' mai stato.
Era uno spirito lucidissimo, un grande scrittore, un principe dell'insolenza
poetica e sovversiva, aveva colmato con sintesi fulminea le principali
lacune teoriche del principale detto di Marx ("Lavoratrici di tutti
i Paesi, siate belle!"), il piu' grande paese arabo gli era debitore
tanto dei primi nuclei di critica sociale che della rivelazione pubblica
del lato sovvertitore dell'arte, ma Henein si permetteva di essere egiziano
senza essere islamico integralista ne' moderato, bensi' ateo, rivoluzionario
e addirittura surrealista.
Dunque qualcosa di oggi assolutamente inammissibile.
Una volta di piu' possiamo constatare che, a suo tempo, tutto e' stato
detto, ma quanto pochi hanno saputo ascoltare. Nel 1945, pero', Henein
aveva almeno come naturale uditorio un ambiente che andava da Breton e
dai surrealisti a Bruno Rizzi, da De Rougemont a Silone, da Camus a riviste
come "Politics" (Dwight Macdonald) e "Partisan Review"
che avevano collaboratori e amici come Arendt e Orwell... ma oggi?
Le rive dei mari su cui viaggiassero in bottiglia scritti simili -se qualcuno
sapesse ancora scriverli - avrebbero tuttora abitanti?
"È proprio perche' quasi nessuno ha ascoltato - osserva qualcuno
- che tutto dev'essere detto daccapo, anche se puo' apparire inutile."
Giusto, con questa importante correzione: non "anche se", ma
proprio perche' la messa in circolo di parole degne di qualche considerazione
appare secondo ogni verosimiglianza inutile, come le parole al vento,
essa merita di essere fatta : "Noi non miriamo ne' all'aumento dell'industria,
ne' al miglioramento degli ordini sociali, ne' al perfezionamento dell'uomo
(...). Confessiamo schiettamente che il nostro Giornale non avra' nessunau
tilita'. E crediamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri,
tutti i pezzi di carta, tutti i fogliolini di visita sono utili, venga
fuori finalmente un Giornale che faccia professione d'essere inutile."
(Giacomo Leopardi, Preambolo a Lo Spettatore fiorentino, 1832) M.L. ]
«Finire da prigioniero - questa sarebbe la meta di
una vita. Ma era una gabbia di gretole. Indifferente, imperioso come a
casa propria, entrava e usciva da quella grata il rumore del mondo; a
rigore, il prigioniero era libero, poteva partecipare a ogni cosa, nulla
gli sfuggiva di cio' che avveniva di fuori, avrebbe potuto persino abbandonare
la gabbia, le gretole erano distanti qualche metro tra loro, egli non
era nemmeno prigioniero.»
Franz Kafka
L'8 AGOSTO 1945. - Questa non e' una tesi. Perche' una tesi non soltanto
la si scrive a sangue freddo e con tutte le precauzioni letterarie di
rito, ma per di piu' richiede una accumulazione di riferimenti e di dati
piu' o meno statistici tale che non potrei perdonarmi se vi sacrificassi
il moto di rivolta e di furore che mi detta questo testo. Di piu', l'antico
pubblico delle tesi, disertando da ogni riflessione prolungata, si compiace
oggi della lettura dei molti "Digest" in circolazione e del
racconto degli intrighi sentimentali, diplomatici e polizieschi che una
stampa rotta a tutte le ignominie gli serve, ogni mattina, con la prima
colazione.
Questa non e' una tesi e non si accontenta di essere solo una protesta.
E' qualcosa di ambizioso. E' qualcosa che vuole provocare gli uomini sdraiati
nella menzogna; vuoi dare un senso, un bersaglio e una portata durevoli
al disgusto di un'ora, alla nausea di un istante.
I valori che presiedevano alla nostra concezione della vita e che ci procuravano,
qua e la', dei piccoli sprazzi di speranza e degli intervalli di dignita',
vengono sottoposti a un saccheggio molto metodico da eventi nei quali,
e' il colmo, ci si invita a vedere la nostra vittoria, a salutare l'eterna
distruzione di un drago che sempre resuscita. Ma, via via che la scena
si ripete, non siete colpiti dalla metamorfosi che si opera nei tratti
dell'eroe? Eppure vi e' facile osservare che ad ogni nuovo torneo San
Giorgio rassomiglia sempre piu' al drago.
Ben presto San Giorgio, non sara' che una laida variante del drago.
E, sempre ben presto, un drago camuffato, esperto nei farci credere, con
un colpo di lancia, che l'Impero del Male e' abbattuto...!
L'8 agosto 1945 rimarra' per alcuni una data intollerabile. Uno dei grandi
appuntamenti dell'infamia fissati dalla Storia.
I giornali riferiscono deliziati gli effetti della bomba atomica, futuro
strumento di polemica da popolo a popolo. Le trasmissioni radiofoniche
della sera annunciano l'entrata in guerra dell'Unione sovietica contro
le ceneri e le rovine del Giappone. Due avvenimenti, senza dubbio di ineguale
ampiezza, ma che fanno parte del medesimo orrore.
L'opinione mondiale si era levata fremente, dieci anni fa, a protestare
contro l'uso dell'iprite da parte degli aviatori fascisti scatenati sull'Etiopia.
Il bombardamento del villaggio di Guernica, raso al suolo dalle squadriglie
tedesche in Ispagna, basto' a mobilitare - in un mondo ancora fiero della
sua liberta' - milioni di coscienze giuste.
