Le istituzioni totali.
PREFAZIONE DELL'AUTORE.
Dall'autunno 1954 fino alla fine del 1957 sono stato membro visitatore al Laboratory
of Socio-environmental Studies del National Institute of Mental Health in Bethesda,
Maryland. In quegli anni feci alcuni brevi studi sul comportamento di reparto
nel National Institute of Health Clinical Center. Nel 1955-56 feci un anno di
lavoro sul campo nell'ospedale St. Elizabeths, a Washington (D.C.), un'istituzione
federale di circa settemila internati, dove convergono tre quarti dei pazienti
del distretto della Columbia. Mi fu possibile raccogliere il materiale, in seguito
alla concessione di una borsa di studio del National Institute of Mental Health,
M-4111 (A) e con la partecipazione del Center for the Integration of Social
Science Theory dell'Università di California, Berkeley.
Lo scopo immediato del mio lavoro nell'ospedale St. Elizabeths era tentare di
apprendere qualcosa sul mondo sociale dell'internato e su come egli viva soggettivamente
la propria situazione. Iniziai con il ruolo di assistente al corso di ginnastica,
precisando, quando mi veniva richiesto, di essere uno studioso della vita di
comunità; passavo il giorno con i pazienti, evitando di intrattenere
rapporti socievoli con lo staff e di disporre di chiavi. Non dormivo nei reparti
e la direzione dell'ospedale conosceva lo scopo della mia presenza.
Era allora, ed è tuttora, mia opinione che qualsiasi gruppo di persone
- detenuti, primitivi, piloti o pazienti - sviluppino una vita personale che
diventa ricca di significato, razionale e normale quando ci si avvicini ad essa,
e che un buon modo di apprendere qualcosa su questi mondi potesse essere partecipare
al ciclo di vita quotidiana cui gli internati sono soggetti.
I limiti, sia del metodo da me adottato, che della sua applicazione sono ovvi:
non mi sono lasciato coinvolgere neppure apparentemente e se lo avessi fatto,
l'insieme dei miei movimenti e dei miei ruoli, quindi i miei dati, sarebbe stato
ancora più limitato. Per ottenere un dettaglio etnografico degli aspetti
particolari della vita sociale dei pazienti, non mi sono riferito agli usuali
sistemi di misura e di controllo. Pensavo che il ruolo e il tempo che mi sarebbero
stati richiesti per raccogliere una statistica su alcune condizioni di base,
mi avrebbero impedito di raccogliere i dati, nel tessuto stesso in cui si trova
a costruirsi la vita dei pazienti. Il mio metodo ha anche altri limiti. Il modo
di vedere il mondo da parte di un gruppo, funziona a sostegno di coloro che
ne fanno parte offrendo una definizione autogiustificante della loro situazione,
e la possibilità di giudicare ad una certa distanza quelli che non appartengono
al gruppo - in questo caso medici, infermieri, sorveglianti e parenti. Se si
vuole descrivere fedelmente la situazione del paziente non si può essere
obiettivi. (Di questo mi scuso - entro certi limiti - affermando che lo squilibrio
è però dal giusto piatto della bilancia, poiché quasi tutta
la letteratura professionale sui pazienti mentali è scritta dal punto
di vista dello psichiatra, ed egli è - socialmente parlando - dall'altra
parte). Inoltre, devo premettere che è probabile che il mio giudizio
risenta del fatto di essere un borghese: forse io ho sofferto per condizioni
cui i pazienti di classe più povera sapevano far fronte con minor disagio.
Infine, diversamente da quanto succede in alcuni pazienti, io arrivai in ospedale,
animato da ben scarso rispetto per la psichiatria in quanto scienza, e per le
altre entità ad essa collegate.
