"Le fonti".
Ora considererò le fonti degli oggetti che i pazienti usano nei loro adattamenti secondari.
1.
La prima cosa da notare è la prevalenza di usi individuali ricavati da
oggetti disponibili. In ogni istituzione sociale coloro che vi fanno parte usano
gli oggetti accessibili in un modo e per un fine non ufficialmente previsto,
modificando così le condizioni di vita programmate per loro. In ciò
può essere compresa la ricostruzione fisica dell'oggetto o semplicemente
un modo illegittimo di usarlo: in entrambi i casi si tratta di esempi casalinghi
del tema di Robinson Crusoe. I casi più ovvi ci provengono dalle carceri
dove, per esempio, si ricava un coltello da un cucchiaio, inchiostro per disegno
dalle pagine di un giornale illustrato (50), i quaderni sono usati per scrivere
le scommesse (51) e le sigarette vengono accese in tutti i modi - provocando
un cortocircuito (52), con un accendino fatto in casa (53), o un fiammifero
tagliato in quattro (54). Mentre molte complesse pratiche sottendono questo
processo di trasformazione, esso può essere individuato più chiaramente
nel caso in cui colui che lo mette in atto non sia coinvolto con altri (tranne
nel momento in cui impara o insegna la tecnica) e consumi da solo ciò
che si è appena costruito.
Nell'Ospedale Centrale erano tacitamente tollerati molti semplici usi personali
di oggetti accessibili. Ad esempio, gli internati facevano largo uso dei radiatori
liberi per asciugare le cose personali che lavavano nel lavandino del bagno,
dando così lo spettacolo di un ciclo di lavanderia personale, che avrebbe
invece dovuto fare ufficialmente parte dei compiti dell'istituto. Nei reparti
arredati con panche dure, i pazienti talvolta si portavano appresso i giornali
arrotolati da mettere sotto il collo, quando si stendevano. Cappotti arrotolati
ed asciugamani venivano usati nello stesso modo. Pazienti con esperienza in
altre istituzioni carcerarie, usavano, a questo scopo, un oggetto anche più
efficace, una scarpa (55). Nel trasferirsi da un reparto all'altro, i pazienti
trasportavano talvolta i loro averi in una federa di cuscino annodata in cima,
il che pare sia una pratica semiufficiale in molte prigioni (56). I pochi degenti
anziani che avessero la fortuna di usufruire di una stanza da letto singola,
mettevano qualche volta un asciugamano sotto il sostegno della brocca per lavarsi,
trasformando il sostegno in un leggio, e l'asciugamano in un tappeto per proteggersi
i piedi dal freddo del pavimento. I pazienti più vecchi che non avevano
voglia o non erano in grado di camminare, talvolta usavano strategie particolari
per evitare di andare al gabinetto: nel reparto si poteva urinare sul radiatore
caldo senza lasciare tracce che durassero a lungo; durante le visite bisettimanali
al barbiere, al primo piano, il bidone che serviva per gli asciugamani sporchi
veniva usato come urinatoio, quando i sorveglianti non vedevano. Pazienti di
tutte le età del reparto regrediti, a volte portavano in giro bicchieri
di carta da usare come sputacchiere o portaceneri portatili, dato che i sorveglianti
erano spesso più interessati nel tenere i pavimenti puliti, che non nel
far evitare di sputare o fumare (57).
Nelle istituzioni totali, l'uso personale di oggetti disponibili tende a concentrarsi
in aree particolari. Una di queste consiste nel riordinamento della propria
persona - la fabbricazione cioè dei mezzi che consentano di presentare
agli altri un'immagine di sé decorosa. Si diceva, ad esempio, che le
suore avessero messo un grembiule nero dietro ad una finestra per ricavarne
uno specchio, dato che lo specchio è un mezzo abitualmente loro negato,
che permette di esaminare, correggere, o approvare la propria immagine (58).
Nell'Ospedale Centrale la carta igienica a volte era «organizzata»:
tagliata bene, ripiegata e tenuta in tasca veniva usata come Kleenex da qualche
paziente schizzinoso.
Nello stesso modo durante i mesi caldi d'estate, alcuni pazienti si tagliavano
e riducevano i calzoni cachi forniti dall'ospedale, in apparenti calzoni corti
estivi.
2.
Il semplice uso personale di oggetti accessibili ora citato, è caratterizzato
dal fatto che, per usarli, occorre essere relativamente coinvolti e interessati
nel mondo ufficiale istituzionale. Considero ora una serie di pratiche che implicano
una maggior partecipazione al mondo legale dell'istituzione. Il significato
dell'attività legittima può essere conservato, ma può arrivare
ad oltrepassare la meta prefissa; si assiste ad una sorta di ampliamento o elaborazione
delle fonti di soddisfazioni illegittime, o alla utilizzazione, a fini personali,
di interi cicli di attività ufficiali. In questo caso parlerò
di «lavorarsi» il sistema.
Forse il modo più elementare di lavorarsi il sistema dell'Ospedale Centrale
era quello dei pazienti più regrediti che richiedevano una visita medica,
o rifiutavano di sottostare agli ordini disciplinari del reparto, evidentemente
per attirare l'attenzione dell'infermiere o del medico, costringendoli in un
rapporto sociale, seppure di carattere disciplinare.
La maggior parte delle tecniche usate nell'ospedale, per lavorarsi il sistema,
non sembrava tuttavia strettamente legata alla malattia mentale. Ne è
un esempio l'insieme complicato di pratiche che concernono il procurarsi il
cibo. In un grande refettorio dove novecento pazienti di un intero dipartimento
(59) maschile di cronici mangiavano a turno, qualcuno si portava il condimento
per rendere più saporito il suo piatto, a seconda del proprio gusto personale;
zucchero, sale, pepe e salse piccanti venivano trasportati in bottigliette,
tenute in tasca della giacca. Quando veniva servito il caffè nelle tazze
di carta, i pazienti a volte si proteggevano le mani dal calore, inserendo la
loro tazza in una seconda tazza di carta. Nei giorni in cui erano distribuite
le banane, alcuni portavano via una tazza di latte dal recipiente riservato
a quelli che erano in dieta, le tagliavano a fettine, mettevano un po' di zucchero
e mangiavano di gusto il loro dessert «personale». Nei giorni in
cui il cibo era buono e facilmente trasportabile, per esempio quando venivano
serviti salsiccia o fegato, alcuni pazienti avvolgevano la loro parte in un
tovagliolo di carta e ritornavano per un secondo turno, portandosi il primo
in reparto per uno spuntino notturno. Nei giorni in cui veniva distribuito il
latte, alcuni portavano delle bottiglie vuote, così potevano tenersi
un po' di latte in reparto. Se si voleva ancora un po' di un dato cibo del menù,
la tecnica era mangiare solo quello, buttare il resto del piatto nella pattumiera,
e ritornare (quando era permesso farlo) per un secondo turno. Alcuni pazienti
cui era concessa una certa libertà all'interno dell'ospedale, che fossero
assegnati ad un dato refettorio, per la cena d'estate, mettevano il formaggio
fra due fette di pane, incartavano il sandwich e se lo mangiavano in pace fuori,
nel bar dell'ospedale, prendendo una tazza di caffè. Altri che potevano
uscire in città, talvolta compravano focacce o gelato nel magazzino locale.
Nella sala da pranzo più piccola di un altro dipartimento, i pazienti
che (giustamente) temevano che non ci sarebbe stato a lungo disponibile un altro
secondo, a volte toglievano la loro porzione di carne dal piatto, la mettevano
fra due pezzi di pane, la lasciavano al loro posto e subito si rimettevano in
fila per averne un secondo turno. Talvolta succedeva però che questi
pazienti, così oculati, tornassero al loro posto trovando che un altro
internato si era già mangiato il loro primo piatto, ingannando l'ingannatore
con una fatica molto relativa.
Per poter lavorare un sistema in modo efficace bisogna conoscerlo intimamente
(60), ed era facile vedere questo tipo di conoscenza messo in opera nell'ospedale.
Per esempio, era noto ai pazienti che potevano girare liberamente che, alla
fine delle rappresentazioni di beneficenza, sarebbero state probabilmente distribuite
alla porta del teatro sigarette e caramelle quando il pubblico usciva. Annoiato
da alcuni di questi spettacoli, qualche paziente veniva pochi minuti prima della
fine, in modo da uscire con i compagni; altri ancora riuscivano a ritornare
in fila varie volte, traendo dall'occasione i maggiori vantaggi possibili. Lo
staff naturalmente conosceva queste pratiche, e coloro che arrivavano in ritardo
ad alcune feste danzanti organizzate per tutto l'ospedale, venivano chiusi fuori,
dato che si sapeva sarebbero arrivati giusto in tempo per mangiare e andarsene.
Era risaputo che le donne del servizio di beneficenza ebraico distribuivano
il pranzo dopo il servizio settimanale della mattina; e un paziente disse che,
arrivando al momento giusto, si poteva avere il pranzo senza assistere al servizio.
Un altro degente, al corrente del fatto, poco noto, che l'ospedale disponeva
di una squadra di cucitrici per riparare i vestiti, portava direttamente lì
i suoi e riusciva ad avere camicie e pantaloni perfettamente rigovernati, ricambiando
con un pacchetto o due di sigarette o una piccola somma di denaro.
Gli orari influivano in altri modi di lavorarsi l'ospedale. Per esempio vecchi
giornali e libri tascabili donati dalla Croce Rossa, venivano distribuiti, una
volta alla settimana, per mezzo di un camioncino, al centro sociale dislocato
all'interno dell'ospedale, da parte della biblioteca il cui materiale poteva
essere dato direttamente ai pazienti o ai reparti. Alcuni lettori avidi, conoscevano
i movimenti esatti del furgoncino ed aspettavano la sua venuta in modo da avere
la prima scelta. Altri che conoscevano l'orario dei giri sotterranei del cibo,
da una delle cucine centrali ad un dipartimento per cronici, si fermavano a
volte nelle vicinanze delle zone piane dei percorsi, sperando di rubacchiare
qualcosa sui vagoni mobili. Un altro esempio ha a che fare con l'ottenere informazioni.
Il pasto servito in uno dei grandi refettori per i pazienti, veniva prima distribuito
ad un gruppo di malati anziani che non uscivano dal reparto. I pazienti ambulatoriali
che volevano sapere se conveniva andare a pranzo in refettorio o comperare un
sandwich al bar, guardavano regolarmente attraverso la finestra di questo reparto,
al momento giusto, per sapere qual era il menù.
Un altro esempio istituzionale di lavorarsi il sistema, era scavare fra i rifiuti.
Alcuni degenti facevano il giro dei luoghi dove veniva scaricata la spazzatura,
vicino al loro dipartimento, poco prima che venisse portata via. Frugavano fra
gli strati superiori delle immondizie, raccolte nelle grandi scatole di legno,
alla ricerca di cibo, riviste, giornali, ed altri rifiuti che potevano risultare
interessanti a questi collezionisti, data la scarsità di mezzi di cui
dispongono e la necessità di pregare umilmente un inserviente o un infermiere
per ottenerli; è questo infatti l'unico sistema per poter disporre di
tali oggetti in modo legittimo (61). I piattini usati dallo staff come portacenere,
nei corridoi degli uffici amministrativi di alcuni dipartimenti, venivano sistematicamente
frugati alla ricerca di cicche ancora sfruttabili. Anche nelle comunità
aperte vi sono, naturalmente, quelli che frugano nei rifiuti, e sembra anzi
che qualsiasi grande sistema, deputato a raccogliere e distruggere oggetti usati,
offra contemporaneamente un modo perché qualcuno possa servirsene (62).
La possibilità di lavorarsi il sistema consisteva nel fatto che pochi
pazienti eccellessero nello sfruttare le situazioni, ottenendo alcuni risultati
personali che, difficilmente, potrebbero essere chiamati adattamenti secondari
abituali.
In un dipartimento con due reparti per convalescenti, uno chiuso ed uno aperto,
un paziente dichiarò di aver fatto in modo di essere trasferito dal reparto
chiuso a quello aperto, perché il panno del tavolo da bigliardo del reparto
aperto, era in condizioni migliori; un altro dichiarò di aver provocato
il suo trasferimento in senso inverso perché il reparto chiuso era «più
socievole», dato che alcuni pazienti erano forzati a restare lì.
Un altro degente, cui era concesso di uscire liberamente in città, periodicamente
veniva dispensato dall'attività che svolgeva in ospedale poiché
doveva andare in cerca di lavoro; egli dichiarò tuttavia che, una volta
in città, passava il pomeriggio al cinema.
Vorrei aggiungere che pazienti con una certa esperienza di altre condizioni
mortificanti (pazienti che in un certo senso conoscevano la situazione), dimostravano
spesso molto rapidamente di sapere lavorarsi il sistema. Per esempio un internato,
ricoverato in precedenza a Lexington, al suo primo mattino passato in ospedale,
aveva già arraffato un rifornimento di tabacco e cartine, aveva ottenuto
il lucido da scarpe e se ne era pulite due paia, aveva scoperto chi, fra gli
internati, possedeva un gran numero di gialli, si era organizzato un rifornimento
di caffè con il caffè istantaneo e il rubinetto dell'acqua calda,
si era trovato un posto nella sessione della psicoterapia di gruppo, sedendosi
vicino ed aspettando in silenzio, per alcuni minuti, prima di costruirsi ciò
che sarebbe stato il suo ruolo attivo. E' comprensibile quindi che un inserviente
abbia dichiarato «che non occorrono più di tre giorni per sapere
se un uomo se la sa cavare».
