Uno studio sui modi di sopravvivere in ospedale psichiatrico.
[Una versione più breve di questo saggio è stata presentata al convegno annuale dell'American Sociological Society, Washington (D.C.), agosto 1957.
PARTE PRIMA: INTRODUZIONE.
"Agire ed essere".
1.
I legami che uniscono l'individuo a entità sociali di tipo diverso, mettono
in evidenza proprietà che lo accomunano ad esse. Che si tratti di una
ideologia, una condizione, un commercio, una famiglia, una persona o anche una
semplice conversazione, l'individuo vi si trova coinvolto, arrivando ad assumere
su di sé le medesime caratteristiche generali dell'entità sociale
cui è legato. Si troverà di fronte a degli obblighi: dei quali
alcuni potranno essere assunti «a freddo», come ad esempio nel caso
di possibilità cui si rinuncia, lavoro da fare, restituire un favore,
far passare il tempo, o pagare debiti; altri lo coinvolgeranno emotivamente,
richiedendogli di sentirne il possesso, di identificarvisi, e di stabilire un
legame affettivo. Il coinvolgimento in un'entità sociale comprende quindi
una sorta di "impegno" e un "legame affettivo".
Circa la finalità di questo impegno e di questo coinvolgimento emotivo
si potrebbe pensare che un'entità sociale organizzi coloro che ne fanno
parte, senza preoccuparsi dei limiti impliciti nelle sue stesse finalità.
L'esercito richiede al soldato di essere coraggioso, ma c'è un limite
oltre il quale il suo coraggio risulterebbe superiore alla necessità
e al dovere; inoltre potrebbe avere il diritto ad un congedo straordinario alla
morte del padre, o quando la moglie partorisce. Analogamente, una donna può
presumere che il marito le sia pubblicamente al fianco, per costituire un'unità
sociale visibile, mentre durante la settimana deve rinunciare a lui poiché
è impegnato nel lavoro; oltre a ciò il marito, occasionalmente,
potrebbe voler passare la serata per suo conto, al bar, giocando a carte con
gli amici, o prendendosi qualche altra libertà.
Nel legame sociale e nei suoi limiti è dunque presente il classico tema
a due facce della sociologia. Nella società occidentale l'accordo formale,
o contratto, è un simbolo di questo tema a due che sancisce, con un tratto
di penna, il legame e insieme i limiti impliciti in ciò cui ci si lega.
Bisogna tuttavia chiarire questo tema a doppia faccia. Come ci ha insegnato
Durkheim, alla base di ogni contratto ci sono presupposti non contrattuali sulla
natura dei partecipanti (1). Convenendo sugli obblighi reciproci, le parti contraenti
concordano tacitamente sulla validità generale dei diritti contrattuali,
sui doveri, sulle diverse condizioni per l'invalidamento e la legittimità
dei tipi di sanzioni da prendere contro chi rompe il contratto; le parti contraenti
convengono, inoltre, tacitamente, sulla loro competenza legale, la loro buona
fede e i limiti ai quali ci si può fidare di arrivare fra contraenti
di fiducia. Consentendo di rinunciare a qualcosa, e trattenendone altre, l'individuo
riconosce, tacitamente, di essere il tipo di persona che deve rinunciare a questo
tipo di cose per dedicarsi ad altre, e che considera legittimo contrattare questo
genere di questioni. In breve, fare un contratto significa pensare di essere
una persona di un dato carattere ed esserlo realmente. Un contratto minuzioso
che delimiti esattamente i doveri e i diritti di un individuo, può fondarsi
su un insieme molto ampio di presupposti che ne riguardano il carattere.
Se ci sono queste implicazioni relative alla definizione del "sé"
fra contraenti di un accordo formale - legame, dopotutto, che si ripromette
di essere, per quanto possibile, al riparo dal capriccio e dal carattere individuale
dei partecipanti - ce ne sarà un numero ancora maggiore, in altri tipi
di legami meno delimitati. In legami come l'amicizia o la parentela, dove talvolta
si dice che qualsiasi cosa si chieda viene accordata, un'implicazione al fatto
di essere un buon amico o un fratello leale, è che si sia il tipo di
persona che può essere un buon amico o un fratello leale. Nel mancare
al mantenimento della propria moglie e di quattro figli, si diventa il tipo
di persona che può mancare in questo tipo di condotta.
Se ogni legame implica un ampio giudizio sulla persona in esso coinvolta, dovremmo
domandarci come l'individuo manipoli questa definizione di sé.
Ci sono alcune possibilità estreme. Egli può, cioè, mancare
apertamente ai suoi obblighi, separandosi da ciò cui era legato, ed affrontare
il disprezzo della gente che lo giudica. Può rifiutare l'implicazione
relativa al concetto di sé presente nel legame, evitando però
che questo rifiuto appaia in ogni sua azione. Può accettare personalmente
le implicazioni del "sé" presenti nel suo coinvolgimento, essendo
per se stesso ciò che gli altri, coinvolti con lui, si aspettano che
egli sia.
In pratica l'individuo spesso rifiuta queste soluzioni estreme: è più
facile si astenga dall'accettare completamente tutte le implicazioni del "sé"
presenti nel legame che lo delimita, lasciando intravedere alcune circostanze
in cui ne rivela il distacco, mentre ne porta a termine gli obblighi principali.
Io voglio qui esaminare l'insieme di queste distanze concretamente espresse,
e alcune linee di comportamento su cui si fondano. Intendo cioè analizzare
essenzialmente un tipo di entità sociale, le «organizzazioni formali
strumentali», basandomi sulle storie di casi di ricoverati in un ospedale
psichiatrico, come esempio di una classe di queste entità sociali.
2.
Un'«organizzazione strumentale formale» può essere definita
come un sistema di attività, coordinate allo scopo di raggiungere alcune
finalità globali esplicite. Il prodotto progettato può essere
distribuito fra i partecipanti in modi diversi. Mi interesserò qui soprattutto
di quelle organizzazioni formali, collocate entro i confini di una singola costruzione
o di un complesso di costruzioni adiacenti, riferendomi ad unità chiuse
per comodità da mura, come organismi, istituzioni od organizzazioni sociali.
Si possono sollevare alcune riserve al mio approccio tradizionale. Le organizzazioni
formali possono infatti avere una molteplicità di mete ufficiali contrastanti
fra loro, ciascuna con i suoi particolari seguaci e con la difficoltà
che ne deriva circa la scelta della fazione cui aderire. Inoltre, mentre una
meta come la riduzione dei costi o un'asepsi, può essere obiettivamente
applicata come mo'dello dettagliato per molte attività minori che si
verificano all'interno di alcune organizzazioni, altre istituzioni, come clubs
o centri comunitari ricreativi, non hanno una finalità che provveda un
modello altrettanto nettamente stagliato, sul quale poter esaminare i dettagli
della vita istituzionale. In altre organizzazioni formali la meta ufficiale
può essere di scarsa importanza, dato che l'interesse principale risulta
la conservazione e la sopravvivenza della istituzione stessa. Infine, barriere
fisiche come quelle rappresentate dalle mura possono essere, in ultima analisi,
una caratteristica secondaria delle organizzazioni, piuttosto che una primaria
(2).
Le organizzazioni chiuse da mura, hanno una peculiarità che dividono
con poche altre entità sociali: parte della attività dell'individuo
può essere visibilmente impiegata nei momenti opportuni, ad assolvere
alle necessità dell'organizzazione; il che comporta, mobilizzazione dell'attenzione,
sforzo muscolare, e sottomissione all'attività imposta. Questo obbligo
forzato a partecipare all'organizzazione, tende ad essere vissuto come un simbolo
della propria prigionia e, insieme, del legame affettivo che unisce ad essa,
e, oltre a questo, del fatto di accettarne le implicazioni relative alla definizione
della propria natura. Quindi qualsiasi studio su come gli individui si adattino
ad essere identificati e definiti, potrà forse mettere a fuoco il modo
in cui mercanteggiano la loro partecipazione alle attività tipiche dell'organizzazione.