Quando Londra, a sua volta, fu mutilata dalle bombe fasciste, si sapeva
da quale lato dell'incendio stavano i valori da difendere.
Poi-venimmo edotti che Amburgo bruciava dello stesso fuoco di Londra,
ci istruirono sui benefici di una nuova tecnica chiamata "bombardamento
per saturazione" grazie a cui immense zone urbane erano destinate
a un ineluttabile livellamento.
Queste pratiche perfezionate, questi supremi raffinamenti nell'omicidio
non avevano nulla che potesse rimettere in auge la causa della liberta',
il partito dell'uomo.
Eravamo in un certo numero qui, in Gran Bretagna, in America, a considerarli
altrettanto odiosi delle diverse forme di supplizio messe a punto dai
nazisti. Un giorno, era una citta' intera a venir "ripulita"
da un raid di terrore. L'indomani, una stazione dove si affollavano migliaia
di rifugiati, grazie a un supermirino scientifico, veniva crivellata a
morte. Questi giochi inumani appaiono di colpo irrisori, ora che ha preso
servizio la bomba atomica e che dei bombardieri democratici ne provano
le virtu' direttamente sul popolo giapponese! Che importa, in effetti,
l'assassinio premeditato di qualche decina, di qualche centinaio di migliaia
di civili giapponesi. Tutti sanno che i giapponesi sono dei gialli e,
per colmo d'impudenza, dei gialli malvagi - mentre i gialli "carini"
sono rappresentati dai cinesi.
Un personaggio che non e' un "criminale di guerra" ma l'ammiraglio
William Halsey non ha forse dichiarato: "Stiamo bruciando e annegando
queste scimmie bestiali di giapponesi per tutto il Pacifico, e proviamo
esattamente tanto piacere a bruciarli quanto ad annegarli"?
Queste parole esaltanti e rassicuranti circa l'idea che i capi militari
sono disposti a farsi della dignita' umana, queste parole sono state pronunciate
davanti a un cineoperatore di attualita'...
San Giorgio esagera. Comincia ad apparirci piu' ripugnante del drago.
* *
Al punto a cui ci hanno condotto gli ultimi sviluppi della politica e
della guerra, e' indispensabile affermare che la fondatezza di una causa
la si deve giudicare, essenzialmente e anzitutto, dai mezzi che essa mette
in opera.
A favore delle cause che ancora assumono il rischio di fare appello al
meglio dell'uomo, e' indispensabile stabilire un inventario di mezzi non
suscettibili di oscurare lo scopo perseguito. Il ricorso alla delazione
di fronte a una necessita' passeggera si traduce, in breve tempo, in una
amministrazione della delazione.
Ben presto fra una parte dei cittadini prende forma il costume della delazione
- fra gli altri l'incubo di essa. Se vorrete stimolare il dibattito in
direzione dei fini ultimi cui ciascuno si richiama, ecco che si alzeranno,
ispezioneranno il pianerottolo e l'aspetto delle scale, poi chiuderanno
la porta a doppia mandata e si esprimeranno solo in termini misurati,
secondo modalita' di spirito fattesi improvvisamente accademiche.
Il mezzo e' passato allo stato di istituzione. Divide in due la vita di
una nazione, la vita di ogni uomo. E lo stesso accade con gli altri mezzi
rubati al nemico per meglio dominarlo e distruggerlo, ma di cui - a vittoria
raggiunta - si scopre che sono stati elevati al rango di mostruosita'
nazionali, di tare intellettuali accuratamente protette contro le possibili
ribellioni della ragione. E' cosi' che il culto dell'infallibilita' del
capo, il rafforzamento delirante delle false gerarchie, il sequestro di
tutte le fonti di informazione e di tutti gli strumenti di diffusione,
l'organizzazione frenetica della menzogna di Stato a tutte le ore del
giorno, il terrore poliziesco crescente verso cittadini ancora aggrappati
alla propria relativa lucidita' - sono divenute forme comunemente ammesse
del progresso politico e sociale. Ed e' precisamente contro un concorso
cosi' potente di aberrazioni che dobbiamo ripetere, senza tregua, la seguente
ovvieta': che al proletariato non e' concesso innalzarsi ricorrendo ai
mezzi con cui i suoi nemici si abbassano. Che una specie di socialismo
che dovesse il suo avvento a prodigi di intrigo, di delazione, di ricatto
politico e di truffa ideologica sarebbe viziato all'origine dagli strumenti
stessi della sua vittoria, e l'uomo ed i popoli peccherebbero per eccesso
di candore ove se ne aspettassero altro che un cambiamento di tenebre.
L'8 agosto 1945, mentre fuma ancora la piaga aperta di Hiroshima, citta'
martire scelta per l'esperimento della prima bomba atomica, la Russia
di Stalin assesta al Giappone la famosa pugnalata alla schiena brevettata
da Mussolini. Costui tuttavia avrebbe torto di rigirarsi nella tomba,
pensando ai diritti d'autore. Perche' non ci si e' accontentati di plagiare
i suoi bei gesti; si e' voluto aggiungere qualcosa al suo apporto storico.
Il testo della dichiarazione di guerra sovietica ci informa in effetti
che questa entrata in guerra dell'URSS non ha altro scopo che "abbreviare
la guerra" e "risparmiare vite umane"! Bando ai mezzucci
- ecco finalmente un fine in se', un fine la cui nobilta' nessuno contestera'
sia difficile eguagliare. Per i secoli futuri i cantastorie staliniani
della Mongolia esterna avranno modo di interpretare il carattere pacifista
e umanitario della decisione del Signore.