I mezzi per lavorarsi il sistema finora accennati, sono tali da dare benefici
soltanto a colui che li mette in atto o a quelli che gli sono vicini. Pratiche
che si prefiggono finalità collettive sono riscontrabili in molte istituzioni
totali (63), tuttavia questo modo collettivo di «lavorarsi» il sistema
non sembra troppo comune negli ospedali psichiatrici. Gli adattamenti secondari
collettivi, individuabili nell'Ospedale Centrale, sembravano essere sostenuti
soprattutto da quei pazienti che appartenevano al settore criminale dell'istituto
- Prison Hall - dove alloggiavano appunto quelli che erano stati dichiarati
malati criminali. Per esempio, un reparto di pazienti, ex detenuti, mandava
uno dei suoi in cucina di rifornimento, poco prima dell'ora di pranzo per portare
il cibo caldo in un vassoio coperto; altrimenti sarebbe arrivato freddo a causa
del lungo tragitto sotterraneo che doveva percorrere.
Nel considerare il processo del «lavorarsi il sistema», ci si trova
inevitabilmente ad analizzare i modi in cui lo stesso ricovero poteva venir
lavorato. Per esempio, sia lo staff che gli internati talvolta dichiaravano
che qualche paziente si ricoverava in ospedale per sfuggire alla famiglia e
alle responsabilità del lavoro (64), o per ottenere gratis alcune particolari
cure mediche e dentistiche, o per evitare una condanna (65). Non posso confermare
la validità di queste dichiarazioni. C'erano anche casi di pazienti,
cui era concesso uscire in città, che dichiaravano di usare l'ospedale
per rimettersi dalle ubriacature di fine settimana, dato che questa funzione
era evidentemente facilitata dall'efficacia dei tranquillanti come trattamento
dell'alcolismo. Altri pazienti, liberi di uscire dall'ospedale, accettavano
un compenso inferiore al minimo, per un lavoro esterno a mezza giornata, assicurandosi
di poter continuare ad usufruire di cibo e alloggio in ospedale (66).
C'erano inoltre alcuni modi meno tradizionali per mezzo dei quali i pazienti
si «lavoravano» il sistema dell'ospedale. Ogni organizzazione sociale
offre, a coloro che ne fanno parte, la possibilità di rapporti diretti
di favore, o almeno ne aumenta la probabilità, dato che l'ospedale psichiatrico,
così come le altre istituzioni, offre una base per gli adattamenti secondari.
Un gruppo di pazienti che aveva esperimentato le possibilità sociali
da sfruttare all'interno dell'ospedale, erano gli ex detenuti della Prison Hall.
Si trattava di uomini relativamente giovani che provenivano, per la maggior
parte, dalla classe operaia urbana. Una volta educati al perbenismo dell'ospedale,
potevano maggiormente disporre di lavori piacevoli, e le pazienti venivano giudicate
belle; la maggior parte degli uomini, che in altre istituzioni sarebbero stati
chiamati i leaders, provenivano da queste schiere. Un altro gruppo era formato
dai negri: alcuni di questi, se lo volevano, potevano in qualche modo attraversare
la linea di classe e di colore, flirtando e facendo la corte a pazienti bianche
(67), intrattenendo con lo staff psichiatrico conversazioni da professionisti
della classe media, trattamento questo che viene loro abitualmente negato, all'esterno
dell'ospedale. Il terzo gruppo era quello degli omosessuali: condannati per
le loro tendenze, essi trovavano li una vita di dormitorio a sesso unico, con
relative opportunità sessuali.
Uno dei modi interessanti per mezzo dei quali alcuni pazienti riuscivano a lavorarsi
il sistema dell'ospedale, aveva a che fare con la possibilità di intrattenere
rapporti amichevoli con il mondo esterno. L'interesse circa questo tipo di rapporti
risultava legato alla posizione sociale dei pazienti all'interno dell'ospedale,
e alla cultura relativa all'etichettamento di malattia. Sebbene alcuni pazienti
dichiarassero di non sentirsi a proprio agio con persone che non fossero malate,
altri, esibendo il lato opposto della medaglia, sentivano che era intrinsecamente
più sano avere rapporti con non pazienti e, inoltre, che la cosa poteva
risultare una specie di raccomandazione. C'era poi il fatto che difficilmente
le persone esterne potevano essere così offensive, come i membri dello
staff, nei confronti dei pazienti, dato che non erano a conoscenza di quanto
fosse umiliante la loro condizione.
Infine, alcuni degenti dichiaravano anche di essere stanchi di continuare a
parlare della loro reclusione e del loro caso con altri pazienti, e ritenevano
che la conversazione con persone esterne potesse essere un modo di dimenticare
la loro cultura interna (68). Il fatto di avere rapporti con il mondo esterno
poteva confermare, ai loro occhi, di non essere dei malati mentali. E' quindi
comprensibile come, all'interno dell'ospedale e nel centro sociale ricreativo,
si facesse qualche «passaggio», che serviva da importante fonte
di rassicurazione sul fatto di poter veramente confondersi con i sani e che
i sani stessi non fossero, poi, tanto intelligenti.
Nel sistema sociale ospedaliero c'erano diversi punti strategici in cui la relazione
con il mondo esterno era possibile. Alcune delle figlie adolescenti dei medici
che abitavano nell'ospedale, facevano parte, amichevolmente alla pari, di un
piccolo gruppo di pazienti che godevano di una certa libertà e di alcune
allieve infermiere che usavano abitualmente il campo da tennis dell'ospedale
(69). Durante e dopo le partite, il gruppo si fermava a sedere sull'erba li
vicina, giocando e mantenendo, in genere, un tono non ospedaliero. Analogamente,
quando qualche associazione caritativa esterna organizzava un ballo dove c'erano
alcune giovani ragazze, succedeva che uno o due pazienti si affiatassero con
loro, venendo evidentemente corrisposti in un rapporto non ospedaliero. Così,
anche nel reparto di primo accoglimento, dove le allieve infermiere seguivano
il loro tirocinio psichiatrico, alcuni giovani degenti giocavano a carte o facevano
altri giochi con loro, durante i quali si manteneva un'aria particolare da corteggiamento
e non da infermeria. Alle terapie a livello più specialistico, come il
psicodramma e la terapia di gruppo, spesso assistevano visitatori professionisti
che venivano ad osservare gli ultimi metodi e servivano come fonte di interazione
fra i pazienti e le persone normali. Per ultimo, i pazienti che facevano parte
della squadra di baseball dell'ospedale, mentre giocavano con le squadre della
comunità esterna, si trovavano nella condizione di godere dello spirito
cameratesco, che si sviluppa in un gioco fra squadre opposte e che le separa
entrambe dagli spettatori.
3.
Forse la tecnica più rilevante usata dai pazienti per «lavorarsi»
il sistema nell'Ospedale Centrale, era quella che seguivano per ottenere un
incarico «sfruttabile», cioè una particolare mansione di
lavoro, di svago, di terapia o di reparto che, da solo, poteva rendere accessibili
certi adattamenti secondari, quando non un loro intero sistema. Questo argomento
è evidente in un racconto di un ex detenuto della prigione inglese di
Maidstone:
"Tre volte all'anno nell'ufficio istruzione, alla fine di ogni trimestre, inoltravamo al commissario della prigione un rapporto sui progressi, fatti nelle varie classi. Si facevano schemi su schemi per illustrare il numero di prigionieri che seguivano corsi di questa o di quella materia. Avevamo specificato, per esempio, che una delle classi più popolari risultava un gruppo di discussione che dibatteva gli «affari in corso». Non dicemmo però che la ragione per cui la materia risultava così popolare era che la donna - piena di buone intenzioni - che presiedeva la seduta, portava ogni settimana il tabacco ai suoi studenti. La classe era immersa in una nuvola di fumo blu e mentre l'insegnante andava avanti con i suoi «affari in corso», gli studenti (vecchi galeotti, scansafatiche e degenerati) sedevano lì dietro, godendosi la loro fumata gratis" (70).
Gli incarichi possono essere scelti sapendo in precedenza l'uso che se ne vuol
fare, oppure l'uso risulta possibile dopo che l'incarico è stato ottenuto,
funzionando in tal modo come motivazione per continuare a mantenerlo. In entrambi
i casi troviamo nel «lavorarsi un incarico» una delle analogie essenziali
fra gli ospedali psichiatrici, le carceri e i campi di concentramento. Più
di quanto non riesca con il semplice fatto di ricavare un uso personale dagli
oggetti di cui dispone, l'internato rivela, alle persone in vista dell'istituzione,
che l'incarico è stato ricercato per motivi particolari, specialmente
quando si tratta di un lavoro volontario che implica una collaborazione relativamente
intima tra staff e internati; in questo caso infatti si pretende spesso uno
«sforzo sincero». In tali circostanze può apparire che l'internato
aderisca attivamente all'incarico che si è assunto e, attraverso questo,
al giudizio che l'istituzione si è fatta di lui; mentre in realtà,
il suo modo particolare di approfittare della situazione, funziona da perno
fra lui e le aspettative dell'istituzione nei suoi confronti, che sono nel frattempo
aumentate. Il fatto di accettare un incarico che, attraverso qualche espediente
avrebbe anche potuto essere rifiutato, dà infatti l'avvio ad un corteggiamento
fra internato e staff, e allo sviluppo di una disposizione dello staff verso
l'internato che quest'ultimo può compromettere, più facilmente
del solito, per mezzo della manipolazione di un'attività.
Ho già accennato al primo punto generale da notare cioè che qualora
risulti un qualche effetto da un incarico di lavoro, è probabile che
il lavoratore si trovi nella posizione di riceverne un compenso informale. Nell'ospedale,
quelli che avevano mansioni nelle cucine, erano nella possibilità di
ottenere cibo in più (71); quelli che lavoravano in lavanderia godevano
di un rifornimento più frequente di vestiti puliti; quelli che lavoravano
nel negozio di calzoleria, raramente mancavano di scarpe buone. Analogamente,
i pazienti che curavano la manutenzione del campo di tennis, si trovavano nella
condizione di giocare e con palle nuove; un aiutante volontario della biblioteca
disponeva, per primo, dei libri nuovi (72); quelli che guidavano il camioncino
del ghiaccio stavano al fresco d'estate; i pazienti impiegati nel magazzino
centrale dei vestiti, potevano vestirsi bene; quelli che andavano al bar a prendere
sigarette, caramelle o bibite per i sorveglianti, spesso ricevevano in cambio
qualcosa di ciò che erano andati ad acquistare (73).
Oltre a questo uso diretto della propria mansione, ce n'erano molti anche di
casuali (74). Per esempio alcuni pazienti facevano pressioni perché si
facessero corsi di ginnastica, dato che nella palestra si potevano usare i materassi,
relativamente soffici, per un sonnellino pomeridiano; il che è una delle
grandi aspirazioni della vita ospedaliera. Analogamente, nel reparto di primo
accoglimento, alcuni pazienti aspettavano con impazienza la rasatura bisettimanale
perché, se restava libera una sedia del barbiere, potevano riposare per
qualche minuto su una poltrona confortevole. Gli istruttori di ginnastica e
i barbieri sapevano perfettamente che non appena voltavano le spalle, alcuni
pazienti avrebbero approfittato dell'occasione traendone beneficio, dato che
questa era una opportunità ed un'usanza generale in tutto l'ospedale.
Quelli che lavoravano in lavanderia, potevano radersi nel bagno a pianterreno,
soli, con tutta calma - il che è un grande privilegio nell'ospedale.
Un anziano paziente, facente funzione di portiere all'ingresso delle abitazioni
dello staff, poteva raccogliere il cibo e le bibite che restavano dai trattenimenti
del personale curante e, di giorno, poteva passarsela tranquillamente, guardando
la televisione dello staff, una delle migliori dell'ospedale. Alcuni pazienti
mi dichiararono che avevano fatto di tutto per essere trasferiti nel reparto
medico o chirurgico, perché lì, talvolta, venivano trattati come
dei veri degenti, così come io stesso ho potuto constatare direttamente
(75). E' abbastanza interessante il fatto che alcuni internati riuscissero a
trovare dei valori nascosti perfino nell'insulinoterapia: i pazienti sottoposti
a tale trattamento potevano, infatti, restare distesi a letto tutta la mattina
nel reparto insulina, il che sarebbe risultato impossibile nella maggior parte
degli altri reparti; inoltre lì venivano trattati dalle infermiere proprio
come dei pazienti.
E' prevedibile che molte mansioni dessero agli internati la possibilità
di avere rapporti con i membri dell'altro sesso, adattamento secondario questo
che nella società civile viene attuato e parzialmente legittimato, da
molte organizzazioni ricreative e religiose. Analogamente certi incarichi rendevano
possibile a due persone, separate dalla disposizione residenziale interna dell'ospedale,
di consumare «un incontro» (76). Per esempio, alcuni pazienti venivano
un po' in anticipo al cinema e alle rappresentazioni di beneficenza, dedicandosi,
nella sala del teatro, a qualche scherzo con persone dell'altro sesso; cercavano
quindi di predisporre come sedersi vicini o, se non proprio sedersi, come stabilire
canali di comunicazione per poter continuare quest'attività durante la
rappresentazione (77). Anche i momenti di addio erano un'occasione per lo stesso
tipo di comunicazioni, e la serata assumeva allora l'aria di una funzione sociale
da piccola città. Gli incontri all'interno dell'ospedale dell'Anonima
alcolisti sembravano funzionare in modo analogo, offrendo l'occasione a pazienti,
diventati amici (erano stati chiusi lì dentro per le loro bevute) di
trovarsi una volta ogni due settimane, per scambiarsi pettegolezzi e rinnovare
il legame che li univa. La ginnastica era usata nello stesso modo. Durante un
torneo di palla a volo fra i reparti, non c'era da meravigliarsi di vedere un
giocatore correre oltre le linee del campo, al momento dell'intervallo, per
poter stringere le mani all'amica che, a sua volta, essendo stata lasciata uscire
dal reparto per assistere al gioco, era venuta, in realtà, per stringergli
le mani.