3.
Un'organizzazione strumentale formale si sostiene in base alla sua capacità
di strumentalizzare coloro che ne fanno parte; si devono usare mezzi stabiliti
e si deve tendere a fini stabiliti. Tuttavia, come ha suggerito Chester Barnard,
un'organizzazione che si mantiene da sé, deve individuare fino a qual
punto possa contare sul fatto che coloro che vi partecipano vi contribuiscano
con attività adatte (3). L'uomo è definito come notoriamente debole;
si devono fare compromessi, si devono avere riguardi, e prendere misure protettive.
Il modo particolare in cui sono formulate, in una data cultura, le limitazioni
di un'istituzione alla strumentalizzazione dei suoi membri, potrebbe sembrare
una caratteristica importante (4).
Secondo il nostro modo anglo-americano di definire questi limiti e secondo il
punto di vista qui sostenuto, un'organizzazione sembra venire identificata con
i suoi capi.
Primo, a chi fa parte di un'organizzazione è garantito, mentre si dedica
alle attività richieste, un certo livello di assistenza al di sopra del
minimo necessario per tenere in vita l'organismo umano. Questo livello comprende:
agi, salute e sicurezza; limiti sul tipo e la quantità di fatica richiesta;
considerazione del fatto che i membri potrebbero far parte di altre organizzazioni
con pretese legali su di loro; diritto alla pensione e alle ferie; possibilità
di lamentarsi e di ricorrere a vie legali; inoltre, almeno al livello di ciò
che si professa pubblicamente, il diritto alla propria dignità, la possibilità
di esprimere se stessi, e qualche opportunità di realizzarsi (5). Questo
livello di assistenza spiega chiaramente come un essere umano sia qualcosa di
più di un membro di una particolare organizzazione specifica.
Secondo, l'ideologia della nostra società ci suggerisce che colui che
fa parte di un'organizzazione possa collaborarvi volontariamente per mezzo di
«valori comuni», attraverso i quali gli interessi dell'organizzazione
e del singolo si fondono sul piano concreto così come sul piano strategico.
In alcuni casi è presumibile che l'individuo si identifichi con le finalità
e il destino dell'organizzazione, come quando ci si sente orgogliosi della propria
scuola o del proprio posto di lavoro. In altri, l'organizzazione sembra coinvolta
nel destino individuale di un singolo membro, come quando il personale curante
di un ospedale è autenticamente commosso dalla guarigione di un paziente.
Nella maggior parte delle organizzazioni, alcuni valori comuni di entrambi i
tipi servono a motivare il fatto di farne parte.
Terzo, è qualche volta riconosciuto che si debba ricorrere a degli «incentivi»,
dato che i premi, o compensi, fanno appello esplicitamente alla capacità
dell'individuo considerato come colui i cui precisi interessi non sono quelli
dell'organizzazione (6). Alcuni di questi incentivi sono attinenti al mondo
interno, dato che si tratta di compensi occasionali che hanno bisogno, per la
loro realizzazione, dell'allestimento scenico dell'organizzazione; ciò
che importa qui sono i progressi nella propria posizione sociale e i miglioramenti
nell'insieme dei piccoli vantaggi istituzionali. Molti incentivi comportano
entrambi questi tipi di vantaggi, come nel caso di titoli professionali come
quello di avere un ruolo «esecutivo».
Infine, i partecipanti possono essere indotti a collaborare, qualora vi si rifiutino,
sotto la minaccia di punizioni e di penalità. Le «sanzioni»
possono, allora, consistere in una notevole riduzione delle ricompense abituali,
o dell'usuale livello di assistenza, ma pare vi sia implicato anche qualcosa
di diverso da questa semplice riduzione dei compensi. L'idea che la punizione
possa essere un mezzo efficace per ottenere un'attività desiderata, richiede
un presupposto sul carattere della natura umana, diverso da quello che occorre
per spiegare l'effetto stimolante degli incentivi. La paura della punizione
può servire a prevenire l'individuo dal compiere certi atti o dal fallire
nel farli; ma le ricompense sono necessarie se si vuole ottenere uno sforzo
personale prolungato.
Nella nostra società, quindi, come probabilmente in alcune altre, un'organizzazione
formale strumentale non strumentalizza soltanto l'attività dei suoi membri,
ma delinea anche quelli che sono considerati i livelli di assistenza adatti,
i valori comuni, gli incentivi e le penalità. Il che significa che arriva
ad estendere un semplice contratto di partecipazione, alla definizione della
natura del partecipante e della sua condizione sociale. Questi giudizi impliciti
costituiscono un elemento importante dei valori che sottendono ogni organizzazione,
al di fuori del grado della sua efficienza o del suo carattere impersonale (7).
Ben strutturato negli ordinamenti sociali di un'organizzazione, c'è quindi
un giudizio totalizzante su colui che vi partecipa - e non si tratta soltanto
di un giudizio su di lui in quanto membro dell'organizzazione, ma in quanto
essere umano (8).
Possiamo vedere in atto queste tendenze ad organizzare l'uomo, nei movimenti
politici di carattere radicale e nei gruppi religiosi evangelici, che perseguono
modelli di vita spartani e valori comuni intensi e penetranti. In questi casi
l'organizzazione esige che ciascun membro si metta a disposizione dei bisogni
della comunità. Nel riproporgli ciò che deve f are e perché
deve farlo, l'organizzazione propone dunque a ciascun membro ciò che
dovrebbe essere. Ci saranno naturalmente molti modi di ribellarsi e anche quando
non accade di frequente che i membri di un'organizzazione si ribellino alle
linee da essa imposte, la preoccupazione che la cosa si verifichi esiste, evidenziando,
chiaramente, il problema dell'identità e della definizione del "sé"
(9).
Non si deve tuttavia tralasciare il fatto che, quando una istituzione offre
ufficialmente incentivi esterni e ammette apertamente di avere un limitato diritto
alla lealtà, al tempo e alla presenza attiva di coloro che ne fanno parte,
chi accetta queste premesse - qualsiasi uso faccia del compenso guadagnato e
in qualsiasi luogo ritenga sia realmente il suo cuore - accetta tacitamente
un giudizio sulle sue motivazioni e quindi sulla sua identità. Il fatto
poi che questi presupposti gli risultino perfettamente naturali e accettabili,
ci spiega come noi, in qualità di studiosi, generalmente non ce ne rendiamo
conto, e non che non esistano. Un albergo che tiene rispettosamente il naso
fuori dagli affari del cliente, e un «brainwashing camp» dove si
ritiene che l'ospite non dovrebbe avere alcun affare privato in cui si possa
ficcare il naso, hanno un punto in comune: entrambi formulano un giudizio generale
sull'ospite, che è determinante per lui e con il quale si esige egli
concordi.
Tuttavia le situazioni estreme ci dicono qualcosa non tanto sulle forme più
alte di lealtà e di tradimento, quanto sui piccoli atti del vivere quotidiano.
Forse solo quando incominciamo a studiare le memorie di idealisti meticolosi,
come per esempio alcuni obiettori di coscienza o qualche prigioniero di guerra
impegnato politicamente, con i problemi di coscienza circa i limiti cui può
giungere la loro «collaborazione» con l'autorità, si incominciano
a vedere le implicazioni della definizione del "sé", presenti
anche nel più insignificante compromesso richiesto dalle organizzazioni.
