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facciamola finita con la militanzaQuesto scritto non e' una critica a nessuno in particolare, piuttosto un tentativo di ispirare qualche pensiero sulle sfide che ci aspettano nel caso fossimo veramente intenzionati a farla finita con questo sistema sociale. Un militante e' qualcuno che principalmente si ritiene parte di una comunita' piu' ampia di, appunto, militanti. Egli si identifica per cio' che fa e per cio' che pensa nella sua vita come un altra persona, si identifica come dottore o insegnante, e cio' diventa una parte essenziale dell'immagine che ha di se'. L'attivista e' un esperto del cambiamento sociale. Se credi di essere un militante (o attivista) vuol dire che credi di
sentire piu' di altri il bisogno di un cambiamento sociale, credi
di sapere piu' di altri come raggiungere questo cambiamento, di
essere nella parte che si da' da fare praticamente per ottenerlo.
La militanza come tutti i ruoli ha la sua base nella divisione del lavoro. Il ruolo di attivista e' quella strana forma psicologica con la
quale ci relazioniamo agli altri. Una vera rivoluzione necessitera'
di farla finita con tutti i ruoli, di riappropriarsi della vita. La militanza
potra' benissimo portare al danneggiamento e forse anche alla chiusura
di qualche azienda, ma per chiudere con il capitalismo non basta semplicemente
estendere questa attivita' ad ogni settore (CON OGNI AZIENDA). L'Internazionale Situazionista sviluppo' una acuta critica dei ruoli e particolarmente del ruolo delmilitante. Questa critica era principalmente diretta verso la sinistra di allora, oggi si adatta di piu' all'attivista no-global ecc... Colui che si affida al ruolo ha a che fare con la non-autenticita'; riducendo la vita a cliche', vivendo nella scelta di modelli stereotipati. La supposta attivita' rivoluzionaria dei militanti e' una sterile routine, una costante ripetizione di poche azioni che non portano a nessun cambiamento. Probabilmente i militanti resisterebbero al vero cambiamento se esso arrivasse, un vero cambiamento porterebbe disordine nella loro piccola nicchia confortevole di agibilita' politica. Proprio come i capi dei sindacati. Se tutti (o tanti) diventano rivoluzionari, come farete a sentirvi cosi' speciali? E' facile fare i militanti perche' questo ricade nei ruoli previsti dalla societa' e non la sfida, e' una forma concessa di dissenso, di opposizione. Anche quando vengono compiute cose illegali, la forma-attivismo in se -il ruolo- significa comunque che c'e' un'accettazione del funzionamento della societa', ci saranno sempre i dissidenti...no? Questo non ha niente a che vedere con la vera rivoluzione che significa
riprendersi la vita, riprendere se stessi. Il vero potere del capitalismo
non e' soltanto la' fuori (nella City) ma nella sua influenza
sulla nostra vita di tutti i giorni, perche' il capitalismo e'
una relazione sociale tra classi, e quindi tra persone. Non si puo' mettere la "politica" in un contenitore separato
dalla nostra vita, fare attivita' dalle 9 alle 5 e poi a casa, dobbiamo
sempre vivere in un certo modo, al diavolo la politica... Nella comunita' degli attivisti odierni l'azione prevale sulla teoria, e' un feticcio a cui si inneggia perche' nessuno ha la voglia e la capacita' di sviluppare una riflessione, in qualsiasi modo. Nella sinistra questa riflessione, teoria, viene dai capi, quelli che pensano, gli altri agiscono seguendo la linea del PARTITO. Il ruolo dell'attivista e' una separazione auto-imposta da tutta
la gente con cui invece dovremmo legarci. Jacques Camatte nel suo saggio "Sull'organizzazione" fece presente
in modo FURBO che i gruppi politici tendono a diventare delle gangs in
cui si richiede una priorita' di fedelta' al gruppo prima
che alla creazione del cambiamento sociale. Cosi' il gruppo sostituisce
la classe e la salute e crescita del gruppo e' prioritaria rispetto
alla lotta. Fare la rivoluzione diventa sinonimo di "costruire il
movimento". Questa e' una comunita' illusoria, opposta
a quella vera, quella proletaria. Questa impresa non sara' facile e anche chi scrive non ha una visione
chiara di come potrebbe succedere una cosa del genere. Insomma un tentativo
di rompere con i modi vecchi e previsti di fare le cose. Rompere con la
routine. L'attivismo in parte e' una prassi obbligata su di noi
a causa della nostra debolezza, se in caso e' davvero cosi'
forse non sappiamo neanche rompere con il ruolo dell'attivista perche'
coloro che continuano a lavorare per la rivoluzione sociale in tempi di
pace sociale diventano effettivamente un gruppo marginale e finiscono
per vedersi cosi'. In ogni caso lavorare per un escalation nella