Negli ospedali psichiatrici, tendenti a provocare contatti amichevoli fra i
pazienti e a «fare incontri» sono considerate terapia. Nell'Ospedale
Centrale le forme principali di psicoterapia erano la terapia di gruppo, la
terapia di danza e il psicodramma. Tutte condotte in un'atmosfera relativamente
indulgente, tendevano a reclutare i pazienti che si rivelavano maggiormente
interessati a un contatto con il sesso opposto. Il psicodramma era particolarmente
sfruttabile in questo senso, dato che durante la rappresentazione si abbassavano
le luci; così come la terapia di danza che spesso implicava corsi di
ballo a coppie, con una persona di propria scelta.
Nell'ospedale, una delle motivazioni più comuni al cercarsi un incarico
di lavoro, era che la cosa consentiva di uscire dal reparto, sfuggendo alla
stretta sorveglianza e al disagio fisico che vi erano abituali. Il reparto funzionava
come una specie di stantuffo, che spingeva i pazienti a desiderare di partecipare
ad ogni tipo di occupazione comunitaria, facendola apparire come un vero successo
(78). Qualora qualche membro dello staff proponesse un lavoro, una terapia,
uno svago, o anche discussioni educative, si poteva garantire la partecipazione
di un'intera folla di pazienti, semplicemente perché, qualunque fosse
l'attività proposta, poteva portare un mutamento notevole nelle loro
condizioni di vita. Così, coloro che si iscrivevano alla classe d'arte,
avevano l'opportunità di lasciare il reparto, e di passare mezza giornata
in un tranquillo e fresco pianterreno, disegnando sotto l'indulgente sorveglianza
di una signora borghese che veniva a fare la sua parte di carità settimanale;
un grammofono suonava musica classica e venivano distribuite, ad ogni riunione,
caramelle e sigarette. In generale, quindi, le varie riunioni organizzate erano
quelle che procedevano liberamente in prigionia.
Mentre i sorveglianti, gli infermieri e spesso lo staff medico presentavano
apertamente i lavori di reparto (spingere lo spazzolone per le pulizie) come
uno dei mezzi principali per ottenere la promozione ad una migliore condizione
di vita, la partecipazione ad ogni forma di psicoterapia non tendeva ad essere
definita dallo staff secondo questo "quid pro quo", tanto che si poteva
ritenere la partecipazione a queste terapie di «livello più alto»,
come un adattamento secondario, qualora venissero seguite in vista di una promozione.
A ragione o no, molti pazienti sentivano anche che il fatto di parteciparvi
poteva essere considerato come la dimostrazione di aver avuto un «trattamento»,
e molti pensavano che, lasciando l'ospedale, la cosa potesse essere presentata
come la prova, per il datore di lavoro e per i parenti, di essere stati curati.
I pazienti avvertivano anche che la buona volontà dimostrata nel partecipare
a queste terapie, avrebbe coinvolto il terapista nei loro sforzi tesi a migliorare
la loro condizione di vita nell'ospedale, o alla dimissione (79). Così
per esempio quel paziente, che ho già descritto per la velocità
dimostrata nel lavorarsi il sistema ospedaliero, rispose ad un altro che gli
domandava che piani avesse per andar via di là: «amico, io partecipo
a tutto».
Com'è prevedibile, talvolta i membri dello staff erano molto contrariati
dall'uso imprevisto che veniva fatto della loro terapia. Un terapista del psicodramma
disse infatti:
"Quando vedo un paziente che viene unicamente per incontrare la sua ragazza, o per vedere qualcuno e non per presentare i suoi problemi e cercare di superarli, faccio subito una chiacchierata con lui".
Analogamente, gli psicoterapisti di gruppo trovarono necessario richiamare
i pazienti perché presentavano, nelle riunioni, lamentele sull'istituzione,
anziché i loro personali problemi affettivi.
Nell'Ospedale Centrale, uno degli interessi principali nella scelta degli incarichi
di lavoro, era il grado di contatto che essi avrebbero consentito con i livelli
più alti dello staff. Date le condizioni di base di un reparto, un paziente
che lavorava nelle vicinanze degli esponenti più importanti dello staff,
si trovava a migliorare il suo destino, poiché gli venivano garantite
le condizioni più confortevoli di vita di cui godeva il personale curante.
(Il che è stato, storicamente, un fattore determinante nel dividere i
servitori di campo da quelli di casa, e i soldati di prima linea dai soldati
di retrovia, con funzioni amministrative). Un paziente che sapesse scrivere
a macchina era perciò in una posizione ottima per passarsela bene durante
i giorni lavorativi, dato che si trovava a godere di un tipo di trattamento
privilegiato, come se non fosse un malato; il prezzo da pagare in cambio era,
come succede in questi casi, il dover sentire il modo in cui lo staff parlava
degli internati, quando non erano presenti.
Un esempio di questo tipo di adattamento era riscontrabile nei reparti peggiori
dell'ospedale, dove che aveva possibilità relativamente buone di contatto
e un certo autocontrollo, poteva scegliere di rimanere nel reparto, ottenendo
qui facilmente il monopolio dei lavori facili e i relativi vantaggi. Per esempio
un paziente che faceva in modo di restare in un brutto reparto, rifiutandosi
di parlare con lo psichiatra poteva, alla sera, usare liberamente la stanza
degli infermieri, compreso il piccolo studio annesso dove lo staff aveva comode
sedie di cuoio, un rifornimento di giornali e di libri, radio, televisione e
fiori.
"I luoghi".
1.
Sono state fin qui analizzate alcune delle fonti elementari di materiale utile
per gli adattamenti secondari nell'Ospedale Centrale. Ora voglio considerare
il problema della loro collocazione, perché se queste attività
sotterranee si verificano, devono verificarsi in qualche luogo o zona (80).
Nell'Ospedale Centrale, come in molte istituzioni totali, ogni internato trovava
abitualmente il proprio mondo diviso in tre parti, divisione che risultava analoga
per coloro che si trovavano al suo stesso livello nel sistema dei privilegi.
Primo, c'era uno spazio che era considerato fuori del limite o oltre confine.
La sola presenza di un internato in questa zona, era severamente proibita -
a meno che il paziente non fosse specificatamente «con» una persona
autorizzata, o stesse facendo qualcosa richiestagli dal reparto. Per esempio,
secondo le regole di uno dei dipartimenti maschili, la zona circostante i dipartimenti
femminili era fuori limite, probabilmente per misure di castità. Per
tutti i pazienti, tranne per quei pochi che potevano uscire in città,
oltre le mura dell'istituzione era tutto fuori limite. Così, per i pazienti
che vivevano in un reparto chiuso, ciò che era oltre il reparto, era
fuori limite e il reparto stesso lo era per pazienti che risiedevano altrove.
Molti degli uffici e dei reparti amministrativi, gli studi dei medici e, con
alcune varianti, le stanze degli infermieri nei reparti, erano fuori limite
per i pazienti. Disposizioni analoghe sono, naturalmente, riferite da altri
studi su ospedali psichiatrici:
"Quando l'incaricato [il sorvegliante] era nel suo ufficio, l'ufficio stesso e una zona di circa 6 piedi quadrati attorno ad esso, erano «fuori limite» per tutti, tranne per il gruppo principale di aiutanti di reparto, formato dai pazienti privilegiati. Gli altri pazienti non possono né fermarsi né ' sedere in questa zona. Gli stessi pazienti privilegiati possono essere mandati via con autorità decisa, qualora l'incaricato o i suoi sorveglianti lo desiderino. Quando viene imposto quest'ordine - di solito in forma paterna come «scappa via adesso» - l'obbedienza è istantanea. Il paziente privilegiato è privilegiato proprio in quanto capisce il significato di questo spazio sociale e gli altri aspetti della posizione del sorvegliante" (81).
Secondo, c'era uno "spazio di sorveglianza", dove il paziente non
aveva bisogno di giustificare la sua presenza, ma dove anche sarebbe stato soggetto
all'autorità abituale e alle restrizioni istituzionali. Quest'area corrispondeva,
per i pazienti che erano liberi di girare, a quasi tutto il terreno ospedaliero.
Infine, c'era un'area regolata da una minore autorità dello staff; sono
appunto le diversità di questo tipo di spazio, che voglio ora esaminare.
Gli aspetti evidenti di un particolare adattamento secondario possono essere
severamente proibiti in un ospedale psichiatrico, come in altre istituzioni.
Se ci sono, devono essere nascosti agli occhi e alle orecchie dello staff, il
che significa semplicemente l'allontanamento della persona da ciò che
lo staff ritiene che sia (82). L'internato può sorridere ironicamente
voltandosi a metà, masticare cibo senza dar segni di movimento della
mascella quando è proibito mangiare, nascondere una sigaretta accesa
nella mano quando non è permesso fumare, e coprire con la mano le cicche
di sigarette fumate durante una partita a poker, nel momento in cui passa per
il reparto il sorvegliante. Queste erano tattiche di dissimulazione in uso nell'Ospedale
Centrale. Un altro esempio è citato da un'altra istituzione psichiatrica:
"Il mio rifiuto totale della psichiatria che era diventata, dopo il coma, un'adorazione fanatica, ora stava entrando in una terza fase, quella del criticismo costruttivo. Mi accorsi della ottusità che mi circondava e del dogmatismo amministrativo della burocrazia ospedaliera. Il mio primo impulso fu la condanna; più tardi perfezionai un sistema per muovermi liberamente all'interno della pesante struttura della politica di reparto. Per esempio era stato sorvegliato, per molto tempo, tutto ciò che leggevo; finalmente ero riuscito a perfezionare un sistema per <tenermi al corrente> senza mettere in allarme, più del necessario, infermieri e sorveglianti. Avevo introdotto in reparto diversi numeri di «Hound and Horn» dicendo che si trattava di un giornale sui prati e ruscelli. Avevo letto <La terapia di shock> di Hoch e Kalinowski (un manuale segreto delle armi ospedaliere) quasi apertamente, dopo averlo avvolto nella copertina delle <Origini letterarie del surrealismo> di Anna Balakiana" (83).
Tuttavia, oltre a queste tecniche temporanee, elaborate per evitare la sorveglianza
istituzionale, internati e staff collaboravano tacitamente per consentire il
formarsi di spazi fisicamente delimitati, nei quali fosse notevolmente ridotto
il livello di sorveglianza e le restrizioni usuali; spazi nei quali l'internato
poteva dedicarsi apertamente a qualche attività proibita, con un certo
limite di sicurezza. Questi luoghi inoltre presentavano, spesso, una notevole
riduzione rispetto all'usuale densità di popolazione dei pazienti, il
che contribuiva alla loro tipica atmosfera di pace e di tranquillità.
Lo staff non ne conosceva l'esistenza, oppure sapeva e se ne teneva lontano,
o rinunciava tacitamente alla sua autorità quando si trovava in quei
luoghi. La libertà, insomma, aveva una sua geografia. Chiamerò
queste zone "luoghi liberi". E' più facile trovarli nei casi
in cui l'autorità di un'organizzazione sia tutta arroccata nelle mani
di un unico blocco, anziché in un sistema di comando di tipo piramidale.
I luoghi liberi sono il retroscena della usuale rappresentazione del rapporto
staff-internato.
Questi luoghi, nell'Ospedale Centrale, erano spesso usati come la ribalta per
attività specificatamente proibite: il boschetto dietro l'ospedale veniva,
occasionalmente, usato come nascondiglio dove andare a bere; la zona dietro
il centro sociale ricreativo e l'ombra di un grande albero al centro dell'area
ospedaliera, servivano come luoghi dove fare qualche partita a poker.
Talvolta, tuttavia, i luoghi liberi sembravano usati al solo scopo di passare
un po' di tempo, lontani dalla lunga mano dello staff e dai reparti affollati
e rumorosi. Per esempio, sotto alcuni edifici c'era un vecchio binario per i
carri che servivano, un tempo, al trasporto del cibo dalle cucine centrali;
ai fianchi di questo sottopassaggio i pazienti avevano portato sedie e panche,
e alcuni di loro, stavano li tutto il giorno, sicuri che nessun sorvegliante
li avrebbe cercati. Lo stesso sottopassaggio era usato per spostarsi da una
parte all'altra dell'ospedale, senza incontrare il personale curante nel rapporto
usuale paziente-staff. Tutti questi luoghi sembravano pervasi da un'atmosfera
rilassante, che consentiva la propria autonomia personale, in netto contrasto
con il senso di disagio che regnava in alcuni reparti. Qui si poteva essere
se stessi (84).
Come ho già accennato, i luoghi liberi variano a seconda del numero di
persone che li frequentano, e secondo la zona da cui vengono ricavati, cioè
la residenza di coloro che ne fanno uso. Alcuni luoghi liberi nell'Ospedale
Centrale servivano soltanto ad un reparto. Ne era un esempio il gabinetto e
il vano antistante dei reparti cronici maschili. Qui il pavimento era di pietra
e le finestre senza tende. Ed era qui che i pazienti venivano mandati se volevano
fumare, e qui si sapeva che gli infermieri avrebbero esercitata una scarsa sorveglianza
(85). Senza badare all'odore che regnava in questa zona del reparto, alcuni
pazienti sceglievano di restare li buona parte del giorno, leggendo, guardando
fuori della finestra, o solo sedendo sui sedili relativamente comodi del gabinetto.