Per esempio muovere il proprio corpo in risposta ad una domanda gentile, trascurare
un ordine, significa garantire in parte la legittimità della linea d'azione
dell'altro. Accettare qualche privilegio, come andare nel cortile per fare esercizi
o usare materiale artistico fornito dall'istituto, mentre si è in carcere,
significa accettare in parte il giudizio di colui che ci tiene prigionieri,
su quelli che sono i nostri desideri e i nostri bisogni, mettendoci nella condizione
di dover dimostrare una certa gratitudine e collaborazione (anche solo nel prendere
ciò che viene dato) e riconoscendo quindi al nostro carceriere il diritto
di formulare dei giudizi su di noi (10). La collaborazione coi nemici nasce
in questo modo. Lo stesso invito cortese di un sorvegliante a mostrare i nostri
disegni ad un visitatore, dovrebbe essere rifiutato, dato che anche questo grado
di collaborazione sembra sottoscrivere la legittimità della posizione
del sorvegliante e, incidentalmente, la legittimità della concezione
che egli ha dell'altro (11). Analogamente, sebbene sia evidente che un prigioniero
politico che muoia senza parlare di fronte alle torture fisiche che gli infliggono,
confuti concretamente l'opinione che i suoi aguzzini possono avere sulle motivazioni
alla sua azione e quindi il loro concetto della sua natura umana, ci sono cose
altrettanto importanti e meno appariscenti che si possono imparare dalla posizione
assunta dai prigionieri di guerra. Per esempio, sotto un pressante interrogatorio,
un prigioniero attento potrebbe avvertire che anche il silenzio in risposta
alle domande che gli vengono rivolte, può dare qualche informazione,
facendone un «collaborazionista» a dispetto della posizione da lui
presa, dato che la situazione ha un potere di definirlo, dal quale egli non
può sottrarsi essendo sincero e dicendo la verità (12).
Naturalmente i prigionieri moralisti non sono le uniche persone di coscienza
la cui posizione ci porti a conoscere le implicazioni della definizione del
"sé", negli aspetti minori conseguenti al fatto di far parte
di un'organizzazione. Un altro gruppo cruciale è quello formato da individui
colti, disoccupati di professione, che trovano da vivere in una città
come New York, senza avere denaro. Mentre gironzolano per la città, cercano
ogni occasione che offra loro cibo, calore, la possibilità di dormire
senza dover pagare, dimostrandoci come, di solito, si presume che in queste
circostanze le persone dovrebbero essere prese da altri interessi, dato che
si tratta di individui che dovrebbero appunto preoccuparsi d'altro. Imparare
i presupposti impliciti nel giusto uso delle istituzioni di una città,
è imparare il carattere e gli interessi attribuiti ai suoi cittadini
e per loro ritenuti legittimi. In un recente manuale sull'argomento (13) si
è portati a pensare che la stazione centrale sia costruita realmente
per coloro che devono partire o che hanno amici da incontrare, e non si tratti
di un posto per viverci; che un vagone della metropolitana è fatto per
viaggiare, che il salotto di un albergo serve perché le persone possano
incontrarsi e stare assieme, una biblioteca per leggere, un'uscita di sicurezza
per salvarsi in caso di pericolo, un cinematografo per andare a vedere un film,
e che qualunque forestiero usi questi luoghi come stanza da letto, non ha l'insieme
di motivazioni riconosciute valide per un tale uso. Quando ci viene riferito
che un uomo andava al reparto chirurgico dell'ospedale ogni pomeriggio, per
un intero mese invernale, a visitare una ragazza qui ricoverata che conosceva
appena, perché l'ospedale era caldo e lui aveva freddo (14), ci si rende
conto del fatto che un ospedale possa avere una serie di motivi che giustificano
la presenza dei suoi visitatori ma, come in ogni altra entità sociale,
si può trarne vantaggi, trovarne utilità, in breve usarlo in modo
diverso da quello ufficialmente previsto dall'organizzazione. Analogamente,
quando veniamo a sapere che dei ladri di professione possono impegnarsi in furti
insignificanti ma pericolosi in qualche negozio, solo perché hanno troppo
rispetto di sé per pagare ciò che desiderano avere (15), possiamo
capire le implicazioni del "sé" implicite in un banale acquisto
al Five and Dime (16).
Attualmente, le differenze fra il giudizio ufficiale di una organizzazione sui
membri che ne fanno parte, e il loro giudizio personale, sono particolarmente
visibili nell'industria, in particolare per ciò che riguarda i compensi
e il concetto del «buon lavoratore». La direzione di un'organizzazione
pensa spesso che i lavoratori lavorino ininterrottamente, per accumulare soldi
e per raggiungere l'anzianità di grado. Tuttavia, da ciò che risulta
reale nel mondo sociale di alcuni operai di una classe urbana inferiore, e di
molti lavoratori delle zone periferiche della società industriale, il
concetto del «buon lavoratore» non sembra si adatti al caso. Si
può qui citare un esempio paraguaiano:
"Il comportamento dei contadini nel lavoro a cottimo è indicativo. L'ideologia comune è che, quando si lavora per qualcuno, gli si fa un favore personale; e il compenso ricevuto in cambio ha la funzione di un regalo o di un segno di stima. Meno esplicitamente, il lavoro a cottimo è visto come un modo di ottenere un po' di soldi, per uno scopo specifico. Il lavoro non è sentito come una merce, impersonalmente comprata e venduta, né è visto dallo stesso datore di lavoro come un modo di guadagnarsi la vita. Il turno di lavoro nelle poche piantagioni e nelle fabbriche di mattoni è rapido, perché di solito, non appena l'operaio mette da parte quel tanto che gli occorre per il suo scopo, se ne va. Alcuni datori di lavoro stranieri in Paraguay hanno deciso, in certi casi, di aumentare i salari rispetto alla media, sperando di ottenere un lavoro di più alta qualità, e di avere operai soddisfatti che avrebbero prestato il loro servizio in modo più duraturo. Il risultato di questo aumento di salari fu esattamente opposto; il turno di lavoro fu accelerato. Non si capì che quelli che lavorano a cottimo lo fanno solo occasionalmente, per poter ottenere una certa somma di denaro; più presto ottengono il denaro, più presto se ne vanno" (17).
Le organizzazioni industriali non sono le sole a trovare, in coloro che ne fanno parte, definizioni impreviste della situazione. Le carceri possono servire di esempio. Quando un detenuto comune viene chiuso in cella, può soffrire delle privazioni che l'organizzazione prevede; ma per un inglese dell'alta borghesia, gettato in mezzo ai rifiuti più volgari della società britannica, il f atto di essere confinato solo, in una cella, può avere un significato imprevisto:
"Le prime cinque settimane dopo la sentenza, a parte le due ore di lavoro alla mattina e al pomeriggio e i momenti dedicati al moto, ero chiuso in cella, fortunatamente solo. La maggioranza dei detenuti paventava quelle lunghe ore da passare chiusi. Ma dopo un po', incominciai a desiderare di essere solo, come una liberazione benedetta dalle urla degli ufficiali o dal continuo turpiloquio della maggioranza degli altri detenuti. Ho passato la maggior parte di quelle ore di solitudine, leggendo" (18).
Un impiegato statale francese nell'Africa occidentale, ce ne presenta un caso limite:
"Ora, l'essere messo in carcere non è sempre vissuto nello stesso modo fra i popoli dell'Africa occidentale francese In un luogo risulta un'avventura che non ha niente di disonorevole; in un altro, al contrario, è l'equivalente di essere condannato a morte. Ci sono alcuni africani che, se li chiudi in prigione, diventeranno dei servitori domestici, e finiranno per considerarsi come membri della tua famiglia. Ma se tu imprigioni un fulani, morirà" (19).