L'8 agosto 1945 e' una delle date piu' basse nella carriera dell'umanita'.
DELLE GUERRE GIUSTE E DEL PERICOLO DI VINCERLE - Molti anni prima che
il mondo precipitasse nella guerra contro il fascismo, aspre discussioni
infuriarono nei movimenti di sinistra tra adepti del pacifismo integrale
e militanti della lotta a morte contro la tirannia.
Uno dei temi che ritornavano piu' spesso in quel lungo scambio di idee
e di argomentazioni era quello della "guerra giusta". Con una
abilita' che non sempre era a tutta prova, i pacifisti integrali si adoperavano
a dimostrare che non esistono guerre giuste. Che pretendere di combattere
la tirannia con una guerra voleva dire consegnarsi spontaneamente alla
tirannia di un apparato militare senza freni, di leggi eccezionali spietate,
di politicanti investiti dei piu' arbitrar! poteri e piu' o meno dispensati
dal renderne conto. La guerra in se' stessa e di per se' costituisce-
una tirannia che non ha nulla da invidiare a quella che vi prospettano
di abbattere, ci dicevano senza convincerci i teorici del pacifismo integrale.
Si ingannavano. Esistono delle guerre giuste. Ma la proprieta' delle
guerre giuste e' di non restarlo a lungo.
Non dimentichiamo che le guerre "giuste", se producono degli
Hoche e dei Marceau, producono d'altro lato dei Bonaparte, il che e',
per loro, un modo particolarmente demoniaco di smettere di' essere giuste.
Ma d'altra parte - e in assenza di qualsiasi Bonaparte all'orizzonte -
una guerra "giusta" si distingue dalle ordinarie spedizioni
di brigantaggio perche' impone a coloro che se ne incaricano un ritmo
e delle esigenze che risultano loro difficilmente tollerabili.
Per tenere desta un'impresa basata sul fervore popolare, occorre che le
e'quipes responsabili della conduzione della guerra abbiano la chiara
audacia di lasciare alle forze in movimento a cui si appoggiano il loro
carattere di massa in combustione - di masse in pieno divenire e coscienti
dei senso del loro slancio.
Ma la regola persistente fra i capipopolo - sovente perfino tra coloro
che sembrano venire direttamente dalla linea del fuoco o da una assemblea
di fabbrica - e' quella di usare il proprio peso gerarchico per ricondurre
le forze in movimento loro affidate nei quadri tradizionali di un paese
in guerra. E quando dico "quadri tradizionali", intendo razionamento
della verita', razionamento dell'entusiasmo, razionamento dell'ideale.
Intendo irrigidimento arbitrario delle forze in movimento di una nazione,
su ordine di coloro che temono, nel "movimento" di oggi, lo
"sconvolgimento" di domani. Questi quadri tradizionali - semplici
maschere da porre sul volto di questa o quella guerra per cancellarne
l'espressione originale e renderla simile a tutte le altre - possono essere
presi a prestito tanto dagli archivi del museo delle Guerre, quanto dalle
pratiche del nemico. Il che viene detto: in un caso "ispirarsi alle
lezioni del passato", nell'altro "approfittare di cio' che il
vostro avversario vi insegna".
Di questo offuscamento dei valori vivi del presente, che si e' sempre
pronti ad avviluppare nelle vecchie formule sacramentali come in un sudario,
di questa traslazione nei campo della giustizia dei procedimenti e delle
abitudini mentali del nemico, lo svolgimento delle guerra contro il fascismo
ci offre troppi esempi.
Mi ricordo con nettezza che il primo comunicato di guerra sovietico si
concludeva con la menzione di un soldato tedesco, con tanto di nome e
cognome, che - si era diretto verso una postazione russa dichiarando di
non voler prendere le armi contro uno Stato proletario.
Davanti alla storia, questa sola frase del comunicato assumeva una risonanza
piu' forte di tutte le imprese motorizzate che la precedevano o che la
seguirono. Sovrastando il frastuono del combattimento, essa attestava
che la fraternita' dei lavoratori conservava e doveva conservare la preminenza
sulla divisione degli uomini in gruppi etnici e nazionali.
Li' stava, fra tutti, il bene da preservare - la virtu' suscettibile di
mandare in pezzi il quadro tarlato della guerra tra nazioni.
Eppure ancora una volta, fu a quel quadro tradizionale che i lavoratori
vennero ricondotti, furono sviati. Invece di esaltare gli eroi popolari,
russi e tedeschi che gia' si erano tesi la mano in lotte liberatrici similari,
i servizi di propaganda sovietici ben presto si compiacquero di un pathos
orripilante da cui emergono solo figure fra le piu' sinistre della storia
della Russia. Il principe Alexander Nevskij conobbe di nuovo tutte le
enfiagioni della gloria perche' nell'anno 1242 aveva avuto la buona sorte
di mettere in fuga i cavalieri dell'Ordine teutonico.