lotta, necessariamente vorra' dire rompere con il ruolo dell'attivista. POSCRITTO Le conclusioni raggiunte sono il punto di partenza per questo. Se e' vero che il capitalismo e' una relazione sociale basata sulla produzione e sui rapporti tra le classi, allora quali sono le implicazioni che questo ha sulla nostra attivita' e sul metodo per attaccare? L'idea iniziale che ha ispirato questo scritto e' stata che c'era qualcosa di scontato nell'indire una giornata di azione contro il capitalismo. Si notava cioe' una somiglianza nel nostro comportamento con quello di attivisti liberal che si muovono su di una causa singola, specifica. Come se combattere il capitalismo fosse niente piu' un'altra tra le tante cause parziali. Ho poi assimilato l'attivista dei giorni nostri con la critica che Vaneigem faceva del militante di sinistra ai suoi tempi, come risultato molte parti sono forse un po' troppo dure e inaccurate nei riguardi del nostro movimento dell'azione diretta. La critica situazionista e' forse piu' appropriata quando diretta al burocrate del partitino di sinistra, o al gruppuscolo extraparlamentare che al tipo di gente che stava dietro a cose tipo il J18 (carnival aganist capital). Al contrario nei riguardi degli attivisti di oggi e' forse piu' calzante una critica al loro lifestylism, il modo di vivere inteso come attivita' politica; le tendenze controculturali. Nell'articolo sono pero' legati insieme due aspetti; uno oggettivo (in che situazione sociale ci troviamo? Quali forme di azione sono piu' appropriate?) ed uno soggettivo (perche' ci sentiamo attivisti? Possiamo cambiare il modo in cui pensiamo a noi stessi?). Non e' tanto il fatto che il soggettivo copre l'oggettivo quanto il fatto che molti problemi reali della lotta derivano da questa mentalita' di attivisti. L'articolo vuole semplicemente suggerire che dovremo essere capaci a rimuovere un illusione che e' un impedimento, e muovere in avanti sfidando la situazione per cominciare ad agire in modo piu' efficace. RIVOLUZIONE NELLA TESTA La esagerata sottolineatura della critica al soggettivo ha portato parecchi
a non riconoscere qual era l'impeto originario dietro al pezzo. Questo
impeto iniziale forse e' stato anche chiarito in modo insufficiente,
perche' molti sembra che abbiano preso l'articolo come un qualcosa
che aveva a che fare con la salute psicologica degli attivisti. Non era
nelle intenzioni di chi l'ha scritto, invece, dare consigli sulla
salute psicologica o fare esercizi di terapia radicale. La ragione per cui facciamola finita con la militanza era cosi' interessato all'immagine mentale che gli attivisti hanno di se non era perche' si credesse che cambiando di mentalita' allora tutto sarebbe ok, ma perche' su cio' che viene fatto non c'e' molto da dire perche' non e' ben chiaro a nessuno che nuova forma far prendere alle attivita' anticapitalistiche per farle essere piu' appropriate. Almeno non nella situazione attuale. Anche se il titolo dice facciamola finita con la militanza non si intendeva con questo suggerire alla gente di smettere di sabotare i campi di o.g.m., scontrarsi con la polizia, attaccare i potenti. Quello che e' da mettere in questione e' cio' che pensiamo di stare facendo mentre facciamo queste cose, il modo in cui ci concepiamo all'opera; non le cose in se stesse. Certo e' che credere di appartenere ad una minoranza staccata dalle masse non e' un errore, e' la verita'. Il problema e' quando si e' contenti di questo, quando ci si identifica con il ruolo e si ritiene che le cose vadano bene cosi'. Essere contenti di rappresentare una minoranza radicale, speciale. Appariamo come una strana sottocultura senza speranza di essere visti
come qualcosa di altro, comunque potremmo fare qualcosa per spostarci
da questa situazione. Dovremmo essere insoddisfatti della nostra posizione
attuale e dovremmo cercare di generalizzare la lotta e creare le condizioni
perche' i rapporti di forza nella societa' possano cambiare. Come possiamo portare la politica fuori dalla sua separatezza, facendola smettere di essere una causa esterna alla quale ci dedichiamo? Molte critiche agli attivisti si basano su argomentazioni simili. Il capitalismo e' basato sul lavoro. Molte delle nostre lotte contro il capitalismo non si basano sul lavoro che esso ci impone ma al contrario sono una cosa che facciamo aldila' del tipo di lavoro nostro, o meglio, la maggior parte di noi non lavora. Le nostre lotte non sono basate su richieste materiali e sembrano campate in aria, arbitrarie. Le nostre azioni non hanno grandi legami con le lotte che si sviluppano nella societa' tra diseredati e potenti. Trattiamo il capitalismo come qualcosa di esterno, ignorando la nostra relazione con esso. Il capitalismo non e' solo le banche o le finanziarie ma principalmente esso e' un rapporto tra le classi. Il nostro atteggiamento sembra quello di outsiders che decidono cosa fare arbitrariamente. La nostra lotta e' slegata dal nostro rapporto col capitale. Le persone che fanno parte del nostro movimento occupano posizioni marginali
nel sistema produttivo: siamo studenti, disoccupati, lavoriamo in lavori
temporanei o part time. UNA MINORANZA RUMOROSA Quindi dobbiamo cominciare a riflettere su questa domanda: che cosa dobbiamo
fare come minoranza radicale per creare la rivoluzione in tempi non rivoluzionari? BELLO eh? Peccato che sembra una delle cose peggiori dell'approccio
marxista alla questione: determinismo ecc
I marxisti pensavano che
la rivoluzione sarebbe accaduta (!) quando le condizioni oggettive tra
le forse in conflitto nella societa' fossero arrivate a sufficiente
maturazione, cosi' da far passar la rivoluzione come un evento che
non ha quasi bisogno dell'intervento e della volonta' umana. L'alternativa a questo scenario e' cominciare a pensare a
come invertire la rotta delle mazzate, a come creare potere di classe
ostacolando l'atomizzazione sociale e la disgregazione delle comunita'
umane. Perche' effettivamente in qualche modo e' certo che lo stanno
facendo. |