Non è mia intenzione, in questa analisi, puntualizzare soltanto l'ideologia
verbale esplicita nella gestione organizzativa della natura umana dei partecipanti
ad un'istituzione, sebbene questo sia certamente un elemento significativo (20).
Intendo riferirmi anche all'azione intrapresa da chi la conduce, per quel tanto
che essa può esprimere un'idea delle persone su cui agisce (21). Qui
le carceri ci offrono ancora un esempio esplicito. Teoricamente i dirigenti
delle prigioni possono, e a volta lo fanno, partire dal preconcetto che il detenuto
dovrebbe accettare, se non proprio abbracciare, il fatto di essere in prigione,
dato che le carceri (almeno quelle «moderne») si presume provvedano
al detenuto il mezzo per espiare la sua colpa verso la società, educarsi
al rispetto della legge, meditare sui suoi peccati, imparare un mestiere decoroso,
e, in alcuni casi, ottenere un ciclo di psicoterapia, di cui può aver
bisogno. Ma, praticamente, la direzione della prigione tende a mettere a fuoco
soprattutto il problema della «sicurezza», cioè quello di
prevenire il disordine e la fuga. Un aspetto importante della definizione, da
parte della direzione di un carcere, del carattere dei suoi detenuti, è
che se offri loro la più piccola possibilità, tenteranno di evadere
prima di aver scontato la pena. Si può aggiungere che il desiderio di
fuggire dei detenuti e la loro abituale buona volontà di reprimerlo,
dovuta alla probabilità di venire presi e puniti, esprime (attraverso
sentimenti e azioni, non per mezzo di parole) un'identità con il giudizio
che la direzione esprime su di loro. Un gran numero di conflitti e di ostilità
tra direzione e internati, consiste quindi nell'accordo che riguarda alcuni
aspetti della natura di questi ultimi.
In conclusione, suggerirei di esaminare il fatto di far parte di un'organizzazione,
da una angolatura particolare. Il ruolo che un'organizzazione richiede ad ogni
suo partecipante, e quello che realmente egli vi gioca, non saranno il centro
del nostro interesse. Ciò che importa è che l'attività
richiesta da un'organizzazione ai suoi membri, comporta un giudizio su colui
che agisce. In tal modo un'organizzazione può essere vista come un luogo
deputato a produrre giudizi sull'identità di chi vi partecipa. Nell'attraversare
la soglia dell'istituzione di cui fa parte, l'individuo assume l'obbligo di
partecipare direttamente alla situazione e di essere orientato ed allineato
nel modo ad essa più consono. Nel momento in cui partecipa ad un'attività,
accetta l'obbligo di lasciarsene coinvolgere temporaneamente. Attraverso questo
orientamento e questo impegno dell'attenzione e dello sforzo, egli rende esplicito
il suo atteggiamento nei confronti dell'organizzazione da cui dipende, e dei
giudizi che lo riguardano in essa impliciti. Impegnarsi in una particolare attività
nel modo in cui viene imposta, significa accettare di essere un tipo particolare
di persona, che vive in un mondo particolare.
Ora, se ogni istituzione sociale può essere vista come un luogo dove
le implicazioni relative al "sé" dei suoi partecipanti sono
sistematicamente presenti, possiamo anche considerarla come un luogo dove queste
implicazioni sono sistematicamente condivise anche da coloro che vi partecipano.
Rifiutare attività obbligatorie o dedicarvisi in un modo o ad un fine
non richiesto, significa sfuggire al "sé" ufficiale e al mondo
ufficialmente adatto ad esso. Imporre un'attività è dunque imporre
un mondo; evitare un'imposizione è evitare un'identità.
Cito qui due esempi. Si presume che i suonatori d'orchestra di uno spettacolo
musicale a Broadway vadano al lavoro in tempo, vestiti in modo adeguato, preparati
e pronti in ciò che devono fare. Quando prendono posto nel «proscenio»,
si suppone si dedichino attentamente e decorosamente a ciò che devono
suonare, o che attendano il loro turno. Ci si aspetta dunque che, in qualità
di musicisti, disciplinino da sé il loro far parte del mondo musicale.
Questo è ciò che il proscenio e il lavoro musicale fa di loro.
Ma, una volta che abbiano imparato lo spartito di un particolare spettacolo,
non hanno niente da fare ed inoltre sono lì, seminascosti agli occhi
di coloro che presumono siano solo dei musicisti al lavoro. Di conseguenza,
i suonatori nel proscenio, sebbene siano fisicamente obbligati a restare immobili,
tendono ad astrarsi dal loro lavoro, esibendo clandestinamente un'identità
e un mondo completamente staccati dalla sala dove si trovano. Stando attenti
a non farsi vedere, possono dedicarsi a scrivere lettere, comporre musica, leggere
i classici, fare parole incrociate, passarsi biglietti, giocare a scacchi facendo
scivolare le pedine sul pavimento, o sparando come bambini, con le pistole ad
acqua. Naturalmente, se un suonatore sta ascoltando con l'auricolare la radio
portatile ed improvvisamente fa sussultare il pubblico delle prime file, esclamando
«Snider ha fatto goal» (22), non si può considerarlo una
persona adatta al tipo di mondo programmato per lui come del resto attesteranno
le lamentele del pubblico alla direzione del teatro.
Un secondo esempio ci proviene dai campi tedeschi per prigionieri di guerra
(23). Un internato che incontra un ufficiale e riesce a passare oltre, senza
che l'ufficiale corregga qualcosa del suo comportamento, si rivela un internato
perfettamente integrato nella prigione e perfettamente adatto alla prigionia.
Tuttavia sappiamo che, in alcuni casi, l'internato poteva nascondere sotto il
cappotto un paio di assi del letto, da usare come legname per il tetto del tunnel
che doveva servirgli per la fuga. Un detenuto così conciato poteva, quindi,
stare di fronte ad una guardia e non essere, ai suoi occhi, la persona che egli
vedeva, né far parte del mondo che il campo presumeva di imporgli. L'internato
è fisso nel campo, ma le sue capacità possono migrare. Inoltre,
dato che un cappotto può nascondere chiare tracce di questa migrazione
e dato che la facciata personale, compresi i vestiti, fa parte della nostra
partecipazione ad ogni tipo di organizzazione, dobbiamo tener conto che "qualsiasi"
aspetto di "qualsiasi" persona potrebbe nascondere la prova di una
libertà spirituale.
Ogni organizzazione comporta, quindi, una disciplina delle attività,
ma ciò che a noi interessa qui è che, in qualche modo, ogni organizzazione
comporta anche una disciplina sul fatto di essere di un dato carattere e di
appartenere ad un dato mondo. Il mio scopo qui è di esaminare un particolare
tipo di assenteismo, di omissione non tanto dalle attività imposte, quanto
dall'identità imposta.
"Adattamenti primari e secondari".
1.
Si può ora introdurre un concetto. Quando un individuo contribuisce cooperativamente
ad un'attività richiesta da una organizzazione, in determinate condizioni
- con l'appoggio, nella nostra società, di modelli di assistenza istituzionalizzati,
lo stimolo di incentivi e valori comuni, la minaccia di penalità designate
- ne diventa un collaboratore; ne diventa cioè il membro «normale»
«programmato» o «determinato». Dà e prende in
modo appropriato ciò che è stato sistematicamente progettato,
sia che la cosa comporti, da parte sua, un coinvolgimento notevole o minimo.
In breve, gli viene ufficialmente richiesto di essere né più né
meno di ciò che è preparato ad essere, ed è obbligato a
vivere in un mondo che gli è, di fatto, congeniale. In questo caso dirò
che l'individuo ha un adattamento primario all'organizzazione, tralasciando
il fatto che sarebbe altrettanto ragionevole parlare dell'adattamento primario
che l'organizzazione assume nei suoi confronti.