Vorrei qui riconoscere in modo particolare l'aiuto che mi è stato dato
dalle autorità responsabili. Il permesso per intraprendere questo studio
sull'ospedale St. Elizabeths, fu trattato con l'allora primo assistente medico,
il defunto dottor Jay Hoffman. Ci accordammo sul fatto che l'ospedale si sarebbe
riservato il diritto di controllare e criticare il testo prima della pubblicazione,
ma che non avrebbe fatto alcuna censura finale né richiesto chiarimenti
particolari, essendo questi di pertinenza del National Institute of Mental Health
di Bethesda. Fu d'accordo sul fatto che nessuna osservazione su persone identificabili
dello staff o sugli internati sarebbe stata riportata a lui o a chiunque altro
e che, in qualità di osservatore, io non ero obbligato ad interferire
su ciò che volevo osservare. Accettò di aprire per me tutte le
porte dell'ospedale e, durante il periodo della ricerca, lo fece, quando glielo
chiesi, con una cortesia, prontezza ed efficienza che non dimenticherò
mai. Più tardi, quando il sovrintendente dell'ospedale, dottor Winifred
Overholser, controllò la prima stesura del lavoro, fece alcune cortesi
correzioni di qualche errato riferimento, critiche e suggerimenti di cui ho
fatto esplicitamente uso nella mia interpretazione delle cose e nel metodo adottato.
Durante la ricerca il Laboratory of Socio-environmental Studies, allora diretto
da John Clausen, mi fornì stipendi, segretari, critiche professionali
ed aiuto, in modo da affrontare la realtà ospedaliera da un'angolatura
sociologica e non dal punto di vista di una psichiatria velleitaria. Furono
richiesti chiarimenti dal Laboratory e dal suo corpo dirigente, il National
Institute of Mental Health ma il tutto si limitò all'invito a formulare
un'espressione diversa in sostituzione di uno o due aggettivi villani.
Ciò che devo aggiungere è che la libertà e l'opportunità
di dedicarmi ad una ricerca pura mi venne data da un ente governativo, per mezzo
dell'aiuto economico di un altro ente governativo, entrambi incaricati di operare
nella delicata area di Washington; il che è stato attuato in un momento
in cui alcune università del nostro paese - tradizionali roccaforti della
ricerca libera - avrebbero imposto maggiori limiti al mio lavoro. Per questo
devo ringraziare l'apertura culturale degli psichiatri e degli scienziati sociali
al governo.
Berkeley (Cal.) 1961.
PREMESSA DELL'AUTORE.
Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza
e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per
un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune,
trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato.
Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro
carattere più tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui
membri non hanno violato alcuna legge. Questo libro tratta il problema delle
istituzioni totali in generale e degli ospedali psichiatrici in particolare,
con lo scopo precipuo di mettere a fuoco il mondo dell'internato e non quello
dello staff. Interesse primo è presentare un'interpretazione sociologica
della struttura del "sé" ("self").
L'opera comprende quattro saggi, originariamente scritti separatamente, dei
quali i primi due sono già stati pubblicati. Tutti tendono a puntualizzare
il medesimo problema: la situazione dell'internato. Si riscontreranno quindi
delle ripetizioni. Ogni saggio tuttavia avvicina il problema centrale da un
punto di partenza diverso, prendendo l'avvio da una diversa fonte sociologica,
e non presenta quindi che qualche elemento in comune con gli altri.
Mi rendo conto che questo modo di presentare l'argomento può infastidire
il lettore. Esso mi permette, tuttavia, di seguire analiticamente il tema centrale
svolto in ciascun saggio e di confrontarne le diverse interpretazioni, uscendo
dai limiti che mi sarebbero consentiti dalla suddivisione in capitoli di un
libro costruito come un insieme organico. Adduco a pretesto il punto in cui
si trova la nostra disciplina. Io credo che, per il momento, se si riconosce
ai concetti sociologici una certa validità, si deve risalire per ciascuno
di essi fino al punto in cui la sua applicazione si sia dimostrata utile e da
qui lo si deve seguire ovunque porti, fino a costringerlo a rivelare l'intera
disciplina cui appartiene. Per vestire dei bambini, è probabile risultino
più utili numerosi cappotti, che non un'unica, magnifica tenda, dove
tutti tremano di freddo.