Per contro, il ricordo di Pugaciov o quello di Stenka Razin - leggendari
campioni della causa contadina - furono messi in sordina perche' si giudicava
che quei personaggi avessero eccessivamente malmenato le autorita' dei
loro tempi. Il 7 novembre 1941, rivolgendosi ai combattenti dell'Armata
Rossa, Stalin offri' al loro valore degli strani antecedenti: "Possiate,
disse loro, essere ispirati dalle coraggiose figure dei vostri avi: Alexander
Nevskij, Dimitri Donskoï, Kouzma Minin, Dimitri Pojarski, Alexander
Suvorov, Mikaïl Kutuzov (1)."
In nessun esercito l'eroismo degli avi ha mai avuto molta presa sul morale
dei soldati. Ma quanto agli antenati di cui Stalin intagliava le icone
e le presentava al bacio di devozione delle masse, non ce n'e' uno solo
che, rispetto alle lotte del popolo russo per strapparsi al suo giaciglio
di miseria, non abbia avuto una funzione reazionaria e odiosa. Che si
fosse tenuto a dirottare verso simili nomi l'immaginazione eroica dei
difensori dell'URSS era gia' sufficiente a rendere senile una guerra da
cui certuni si attendevano che migliorasse il mondo.
Il seguito fu all'altezza di un simile inizio. La riesumazione di Alexander
Nevskji porto' con se' la revisione di otto secoli di storia europea.
Saccheggiando non piu' il passato ma il nemico, Stalin oppose alla teoria
hitleriana della mobilitazione dell'Europa contro l'assalto asiatico un
ritorno puro e semplice al panslavismo piu' gretto. I dibattiti dei diversi
congressi panslavi organizzati attorno a questa guerra, su iniziativa
di Mosca, hanno fatto regredire l'intelligenza allo stesso titolo delle
trasmissioni di Radio Berlino.
Il lungo sviluppo dell'Europa non apparve piu' che un pretesto per divisioni
razziali - soggetto a un conflitto sempre rinascente tra slavi e germani.
L'ultimo congresso panslavo (Sofia, gennaio 1945) ha consacrato l'esistenza
di un blocco slavo erede di una unione suggellata attraverso secoli di
battaglie e risalente alla vittoria di Grunwald (1410) riportata dagli
eserciti slavi riuniti contro i germani.
Cosi', si e' finito per battersi blocco contro blocco; razza contro razza,
insania contro insania!
Cosi' le guerre "giuste" non resistono a lungo all'infamante
contagio delle idee che si chiedeva loro di annientare (2).
Dico che assistiamo attualmente a una penetrazione del comportamento
politico hitleriano nei ranghi della democrazia.
Questa penetrazione non scandalizza quasi nessuno; troppi vi trovano la
loro convenienza materiale e il loro confort morale.
Questa penetrazione fa mostra di se su tutti i giornali, in tutte le notizie
che ci giungono sulla sorte che ci si prepara a riservare al mondo.
Per esempio, l'annessione di territori senza il preliminare gradimento
delle popolazioni era comunemente considerata come un oltraggio al diritto,
proprio della frenesia imperialista di un Hitler. Ora ecco che la cosa
si presenta in modo del tutto differente e unicamente sotto il punto di
vista della utilita' nazionale; quel certo porto mi e' utilissimo e mi
piacerebbe mi venisse concesso, dichiara una potenza - e se le si obietta
che quel porto ha sempre fatto parte di un'altra unita' nazionale, essa
rispondera' che e' possibile, ma che ne ha molto bisogno e la sua vittoria
le da diritto a quel piccolo bottino. Cosi' vanno le cose oramai non per
un porto o una citta' isolata, ma per vasti insiemi territoriali divenuti
perfettamente mobili e atti a cambiare proprietario nello spazio di una
notte.
La deportazione di popolazioni passava del pari per una operazione crudele
cui solo i regimi basati sulla forza si permettevano di ricorrere. Queste
deportazioni vengono nondimeno progettate al giorno d'oggi su scala non
inferiore a quelle delle cupe razzie del nazismo.
Qui lascio la parola a Louis Clair, uno dei principali collaboratori della
rivista americana "Politi'cs", la cui capacita' di indignazione
ci aiuta a respirare ancora:
"Portati per necessita', controvoglia, a compiere giornalmente una
serie di atti del tutto simili a quelli del nemico, come eviteremo di
tendere assieme a lui verso un limite comune? s'inquieta Andre' Breton.
Stiamoci attenti: per il fatto stesso che siamo costretti ad adottare
i suoi mezzi, rischiamo di essere contaminati da cio' di cui crediamo
di trionfare".
"I popoli vengono spostati come bestiame; se voi mi date 500000
tedeschi sudeti, io faro' in modo di consegnarvi una certa quantita' di
tirolesi; forse potremmo scambiarci un certo numero di tedeschi in cambio
di macchine utensili. Hitler, anche qui, ha messo in marcia un meccanismo
che sta prendendo proporzioni inquietanti...
"La precipitazione con cui le potenze vittoriose si disputano la
sola merce che, a dispetto dei perfezionamenti della tecnica, resta piu'
richiesta che mai - la fatica da schiavo - e' qualcosa di veramente osceno"(3).
Una guerra e' stata vinta. Ma siamo tanto sicuri che Hitler abbia perso
la sua?
« IN MANCANZA DI MEGLIO...» Quando ci si interroga sulle
ragioni che tendono a convenire una guerra "giusta" in una guerra
ordinaria, in una guerra tout court, e piu' in generale quando ci si interroga
sulle ragioni che sottraggono alle masse il controllo sulle cause elevate
cui esse si dedicano, presto ci si trova imprigionati in un circuito allucinante.