Ho usato questo termine impreciso per ottenerne un altro, quello cioè
degli "adattamenti secondari", che definisco come adattamenti abituali,
per mezzo dei quali un membro di un'organizzazione usa mezzi od ottiene fini
non autorizzati, oppure usa ed ottiene entrambi, sfuggendo a ciò che
l'organizzazione presume dovrebbe fare ed ottenere, quindi a ciò che
dovrebbe essere. Gli adattamenti secondari rappresentano il modo in cui l'individuo
riesce ad evitare il ruolo e il "sé" che l'istituzione ha presi
per garantiti per lui. Per esempio, in America si ritiene abitualmente che i
detenuti dovrebbero poter godere di particolari servizi di biblioteche, dato
che il loro animo potrebbe e dovrebbe trar profitto dalla lettura. Riconosciuta
come legittima questa attività, si può prevedere ciò che
Donald Clemmer ha trovato, e cioè che i detenuti spesso ordinano libri
non per educarsi ma per fare buona impressione ai capi, seccare il bibliotecario,
o semplicemente per ricevere un pacco (24).
Ci sono termini sociologici che designano questi adattamenti secondari, ma che
comprendono contemporaneamente anche altri fattori. Si potrebbe usare il termine
«informale», se si eccettua il fatto che un'organizzazione può
formalmente provvedere tempo e spazio in cui i suoi membri possano essere ufficialmente
autonomi (potendo cioè esplicarsi e divertirsi in attività ricreative
di loro scelta), mentre continuano a mantenere un tipo di comportamento informale
da luogo chiuso: ne è un esempio l'intervallo mattutino a scuola. L'informalità
qui è parte di un adattamento primario. Si potrebbe usare il termine
«non ufficiale», ma questa definizione tende a riferirsi solo a
quella che è, comunemente, la parte ufficiale dell'attività organizzativa
e, in ogni caso, il termine «non ufficiale» potrebbe essere correttamente
applicato a quegli accordi taciti e a quelle attività non codificate,
per mezzo delle quali si possono raggiungere le finalità ufficiali dell'organizzazione,
e in questo caso i suoi partecipanti possono godere di qualunque adattamento
primario si riveli possibile (25).
Vorrei qui ricordare alcune difficoltà nell'uso del concetto di adattamento
secondario. Ci sono alcuni adattamenti secondari, come il fatto che chi lavora
provvede ai bisogni della famiglia per mezzo di ciò che contribuisce
a produrre, che diventano a tal punto parte accettata del lavoro di un'organizzazione,
da assumere il carattere di «profitti», dato che uniscono la qualità
di non essere apertamente richiesti, né apertamente imposti (26). Alcune
di queste attività non vengono rapidamente legalizzate, ma devono continuare
a mantenersi non ufficiali, se vogliono risultare efficaci. Come ha dimostrato
Melville Dalton, le capacità particolari di chi fa parte di un'organizzazione,
possono essere messe in evidenza con premi che nessun'altra persona della medesima
categoria riceve. Così, ciò che il membro che si tenta di coinvolgere
può vedere come un mezzo con cui egli sta tentando di sfuggire all'accerchiamento
- un adattamento secondario - può essergli invece deliberatamente concesso
da un superiore coscienzioso, che agisce solamente in nome della maggiore efficienza
dell'organizzazione (27). Inoltre, come è stato già detto, vi
può essere un accordo relativo su chi ne siano i rappresentanti, e qualora
l'accordo sia completo, i rappresentanti possono essere incerti sul. punto in
cui tracciare la linea di separazione fra gli adattamenti primari e quelli secondari.
Per esempio, in molti collegi americani sarebbe considerato un errore dominare
troppo la vita sociale al di fuori dei corsi scolastici dello studente. Il che
è perfettamente in linea con le vedute correnti, secondo le quali è
necessario che gli studenti abbiano molti interessi. Non c'è invece un
accordo così definito sul come deve essere diviso il tempo dello studente
fra lo studio e le altre attività extrascolastiche. Analogamente, è
riconosciuto e accettato il f atto che alcune studentesse incontrino il loro
futuro marito all'università, e che, una volta sposati, ritengano opportuno
lasciare la scuola, invece di finire il corso per ottenere il diploma. Ma gli
insegnanti dell'istituto mostrano gradi diversi di preoccupazione, quando una
studentessa sciupa la maggior parte dell'anno, esaurendo il campo degli uomini
disponibili nel suo corso scolastico. Nello stesso modo, i managers di una ditta
commerciale possono ritenere opportuno concedere esplicitamente a impiegati
e segretarie la possibilità di selezionarsi, per stabilire un rapporto
personale - purché non si sprechi troppo tempo in queste relazioni -
così come disapprovano, altrettanto esplicitamente, le nuove reclute
che stanno solo il tempo necessario per rendersi conto delle possibilità
di corteggiamento, prima di trasferirsi in un nuovo ufficio e dedicarsi ad un
nuovo «pascolo». Ma l'organizzazione può essere più
vaga circa il punto in cui la linea di separazione fra questi due estremi deve
essere tracciata, dividendo nettamente l'uso legittimo dell'istituzione, come
situazione da cui ricavare un vantaggio casuale, dal fatto di ricavarne un profitto
in modo illecito.
Un altro problema, associato alla distinzione fra adattamenti primari e secondari,
è che questi due modi di adattamento non esauriscono tutte le possibilità
in questo senso; per ottenere un quadro generale dovremmo introdurne altre.
In qualsiasi direzione un'organizzazione faccia pressione su coloro che vi partecipano,
questi possono dimostrare nei suoi confronti uno zelo ed un attaccamento maggiore
di quanto non sia loro richiesto o, talvolta, di quanto non sia desiderato dagli
stessi dirigenti. Un parrocchiano potrebbe trovarsi a vivere troppo in chiesa
e per la chiesa; un giovane ufficiale può insistere nel voler affondare
con la nave. Il problema tuttavia non sembra molto grave, a parte forse il caso
di internati di prigioni, ospedali psichiatrici, caserme, collegi, e case di
riposo per anziani, i quali rinuncino alla loro dimissione. Analiticamente,
però, possiamo vedere che, come ci saranno sempre persone che non aderiscono
sufficientemente all'entità sociale cui appartengono, troveremo sempre
persone che creano difficoltà in un'organizzazione, per il fatto di adeguarvisi
con troppo zelo.
Infine, come vedremo più oltre, l'ideologia ufficiale secondo cui si
muove un'istituzione può essere, in pratica, poco rispettata; mentre
una linea semiufficiale può essere tanto saldamente e profondamente radicata,
che si devono analizzare gli adattamenti secondari relativi a questo sistema
autorizzato, ma non del tutto ufficiale.
2.
Dovrebbe risultare abbastanza evidente che gli adattamenti primari e secondari
sono definizioni sociali, e che un adattamento ed un incentivo riconosciuti
come legittimi in un periodo in una data società, possono non esserlo
più in un momento storico diverso o in una diversa società. Un
detenuto americano che fa in modo di passare la notte insieme con la moglie,
dentro o fuori la prigione, ottiene qualcosa di molto importante nel campo degli
adattamenti secondari (28); un detenuto di una prigione messicana fa esplicitamente
assegnamento su questo adattamento, come parte del minimo garantito dall'istituzione;
si tratta di un adattamento primario alla situazione. Nei campi di internamento
americano, il fatto di ricorrere ad una prostituta non è considerato
un bisogno che l'istituzione debba rispettare; alcuni campi di concentramento
tedeschi, invece, avevano questa veduta più larga dei bisogni essenziali
e necessari degli uomini (29). Nel secolo diciannovesimo, la marina americana
riconosceva ai suoi uomini il bisogno di bere e serviva loro il grog ogni giorno;
il che oggi sarebbe considerato un adattamento secondario. D'altra parte Melville
ci racconta che, in marina, i giochi ricreativi (come per esempio gli scacchi)
da farsi nel tempo libero, venivano considerati un privilegio speciale (30);
oggi, sulle navi, i giochi fatti durante la libera uscita sono considerati un
diritto ovvio e naturale. Nell'attuale industria inglese, una giornata di lavoro
di otto ore, con un'ora libera per il pranzo e dieci minuti di interruzione
per il tè o il caffè, è perfettamente in linea con l'idea
corrente di una persona che lavora. Nel 1830 alcune filande inglesi presumevano
che gli operai non avessero bisogno di aria fresca né di acqua da bere,
tanto che venivano multati qualora fossero stati colti in fallo nel momento
in cui tentavano di soddisfare questi bisogni, durante l'orario di lavoro (31).