Il primo lavoro "Sulle caratteristiche delle istituzioni totali" è
un'indagine generale sulla vita sociale che si svolge in queste organizzazioni,
indagine ottenuta attraverso l'analisi di due situazioni limite che comportano
una partecipazione coatta di coloro che da esse dipendono - gli ospedali psichiatrici
e le prigioni. Vi sono inoltre già precisati i temi che saranno svolti
dettagliatamente negli altri saggi e ne è suggerita la collocazione nell'insieme
del lavoro. Il secondo saggio "La carriera morale del malato mentale"
analizza gli effetti iniziali dell'istituzionalizzazione sulle relazioni sociali
tipiche di un individuo, prima che si trovi a diventare un «internato».
Il terzo "La vita sotterranea di un'istituzione pubblica" si riferisce
al tipo di legame che si presume l'internato abbia con l'istituto che lo tiene
rinchiuso e, in particolare, al modo in cui egli può interporre una distanza
fra sé e ciò che ci si aspetta da lui. L'ultimo saggio "Il
modello medico e il ricovero psichiatrico" riporta l'attenzione sullo staff
professionale per considerare - nel caso degli ospedali psichiatrici - il ruolo
delle prospettive mediche nel presentare al malato la realtà della sua
situazione.
SULLE CARATTERISTICHE DELLE ISTITUZIONI TOTALI.
Una versione più breve di questo saggio appare in "Symposium on
Preventive and Social Psychiatry", Walter Reed Army Institute of Research,
Washington (D.C.), 15-17 aprile 1957, p.p. 43-84. L'attuale versione è
tratta da DONALD R. CRESSEY (a cura di), "The Prison", copyright 1961,
Holt, Rinebart and Winston, Inc.
INTRODUZIONE.
1.
Le organizzazioni sociali - o istituzioni nel senso comune del termine - sono
luoghi, locali o insiemi di locali, edifici, costruzioni, dove si svolge con
regolarità una certa attività. In sociologia non esiste un modo
particolare di classificarle. Alcune istituzioni, come la stazione centrale,
sono accessibili a chiunque si comporti in modo decente; altre, come l'Union
Club di New York, o i laboratori di Los Alamos sembrano più esclusive
e rigorose circa il livello dei loro partecipanti; altre ancora, come negozi
o uffici postali, sono costituite da alcuni membri fissi che vi svolgono un
certo servizio, e da un continuo fluire di persone che lo richiedono. Altre,
come case e fabbriche, coinvolgono un gruppo meno fluttuante di partecipanti.
In alcune istituzioni si svolgono attività dalle quali viene sancita
la condizione sociale di coloro che ne fanno parte, il che può essere
più o meno gradito. Altre invece consentono il raggrupparsi di persone
allo scopo di svolgere un tipo di attività ricreative da loro scelte,
sfruttando il tempo rimasto libero da attività impegnative. In questo
saggio viene isolata e riconosciuta come naturale e ricca di possibilità
di indagine, un'altra categoria di istituzioni, i cui membri sembrano avere
tanti elementi in comune con quelli delle altre che, per studiarne una, risulterebbe
utile esaminarle tutte.
2.
Ogni istituzione si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di coloro
che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il che
significa che tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azione inglobante.
Nella nostra società occidentale ci sono tipi diversi di istituzioni,
alcune delle quali agiscono con un potere inglobante - seppur discontinuo -
più penetrante di altre. Questo carattere inglobante o totale è
simbolizzato nell'impedimento allo scambio sociale e all'uscita verso il mondo
esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche dell'istituzione:
porte chiuse, alte mura, filo spinato, rocce, corsi d'acqua, foreste o brughiere.