Da un lato, in effetti, l'ampiezza e la concentrazione della vita economica
moderna hanno fatto di ogni partito, di ogni sindacato, di ogni amministrazione
degli organismi quasi totalitari che vanno per la propria strada abbandonandosi
completamente al proprio peso specifico e senza minimamente tenere conto
delle cellule individuali che li compongono. Questi partiti, questi sindacati,
queste amministrazioni statali moderne sono protetti contro le mosse della
ragione critica (come pure contro i sussulti affettivi e le ribellioni
del cuore) dalla loro sola e sovrana pesantezza.
Questi edifici sconcertanti funzionano in grazia di una umanita' tutta
speciale, una umanita' di iniziati. Per essere ammessi a presentare una
mozione al termine di un congresso di un partito di sinistra che tolleri
qualche scambio di opinioni, occorre un anno di manovre estremamente delicate
attraverso un dedalo di segretariati e di comitati che ricordano, al punto
da trarre in inganno, i misteri dell'inaccessibile Tribunale in cui Kafka
- neI processo - lascia tremolare l'immagine indefinitamente riflessa
della nostra angoscia. E se queste prove iniziatiche sono favorevolmente
superate, se nessun passo falso e' giunto a inibire la presentazione della
mozione, allora indubbiamente il suo oggetto si sara' sufficientemente
diluito per suscitare oramai soltanto un interesse retrospettivo e quasi
pieta' per chi si azzardasse a darle il proprio sostegno.
D'altra parte, i cittadini chiaroveggenti ed energici, meglio ancora,
gli individui che dispongono di un certo prestigio intellettuale che fossero
tentati di intervenire per rettificare l'orientamento di un, partito,
di un sindacato o di un governo, sanno troppo bene che questi diversi
organismi hanno i mezzi per tessere loro attorno una ragnatela mortale
- una ragnatela di silenzio che non tarderebbe a tagliarli fuori da ogni
vita pubblica.
Questa ragnatela di silenzio si e' rinchiusa per sempre su alcuni dei
piu' brillanti spiriti della societa' sovietica - scrittori, scienziati,
giornalisti, militanti; essa stringe sempre piu' dappresso, in Europa
e in America, altri spiriti, resistenti e puri, esageratamente amanti
della liberta'....
Per l'essere civilizzato vi e' qualcosa di peggio della sua perdita di
potere sugli organismi che lo rappresentano e agiscono in suo nome.
E' la rassegnazione a questa perdita.
Rassegnazione di cui ci avvertono segni innumerevoli e flagranti. Rassegnazione
che - in guerra come in pace - noi riconosciamo in base all'atteggiamento
standard di persone dotate, colte e portate all'azione - e tuttavia immerse
nel giulebbe della loro disfatta. Questa rassegnazione sta in quattro
parole : "In mancanza di meglio...".
Se si aderisce al Partito comunista ( o a qualsiasi altro...) senza avere
la minima garanzia sulla sua 'politica presente e futura, e' "in
mancanza di meglio".... Se si finisce per farsi una ragione di una
redistribuzione di territori di cui si ammette fra se' e se' che non restituira'
ai popoli ne il sorriso ne l'abbondanza, e' "in mancanza di meglio".
Se si vota per un candidato il cui aspetto morale vi ripugna e la cui
fermezza politica si rivela dubbia, e' "in mancanza di meglio".
Se ci si abbona a un giornale che sacrifica volentieri il proprio scrupolo
di verita' a considerazioni commerciali o pubblicitarie, e' "in mancanza
di meglio".
Questa donna che si abbraccia febbrilmente farfugliando di eterni sentimenti:
"in mancanza di meglio". Questo cinema in cui ci si sprofonda
a testa bassa, per risparmiarsi un'ora di presenza sulla terra: "in
mancanza di meglio". Questo libro su cui ci si attarda perche' e'
stato premiato, quando tutto vi invita a schifarne il contenuto: "in
mancanza di meglio". Questo capo sublime al culto del quale ci si
allinea sospirando, impregnati come si e' del repertorio della sua grandezza:
"in mancanza di meglio"...
"In mancanza di meglio" diventa un investimento, una filosofia,
uno statocivile, un padrone, una boutade, un alibi, una preghiera, un'arma,
una puttana, un singhiozzo, una sala d'attesa, una piroetta, l'arte di
farsi l'elemosina, una bussola per battere il passo senza andare avanti,
un epitaffio, un 8 agosto 1945...
Due uomini, prossimi per pensiero, nondimeno sono capaci di distruggersi
a vicenda perche', avendo la stessa concezione del "meglio",
e difettando di questo, ripiegano su due modalita' concorrenziali di esistenza
di compensazione, su due sistemi di convinzioni e di gesti che sfiorano
per la tangente il "meglio" comune, ma non lo sfiorano dallo
stesso lato.
Allora, di approssimazione in approssimazione, di sostituzione in sostituzione,
ci si trova ricacciati indietro, insensibilmente, cortesemente, verso
non si sa quale abietto cantuccio dove prosperano i centogambe.
Si viene presi dallo spavento, ma a torto. Non si tratta di una segreta;
e' una dimora...
Ormai fa solo notte... Lontano, dei treni fischiano come se stessero partendo...
Si vorrebbe urlare, far accorrere immaginar! guardiani... Con le proprie
forze, a che punto si sara' domattina? Vi lasceranno soltanto passare?