D'inverno i porticati aperti di alcuni reparti consentivano la medesima funzione,
dato che alcuni pazienti preferivano avere un po' di freddo ed essere, in cambio,
relativamente fuori controllo.
Altri luoghi liberi servivano invece un intero dipartimento psichiatrico, composto
da uno o più fabbricati. Il sotterraneo in disuso di un dipartimento
maschile per cronici, era stato preso in modo informale dai pazienti che vi
avevano trasportato qualche sedia e un tavolo da pingpong. Alcuni degenti di
quel dipartimento passavano li tutto il giorno, completamente liberi. Quando
i sorveglianti venivano a giocare a ping-pong, lo facevano il più delle
volte alla pari dei pazienti, e quelli che non accettavano questo tipo di finzione,
tendevano a mantenersene lontani.
Oltre ai luoghi liberi per i reparti e per i dipartimenti, c'erano luoghi liberi
che servivano i pazienti di tutta la comunità ospedaliera. Il prato,
in parte alberato, dietro una delle costruzioni principali, era uno di questi
luoghi, poiché offriva una bellissima veduta dall'alto della vicina città.
(Famiglie che non avevano niente a che fare con l'ospedale, venivano a volte
a fare picnic qui). Quest'area era importante per la mitologia dell'ospedale,
dato che era il luogo dove si diceva accadessero attività sessuali. Un
altro luogo libero della comunità era, stranamente, il posto di guardia
all'ingresso principale dell'ospedale. Era riscaldato durante l'inverno, dava
la possibilità di vedere chi entrava ed usciva dall'ospedale, era vicino
alle comuni strade esterne, serviva come punto di riferimento per le passeggiate.
Il posto di guardia era sotto la giurisdizione di poliziotti, non di sorveglianti,
i quali - evidentemente in quanto isolati dal personale ospedaliero - si lasciavano
andare ad un rapporto socievole con i pazienti; qui regnava un'atmosfera relativamente
libera.
Forse il luogo libero più importante nella comunità era l'area
intorno al piccolo negozio, a sé, che serviva come bar per i pazienti
e che, gestito dall'Associazione per i ciechi, comprendeva alcuni ricoverati
fra il personale. Qui i pazienti e alcuni sorveglianti passavano il tempo sulle
panche sistemate all'esterno, riposando, chiacchierando, facendo commenti sull'ospedale,
bevendo caffè o mangiando panini. Oltre ad essere un luogo libero, quest'area
aveva la funzione aggiunta di fonte di notizie dalla città serviva cioè
come centro informale di scambio di informazioni (86).
Un altro luogo libero, per alcuni pazienti, era il bar dello staff, un fabbricato
dove i ricoverati potevano ufficialmente entrate se godevano della libertà
di girare all'interno dell'ospedale (o erano con visitatori che se ne assumevano
la responsabilità) e avevano i soldi per pagare (87). Mentre molti pazienti
avevano soggezione di quel luogo e si sentivano a disagio quando vi si trovavano,
altri riuscivano ad usarlo sfruttando la tacita comprensione del fatto che qui
un paziente veniva trattato come qualsiasi altra persona. Un gruppo di degenti
veniva a prendere il caffè dopo aver pranzato in reparto, e si toglieva
il sapore di un pasto avuto nelle condizioni del reparto, mescolandosi con le
allieve infermiere e quelle in servizio, e usando generalmente quel luogo come
un centro sociale - ciò finché ne veniva periodicamente scacciato.
Era evidente che non appena i pazienti progredivano, attraverso il «sistema
di reparto», aumentando i privilegi, tendevano ad ottenere accesso in
luoghi liberi, che servivano zone sempre più vaste (88). Inoltre, la
natura stessa dello spazio era legata al sistema di reparto, in modo che ciò
che era fuori limite per un paziente disobbediente, poteva, a poco a poco, diventare
un luogo libero per uno obbediente (89). Si dovrebbe anche aggiungere che lo
stesso reparto poteva diventare un luogo libero, almeno per i pazienti più
in vista. Così alcuni reparti del dipartimento per cronici e il reparto
per dimissioni o convalescenza dell'accettazione maschile, erano «aperti»
all'epoca di questo mio studio. Qui non c'era personale o molto poco durante
il giorno, e perciò questi luoghi erano relativamente liberi da sorveglianza.
Poiché nel reparto di primo accoglimento del dipartimento c'erano tavole
da bigliardo, giornali, televisione, carte, libri, allieve infermiere, ne risultava
un'atmosfera di sicurezza, di benessere e di piacere, paragonata, da alcuni
pazienti, ad un centro ricreativo per militari.
Molti tipi di incarichi di lavoro offrivano ai pazienti l'opportunità
di usufruire di luoghi liberi, soprattutto se il lavoro era fatto sotto la guida
di un assistente, anziché di un sorvegliante - perché in questi
casi si tendeva a mantenere il clima del posto di lavoro; il che significava
un grado diverso di libertà dall'autorità e dalle restrizioni
rispetto alla normale vita di reparto. Ciò si verificava nei settori
dell'ergoterapia, della lavanderia, e del negozio di scarpe. Ottenere un luogo
libero era quindi un modo essenziale di lavorarsi un incarico. Per alcuni pazienti
la stanza addetta alla terapia occupazionale nel reparto accettazione, dove
veniva fatto il lavoro di falegnameria, offriva un luogo libero. Il pianoterra
dove si faceva la terapia di danza serviva allo stesso scopo, in particolare
per il gruppo di giovani pazienti (che godevano di una buona e vasta reputazione
fra i compagni e presso lo staff) i quali formavano una sorta di compagnia teatrale
per rappresentazioni drammatiche o balletti, e che erano nella possibilità
di passare lunghe ore a provare sotto la guida di un simpatico terapista di
danza. Durante gli intervalli e, per alcuni minuti, dopo le prove di danza,
i pazienti passeggiavano per esempio nel vano antistante la sala da ballo e,
con la coca cola presa dalle macchine automatiche e le sigarette distribuite
talvolta dal terapista, si riunivano attorno ad un piano, ballavano facendo
qualche scatenato passo di jazz, chiacchierando, prendendosi cioè quello
che, nel mondo esterno, si chiamerebbe un riposino informale. In rapporto alla
vita che molti di questi pazienti privilegiati erano costretti a fare nel reparto,
questi momenti erano incredibilmente dolci, armoniosi e liberi da ogni pressione
istituzionale.
Sebbene il fatto di poter usufruire di un luogo libero fosse un aspetto incidentale
di molti incarichi di lavoro, ne risultava il guadagno principale. Per esempio,
fuori della stanza dove si praticava l'insulinoterapia che, in uno dei dipartimenti,
era vicina al reparto di primo accoglimento, c'era un piccolo vano dove le infermiere
si riposavano e preparavano qualcosa da mangiare per quelli che si risvegliavano
dallo shock. I pochi pazienti che riuscivano ad essere assunti come aiutanti
dell'insulinoterapia, potevano godere della tranquilla atmosfera medica che
vi regnava, e anche della premurosa attenzione accordata a quelli che erano
stati sottoposti allo shock; li essi potevano anche uscire dal loro ruolo di
pazienti, rilassarsi, fumare, pulirsi le scarpe, flirtare con le infermiere
e farsi del caffè.
Alcuni luoghi liberi il cui carattere non fosse ancora fermamente definito,
potevano essere trovati, paradossalmente, nella parte più centrale degli
edifici (90). In una delle costruzioni più vecchie, il corridoio principale
che portava agli uffici amministrativi era grande, con soffitto alto e fresco
d'estate; tagliato ad angolo retto c'era un vano, largo circa dodici piedi,
che portava attraverso una porta chiusa a chiave, ai reparti. Allineate su entrambi
i lati di questo vano scuro c'erano delle panche, una macchina automatica per
la coca cola e una cabina del telefono. Da un capo all'altro del corridoio e
in questo vano c'era sempre un'aria da servizio civile amministrativo. Ufficialmente
ai pazienti non era consentito «ciondolare» in questa zona e qualche
volta venivano anche diffidati dal passare per il corridoio. Tuttavia alcuni,
che fossero ben conosciuti dallo staff o che avessero qualche lavoro di fiducia
da fare, potevano starsene seduti; nei caldi pomeriggi d'estate potevano anche
essere trovati li e talvolta riuscivano perfino ad ottenere di giocare a carte,
astraendosi così dall'ospedale, anche se erano lì, in uno dei
suoi punti più centrali.
Il consumo sostitutivo dei luoghi liberi era uno degli esempi più vivi
dello sfruttamento individuale di opportunità accessibili nell'ospedale.
I pazienti in isolamento a volte passavano il tempo guardando fuori della finestra,
quando era raggiungibile, o dal buco ingannatore della serratura seguendo, sostitutivamente,
l'attività che si svolgeva fuori o nel reparto. Alcuni degenti dei reparti
più regrediti litigavano fra loro per il possesso del davanzale della
finestra; una volta ottenutolo, il davanzale veniva usato come sedile, il paziente
si raggomitolava sulla finestra e guardava fuori attraverso le sbarre, premendo
il naso con tutto il corpo verso l'esterno, uscendo in questo modo dal reparto
e liberandosi, in un certo senso, dalle restrizioni territoriali. I pazienti
che avevano il permesso di girare all'interno dell'ospedale portavano, qualche
volta, le panche il più vicino possibile al recinto esterno, e passavano
il tempo guardando i «civili» camminare e passare in macchina davanti
all'ospedale, ottenendo così un benché minimo senso di partecipazione
al mondo libero esterno.
Si potrebbe suggerire che tanto più è insopportabile l'ambiente
in cui un individuo è costretto a vivere, tanto più facilmente
i luoghi saranno definiti come luoghi liberi. Così, in alcuni dei reparti
peggiori che ospitavano fino a sessanta pazienti, molti dei quali «regrediti»,
il problema della riduzione del personale del turno di notte (dalle 16 alle
24) veniva risolto riunendo tutti i pazienti nel soggiorno e chiudendone l'ingresso,
così che ogni paziente del reparto si trovava sotto la diretta sorveglianza
di un solo paio d'occhi. La cosa succedeva al momento della partenza del personale
medico; all'imbrunire (d'inverno) che era molto evidente poiché i reparti
erano male illuminati; e spesso quando si chiudevano le finestre. In quel momento
cadeva un drappo funebre su ciò che era già un drappo funebre,
e c'era un'intensificarsi di emozioni negative, tensioni e conflitti. Alcuni
pazienti, spesso quelli che aiutavano a scopare, a preparare i letti o portare
gli altri a dormire, avevano il permesso di stare fuori da quella tana, e di
girare liberamente nei corridoi vuoti, fra i dormitori e gli uffici di manutenzione.
Allora, qualsiasi posto che non fosse la stanza di soggiorno assumeva un tono
quieto, dato che lo staff determinava la situazione in maniera relativamente
non ostile. Ciò che era fuori limite per i pazienti, diventava, per la
medesima legge, un luogo libero per i pochi privilegiati.
2.
Il tipo di luogo considerato fino ad ora era di pertinenza di un'intera categoria
di persone: il paziente che lo usava, doveva rendersi conto che anche altri
degenti, ai quali non fosse particolarmente legato, vi potevano avere o vi avevano
accesso; non erano implicati qui l'esclusività e il senso di proprietà.
In alcuni casi, tuttavia, un gruppo di pazienti aggiungevano, al loro accesso
in un luogo libero, il diritto di tenerne fuori tutti i pazienti che non fossero
realmente invitati. In questo caso si può parlare di "territori
di gruppo" (91).
I territori di gruppo non erano molto sviluppati nell'Ospedale Centrale, poiché
si presentavano come una semplice estensione dei diritti nei confronti dell'uso
di un luogo particolare, legittimamente accordato ai pazienti. Per esempio uno
dei dipartimenti per malati lungo-degenti aveva un cortile chiuso a vetri, fuori
di un reparto, dove c'erano un tavolo da bigliardo, un tavolo per giuocare a
carte, T.V., giornali, ed altro materiale ricreativo. Qui alcuni sorveglianti
e alcuni lungo-degenti ben ambientati nell'ospedale stavano assieme in un clima
di uguaglianza, parlando delle novità dell'ospedale, come in una sorta
di mensa per sergenti maggiori. Poteva succedere che un sorvegliante portasse
a far vedere il suo cane agli altri; che si organizzassero occasionalmente gite
per andare a pesca con i pazienti che godevano di una certa libertà;
che consultassero in gruppo la schedina delle corse, prendendosi in giro e scherzando
sulle scommesse fatte o che si stavano per fare. Le partite a poker che i sorveglianti
e i pazienti giocavano a fine settimana, ponevano in qualche modo i sorveglianti
in balia dei pazienti, così come quando un sorvegliante mangiava liberamente
il cibo portatogli dalla cucina dei pazienti - il che era, di solito, proibito.
I sorveglianti potevano richiamare i pazienti rumorosi, ma solo nel caso che
anche gli altri degenti presenti approvassero tacitamente la cosa. Si trattava
di un'evidente fraternizzazione, che offriva un contrasto interessante rispetto
al tipo di rapporto che lo staff medico psichiatrico offriva a coloro per i
quali dimostrava un certo interesse. Qui i pazienti e i sorveglianti, insieme,
facevano di tutto per escludere dalla stanza, e in particolare dal poker, i
degenti di altri dipartimenti.