A quel tempo, in Inghilterra, alcuni dirigenti di fabbrica giudicavano gli operai
in termini di resistenza, nel senso che li stimolavano a lavorare tanto più
a lungo e tanto più sodo, quanto era compatibile con il fatto che avrebbero
dovuto lavorare anche il giorno successivo.
La punizione fisica è un buon esempio di una pratica che implica, chiaramente,
un insieme di credenze relative al "sé" della persona punita;
pratica soggetta ad una grande quantità di mutamenti. Nel sesto secolo
san Benedetto, a proposito di ciò che doveva essere fatto a coloro che
commettevano qualche errore cantando in cappella, stabili che i ragazzi dovessero
ricevere una punizione corporale (32). Questo concetto di come imporre l'obbedienza
a ragazzi disobbedienti, si è mantenuto particolarmente costante nella
società occidentale. Solo negli ultimi decenni le scuole americane hanno
incominciato a considerare i ragazzi come oggetti che potevano essere picchiati
a scopo correttivo solo dai genitori. Nell'ultima metà del secolo, anche
la nostra marina ha incominciato a ritenere che i marinai, in quanto «esseri
umani» con un minimo di dignità, non dovessero essere soggetti
alla frusta, come forma di punizione. Attualmente si va seriamente riesaminando
l'isolamento come punizione nelle carceri, dato che si va sempre più
diffondendo la convinzione che esso sia contrario alla nostra natura, e che
perciò non dovrebbe essere imposto.
Le credenze religiose ci consentono di analizzare un'altra condizione di colui
che fa parte di un'organizzazione. Nella nostra società non esiste un'istituzione
chiusa che non segua l'osservanza del shabbat [giorno di riposo], il che implica
il riconoscimento del bisogno naturale dell'uomo di disporre di tempo da dedicare
alla preghiera, qualsiasi cosa egli abbia fatto; si ritiene cioè che
siamo in possesso di una attitudine religiosa inalienabile. Questo assunto di
partenza è ciò che sta alla base, nel commercio e nell'industria,
della concessione della domenica libera e di alcune feste annuali religiose.
In qualche paese dell'America Latina, infatti, le organizzazioni di lavoro devono
tenere in grande considerazione tutto ciò che riguarda la natura religiosa
dell'uomo. Coloro che assumono lavoratori indiani dell'Ecuador, per esempio,
dovranno concedere un terzo dell'anno libero per la celebrazione orgiastica
di varie «fiestas» e di avvenimenti personali, che rivestono un
carattere sacro (33).
Anche nello stesso tipo di organizzazioni, nella medesima società e nello
stesso tempo, vi possono essere differenze apprezzabili nella linea di confine
fra gli adattamenti primari e quelli secondari. Il termine «privilegi
locali» sembra riferirsi a mezzi e finalità che le persone di un
quartiere riterranno come garantiti e a loro legittimamente dovuti, mentre ad
altre al di là della strada saranno ufficialmente negati; così
come all'interno della stessa organizzazione vi possono essere evidenti sfasature
di tempo. Per esempio, nella Germania nazista, un'organizzazione ufficialmente
proibita di internati che tentavano di controllare un campo di concentramento,
venne più tardi ufficialmente accettata (34); nello stesso modo in cui,
negli Stati Uniti, i promotori di organizzazioni, in stabilimenti e fabbriche,
ne divennero, alla fine, membri della commissione interna ufficialmente riconosciuti.
Ad ogni modo dovrebbe risultare evidente che, all'interno di una data organizzazione,
ciò che è un adattamento primario per una categoria di partecipanti,
può risultare un adattamento secondario per un'altra, come quando i cuochi
militari riescono, regolarmente, a mangiare oltre il loro rancio, o una cameriera
beve di nascosto i liquori dei padroni di casa e una baby sitter usa il luogo
di lavoro per dare una festa.
Oltre a queste varianti dobbiamo notare, nelle organizzazioni, una tendenza
a modificare gli adattamenti secondari, non solo aumentando la disciplina, ma
anche legittimando selettivamente queste pratiche, sperando in tal modo di riottenere
il controllo e la sovranità, anche a costo di rinunciare ad alcuni obblighi
da parte dei partecipanti. Le istituzioni familiari non sono le sole in cui
ci sia una regolarizzazione, attraverso il matrimonio, di una precedente situazione
irregolare. Quando si apprende qualcosa sul ruolo di un adattamento secondario,
si verrà a conoscere anche qualcosa sulle conseguenze prodotte dal tentativo
di legalizzarlo.
3.
Sebbene abbia finora considerato gli adattamenti secondari, solo in relazione
all'organizzazione formale di cui l'individuo fa parte, è chiaro che
questi adattamenti possono presentarsi - e si presentano - in stretta connessione
con i legami che l'individuo conserva con altri tipi di entità sociali.
Sotto questa luce possiamo considerare il bere in rapporto ai valori sostenuti
da una città «a regime secco» (35), i movimenti clandestini
in rapporto allo stato, le relazioni sessuali in rapporto alla vita matrimoniale,
e diverse attività losche in rapporto al mondo legale degli affari e
degli assestamenti di proprietà (36). Analogamente, altre entità,
diverse dalle organizzazioni chiuse da mura, tentano di mantenere un controllo
su chi ne fa parte, riconoscendo alcuni adattamenti secondari, come primari.
Si può citare un esempio di amministrazione cittadina:
"In questo periodo estivo, la nostra [città di New York] forza di polizia, assistita dal personale del dipartimento dei pompieri, delle aziende dell'acqua, del gas, e della elettricità, è abitualmente occupata in estese scaramucce locali con i ragazzi che rovinano gli idranti antincendio per fabbricarsi delle docce. E' una pratica che è andata aumentando negli anni, e le misure punitivo-preventive si sono mostrate per la maggior parte inutili. Come risultato la polizia, i pompieri e i dipartimenti dell'acqua tentano di divulgare una sorta di benevolo compromesso, per mezzo del quale sperano di placare i ragazzi della città, senza mettere inutilmente a repentaglio il suo rifornimento d'acqua. Secondo questo piano ogni «rispettabile gruppo o individuo» (vengono investigati molto bene dalla polizia) può richiedere una speciale cuffia idrante che assomiglia ad una cuffia banale tranne che è arancione e con una cinquantina di fori, così da permettere all'acqua di un idrante di zampillare come una doccia in modo ordinato, contenuto ma, si spera, soddisfacente" (37).