Si', senza dubbio, vi permetteranno di fuggire, di andarvi a costruire
una seconda vita in Congo, una vita su palafitte con, nell'ombra, lo stesso
cancro trionfante in cui vengono a patti le forze della noia e l'orrore
panico della liberta'...
IL DIRITTO AL TERRORE. - Da due secoli in qua, e' come se ogni invocazione
della liberta', ogni sollevazione segnata dal suo nome dovessero tradursi
- attraverso gli apparati politici e statali sorti al culmine di questi
sussulti - in un sovrappiu' di regole oppressive cui l'uomo deve un graduale
restringimento della vita.
Una nuova generazione di Enciclopedisti che procedesse con la stessa impertinenza
dell'altra oggi verrebbe messa fuori legge o, per lo meno, rapidamente
ridotta alla mendicita'.
In questa lunga serie di ambizioni sfortunate, tutto accade come se l'uomo
cercasse soltanto una certa forma di sicurezza nel terrore.
L'aspra e severa opera di Erich Fromm - Fuga dalla liberta' - ci insegna
fino a che punto l'uomo tema il te'te-a'-te'te con la liberta', fino a
che punto egli non veda l'ora di sottrarsi alle responsabilita' che essa
gli assegna, fino a che punto - nelle condizioni attuali di caos - il
grigiore, l'opacita' e l'anonimato sono per lui rifugi desiderabili contro
la vertigine della liberta'.
A questa disposizione individuale dell'essere terrorizzato dalla complessita'
del mondo che lo sollecita, i grandi organismi collettivi sono venuti
ad arrecare un contributo decisivo. Essi hanno fissato, con il rigore
voluto, quel povero minimo di atteggiamenti umani che non si lascia trasgredire
se non a rischio e a spese del contravveniente. Il buon cittadino puo'
permettersi un sonno di piombo, ora che la bomba atomica lo protegge...
I segni del terrore che monta non ingannano. Il primo, per gravita, e'
la progressiva cancellazione del diritto d'asilo. Pessima idea quella
di dichiararsi rifugiato politico, di questi tempi assassini...!
Gia' dal 1930, Leone Trockij era stato braccato come un cinghiale attraverso
tutto il continente europeo, dalla Turchia alla Norvegia, passando per
Parigi. Poi venne Vichy, dalle cui mani Pietro Nenni fu consegnato senza
rimorsi all'Italia, Breitscheid alla Germania e Companys alla Spagna.
Vichy e' scomparsa, ma non e' scomparsa questa inestirpabile avversione
delle autorita' - democratiche o meno - verso il rifugiato politico, ultimo
e bel vestigio della sedizione umana.
Segno anch'essa di terrore, la deportazione organizzata dei lavoratori:
che abbia termine con la disfatta del nazismo non e' nemmeno in discussione.
Ci sono gli economisti che vegliano al rendimento crescente del bestiame
loro affidato come materiale da esperimenti. Le conferenze internazionali
hanno bisogno di grafici in ascesa! Segno di terrore che migliaia di esseri
vengano inghiottiti in una notte in cui nulla traspare. Partiti senza
lasciare indirizzo. Perche' c'e' del legname da tagliare sulle rive del
Mar Bianco. Avviso agli amatori!
Ultima tristezza, nel campo che ha sempre saputo sottrarsi alle pressioni
dei regimi arbitrari del passato, nel campo del pensiero che va all'attacco,
del pensiero politico, ancora ieri portatore di speranza, si assiste ad
uno strano adattamento all'ordine crudele e vano che si va delineando
sotto i nostri occhi.
Ne testimonia l'imbarazzata timidezza di una rivista come "La Pense'e'"
che, prima della guerra, manifestava una curiosita' perturbatrice verso
tutte le forme del divenire scientifico e sociale, e rianimava con un
soffio indagatore problemi essenziali gia' m preda all'invecchiamento
generale di una societa' che non tollera affatto che non si invecchi con
lei.
I grandi nomi che patrocinano "La Pense'e", nel 1945, danno
ormai soltanto la loro copertura a un concerto di formule statiche e di
ragionamenti debilitanti. Ci troviamo in presenza di una rivista che sembra
avere il compito di avvertirci che il pensiero marxista ha raggiunto il
punto morto. Essa si comporta oggi come una forza che, invece di dominare
l'incubo contemporaneo e di tracciarvi le sue ampie vie conduttrici di
luce, lo lascia sedimentare in una provetta di sicurezza in cui non e'
da temere per l'ora presente alcuna esplosiva separazione del vivibile
dall'invivibile, del coinvolgente dall'opprimente, dell'attuale dal superato.
D'altronde, non vediamo forse Aragon insistere, in un fragoroso articolo,
perche' si ritirino dalle librerie di Francia le opere di Charles Maurras?
L'autore di una simile richiesta pare non rendersi conto di fare cosi'
atto di disfattismo rispetto a cio' che dovrebbe essere il potere di attrazione
del proprio messaggio politico. Ci fa credere che Maurras e lui stesso
occupino posizioni simmetriche l'uno rispetto all'altro e che, avendo
rinunciato a prevalere per la via, della ragione, si rimettano, l'uno
nei confronti dell'altro, all'arbitrato poco raccomandabile dei poliziotti.
Cosi', quando non lavora a viso scoperto, il terrore resta sempre latente
a fior di dibattito, pronto ad accogliere i primi voti, la prima invocazione
rivoltagli dai suoi leali sudditi.