Così come gli incarichi di lavoro, che mettevano i degenti in contatto
diretto con l'ambiente dello staff, potevano offrire un luogo libero; un luogo
libero, ristretto ad un piccolo numero di pazienti ad esso ufficialmente assegnati,
poteva diventare un loro territorio (92). Per esempio uno degli uffici del centro
sociale ricreativo era assegnato ai pochi pazienti che partecipavano attivamente
alla stampa del settimanale interno. Qui potevano godere, non soltanto delle
condizioni di lavoro tipiche di ogni piccolo ufficio appartenente allo staff
, ma anche del fatto che gli altri pazienti non sarebbero potuti entrare senza
una buona ragione. Durante le molte occasioni in cui non c'era niente da fare,
un membro di questo gruppo poteva starsene seduto in una comoda sedia d'ufficio,
con i piedi sul tavolo, sfogliare tranquillamente un giornale, bevendo una coca
cola, fumandosi una sigaretta, e godendo di qualche altro piacere offertogli
dalla generosità dello staff - condizione questa di privacy e di padronanza
della situazione che può essere apprezzata solo se rapportata al retroscena
delle condizioni abituali dell'ospedale.
Il centro sociale ricreativo fungeva, in altro modo, come un territorio di gruppo.
Circa sei pazienti erano assegnati al centro per aiutare nei lavori domestici
e di portineria. In cambio del lavoro, venivano loro accordati, tacitamente,
alcuni diritti particolari. Alla domenica, dopo aver lavato i pavimenti e riordinati
i locali dalla sera precedente, e prima di riaprire nella tarda mattinata, il
luogo era loro. Potevano farsi il caffè e prendere dal frigorifero i
dolci e i biscotti conservati dalle provviste ricevute, in cambio degli aiuti
prestati in precedenza in cucina. Potevano prendere, per qualche ora, dal tavolo
del dirigente, entrambi i giornali della domenica che venivano regolarmente
consegnati al centro. Per un paio d'ore dopo la pulizia, mentre gli altri pazienti
che godevano di una certa libertà, erano affollati intorno alla porta
aspettando di poter entrare, questi lavoratori potevano godersi il lusso di
un po' di calma, di agio e di padronanza della situazione. Se uno di loro arrivava
in ritardo, poteva aprirsi il varco fra il gruppo che premeva alla porta, e
solo lui era lasciato entrare da uno dei compagni di lavoro che erano già
dentro.
Sebbene il posto di guardia risultasse un luogo libero per qualsiasi paziente
avesse il permesso di muoversi nell'ospedale, c'erano altre aree che, pur servendo
l'intero ospedale, non erano accessibili a tutti i pazienti. Una di queste era
il piccolo ufficio dell'incaricato alla direzione del teatro. Durante le prove
generali di commedie, spettacoli all'aperto e altre rappresentazioni del genere
- quando il palcoscenico e tutta «la casa» diventava un posto libero
per i pazienti che vi partecipavano - l'ufficio veniva usato da un piccolo gruppo
di leaders come luogo ben protetto dove poter mangiare e chiacchierare. Il custode
dell'edificio, essendo più in contatto con i pazienti che con i colleghi
(come nel caso delle guardie) tendeva a giocare un ruolo marginale fra staff
e pazienti e gli veniva concesso, almeno dai leaders, il rispetto e la confidenza
di non essere trattato come uno dello staff.
In qualche reparto, il territorio di gruppo che era nelle mani di alcuni pazienti
passò, tacitamente, sotto l'appoggio dello staff locale. Nei reparti,
dove la maggior parte dei malati erano regrediti, senili organici, ai pochi
pazienti che potevano stabilire un certo grado di contatto, veniva ufficialmente
data, in cambio del loro aiuto nella pulizia dei pavimenti e nel tenere in ordine,
un'intera ala del cortile, che restava chiusa agli altri pazienti da una barriera
di sedie.
Alcune delle giurisdizioni territoriali sviluppate dai pazienti avevano un carattere
periodico. Per esempio la mansione di cinque pazienti in un dipartimento maschile
per malati cronici, era di aiutare a portare da mangiare ad alcuni degenti,
che non erano in grado di andarselo a prendere dal reparto alla stanza da pranzo.
Dopo averli serviti, i pazienti-aiutanti si ritiravano con i piatti vuoti in
una stanza attigua al reparto, addetta alla lavatura dei piatti. Poco prima
o dopo aver fatto questo lavoro, veniva loro dato un piatto di cibo e un bicchiere
di latte, che poteva essere consumato da soli e con tutta calma, nella cucina
del reparto. Potevano prendersi dal frigorifero del caffè avanzato dalla
colazione, lo scaldavano, si accendevano una sigaretta, e per una mezz'oretta
sedevano e si riposavano, completamente padroni dell'ambiente. Alcuni diritti
sui territori erano ancora più temporanei. Per esempio nel reparto di
primo accoglimento maschile, dove venivano ricoverati depressi, eccitati, e
malati con lesioni organiche, alcuni pazienti che avevano ancora la possibilità
di stabilire un contatto abbastanza buono, si appartavano oltre una barriera
di sedie, tentando di ricavare un angolo della stanza di soggiorno, libero dalla
presenza dei compagni gravemente deteriorati (93).
3.
Ho qui accennato a due tipi di luoghi dove il paziente gode di una libertà
non abituale: i luoghi liberi e i territori di gruppo. I primi li divide con
tutti gli altri pazienti, e i secondi, con un gruppo di privilegiati. Resta
ancora una sorta di diritto privato sullo spazio, dove l'individuo si costruisce
qualche agio, una certa padronanza e un tacito diritto che divide solo con quelli
che egli stesso vorrà invitare. In questo caso parlerò di un "territorio
personale". E' qui coinvolto un continuum, fra una vera casa o un nido
(94) da un lato, e un semplice luogo o rifugio (95) dall'altro, dove l'individuo
si sente protetto e appagato, finché il sistema glielo consente.
Negli ospedali psichiatrici e in altre istituzioni analoghe, il tipo di territorio
personale più classico è forse la stanza da letto singola, di
cui può ufficialmente disporre il 50 o 10 per cento della popolazione
del reparto. Nell'Ospedale Centrale la stanza singola era talvolta concessa
a chi faceva lavori nel reparto (96). Una volta ottenutala, si poteva rifornirla
di oggetti che potevano offrire qualche agio, qualche piacere e un certo controllo
personale della situazione. Fotografie di donnine, una radio, una scatola di
gialli tascabili, una borsa di frutta, il necessario per farsi il caffè,
fiammiferi, il completo da barba - sono alcuni degli oggetti, molti dei quali
illeciti, portati dai pazienti.
I degenti che erano in un dato reparto da molti mesi, tendevano a costruirsi
un territorio personale nella stanza di soggiorno, perlomeno fino al punto di
crearsi qualche luogo favorito dove sedersi o stare in piedi, dal quale facevano
ogni sforzo per allontanare chiunque volesse usurparglielo (97). In questo senso
in un reparto per lungo-degenti un vecchio internato che aveva un buon contatto
era, per tacito consenso, riconosciuto padrone di un radiatore libero; mettendo
della carta sul radiatore, riusciva a sedersi sopra e lo faceva sempre. Dietro
il radiatore teneva alcuni oggetti personali, che contrassegnavano maggiormente
l'area come sua proprietà (98). A pochi piedi da lui, in un angolo della
stanza, un paziente lavoratore aveva quello che era il suo «ufficio»,
dato che questo era il luogo dove lo staff sapeva di poterlo trovare quando
aveva bisogno di lui. Egli era stato seduto per tanto tempo in quell'angolo,
che c'era un incavo sporco nell'intonaco del muro dove generalmente posava la
testa. Nello stesso reparto un altro paziente dichiarava di aver diritto ad
una sedia, direttamente di fronte alla televisione; sebbene alcuni compagni
gliela contestassero, generalmente riusciva a sostenere i suoi diritti.
La formazione di territori nei reparti ha una relazione particolare con la malattia
mentale. In molte situazioni del mondo civile vige la regola egualitaria del
«chi primo arriva meglio alloggia» che nasconde, in qualche modo,
un altro principio organizzativo «la ragione è del più forte».
Quest'ultima regola vigeva con qualche estensione nei reparti peggiori, così
come la prima vigeva invece in quelli migliori. Tuttavia bisogna qui introdurre
un'altra dimensione. L'adattamento alla vita di reparto che, per ragioni volontarie
o involontarie, molti pazienti regrediti raggiungevano, li portava a rimanere
silenziosi, senza protestare, cercando di allontanare qualsiasi tipo di emozione
potesse coinvolgerli. Una persona del genere poteva essere scacciata da una
sedia o da un luogo, senza badare alla sua mole o alla sua forza. Per questo,
nei reparti peggiori, si verificava una specie di particolare crudele gerarchia,
poiché i pazienti che parlavano ed avevano un buon contatto, potevano
portar via la sedia e le panche migliori a quelli più regrediti. Tanto
da arrivare fino al punto che un paziente poteva spinger via da uno sgabello
un malato mutacista per appoggiarvi lui i piedi; il paziente che poteva parlare
disponeva così della sedia e dello sgabello, mentre l'altro, restava
senza niente - il che non è un fatto trascurabile, se si considera che,
tranne per gli intervalli del pranzo, alcuni pazienti passano l'intera giornata
in questi reparti, non facendo altro che sedere e stare in piedi nello stesso
punto.
Forse lo spazio più piccolo che veniva ricavato dal territorio personale,
consisteva nella propria coperta. In qualche reparto alcuni pazienti si portavano
appresso la loro coperta, tutto il giorno e, facendo un atto che veniva considerato
altamente regressivo, si arrotolavano sul pavimento, nella coperta che li copriva
completamente; all'interno di questo spazio riparato, ognuno conservava il suo
margine di controllo sulla situazione (99).
Come è prevedibile, un territorio personale può svilupparsi all'interno
di un luogo libero o di un territorio di gruppo. Per esempio nella stanza di
ricreazione di un dipartimento maschile per cronici, una delle due grandi poltrone
di legno disposte favorevolmente vicino alla luce e al radiatore, veniva regolarmente
occupata da un paziente anziano e rispettato, al quale sia gli altri ricoverati
che lo staff riconoscevano questo diritto (100).
Uno degli esempi più elaborati del formarsi di un territorio all'interno
di un luogo libero nell'Ospedale Centrale era evidente nel seminterrato in disuso
di uno degli edifici dei reparti per lungo-degenti. Qui alcune delle stanze
in migliori condizioni erano state prese dal gruppo dello staff meno qualificato,
per usarle come magazzini; poi c'era una stanza per la pittura e una dove veniva
tenuta l'attrezzatura da giardinaggio. In ognuna di queste stanze, un paziente
aiutante godeva di un dominio semiufficiale. Vi potevano essere fotografie di
donnine, una radio, una sedia relativamente morbida, e rifornimenti di tabacco
dell'ospedale. Delle rimanenti stanze meno servibili, alcune erano state prese
da vecchi lungo-degenti che godevano di una certa libertà, ognuno dei
quali era riuscito a sistemare il suo nido con qualcosa, anche se solo con una
sedia rotta o un mucchio di vecchi giornali (101). Nell'eventualità -
molto rara - che qualcuno di questi pazienti venisse cercato, durante il giorno,
da un membro dello staff, il messaggio sarebbe stato mandato direttamente al
suo ufficio nel seminterrato, e non al suo reparto.
In alcuni casi era l'incarico di lavoro a procurare un territorio personale.
Per esempio, i pazienti che si occupavano dei vestiti del reparto e della stanza
in cui venivano tenuti, potevano stare li quando non c'era niente da fare; e
potevano sedersi o distendersi sul pavimento, lontani dall'alternarsi del tumulto
e del drappo funebre, tipico della stanza di soggiorno.
"Servizi".
Voglio ora considerare gli altri elementi della vita sotterranea che richiedono nuovi adattamenti fisici.
1.
Nella vita quotidiana, le proprietà legittime impiegate negli adattamenti
primari vengono di solito tenute in serbo, quando non sono usate, in luoghi
speciali, sicuri, dove possano essere raggiunte a piacere: cassoni, armadietti,
cassetti e cassette di sicurezza. Questi ripostigli proteggono gli oggetti dai
danni, dal cattivo uso, dall'appropriazione indebita, e permettono a coloro
che li adoperano di nascondere ciò che posseggono, agli occhi degli altri
(102). Quello che interessa è che essi possono rappresentare un'estensione
del sé e della sua autonomia, diventando più importanti quanto
più l'individuo è costretto a rinunciare alle altre riserve del
sé. Se non si può tenere niente soltanto per sé e se tutto
ciò che si usa è usato anche da altri, è consentita ben
poca protezione dalla contaminazione sociale degli altri. Inoltre alcune delle
cose cui si deve rinunciare, sono quelle con le quali ci si identifica in modo
particolare, e che si usano per l'identificazione di sé in rapporto agli
altri. Così un uomo in un monastero può essere preoccupato per
la sua privacy, la sua cassetta per le lettere (103), mentre un uomo su una
fregata sarà preoccupato per il suo sacco di tela per i vestiti (104).