Qualunque sia l'entità sociale, in relazione alla quale si vogliono
considerare gli adattamenti secondari, dovremo probabilmente riferirci ad unità
più vaste, poiché dobbiamo considerare sia il luogo nel quale
l'adattamento secondario si verifica, che la «regione di origine»
dalla quale provengono coloro che lo mettono in atto. Nel caso dei bambini che
rubano i biscotti dalla scatola della mamma e li vanno a mangiare in cantina,
queste distinzioni non sono né evidenti né importanti, dato che
la famiglia è l'organizzazione direttamente coinvolta, la regione dalla
quale provengono coloro che agiscono e, più o meno, il luogo dove accade
il misfatto. Ma in altri casi, l'organizzazione in sé non è l'unica
presa in causa. I ragazzi di un intero quartiere possono raccogliersi in una
casa vuota per dedicarsi ad attività proibite nelle loro case; così
come le piccole piscine costruite alla periferia di alcune cittadine possono
fornire il luogo da cui sono attratti i giovani della città dove abbandonarsi
a comportamenti proibiti. Ci sono zone cittadine, talvolta chiamate «luoghi
di perdizione», che attraggono fuori casa alcuni mariti da ogni parte
della città; e alcune città, come Las Vegas e Atlantic City, diventano
loro stesse luoghi di corruzione per l'intera nazione.
L'interesse per il luogo nel quale si attuano gli adattamenti secondari e per
la regione dalla quale provengono coloro che li praticano, sposta il punto focale
dell'attenzione dall'individuo e dalle sue azioni particolari, al piano collettivo.
Nel caso di un'organizzazione formale, come un'istituzione sociale, lo spostamento
corrispondente si effettuerebbe da un adattamento secondario dell'individuo,
all'intero sistema di adattamenti che coloro che fanno parte dell'organizzazione
sostengono individualmente e collettivamente. Queste pratiche messe insieme
comprendono ciò che può essere chiamato la vita sotterranea di
un'istituzione, essendo, per un'istituzione sociale, ciò che il mondo
della malavita è per una città.
Ritornando all'organizzazione sociale, un'importante peculiarità degli
adattamenti primari è il loro contributo alla stabilità dell'istituzione:
il partecipante che si adatta all'organizzazione secondo questa modalità,
continuerà, molto probabilmente, a farne parte finché l'organizzazione
vorrà che lo faccia, e, se se ne andrà prima, se ne andrà
in modo da facilitare la sua sostituzione. Questo aspetto degli adattamenti
primari ci porta a distinguere due tipi di adattamenti secondari: primo, quelli
"disorganizzativi", dove l'intenzione concreta dei partecipanti è
di abbandonare l'organizzazione, o di alterarne radicalmente la struttura, portando,
in entrambi i casi, ad una rottura nell'equilibrio dell'organizzazione stessa;
secondo, quelli "repressi" che dividono, con gli adattamenti primari,
la caratteristica di adeguarsi alle strutture istituzionali già esistenti,
senza apportare alcuna pressione verso un mutamento radicale (38) e che possono,
di fatto, avere la funzione ovvia di far deviare le azioni, che altrimenti potrebbero
risultare disorganizzative. Le parti sistematizzate e codificate della vita
sotterranea di un'organizzazione, tendono perciò ad essere composte,
primariamente, di adattamenti repressi e non disorganizzativi.
Gli adattamenti secondari disorganizzativi sono stati studiati nei drammatici
processi di unificazione e di infiltrazione dei governi. Poiché gli adattamenti
secondari disorganizzativi sono, per definizione, atteggiamenti temporanei (come
nel caso della preparazione di una rivolta), il termine adattamento può
non essere esattamente pertinente.
Mi atterrò quindi, principalmente, all'analisi degli adattamenti secondari,
riferendoli semplicemente come «pratiche». Sebbene la forma assunta
da queste pratiche sia spesso simile a quella degli adattamenti secondari disorganizzativi,
le finalità sono tipicamente diverse, e c'è la possibilità
che soltanto una o due persone vi siano coinvolte - come nel caso di guadagni
personali non necessariamente clandestini. Gli adattamenti secondari repressi
sono abitualmente definiti in modo diverso, a seconda dell'entità sociale
in rapporto alla quale essi vengono attuati. Le nostre principali fonti riguardanti
queste pratiche, ci provengono dallo studio dei rapporti umani nell'industria
e dagli studiosi del mondo carcerario, i quali ultimi usano termini come «adattamenti
informali» o «adattamenti da galera» (39).
L'uso individuale di un adattamento secondario è, inevitabilmente, una
questione socio-psicologica, dato che consente gratificazioni che non potrebbero
essere ottenute altrimenti. Ma ciò che un individuo riesce a «ricavare»
da una pratica, non è forse la prima preoccupazione del sociologo. Da
un punto di vista sociologico, il primo requisito di un adattamento secondario
non è ciò che tale adattamento riesce a procurare a colui che
lo mette in atto, ma piuttosto il carattere delle relazioni sociali richieste
dalla sua acquisizione e dal suo mantenimento. Il che costituisce un punto di
vista strutturale opposto a quello funzionale o socio-psicologico. Dati un individuo
e uno dei suoi adattamenti secondari, si può incominciare con la nozione
astratta dell'insieme completo degli altri individui, coinvolti nella medesima
pratica, e di là procedere sistematicamente nel considerare le caratteristiche
di questo insieme: la sua ampiezza, la natura del legame che unisce coloro che
vi partecipano e il tipo di sanzioni che assicurano il mantenimento del sistema.
Successivamente, dato un insieme associato a qualsiasi adattamento secondario
individuale, si può procedere nel ricercare in quale proporzione sia
la presenza di persone di questo tipo nell'istituzione, e quante siano coinvolte
in sistemi analoghi, per arrivare così a misurare una sorta di «saturazione»,
che può verificarsi in una data pratica.
4.
Possiamo incominciare ad esaminare gli adattamenti secondari - le pratiche cioè
che costituiscono la vita sotterranea delle istituzioni sociali - notando che
essi si verificano con frequenza diversa, in forme diverse, a seconda del posto
occupato nella gerarchia dell'organizzazione da coloro che li praticano. Le
persone al livello più basso di una grande organizzazione operano, generalmente,
in un ambiente squallido, in contrasto al quale coloro che occupano un posto
più elevato realizzano i loro incentivi interni, con la soddisfazione
di ricevere favori evidenti, che altri invece non ricevono. Il personale meno
qualificato tende ad essere meno impegnato ed emotivamente legato all'organizzazione
di quanto non siano i suoi esponenti più importanti: fa un lavoro e non
una carriera. Di conseguenza è probabile faccia largo uso di adattamenti
secondari. Sebbene le persone che sono a capo dell'organizzazione siano, con
molta probabilità, motivate da valori comuni, i loro particolari doveri,
in quanto rappresentanti dell'organizzazione, li porteranno con molta probabilità
a viaggiare, a divertirsi, a partecipare a cerimonie - adottando cioè
quella classe speciale di adattamenti secondari, recentemente evidenziata nelle
descrizioni dei «conti spese» di rappresentanza. Forse gli adattamenti
secondari sono meno facilmente riscontrabili nei livelli intermedi dell'organizzazione.
Ed è forse qui che le persone si avvicinano maggiormente a ciò
che l'organizzazione si aspetta che siano, come è qui che si possono
attingere i modelli di buona condotta per l'edificazione e l'ispirazione di
quelli più disonorevoli (40).
Il carattere degli adattamenti primari digerirà naturalmente in modo
analogo a seconda del grado di chi li mette in atto. A coloro che sono al livello
più basso della gerarchia non si richiede di gettarsi nell'organizzazione
o di «portarsela a casa»; ma le figure responsabili avranno invece
l'obbligo di identificarvisi. Per esempio, un inserviente di un ospedale psichiatrico
di stato che lascia il lavoro appena finito il turno, agisce in modo legittimo
nel senso che, così facendo, esprime il carattere datogli dall'organizzazione
stessa; se invece il capo di un dipartimento dà l'impressione di dedicarsi
al lavoro esattamente dalle 9 alle 5, può venir considerato dalla direzione
un peso morto, cioè una persona che non si adegua al modello di dedizione
che ci si aspetta da un medico. Analogamente, un inserviente che legge il giornale
durante le ore di lavoro nel reparto, può essere ritenuto in pieno diritto
di farlo, finché nessun dovere immediato lo richiami; ma un infermiere
che faccia altrettanto, probabilmente commetterebbe un'infrazione, poiché
si tratta di un comportamento «non professionale».