Quanto agli individui fuori serie - in particolare certe categorie di
intellettuali e di scrittori che non accettano ancora di vivere secondo
la traiettoria ordinaria - sono preda anch'essi delle folate del terrore.
La loro sola speranza e' di invertirne la direzione, vale dire di essere
loro a esecrarlo, il terrore.
Sono affascinati non da un Gide o da un Breton; ma da Lawrence d'Arabia
e dal Malraux del periodo cinese. Per lo piu' hanno amato questa guerra,
perche' permette loro di mettersi in regola con se' stessi facendo saltare
un treno, demolendo un viadotto prima di tornare al loro appartamento,
alle loro amanti slabbrate e alla loro fedele routine quotidiana di racconti
elettrizzanti. Incarnare, non fosse che per lo spazio di un capitolo,
un ruolo da avventuriere a margine di tutto, recuperare con questo artificio
di vocazione una parte degli slanci di cui la vita sociale lo ha amputato:
l'intellettuale moderno non chiede, in fondo, altra mancia ad un mondo
che non ha piu' l'onesta' di rifiutare.
IL DENTE CHE TRATTIENE LA LAMA. - In questo scivolamento collettivo verso
una condizione di sicurezza nel terrore, chi fara' scattare il dispositivo
d'arresto? Chi fara' giustizia di cio' che gli uomini si stanno abituando
a prendere per il loro diritto al terrore e quasi per il normale sbocco
delle loro antiche aspirazioni alla liberta'?
Non certo un partito, ne alcuna delle organizzazioni totalitarie preposte
a far la guardia all'uomo.
Non un partito, ma forse dei partigiani di un genere nuovo che abbandonassero
i modi classici dell'agitazione per dei gesti di partecipazione altamente
esemplari.
Molti avevano sperato che ilmovimento della resistenza nell'Europa occupata
avrebbe finalmente prodotto un'apertura nell'impasse politica e sociale
della nostra epoca.
I grandi partiti di massa sono stati i primi a fiutare questo pericolo.
E che, ci si apprestava dunque a fare a meno dei loro servizi?
La volonta' popolare si vanagloriava adesso di fare senza intermediari?
L'allarme fu di corta durata.
Allo stesso modo come le forze militari della Resistenza furono rapidamente
integrate nei quadri permanenti dell'esercito - cosi' le sue forze politiche
non tardarono, nel mescolarsi della lusinga e dell'intrigo, a tornare
nella trappola per topi dei grandi partiti.
L'episodio - stavo per dire l'incidente - e' chiuso.
Ma qualcosa d'altro diviene possibile, diviene perfino la sola cosa possibile.
L'epoca della guerriglia politica comincia ed e' ad essa che devono andare
le nostre riserve di fiducia ed entusiasmo.
Senza dubbio non e' facile annunciare l'andamento che prendera' questa
guerriglia e le imprese che non mancheranno di distinguerla. E tuttavia
si potrebbe tenere presente l'atteggiamento valorosamente indipendente
di un Camus - e, su un altro piano, di un Breton, di un Calas, di un Rougemont
- come una indicazione per l'avvenire.
L'apparato del terrore e' ancora lontano dall'essere senza esitazioni
ne fessure.
Dunque e' nel punto in cui questo apparato si fa piu' minaccioso - e via
via che le sue minacce si rinnovano - che deve portarsi tutto il nostro
spirito di rifiuto, tutto cio' che, in un dato momento, nel mondo esiste
quanto a esseri in stato di rifiuto. E che cio' sia fatto in modo sfolgorante.
E che cio' si iscriva con esempi conturbanti nella coscienza delle moltitudini!
E che cio' si trasmetta e si amplifichi attraverso la vasta prateria umana,
lungo contagiosi solchi di grandezza!
A questo punto, sento piovere i sarcasmi assassini: "Eh che! Voi
cercate di discreditare i Partiti politici, di demolirne il prestigio,
di comprometterne l'azione - proseguite quindi l'opera insidiosa dei fascisti
antecedenti e posteriori al fascismo che gettano il dubbio su tutti gli
strumenti di affrancamento e di progresso!"
In realta', io non proseguo nulla, non desidero proseguire nient'altro
che una certa logica della liberta'. Il fenomeno fascista, visto in funzione
dell'evoluzione dei partiti, e' servito solo a precipitare in modo decisivo
lo sviluppo dell'elefantiasi morale e materiale che affligge le potenti
istituzioni di "sinistra" nelle quali la voce delle masse si
perde quasi con la stessa facilita' di quella degli individui.
Lo scopo ultimo della guerriglia che si intraprende ora non e' di eliminare
i partiti a favore di qualche nuovo sistema di esercizio della vita politica.
E di strappare ai partiti il monopolio dei pensiero sociale che si arrugginisce
nei loro comitati di studio; e' di privarli, nel campo delle idee, di
un diritto di iniziativa cui si abbarbicano tanto piu' quanto piu' sono
ben decisi a non farne che l'uso piu' meschino, piu' retorico.
Si tratta, per incalzare il problema piu' dappresso possibile, di ridurre
i partiti a una condizione di pura ricezione quanto alla maturazione e
al movimento generale delle idee, e puramente amministrativa quanto alla
loro esecuzione. In una parola, si tratta di indurre i partiti a riconoscere
i focolai di idee che potrebbero nascere al di fuori di essi e a drenare
verso l'azione pratica tutto cio' che di valido si liberera' dall'effervescenza
cosi' alimentata.