Questo tipo di istituzioni io lo chiamo «istituzioni totali» ed
è appunto il loro carattere generale che intendo qui analizzare (1)
Le istituzioni totali nella nostra società possono essere raggruppate
- grosso modo - in cinque categorie. Primo, le istituzioni nate a tutela di
incapaci non pericolosi (istituti per ciechi, vecchi, orfani o indigenti). Secondo,
luoghi istituiti a tutela di coloro che, incapaci di badare a se stessi, rappresentano
un pericolo - anche se non intenzionale - per la comunità (sanatori per
tubercolotici, ospedali psichiatrici e lebbrosari). Il terzo tipo di istituzioni
totali serve a proteggere la società da ciò che si rivela come
un pericolo intenzionale nei suoi confronti, nel qual caso il benessere delle
persone segregate non risulta la finalità immediata dell'istituzione
che li segrega (prigioni, penitenziari, campi per prigionieri di guerra, campi
di concentramento). Quarto, le istituzioni create al solo scopo di svolgervi
una certa attività, che trovano la loro giustificazione sul piano strumentale
(furerie militari, navi, collegi, campi di lavoro, piantagioni coloniali e grandi
fattorie, queste ultime guardate naturalmente dalla parte di coloro che vivono
nello spazio riservato ai servi). Infine vi sono le organizzazioni definite
come «staccate dal mondo» che però hanno anche la funzione
di servire come luoghi di preparazione per religiosi (abbazie, monasteri, conventi
ed altri tipi di chiostri). Una suddivisione delle istituzioni totali così
formulata non è né chiara, né esauriente, né può
servire di base per uno studio analitico dell'argomento. Essa risulta tuttavia
capace di darci una definizione significativa della categoria, come punto di
partenza concreto. Fissando in tal senso la definizione iniziale delle istituzioni
totali, spero di riuscire ad analizzarne le caratteristiche, senza cadere nel
pericolo di essere tautologico.
Prima di tracciare un profilo generale da questo insieme di organizzazioni istituzionali,
vorrei qui fare una precisazione di carattere concettuale: nessuno degli elementi
che descriverò sembra tipicamente peculiare delle istituzioni totali,
né può essere condiviso da tutte. Ciò che è tipico
nelle istituzioni totali è che ciascuna di esse rivela, ad un altissimo
grado, molti elementi in comune in questo tipo di caratteristiche. Parlando
di «caratteristiche» userò dunque il termine in senso piuttosto
restrittivo ma, penso, logicamente comprensibile. Ciò mi consente - contemporaneamente
- di seguire il metodo della tipologia ideale, stabilendone i fattori comuni,
con la speranza di poter evidenziare in seguito differenze significative.
3.
Uno degli assetti sociali fondamentali nella società moderna è
che l'uomo tende a dormire, a divertirsi e a lavorare in luoghi diversi, con
compagni diversi, sotto diverse autorità o senza alcuno schema razionale
di carattere globale. Caratteristica principale delle istituzioni totali può
essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che abitualmente separano
queste tre sfere di vita. Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello
stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità. Secondo, ogni fase delle
attività giornaliere si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo
di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime
cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente
schedate secondo un ritmo prestabilito che le porta dall'una all'altra, dato
che il complesso di attività è imposto dall'alto da un sistema
di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione. Per
ultimo, le varie attività forzate sono organizzate secondo un unico piano
razionale, appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale
dell'istituzione.
Queste caratteristiche possono essere riscontrate, isolatamente, anche in luoghi
che non hanno niente a che fare con le istituzioni totali. Ad esempio le nostre
grandi organizzazioni commerciali, industriali e culturali vanno sempre più
fornendo luoghi di ristoro e svaghi ricreativi per il tempo libero dei loro
dipendenti. Tuttavia il fatto di poter godere di una più vasta gamma
di possibilità, conserva - sotto molti aspetti - un carattere volontario
e ci si preoccupa, anzi, di non far estendere il potere usuale dell'autorità
fino a questo territorio. Analogamente le «casalinghe» o le famiglie
che vivono nelle fattorie di campagna possono svolgere le loro attività
vitali più importanti all'interno di una medesima area recintata, senza
tuttavia essere irreggimentate collettivamente, dato che non svolgono le loro
attività giornaliere a stretto contatto di gruppi di persone nelle loro
medesime condizioni.