L'aumento sotterraneo degli adattamenti secondari differisce, per estensione,
anche in relazione al tipo di istituzione.
Quanto più è breve il periodo di tempo che una data categoria
di partecipanti ad un'organizzazione passa ininterrottamente sul luogo di lavoro,
tanto più si presume sia possibile alla direzione mantenere un programma
di attività e di motivazioni accettati dai partecipanti . Così,
in quelle organizzazioni il cui scopo sia la vendita di un oggetto usuale come
le sigarette, i clienti completano il ciclo di acquisto, senza deviare molto
dal ruolo per loro programmato - eccetto forse nel richiedere o nel negare la
cordialità di un momento. Le organizzazioni che obbligano i partecipanti
a «vivere all'interno dell'istituzione» saranno, con molta probabilità,
ricche di vita sotterranea, poiché quanto più tempo viene programmato
dall'organizzazione, tanto meno sarà probabile che venga programmato
con successo.
Anche nelle organizzazioni in cui il reclutamento sia involontario, la recluta,
almeno inizialmente, può non sentirsi in armonia con le definizioni del
"sé" ufficialmente valide per persone nella sua condizione,
così che si orienterà verso attività non riconosciute come
legittime.
Infine, come è già stato suggerito in precedenza, le organizzazioni
che non provvedono incentivi esterni apprezzabili, non concordando su ciò
che sembra l'Adamo nell'uomo, troveranno l'esistenza di qualche incentivo esterno,
sviluppatosi non ufficialmente.
Le condizioni capaci di promuovere una vita sotterranea attiva, sono tutte presenti
in un'istituzione che, attualmente, è oggetto di considerevoli attenzioni:
l'ospedale psichiatrico. E' mia intenzione considerare qui alcuni dei temi principali,
ricorrenti negli adattamenti secondari, che ho individuato in un anno di studio
e di osservazione partecipe della vita dell'internato, in un ospedale psichiatrico
statale di oltre settemila pazienti, che da ora in poi chiamerò «Ospedale
Centrale» (41).
Le istituzioni del genere degli ospedali psichiatrici, sono di tipo «totale»,
nel senso che l'internato vive tutti gli aspetti della sua vita nell'edificio
ospedaliero, in stretto contatto con altri individui che sono stati, come lui,
tagliati fuori dal mondo esterno. Queste istituzioni tendono a comprendere due
ampie categorie, differentemente dislocate, di partecipanti: il personale curante
e gli internati) i cui adattamenti secondari conviene analizzare separatamente.
Si potrebbe dire qualcosa sugli adattamenti secondari dello staff nell'Ospedale
Centrale. Per esempio, il personale curante faceva occasionalmente uso di pazienti
come bambinai (42), giardinieri, e uomini di fatica (43). Pazienti con il permesso
di uscire dall'ospedale venivano talvolta mandati, per commissioni, da parte
dei medici e degli infermieri. Gli inservienti pretendevano di mangiare il cibo
dell'ospedale anche se non era permesso, e si sapeva che quelli che lavoravano
nelle cucine lo «dispensavano liberamente». Il garage dell'ospedale
era talvolta usato per riparare e sostituire pezzi delle automobili del personale
curante (44). Un inserviente del turno di notte spesso faceva un'altra attività
di giorno, ed esigeva di dormire durante il turno di lavoro, domandando qualche
volta ad altri sorveglianti o a qualche paziente amico, di dargli un segnale
di avvertimento, per poter dormire con tutta tranquillità (45). Secondo
quanto dice un paziente, si sono verificate anche due o tre faccende piuttosto
losche come quella di usare i fondi del bar gestito da pazienti mutacisti, per
l'acquisto di oggetti che gli inservienti si dividevano o consumavano personalmente.
Io penso che questi adattamenti secondari, da parte dei dipendenti dell'Ospedale
Centrale, possono venire considerati di poca importanza. Elaborazioni molto
più estese di vita sotterranea possono essere individuate in molti altri
ospedali psichiatrici (46), ed in altre istituzioni, come ad esempio negli insediamenti
militari. Inoltre, queste pratiche nell'Ospedale Centrale dovrebbero essere
valutate insieme con un gran numero di esempi di persone, appartenenti allo
staff, che dedicavano invece tempo ed attenzione alle attività ricreative
dei pazienti durante le loro ore libere, dimostrando così una dedizione
al lavoro che superava quella richiesta dall'istituzione. Io quindi non prenderò
qui in considerazione quella parte degli adattamenti secondari, usualmente praticati
dai subordinati in organizzazioni di lavoro, come la riduzione del rendimento
(47), qualche lavoro extra, qualche riparazione (48), il controllo complice
nel rapporto di produttività (49), limitandomi a suggerire che la minuziosa
e sensibile attenzione prestata da studiosi come Donald Roy e Melville Dalton,
nel riportare queste tecniche di adattamento, può servire di modello
per gli studiosi di altre istituzioni.
Considerando gli adattamenti secondari dei pazienti mentali dell'Ospedale Centrale,
citerò, dov'è possibile, pratiche parallele riscontrate in altri
tipi di istituzioni, ed userò un'analisi tematica di adattamenti secondari
che ritengo possa applicarsi a tutte le istituzioni. Sarà quindi coinvolta
un'unione informale, della storia del caso ed un approccio comparato, talvolta
enfatizzando maggiormente i termini di confronto rispetto all'ospedale psichiatrico
preso in esame.
Dal punto di vista dell'ideologia psichiatrica, non esistono evidenti adattamenti
secondari possibili per gli internati: qualunque cosa sia costretto a fare un
paziente, può essere considerato come parte del suo trattamento o dell'intendimento
custodialistico dell'istituzione; qualunque cosa faccia il paziente, spontaneamente,
può essere considerato come sintomo del disturbo di cui soffre e del
suo stato di convalescenza. Un criminale confesso, il quale preferisca essere
ricoverato in un ospedale psichiatrico, piuttosto che finire in galera, può
essere creduto, per questa sua preferenza, realmente bisognoso di cure; così
come sotto le armi colui che simula sintomi mentali può essere ritenuto
realmente malato, anche se non proprio affetto dal tipo di disturbi che simula.
Analogamente, un paziente che si sistema in ospedale, ritenendolo una buona
soluzione, può essere visto non tanto come una persona che abusa di un
luogo di trattamento, quanto piuttosto come un individuo realmente malato, dato
che sceglie questo tipo di adattamento.
In generale, gli ospedali psichiatrici non funzionano in base ad un'ideologia
psichiatrica, ma secondo il «sistema di reparto». Le condizioni
di vita drasticamente ristrette, sono imposte per mezzo di punizioni e premi,
espressi più o meno nel linguaggio delle istituzioni penali. Questo insieme
di azioni e di parole è usato da quasi tutti i sorveglianti e ad un grado
considerevole dal livello più qualificato dello staff, in particolare
per ciò che riguarda i problemi organizzativi quotidiani. Lo schema disciplinare
di riferimento si colloca fuori del sistema relativamente ricco di mezzi e di
fini che i pazienti possono ottenere legittimamente, e, in contrasto con lo
sfondo di questo sistema (autorevole ma non del tutto ufficiale), un gran numero
di attività del paziente diventa di fatto illecito e non tollerabile.
Il tipo di vita concesso ai pazienti in certi reparti, è così
vuoto che qualsiasi movimento facciano potrà probabilmente portare una
soddisfazione imprevista.