Si badi: la situazione oggettiva dei partiti e' considerevolmente cambiata
da vent'anni a questa parte. Essi tendono tutti a diventare degli organismi
parastatali, delle appendici dello Stato.
La nozione stessa, la funzione di partito di opposizione e' colpita a
morte da questo cambiamento. In Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia,
in Belgio, l'opposizione nei confronti dei poteri e' piu' sovente solidale
che non nemica.
A questa nuova regola dei partiti devono corrispondere obblighi sempre
piu' netti per i franchi tiratori del pensiero. Il primo di questi obblighi
e' il rasferimento delle attivita' di formazione delle idee in focolai
estranei alle vicissitudini dei partiti e al loro progressivo impaludarsi
nei quadri dello Stato.
Ma soprattutto, questa guerriglia avra' effetto duraturo solo nella misura
in cui sapra' favorire, nella sua lotta contro il pragmatismo burocratico
dei partiti, un tuffo nelle fresche correnti dell'utopia, una rinascita
della speculazione utopica con tutto cio' che essa comporta di edificante
e di gioioso.
Una decina d'anni fa, potevamo prendere come tema di schieramento parole
come quelle di Nicolaj Bucharin, il penultimo dei grandi teorici del socialismo:
"Una analisi dello stato reale delle cose ci fa intravedere non la
morte della societa', ma la morte della sua forma storica concreta e un
passaggio inevitabile alla societa' socialista, passaggio gia' cominciato,
passaggio verso una struttura sociale superiore. E non si tratta solamente
di passare ad uno stile superiore della vita, ma precisamente superiore
a quello che oggi e' il suo.
"Si puo' parlare di questa forma sociale superiore in generale? Cio'
non ci condurra' al soggettivismo? Si puo' parlare di qualsivoglia critica
oggettiva in questo campo? Pensiamo di si'.
Nel campo materiale, un simile criterio e' rappresentato dalla potenza
del rendimento del lavoro sociale e all'evoluzione di questo rendimento,
perche' cio' determina la somma di lavoro superfluo da cui dipende tutta
la cultura spirituale.
Nel campo dei rapporti interumani immediati, un tale criterio e' dato
dall'ampiezza del campo di selezione dei talenti creatori. E' appunto
quando il rendimento del lavoro e' molto elevato e quando il campo di
selezione e' molto vasto che vedremo effettuarsi il massimo di arricchimento
inferiore della vita nel massimo numero d'uomini, inteso non come una
somma aritmetica, ma come insieme vivente, come collettivita' sociale
(4)."
Oggi non possiamo fare a meno di domandarci dove sia questo "arricchimento
interiore della vita nel massimo numero di uomini".
Non c'e', ahime', alcun dubbio che il cammino percorso dall'aprile 1936,
cioe' da quando furono lanciate quelle parole di speranza, non ha fatto
che allontanarsi dalle prospettive buchariniane, non ha fatto che consacrare,
una tappa dopo l'altra, l'avvento di un conformismo intrattabile che riduce
la "vita interiore" alla sua espressione piu' umile e timorosa.
Non c'e' dubbio che a questo criterio dell'"arricchimento interiore"
si e' sostituito il criterio inverso, e se, fra migliaia di prove, ne
volessimo una soltanto, la piu' eloquente sarebbe proprio la "liquidazione"
di Bucharin stesso e quanto poco si sia badato a questa "liquidazione"
nel campo del socialismo e in quello dell'intelligenza.
A questo conformismo che infuria in ogni campo, salvo che in quello dei
raffinamenti terroristici, nel quale questi signori amano sempre innovare,
non e' possibile opporre con successo altro che proprio quelle forze che
esso calunnia: la fantasticheria di Icaro, lo spirito di anticipazione
delirante di Leonardo, gli avventurosi colpi di sonda dei socialisti utopisti,
la visione generosa e temperata di umorismo di un Paul Lafargue!
Il socialismo scientifico si e' degradato fino a non essere piu' per i
suoi discepoli altro che un pomposo esercizio di recitazione. Una larga
aerazione dell'ambito e delle idee sociali si impone, se si vuole preparare
all'uomo un avvenire che non sia gia' inaridito in anticipo e che non
rompa a ingiustificabili discipline la sua facolta' di sempre intraprendere.
Contro l'odioso accoppiamento del conformismo e de! terrore, contro la
dittatura dei "mezzi" dimentichi dei fini di cui si fanno belli,
la Gioconda dell'utopia puo' non prevalere ma far di nuovo aleggiare il
suo sorriso e restituire agli uomini la scintilla prometeica da cui si
riconoscera' la loro riacquistata liberta'.
E' BEN TEMPO DI RIDARE PRESTIGIO AL BLASONE DELLE CHIMERE...
Edizioni "Masses", Il Cairo, 17 agosto 1945,
traduzione di Mario Lippolis dalla riedizione a cura delle "Éditions
la se'ance continue", Parigi 1998
1). Stalin and Eternal Russia, (p. 87), di Wai'ter Kolarz (Lindsay and
Drummond, Londra).
2). Lumiere Noire, di Andre' Breton, cfr. l'Arche, n°. 7.
3). European Newsreel, di Louis Clair, cfr. Politics, giugno 1945.
4). Les proble'mes foundamentaux de la culture contemporaine, di Nicolas
J. Boukharine (Les Documents de la Russie neuve, Paris, 1936).
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