Dove questi ripostigli personali non sono permessi, è comprensibile se
ne sviluppino di illeciti. Inoltre, se si possiede un oggetto illecitamente,
anche il posto dove poterlo mettere dovrà essere tenuto nascosto. Un
nascondiglio personale che è nascosto o chiuso, non solo per frustrare
il fatto che altri possano usare gli oggetti nascosti in modo illegale, ma anche
perché l'autorità legale non ne venga a conoscenza, è talvolta
chiamato nel modo criminale o semicriminale «la tana» e così
sarà chiamato qui (105). Si può notare che questi nascondigli
illeciti rappresentano un affare organizzativamente più complesso, di
quanto non siano i semplici usi personali di oggetti disponibili, poiché
una tana può comunemente salvaguardare più di un tipo di proprietà
illecita. Vorrei aggiungere che l'oggetto più importante che potrebbe
essere nascosto è il corpo umano (morto o vivo), il che dà origine
a termini particolari come nascondigli, luoghi clandestini, starsene nascosti,
e ad una mimica da detective.
Quando i pazienti entravano nell'Ospedale Centrale, soprattutto se erano eccitati
o depressi al momento dell'ammissione, veniva loro negato un luogo personale,
accessibile, dove poter mettere la loro roba. I vestiti, per esempio, potevano
essere riposti in una stanza, il cui uso restava fuori della loro discrezione.
Il loro denaro era tenuto nell'ufficio dell'amministrazione, e non potevano
ottenerlo senza il permesso del medico o del loro agente legale. Gli oggetti
di valore o altri oggetti fragili come dentiere, occhiali, orologi da polso,
spesso parti integrali dell'immagine del proprio corpo, potevano venir chiusi
a chiave, in un luogo sicuro, dove il proprietario non avrebbe potuto trovarli.
Anche i documenti di identità potevano essere trattenuti dall'istituzione
(106). I cosmetici che occorrevano per poter presentare decorosamente la propria
immagine agli altri, erano collettivi, e potevano essere usati dalle pazienti
solo a certe ore. Nei reparti per convalescenti si poteva disporre di letti
ad armadio, ma siccome non erano chiusi, erano soggetti a furti da parte di
altri pazienti e dello staff e, in ogni caso, spesso erano sistemati in stanze
che venivano chiuse ai pazienti durante il giorno. Se le persone fossero senza
un sé, o venisse loro richiesto di esserlo, sarebbe naturalmente logico
non possedere un luogo personale dove poter mettere la propria roba, come ci
dice un ex paziente mentale:
"Cercai un armadietto con la chiave, ma senza successo. Sembrava non ce ne fossero in questo ospedale; la ragione fu subito chiara: non erano necessarie - non c'era niente da mettervi dentro - dato che si doveva dividere ogni cosa, anche quell'unico asciugamano per la faccia che veniva adoperato per un'infinità di altri usi; sul che le mie reazioni furono molto violente" (107).
Ma tutti hanno un "sé". Data la privazione implicita nella
perdita del luogo dove poter mettere in salvo le proprie cose, è comprensibile
come i pazienti dell'Ospedale Centrale si costruissero questi luoghi da soli.
Sembrava tipico della vita dell'ospedale che la forma più comune di nascondiglio
fosse quella che poteva essere portata con sé, ovunque si andasse (108).
Le donne risolvevano la cosa con una grande borsa; gli uomini con un sistema
analogo, cioè una giacca con ampie tasche che indossavano anche in piena
estate. Mentre questi contenitori sono abbastanza usuali nella comunità
esterna, nell'ospedale era particolare il loro contenuto: libri, il necessario
per scrivere, pezze per lavarsi, frutta, piccoli valori, sciarpe, carte da gioco,
sapone, il necessario per radersi (da parte degli uomini), contenitori per sale
pepe zucchero, bottiglie di latte, erano alcuni degli oggetti trasportati, a
volte, in questo modo. Questa tecnica era così comune, che uno dei simboli
più attendibili della condizione del paziente nell'ospedale erano le
tasche gonfie. Un'altra tecnica di immagazzinamento trasportabile era una borsa
per la spesa, con un'altra borsa simile all'interno. (Quando era quasi piena,
questo nascondiglio molto usato serviva anche da cuscino e come appoggio per
la schiena). Gli uomini qualche volta ricavavano un piccolo nascondiglio da
una calza lunga: annodandone il capo aperto e arrotolandolo intorno alla cintura,
il paziente poteva lasciar pendere di nascosto questa specie di borsellino per
i soldi, lungo la gamba dei calzoni. C'erano poi variazioni individuali di questi
contenitori trasportabili. Un giovane ingegnere rese di moda un borsellino fatto
esternamente di tela cerata scartata, diviso all'interno in vari scompartimenti
separati, ben calcolati per il pettine, lo spazzolino da denti, le carte da
gioco, carta da lettere, matita, sapone, una piccola pezza per la faccia, carta
igienica - il tutto attaccato, con un fermaglio nascosto, alla parte inferiore
della cintura. Lo stesso paziente aveva anche cucita una tasca in più
all'interno della giacca, per portarvi un libro (109). Un altro, avido lettore
di giornali, indossava invariabilmente la giacca del vestito, evidentemente
per nascondervi il giornale che portava piegato sotto la cintura. Un altro ancora,
usava una borsa da tabacco ripulita per trasportare cibo; frutta intera, non
sbucciata, si poteva facilmente mettere in tasca per portarla dal refettorio
in reparto, ma la carne cucinata era meglio se la si metteva in un nascondiglio
impermeabile al grasso.
Vorrei ripetere che c'erano buone ragioni per questi trasporti massicci. Molti
dei piaceri della vita come sapone, carta igienica e carte da gioco, di solito
accessibili in molti magazzini di ristoro nella società civile, non sono
altrettanto facilmente ottenibili per dei pazienti, così che bisognava,
in parte, provvedere ai propri bisogni quotidiani all'inizio della giornata.
Venivano usati anche nascondigli fissi, oltre a quelli portabili, che il più
delle volte, si trovavano nei luoghi liberi e nei territori. Alcuni pazienti
tentavano di tenere i loro valori sotto i materassi, ma, come ho già
detto, la regola generale dell'ospedale che rendeva fuori limite i dormitori
durante il giorno, riduceva l'utilità di questa tecnica. Talvolta venivano
usate, per questo scopo, le parti sotto i davanzali delle finestre. I pazienti
che disponevano di una stanza singola e di rapporti di amicizia con i sorveglianti,
usavano le loro stanze come nascondiglio. Alcune pazienti, a volte, nascondevano
fiammiferi e sigarette nell'astuccio per la cipria che lasciavano nelle loro
stanze (110). Una storiella esemplare, che piaceva molto in ospedale, era quella
di un uomo anziano che si diceva avesse nascosto i suoi soldi, 1200 dollari,
in una scatola di sigari nel cavo di un albero nel giardino dell'ospedale.
Dovrebbe risultare chiaro che anche alcuni incarichi di lavoro potevano offrire
la possibilità di nascondigli. Qualche paziente che lavorava in lavanderia
si accaparrava l'uso di armadietti personali, che erano lì solo per i
non pazienti. Gli internati che lavoravano nella cucina dell'edificio del centro
sociale ricreativo, ne usavano gli armadi e il frigorifero come luoghi nei quali
mettere il cibo e le bibite che avevano risparmiato dalle varie feste, o altre
piccole cose che erano riusciti ad ottenere.
2.
Se si deve usare un nascondiglio fisso, si deve anche trovare il modo di portare
l'oggetto nel nascondiglio e riportarlo dal nascondiglio al luogo in cui lo
si vuole usare. In ogni caso, se si dovevano elaborare degli efficaci adattamenti
secondari, si doveva individuare un mezzo non ufficiale, e generalmente nascosto,
per trasportare gli oggetti; in breve, si doveva studiare un "sistema di
trasporto". Tutti i sistemi di trasporto legittimi possono essere impiegati
nella vita sotterranea, nel senso che in ogni sistema ci saranno regole su chi
può usarlo, e a qual scopo, e ci sarà quindi la possibilità
di farne un uso diverso. Nel caso di persone che abbiano una certa libertà
di movimento, come ad esempio i pazienti con il permesso di girare all'interno
dell'ospedale, un nascondiglio portabile funziona, naturalmente, anche come
mezzo di trasporto. Almeno tre oggetti, diversamente definiti, possono essere
trasportati con un simile sistema: corpi, oggetti o cose e messaggi scritti
o verbali.
Casi famosi di trasporto illegale di corpi possono essere trovati nei campi
per prigionieri di guerra (111) e (se si considera la società come un
tutto) nei canali di fuga clandestini. In entrambi i casi si può stabilire
un itinerario di fuga regolare, piuttosto che contare sullo sforzo dell'ultimo
momento. Nella vita quotidiana gli esempi di trasporto illecito di persone,
non hanno a che fare con la fuga, ma con movimenti di routine. Un esempio può
essere riferito dall'Ospedale Centrale: poiché il campo recintato dell'istituto
copriva più di 300 acri, venivano usati autobus per trasportare i pazienti
all'interno delle mura - da e verso i luoghi di lavoro, da e verso gli edifici
medico-chirurgici e così via. I pazienti che godevano di una certa libertà
conoscevano l'orario degli autobus, qualche volta ne aspettavano uno e cercavano
di ottenere un passaggio dall'altra parte dell'area ospedaliera, per evitare
di camminare (112).
Sistemi di trasporto illecito di "oggetti" sono naturalmente comuni
e difficilmente si possono omettere in uno studio sugli adattamenti secondari.
L'antica arte del contrabbando ce ne fornisce validi esempi e sia che ci si
riferisca ad uno stato (113) o ad una istituzione sociale (114) si possono ci
tare molte tecniche di trasporto segreto.
Gli ospedali psichiatrici ce ne offrono esempi tipici, se si includono anche
le pratiche, largamente tollerate in via ufficiosa. Per esempio nell'Ospedale
Centrale i reparti relativamente lontani dal bar, avevano escogitato un sistema
informale per passare gli ordini e le consegne. Due o più volte al giorno,
qualcuno nel reparto - staff o paziente - faceva la lista e raccoglieva il denaro
necessario; un paziente libero di circolare andava fino al bar con gli ordini,
e riportava la roba in una scatola di sigari che era il mezzo abituale non ufficiale
usato, allo scopo, dal reparto.
Oltre a queste pratiche di raccolta relativamente istituzionalizzate, ce n'erano
molte di individuali. In quasi ogni reparto chiuso c'erano uno o più
pazienti che erano liberi di andare in città. Questi pazienti privilegiati
erano in un'ottima posizione per funzionare da galoppini, e lo facevano di frequente
per amicizia, per obbligo, per paura di guai, o con la promessa di una ricompensa.
Il bar dei degenti e i negozi delle vicinanze erano, quindi, indirettamente
accessibili a molti pazienti. Si deve aggiungere che, mentre alcuni degli oggetti
trasportati potevano sembrare insignificanti, in un contesto di privazioni apparivano
enormi. Infatti in ospedale c'era un paziente suicida, confinato nel reparto
in un grave stato di depressione, che sentiva di poter superare la giornata
se aveva le sue caramelle favorite da succhiare; ed era naturalmente molto grato
a chi gli faceva questa commissione. Francobolli, dentifricio, pettini, eccetera
si comperavano facilmente al bar, e potevano facilmente venir recapitati; spesso
era una vera grazia per chi li riceveva.
Importante come la circolazione dei corpi e degli oggetti materiali, è
la circolazione di "messaggi". Sistemi nascosti di comunicazione sembrano
essere un aspetto universale delle istituzioni totali.
Un tipo di comunicazione nascosta è quello faccia a faccia. Nelle carceri,
gli internati hanno sviluppato la tecnica di parlare senza muovere le labbra
e senza guardare la persona con cui si sta parlando (115). Nelle istituzioni
religiose, alcune delle quali dividono con le prigioni e le scuole il fatto
di avere la regola del silenzio, si sviluppa in modo evidente un linguaggio
a gesti, che è abbastanza vario da venir usato dagli internati per fare
scherzi (116). Gli ospedali psichiatrici ci offrono al proposito un materiale
interessante.
Come ho già detto, nei reparti per regrediti dell'Ospedale Centrale,
molti pazienti mantenevano il proposito di non ricevere e di non offrire comunicazioni,
chiaramente espresse. Una risposta poteva essere lenta e condotta in modo tale
da far supporre che la domanda non fosse stata realmente ricevuta. Per questi
pazienti, essere muti era la condizione ufficiale: una forma di difesa, forse,
contro sorveglianti ed altri pazienti che li importunavano, accettata senza
convinzione come un sintomo riconosciuto di malattia mentale. (Questa accettazione
sembrava dovuta alla difficoltà di distinguere un tale tipo di adattamento
al reparto, dal disturbo analogo che altri pazienti presentavano, come espressione
di gravi deterioramenti neurologici di natura irreversibile). Naturalmente sostenere
questa posizione, una volta assunta, diventava un impegno che imprigionava con
le sue stesse restrizioni. I pazienti mutacisti dovevano sottostare all'attenzione
dei medici, senza esprimere paura con parole; ricevere abusi senza far rimostranze;
nascondere ogni interesse e orientamento in ciò che succedeva nel reparto.
Molte piccole transazioni, i piccoli scambi della vita sociale di ogni giorno,
dovevano essere dimenticati.
Allo scopo di mantenere la scelta fatta di essere cieco e sordo e insieme evitare
le conseguenti restrizioni di comunicazione, alcuni pazienti dei reparti più
regrediti sembravano usare fra di loro, uno speciale linguaggio convenzionale.