Il fatto cruciale delle istituzioni totali è dunque il dover «manipolare»
molti bisogni umani per mezzo dell'organizzazione burocratica di intere masse
di persone - sia che si tratti di un fatto necessario o di mezzi efficaci cui
l'organizzazione sociale ricorre in particolari circostanze. Ne conseguono alcune
importanti implicazioni.
Quando si agisce su gruppi di individui, accade che essi siano controllati da
un personale la cui principale attività non risulta la guida o il controllo
periodico (come può essere in molti rapporti fra datore di lavoro e lavoratore),
quanto piuttosto un tipo di sorveglianza particolare, quale quella di chi controlla
che ciascun membro faccia ciò che gli e stato chiesto di fare, in una
situazione dove si tenderà a puntualizzare l'infrazione dell'uno contrapponendola
all'evidente zelo dell'altro che, per questo, verrà costantemente messo
in evidenza. Che sia il gruppo di persone controllate a precedere il costituirsi
del piccolo staff controllore o viceversa, non è questo il problema;
ciò che conta è che l'uno è fatto per l'altro.
Nelle istituzioni totali c'è una distinzione fondamentale fra un grande
gruppo di persone controllate, chiamate opportunamente «internati»,
e un piccolo staff che controlla. Gli internati vivono generalmente nell'istituzione
con limitati contatti con il mondo da cui sono separati, mentre lo staff presta
un servizio giornaliero di otto ore ed è socialmente integrato nel mondo
esterno (2). Ogni gruppo tende a farsi un'immagine dell'altro secondo stereotipi
limitati e ostili: lo staff spesso giudica gli internati malevoli, diffidenti
e non degni di fiducia; mentre gli internati ritengono spesso che il personale
si conceda dall'alto, che sia di mano lesta e spregevole. Lo staff tende a sentirsi
superiore e a pensare di aver sempre ragione; mentre gli internati, almeno in
parte, tendono a ritenersi inferiori, deboli, degni di biasimo e colpevoli (3).
La mobilità sociale fra le due classi è molto limitata: la distanza
sociale è generalmente notevole e spesso formalmente prescritta. Perfino
il colloquio fra l'una e l'altra «sfera» può svolgersi con
un tono particolare di voce, così come risulta dal racconto romanzato
di un'esperienza reale, vissuta durante un soggiorno in un ospedale psichiatrico:
«Stammi bene a sentire, - disse la signorina Hart mentre attraversavano
la sala di soggiorno. - Cerca di fare quello che ti dice la signorina Davis.
Non pensarci, fallo soltanto. Vedrai che andrà tutto bene».
Non appena ne sentì pronunciare il nome, Virginia capì ciò
che vi era di terribile al reparto Uno. La signorina Davis. «E' la capo-infermiera?»
«Certo!» mormorò la signorina Hart. Fu allora che alzò
la voce. Le infermiere si comportavano con le pazienti come se non fossero in
grado di sentire se non si rivolgevano loro urlando. Spesso parlavano fra loro
con voce normale per dirsi cose che le «ammalate» non dovevano sentire;
se non fossero state infermiere, avresti detto che parlassero sole. «Una
persona molto competente ed efficiente, la signorina Davis», annunciò
la signorina Hart (4).
Benché un certo grado di comunicazione fra i ricoverati e lo staff che li sorveglia sia necessario, una delle funzioni del sorvegliante è il controllo del rapporto fra ricoverati e lo staff più qualificato. Uno studioso di problemi di ospedali psichiatrici ne dà un esempio:
"Dato che molti pazienti sono ansiosi di vedere il medico nel suo giro di visita, gli infermieri devono agire da mediatori fra i pazienti e il medico, qualora quest'ultimo non voglia farsi sopraffare da loro. Al reparto n. 30, sembra che al paziente senza sintomi fisici particolari che fosse caduto tanto in basso da non godere più alcun privilegio, non venisse mai permesso di rivolgere la parola al medico, se non era lo stesso dottor Baker a chiedere di lui. Il gruppo insistente, brontolone e delirante - che nel gergo degli infermieri era definito come «gli scocciatori», «le seccature» o «i cani da punta» - spesso tentava di passare oltre il sorvegliante-mediatore, ma quando qualcuno riusciva a farlo, veniva trattato piuttosto male" (5).
Così com'è ridotta la possibilità di comunicare fra un
livello e l'altro, è altrettanto limitato il passaggio di informazioni,
in particolare quelle che riguardano i piani dello staff nei confronti dei ricoverati.
Il ricoverato è escluso, in particolare, dalla possibilità di
conoscere le decisioni prese nei riguardi del suo destino. Che ciò accada
nel campo militare (viene allora nascosta agli arruolati la destinazione del
loro viaggio) o medico (si nasconde la diagnosi, il trattamento e la lunghezza
della degenza prevista per i pazienti tubercolotici) (6), questa esclusione
pone lo staff ad un particolare punto di distanza dagli internati, conservando
una possibilità di controllo su di loro.
Queste limitazioni di rapporto è probabile contribuiscano a mantenere
gli stereotipi di tipo antagonistico (7). Due mondi sociali e culturali diversi
procedono fianco a fianco, urtandosi l'un l'altro con qualche punto di contatto
di carattere ufficiale, ma con ben poche possibilità di penetrazione
reciproca. Inoltre l'ordinamento e l'istituzione stessa vengono identificati,
in modo significativo, sia dallo staff che dagli internati come appartenenti
in qualche modo allo staff, tanto che qualora l'uno o l'altro gruppo si riferisca
alla finalità o agli interessi della «istituzione», risulta
implicito che si stanno riferendo (come del resto io stesso farò) alla
finalità e agli interessi dello staff.
La frattura fra staff e internati è una delle più gravi implicazioni
della manipolazione burocratica di grandi gruppi di persone; una seconda implicazione
concerne il problema del lavoro.
Negli ordinamenti usuali del vivere sociale, l'autorità del posto di
lavoro si arresta nel momento in cui il lavoratore riceve il compenso per la
propria attività svolta; il fatto di spenderlo nell'ambiente familiare
e in occasioni ricreative, resta una sua questione privata, il che costituisce
un mezzo per circoscrivere e delimitare l'autorità del luogo di lavoro.
Ma affermare che agli internati delle istituzioni totali viene pianificata l'intera
giornata, significa riconoscere che si dovrà organizzare la soddisfazione
di tutti i loro bisogni primari. Qualunque sia l'incentivo al lavoro, esso non
avrà il significato strutturale che ha nel mondo esterno. Ci saranno
motivazioni diverse e diversi modi di considerarlo. Questo è un adattamento
basilare richiesto agli internati e a coloro che devono indurli a lavorare.
Talvolta viene loro richiesta un'attività cosi limitata che gli internati,
non abituati a lavori tanto leggeri, si annoiano enormemente. Il lavoro richiesto
potrebbe essere svolto ad un ritmo molto lento o essere inserito in un sistema
di pagamento che non corrisponde al valore dell'attività prestata ed
è spesso di natura rituale, come la razione settimanale di tabacco e
i regali di Natale che stimolano alcuni pazienti mentali a dedicarsi a certe
attività. Naturalmente accade che, in altri casi, venga invece richiesto
un orario di lavoro che supera quello di una normale giornata lavorativa; il
che viene ottenuto, non tanto attraverso l'incentivo al guadagno, quanto piuttosto
per la paura di una punizione fisica. In alcune istituzioni totali, come ad
esempio campi per lavori stagionali e navi mercantili, la pratica del risparmio
forzato pospone l'usuale rapporto con ciò che il denaro può acquistare;
l'istituzione si occupa di tutti i bisogni di coloro che ne fanno parte ed il
pagamento è effettuato soltanto quando il periodo di lavoro è
finito ed i lavoratori se ne vanno. In alcune istituzioni vige una sorta di
schiavismo, nel senso che tutto il tempo dell'internato viene messo a completa
disposizione dello staff; qui il senso del "sé" dell'internato
e del suo possesso possono venirgli alienati dalla sua stessa capacità
lavorativa. T. E. Lawrence ne dà un esempio nel suo racconto sul servizio
prestato in un centro addestramento della RAF.