Volendo dare o ricevere qualcosa da un compagno, prima lo guardavano negli occhi,
poi guardavano l'oggetto in questione (un giornale, un mazzo di carte; o il
pezzo di panca più vicina) poi di nuovo negli occhi del compagno. Questi
poteva allora troncare il discorso facendo segno di no, o lasciando andare l'oggetto,
manifestando la sua volontà di rinunciarvi, o, quando non era suo, poteva
buttarsi verso l'oggetto, dimostrando il suo desiderio e la sua volontà
di averlo. Si poteva scambiare una richiesta o un'offerta, un'accettazione o
un rifiuto, senza retrocedere sulla propria decisione di non lasciarsi coinvolgere
in qualche comunicazione. Sebbene questo sistema sembrasse molto limitato, per
suo tramite si poteva trasmettere più di un messaggio o richiesta. Si
potrebbe anche aggiungere che qualche volta un paziente che si imponeva di agire
come chi è fuori di ogni contatto, sceglieva, di preferenza, una persona
particolare con la quale invece stabilirlo (117). Questa possibilità
sembrava essere implicita in alcune storie esemplari sulla abilità di
«provocare un contatto» di cui il personale curante parlava, illustrando
le proprie capacità terapeutiche o quelle dello psichiatra favorito.
Oltre ai mezzi nascosti di comunicazione diretta, gli internati, nelle istituzioni
totali, sviluppavano sistemi mediati (118) - il termine abituale delle prigioni
americane per questo tipo di comunicazione è «kiting» - e
talvolta venivano usati sistemi ufficiali già in uso (119).
Nell'Ospedale Centrale i pazienti tentavano di usare i sistemi di comunicazione
istituzionali. Chi lavorava nel ristorante dello staff, o aveva amici che lo
facevano, poteva qualche volta usare il telefono interno della cucina per avvisare
il proprio reparto, abbastanza distante da dove si trovava, che non sarebbe
andato a cena, dato che colui che godeva di una certa libertà, poteva
saltare il pasto se solo avvertiva in anticipo. I pazienti che partecipavano
alla terapia di danza, potevano usare il telefono nel piccolo ufficio attiguo
al pianterreno dove si faceva la terapia, e coloro che partecipavano alle rappresentazioni
teatrali potevano usare a volontà quello interno dietro il palcoscenico.
Naturalmente anche le persone che ricevevano la telefonata, dovevano escogitare
un sistema per poter ottenere il permesso di usare il telefono, così
che una telefonata interna fra due pazienti, o fra un paziente e un sorvegliante
compiacente o qualche altra figura ufficiale, costituiva la conquista di un
certo potere, dato che era segno di «farcela». Talvolta erano anche
usati o «lavorati» i telefoni pubblici a pagamento all'interno dell'ospedale.
Se un paziente che girava liberamente, faceva in modo di trovarsi ogni giorno
alla stessa ora, alla stessa cabina telefonica, riusciva a ricevere una telefonata
al giorno dalla sua ragazza, non importava dove le riusciva di trovare un telefono
(120).
I sistemi di trasmissione illeciti, usati sia per la circolazione di persone,
che di oggetti o messaggi, hanno caratteristiche generali degne di nota. Una
volta che il sistema di trasmissione sia stato individuato, c'è la possibilità,
per coloro che lo usano, di trasmettere più di un oggetto. Dal punto
di vista dei dirigenti dell'istituzione, come ha suggerito Gresham Sykes, ciò
significa che quello che inizia come una piccola infrazione alle regole, può
diventare la base operante per trasportare del contrabbando severamente proibito
(121).
Un altro aspetto generale dei sistemi di trasmissione è che ogni internato
il quale sia obbligato dalla sua mansione a girare all'interno dell'istituzione,
sarà probabilmente scelto come un trasportatore e arriverà a «lavorarsi»
in questo senso il suo incarico di lavoro, sia per proprio desiderio che sotto
la pressione dei compagni (122). Analogamente, lo staff meno qualificato cui
viene richiesto di andare regolarmente fuori in città per commissioni,
e i visitatori esterni che hanno un contatto regolare con gli internati, si
troveranno spinti a diventare portatori di oggetti di contrabbando (123).
"La struttura sociale".
Nel considerare i sistemi di trasporto nascosto, si è visto che chi consuma ciò che è illegalmente trasportato, può anche essere la persona che lo trasporta. Ma in molti casi, colui che riceve la consegna non autorizzata, fa uso regolare del lavoro di un altro. Adattando regolarmente ai propri intenti gli sforzi di un altro, l'individuo può aumentare notevolmente la misura e lo scopo dei suoi adattamenti secondari, includendo in ciò anche quelli che non si fondano primariamente sui sistemi di trasporto. Dato che questo uso d'altri costituisce un aspetto importante della vita sotterranea dell'internato, bisogna tentare di esaminare le sue forme e gli elementi di organizzazione sociale che le sottendono.
1.
Il modo in cui un individuo può incorporare nella propria situazione
l'attività di un altro, è basato sulla violenza non razionalizzata
di ciò che può essere chiamata una "coercizione personale":
in questo caso colui che aiuta, lo fa non perché la sua condizione attuale
possa per questo migliorare, ma perché la sua mancanza di adesione alla
richiesta gli costerebbe, tanto da fargliela apparire come imposta; la persona
che chiede aiuto non offre infatti alcun pretesto alla legittimità della
sua richiesta (124). Senza considerare qui la trasformazione di questa coercizione
in una collaborazione, in altro modo, «volontaria», voglio accennare
al fatto che nelle istituzioni totali la coercizione personale allo stato puro
può essere importante per ciò che riguarda la vita sotterranea
degli internati; l'espropriazione aperta, il ricatto, la tecnica del braccio
di ferro, la sottomissione sessuale forzata, sono metodi che possono essere
impiegati senza alcuna giustificazione, come mezzi atti a ridurre l'attività
altrui alla propria linea d'azione (125). Una volta che tale coercizione diventi
abituale, sarà interessante vedere quanto a lungo possa rimanere smascherata
e quanto presto venga regolarizzata da una parvenza di reciprocità o
di giustificazione morale.
Nell'Ospedale Centrale, come ho già detto a proposito del sistema usato
per sedersi, il fatto che molti pazienti dei reparti più regrediti fossero
fuori di ogni contatto, creava una situazione che facilitava la coercizione
personale; si poteva essere certi che questi pazienti non avrebbero protestato
e quindi potevano essere sfruttati liberamente. Per esempio, se per qualche
motivo, un paziente pensava che le sue gambe non fossero una parte di sé
che lo riguardasse, gli poteva succedere che un compagno gliele spostasse per
togliergli lo sgabello di sotto, o che un altro le usasse, senza il suo consenso,
da cuscino. t quindi comprensibile come i sorveglianti qualche volta scherzassero
sul ruolo di «Svengali», per definire un paziente che si specializzava
nell'«uso freddo» di un altro, come quando, per tenersi il posto
migliore di fronte alla televisione e insieme prendersi un bicchiere d'acqua,
un paziente nell'Ospedale Centrale usava un compagno perché gli tenesse
la sedia, facendolo sedere mentre andava a prendersi da bere, e mandandolo via
appena tornava.
2.
Un modo evidente in cui un individuo può far uso di un altro, è
quando ingaggia con lui uno scambio apertamente economico che implica una vendita
o un commercio. Una persona partecipa dei piani di un'altra semplicemente in
virtù di una stipulazione precedentemente stabilita su ciò che
ne ricaverà in cambio; non importa chi sia colui che vende: una macchina
o un'agenzia di ordinazione per corrispondenza, servono esattamente come una
persona. Le condizioni sociali richieste per questo tipo di collaborazione comprendono
un grado di fiducia reciproca nei confronti della realtà che sottende
l'apparenza di ciò che ciascuno offre; un accordo su un prezzo equo;
qualche meccanismo per indurre ad impegnarsi in una richiesta o un'offerta,
e la convinzione che si possa far uso in questo modo di persone e cose. Lo scambio
economico in sé può «esprimere» queste condizioni
sociali, nel senso che provvede tracce o prove della loro esistenza. Considererò
più oltre il fatto che, in ogni situazione sociale, reale, il processo
dello scambio economico viene modificato dall'influenza di adattamenti sociali
aggiunti; mi limito qui ad accennare che, nel caso di scambi non autorizzati
o nascosti, la fiducia nell'altro può dover essere notevole, poiché
l'altro polo contraente potrebbe rivelarsi un rappresentante travestito dell'autorità,
o qualcuno che più tardi può dare le prove del commercio in atto
all'autorità, o qualcuno che non consegna la merce; si deve cioè
fare affidamento sulla natura nascosta della transazione, per evitare la sanzione
ufficiale.
Nell'Ospedale Centrale, come in molte altre istituzioni totali moderne, gli
internati potevano spendere i loro soldi al bar interno e alle varie macchine
a gettone che vendono caramelle. Tuttavia, come in altre istituzioni totali,
c'era in questi acquisti un maggior numero di limiti rispetto all'esterno. Primo,
la fonte e la quantità di denaro di cui potevano disporre erano fisse.
Al momento dell'ammissione il paziente doveva rinunciare ai suoi soldi liquidi
e anche al diritto di ritirare i suoi risparmi; in cambio, gli veniva data una
piccola somma stabilita dall'ufficio dell'ospedale, incaricato di custodire
i suoi fondi (126). Per ottenere una somma extra dal proprio credito ospedaliero,
o, in caso di veterani, per aumentare lo stipendio mensile da 10 a 20 dollari,
occorreva un ordine ufficiale, firmato dal proprio capo-reparto. Dato che si
presumeva che tutti i loro «bisogni» fossero soddisfatti dall'istituto,
ai pazienti veniva ufficialmente proibito di ricevere soldi, in cambio del lavoro
prestato in ospedale (127). Secondo, la quantità di articoli in vendita
era molto limitata rispetto al mercato esterno: al bar interno non si vendevano,
per esempio, fiammiferi, alcolici, lamette da barba o anticoncezionali, e lo
smercio era evidentemente troppo scarso per tenere una maggiore provvista di
vestiario. Infine, per i pazienti che non godevano della libertà di girare
nell'area ospedaliera, il bar era ufficialmente accessibile, solo se accompagnati
in gruppo, o quando veniva loro permesso di andare con un sorvegliante, in caso
si svolgesse qualche festa nel centro sociale ricreativo li vicino.
Come si può prevedere da ciò che si verifica in altre situazioni,
i pazienti escogitavano mezzi per evitare le restrizioni loro imposte sull'uso
del denaro (128). Facevano di tutto per tenere fuori dal controllo dell'amministrazione
ospedaliera i loro fondi, in parte perché si credeva che gli amministratori
facessero una sorta di inquisizione sulle condizioni economiche di ciascun paziente
che, a seconda delle proprie possibilità, doveva pagare una parte della
retta. Un degente con una pensione mensile (Veterans Administration) dichiarò
di essere riuscito, per un certo tempo, a tenerla fuori dal controllo dell'ospedale,
poiché la sua ex padrona di casa la ritirava per lui. Altri usavano dei
risparmi postali per avere un conto che solo loro potevano controllare. Alcuni,
di recente ammissione, dimenticavano tranquillamente le regole dell'istituto
e continuavano a firmare, dall'ospedale, assegni sulle banche locali. Si diceva
che qualcuno avesse tentato di seppellire i suoi soldi nel giardino dell'ospedale,
per tenerli al sicuro. Talvolta succedeva che un paziente usasse un compagno
come una banca, pagando anche l'interesse.
Nell'Ospedale Centrale gli oggetti e i servizi illecitamente acquistati dai
pazienti, e le fonti di denaro illecitamente usate, erano illeciti secondo gradi
diversi.
C'era l'atto severamente proibito di comprare e vendere bevande alcoliche, contrabbandate
all'interno dell'ospedale. Si diceva fosse possibile acquistarne regolarmente
ad un dato prezzo, ma, mentre io stesso ho bevuto più di una volta qualche
alcolico sia con i sorveglianti che con i pazienti. non ho una conoscenza personale
diretta di un mercato di questo genere. Così come si diceva anche che
alcune giovani donne, occasionalmente, si prostituissero per qualcosa meno di
un dollaro, ma non ne ho alcuna prova. Come non ho alcuna prova che ci fosse
un mercato di droghe. Alcuni pazienti avevano fama, fra gli internati e lo staff,
di prestare denaro ai compagni o ai sorveglianti a un interesse relativamente
alto, stimato sul 25 per cento per un breve periodo; in questi casi sembrava
che colui che prestava il denaro fosse altrettanto interessato al ruolo sociale
derivatogli dagli affari che riusciva a trattare, quanto alla restituzione del
denaro prestato.
Altri tipi di servizi a pagamento erano meno proibiti. I pazienti dichiaravano
che era possibile farsi stirare un paio di calzoni per 25 cents. Alcuni ex barbieri
di professione facevano «ottimi» tagli di capelli in cambio di sigarette
o denaro, mercato questo che era stato creato dai «pessimi» tagli
di capelli, generalmente forniti dall'ospedale (129). Un orologiaio, in uno
dei dipartimenti, si era così ben organizzato nel suo commercio, che
molti membri dello staff, oltre ai pazienti, pagavano per i suoi servizi, a
un prezzo corrispondente circa alla metà di quello che valeva «fuori».
Una coppia di pazienti si occupava della distribuzione dei giornali all'interno,
e arrivava al punto di assumere altri degenti come aiutanti. Un paziente che
non aveva la libertà di andare in città pagò 35 cents ad
un compagno, che invece poteva farlo, perché gli consegnasse un vestito
alla pulitura a secco e glielo riportasse (servizio per il quale c'erano richieste,
ma nessun prezzo fisso) e pagò un compagno che lavorava nel negozio di
calzoleria, per mettergli tacchi nuovi su un paio di scarpe che non gli erano
state fornite dall'ospedale.