"I militari con un'anzianità di sei settimane che incontriamo sul lavoro feriscono il nostro senso morale incitandoci al menefreghismo: «Siete dei cretini, voi reclute, a scannarvi così», ci dicono. Che dipenda dal nostro entusiasmo per un'esperienza nuova, o è da ritenersi un residuo di civiltà che si conserva in noi? La RAF ci pagherà tutte le ventiquattro ore del giorno a tre mezzi penny all'ora; pagati per lavorare, per mangiare, per dormire: quei mezzi penny continuano ad accumularsi. E' dunque impossibile nobilitare una attività facendola bene. Bisogna perdere quanto più tempo possibile, dato che, alla fine del lavoro, non c'è ad aspettarci la casa e la famiglia, ma un altro lavoro" (8).
Che ci sia troppo da fare o troppo poco, colui che, nel mondo esterno, era
un buon lavoratore, nell'istituzione totale viene corrotto a causa del sistema
lavorativo vigente. Un esempio di un tal tipo di scadimento morale è
la pratica, in uso in ospedali psichiatrici di stato, di «mendicare»
o di «lavorarsi qualcuno» per un soldo da spendere al bar. Ciò
viene fatto - seppure spesso con qualche riluttanza - da persone che nel mondo
esterno lo considererebbero un comportamento al di sotto del loro rispetto di
sé. (I membri dello staff, interpretando l'accattonaggio secondo i loro
stereotipi civili nei confronti del guadagno, tendono a vederlo come un sintomo
di malattia mentale e come un'ulteriore prova che li conferma nella convinzione
che i ricoverati sono malati).
Vi è, dunque, un'incompatibilità fra le istituzioni totali e la
struttura di base del pagamento del lavoro così com'è inteso nella
nostra società. Le istituzioni totali sono incompatibili anche con un
altro elemento fondamentale nella nostra società, la famiglia. La vita
familiare è talvolta in contrasto con la vita del singolo; tuttavia i
conflitti più reali si evidenziano nella vita di gruppo, dato che coloro
che vivono, mangiano e dormono nel luogo di lavoro con un gruppo di compagni,
difficilmente possono avere una vita familiare particolarmente significativa
(9). Al contrario, invece, il fatto di avere la famiglia. separata dal luogo
di lavoro, consente ai membri dello staff di mantenersi integrati nella comunità
esterna e di sfuggire alla tendenza inglobante della istituzione totale.
Che una particolare istituzione totale agisca nella società civile come
una forza positiva o negativa, si tratta sempre di una «forza» che
si avvalorerà, in parte, della soppressione di un intero cerchio di gruppi
familiari, attuali o potenziali. Al contrario, l'esistenza di nuclei familiari
offre la garanzia strutturale che le istituzioni totali troveranno qualche resistenza.
L'incompatibilità di queste due forme di organizzazione sociale dovrebbe
quindi dirci qualcosa sulle loro più ampie funzioni sociali.
L'istituzione totale è un ibrido sociale, in parte comunità residenziale,
in parte organizzazione formale; qui sta appunto il suo particolare interesse
sociologico. Inoltre vi sono altre ragioni di interesse in questo tipo di organizzazioni.
Nella nostra società esse sono luoghi in cui si forzano alcune persone
a diventare diverse: si tratta di un esperimento naturale su ciò che
può essere fatto del sé.
Sono state qui proposte alcune caratteristiche cruciali delle istituzioni totali.
Ora vorrei prendere in esame queste organizzazioni da due prospettive diverse
: primo, il mondo dell'internato; secondo, il mondo dello staff. Per poi parlare
sui contatti fra l'uno e l'altro.