Sebbene questi servizi fossero comprati e venduti, non erano tuttavia comprati
e venduti da tutti i pazienti. Una delle vendite più sviluppate era quella
dei fiammiferi, che erano formalmente proibiti, ma sul cui possesso veniva poi
chiuso un occhio - tranne per quei pazienti considerati pericolosi nei confronti
del fuoco. Un degente era conosciuto in tutto l'ospedale come il venditore di
fiammiferi - un penny per ogni pacchetto - e tutto il giorno, anche pazienti
che non conosceva, venivano da lui, penny in mano, per comprare i fiammiferi.
La fonte principale dei guadagni dei pazienti, a parte il denaro autorizzato
o portato dai parenti, pare fosse il commercio che proveniva dal lavaggio delle
macchine. I membri dello staff a tutti i livelli erano clienti, sia su una base
«regolare» di due dollari il mese, o di una lavata ogni tanto, a
50 o 75 cents. (La tariffa commerciale in uso per un lavaggio era da 1,25 a
1,50 dollari). I visitatori occasionali che si trovavano in ospedale, venivano
avvicinati come potenziali clienti, dagli apprendisti lavatori di macchine.
Alcuni pazienti addirittura le lucidavano; il che però richiedeva un
capitale per pagare il lucido in anticipo, e un contatto esterno per comprarlo.
Il commercio sulle macchine, diversamente da molti altri nell'ospedale, aveva
dato origine ad una divisione imprenditoriale del lavoro: un paziente vendeva
per 5 cents grandi secchi d'acqua a chi lavava le macchine; un altro dichiarò
di assumere dei compagni per lavare macchine per le quali aveva solo contrattato;
un altro dichiarava di ricevere generalmente 50 cents di provvigione, per indicare
un lavoro di lucidatura.
I pazienti cominciavano a sentire che il lavaggio delle macchine era una loro
legittima prerogativa, e che le mansioni loro imposte nell'ospedale si trovavano
ad interferire ingiustamente con i loro guadagni. Qualche volta si arrivava
ad un compromesso non ufficiale per il quale il paziente poteva fare il suo
lavoro d'ospedale riservandosi, tuttavia, il tempo per ciò che egli talvolta
chiamava il suo «vero lavoro». Si può aggiungere che sebbene
alcune pazienti lavassero le macchine, questa fonte di guadagno, come molte
altre non autorizzate nell'ospedale, veniva considerata di proprietà
degli uomini.
C'erano poi alcune tecniche minori per far soldi. Alcuni pazienti lucidavano
le scarpe dei compagni e dei sorveglianti. Negli intervalli delle partite di
calcio, alcuni vendevano bibite con piccoli guadagni. In qualche reparto i pazienti
compravano delle polverine al bar interno e vendevano le bibite fatte da loro.
Uno o due altri pazienti coglievano bacche nei cespugli del giardino e le vendevano,
quando potevano, alle mogli del personale che risiedeva in ospedale.
Gli internati a volte si vendevano fra di loro il materiale che, in occasioni
diverse, veniva distribuito dall'ospedale. Talvolta, quando tornavano dal centro
sociale ricreativo dove si facevano i giochi, vendevano i premi vinti al bingo;
talaltra vendevano le sigarette che venivano distribuite alla fine delle feste
organizzate per tutto l'ospedale, così come quelle guadagnate dagli aiutanti
della cucina nelle sere in cui, una particolare opera assistenziale della città
vicina, organizzava il solito ballo per i pazienti nel centro sociale ricreativo.
Talvolta vendevano i vestiti dell'ospedale; per il tabacco distribuito gratuitamente
guadagnavano 5 cents.
Alcuni pazienti ottenevano apertamente denaro con mezzi che risulterebbero illeciti,
così all'esterno come all'interno, dato che sono definiti disonesti.
Si diceva che i telefoni a pagamento nell'area ospedaliera fossero stati fissati,
in passato, con la gomma americana in modo da far restituire le monete solo
a chi vi aveva messo la gomma. Si diceva anche che libri della biblioteca fossero
stati rubati e venduti, e che alcuni pezzi dell'attrezzatura atletica fossero
stati venduti a qualcuno del vicino paese (130).
Quando un internato di un'istituzione paga impropriamente del denaro, in cambio
di vantaggi o servizi, a qualcuno che, come rappresentante dell'istituzione,
controlla ufficialmente e dirige l'accesso a quei vantaggi e a quei servizi,
è il caso di parlare di corruzione. Si diceva che la cosa succedesse
quando veniva assegnata ad un paziente una stanza singola; ma questo l'ho solo
sentito dire, e non penso fosse una pratica regolare. In prigione, naturalmente,
la corruzione delle guardie è un fatto noto (131).
Finora ho descritto il ruolo, nella vita sotterranea dell'ospedale, della circolazione
monetaria ufficialmente usata nella società esterna. Questo mezzo di
scambio ha virtù fiduciarie ben note: occupa poco spazio, può
essere maneggiato e conservato senza che si deteriori, è difficile falsificarlo,
e, entro una certa denominazione, è un simbolo accettabile quanto un
altro; può essere usato per una stima e per definire i limiti di un valore;
il suo valore intrinseco o convenzionale non è tanto grande da causare
sfrenate corse all'accaparramento. La circolazione monetaria ufficiale, mentre
non era facilmente ottenibile, aveva per i pazienti un valore aggiunto: con
i soldi in tasca l'internato poteva esercitare dei diritti su beni fuori dell'ospedale,
poteva cioè parlare un linguaggio comprensibile all'esterno anche se
ufficialmente non gli veniva riconosciuta la possibilità di parlarlo.
Nelle istituzioni totali si sviluppa spesso un mezzo di scambio non ufficiale.
C'è un caso riportato di circolazione monetaria o «carta moneta
inconvertibile» sviluppata in un campo di prigionieri di guerra (132);
tuttavia di solito è largamente preferito il mezzo nascosto che si trova
ad avere marcate limitazioni come una forma di denaro. Per esempio, quando le
sigarette vengono usate come mezzo di scambio (133), la loro conservazione può
risultare un problema; se ne confrontano le marche; possono facilmente essere
svalutate perché sgualcite; il consumo può quindi introdurre larghe
fluttuazioni nel valore della moneta.
La vita sotterranea ospedaliera illustra bene alcune limitazioni, tipiche di
un mezzo di scambio sostitutivo. In qualche partita a poker venivano usate,
come gettoni, sia monete che sigarette, ma il vincitore delle sigarette tendeva
a tenerle per fumarsele. Durante i balli della comunità, organizzati
nel centro sociale, un paziente poteva andare al bar interno per prendere ad
un compagno una bibita o un pacchetto di sigarette, in cambio di qualche sigaretta.
Analogamente, nei reparti per regrediti, un paziente che aveva una sigaretta
poteva evitare di dover implorare al sorvegliante che gliela accendesse, ottenendo
che un'altra persona andasse a chiederglielo per lui, con la promessa di un
paio di tirate. In questi casi le persone coinvolte nella transazione si mantenevano
nella condizione di chi metteva in atto un accordo freddamente stipulato, e
non di chi fa un favore. Solo pochi pazienti, tuttavia, sembravano voler comprare
questo tipo di servizi, e solo pochi pazienti erano noti come persone desiderose
di offrirli.
L'uso di moneta sostitutiva (e lo sviluppo di uno speciale valore della moneta
ufficiale circolante nella società esterna) non poteva estendersi troppo
nell'Ospedale Centrale, poiché il rifornimento, sia di moneta che di
beni, non era tanto limitato come in alcune carceri e campi di prigionieri di
guerra (134). Entrava ed usciva un tal numero di visitatori, che entravano costantemente
denaro e rifornimenti generali, sotto forma di favori da parte dei parenti.
Inoltre, i degenti che potevano uscire in città erano nella condizione
di introdurre rifornimenti, senza temere di essere perquisiti al cancello; così
come i pazienti che erano liberi di circolare nell'area ospedaliera potevano
facilmente evitare di essere scoperti quando facevano qualche sortita dall'ospedale
(135). Al valore economico delle sigarette venivano applicate altre limitazioni
dovute al fatto che l'ospedale distribuiva carta e tabacco quasi gratis a quelli
che prestavano un servizio continuo, o a quelli che erano riconosciuti come
«aiutanti». In alcuni casi queste sigarette, da farsi a mano, erano
distribuite periodicamente sia che i pazienti avessero prestato un qualche servizio
o no. Benché a nessuno piacesse fumare le sigarette fatte a mano, esse
portarono ad un limite massimo il valore delle sigarette normali perché
queste ultime non consentivano soltanto una fumata, ma una buona fumata, piena
di prestigio.
Dovremmo ora ricordare un'ultima fonte nascosta di denaro e di vantaggi - il
giuoco d'azzardo (136). I piccoli circoli che si dedicavano a quest'attività
nell'ospedale sono già stati descritti. Qui voglio solo sottolineare,
ancora una volta, che perché sia possibile fare un simile uso di un altro,
è necessario vi sia la comprensione sociale di ciò che sottende
un mercato. Voglio solo aggiungere che la prontezza nell'accettare un individuo
come partner possibile di una partita a poker e di blak-jack, era, qualche volta,
indipendente dal fatto che potesse avere durante il giorno qualche manifestazione
di sintomi psicotici (soprattutto se la posta era apprezzabile in rapporto ai
mezzi economici dei partecipanti).
L'uso di denaro «vero» o sostitutivo è semplicemente una
forma di attività economica, sebbene sia la forma più reale per
larghi gruppi. All'altro estremo troviamo un «baratto diretto»;
in questo caso ciò cui la persona rinuncia può essere desiderato
solo da chi lo ottiene, e ciò che gli viene dato in cambio può
avere uno scarso valore agli occhi di un altro. Si tratta qui di un tipo di
commercio, non del commercio in generale. Questo genere di baratto, a parte
il caso delle sigarette che si poteva, volendo, rivendere, era comune nell'Ospedale
Centrale. Per esempio, la frutta fresca che veniva data talvolta come dessert
dopo il pranzo, poteva essere scambiata con altri oggetti desiderati; così
come venivano barattati i vestiti forniti dall'ospedale.
3.
Ho accennato al fatto che la vendita o il baratto, e i princìpi dell'organizzazione
sociale impliciti in queste attività economiche, provvedevano notevoli
mezzi non ufficiali attraverso i quali gli internati facevano un reciproco uso
l'uno dell'altro. Tuttavia, come probabilmente accade in molte istituzioni totali,
c'era un mezzo più efficace di scambiarsi oggetti e servizi, un modo
più efficace di moltiplicare i tentativi non ufficiali fatti da un individuo,
attraverso l'appropriazione di azioni altrui usabili non ufficialmente.
Una persona, a causa dell'identificazione con la condizione o la situazione
di vita altrui, può volontariamente assistere un'altra, e offrirgli una
dimostrazione cerimoniale di rispetto; fornendo allo studioso, nel primo caso,
un segno di solidarietà, nel secondo un suo simbolo. Tali segni e simboli
di interesse verso l'altro sono, di solito, in qualche modo reciproci, poiché
la persona verso la quale ci si pone in un atteggiamento oblativo spesso è
in un atteggiamento oblativo verso l'altro. In questo caso si tratta di uno
scambio reale di cose reciprocamente desiderabili e dove il rapporto è
egualitario, lo scambio è spesso equilibrato (137). Tuttavia, parlando
analiticamente, questo transfer a due vie, o ciò che può definirsi
come uno scambio sociale, è diverso da uno scambio di tipo chiaramente
economico. L'accordo precedente su ciò che deve essere scambiato è
tipico di uno scambio economico, ma può risultare compromettente in uno
scambio sociale, poiché la finalità palese dell'uno può
essere semplicemente una conseguenza incidentale per l'altro. Chi viene meno
ai propri obblighi in uno scambio economico può essere costretto a pagare
ciò che deve; ma chi viene meno nel restituire un favore o un gesto di
rispetto, può essere soltanto accusato di maleducazione, e venir richiamato
con un rimprovero. (Se la parte offesa vuole intraprendere un'azione più
diretta, maschererà spesso la vera causa del suo reclamo e scoprirà
un'altra offesa, che possa essere affrontata in termini giuridico-economici,
così da proteggere entrambi i sistemi di riferimento). Qualcosa dato
in cambio deve essere immediatamente pagato, o deve essere pagata la dilazione
del pagamento; ma mentre un favore sociale deve essere restituito quando il
rapporto lo richiede, esso deve essere restituito solo "se" il rapporto
lo richiede, cioè quando il ricevente putativo ha bisogno di un favore,
o quando è stabilito ritualmente che debba ricevere un'espressione di
riguardo cerimoniale. Nello scambio sociale è necessario mantenere l'equilibrio
del rapporto, e un favore sostanziale dato dall'uno, può essere adeguatamente
controbilanciato da un gesto puramente cerimoniale dell'altro; poiché
entrambi gli atti possono ugualmente attestare che c'è un reale interesse
reciproco (138). Negli scambi economici, d'altra parte, non c'è un numero
di ringraziamenti che sia in grado di soddisfare colui che dà; egli deve
ricevere in cambio qualcosa di valore equivalente. Talvolta un diritto economico
su un altro può essere ceduto ad una terza persona, che, in questo caso,
si trova nella condizione di esercitare su di lui i suoi diritti; ma il diritto
ad un'espressione o ad un segno di solidarietà da parte di un altro,
può essere limitatamente trasferito ad un terzo, come nel caso delle
lettere di presentazione. Per quanto riguarda la richiesta di collaborazione
altrui, dobbiamo perciò distinguere fra compensi economici e compensi
sociali.
La differenza fra compensi economici e sociali è ben evidente nel doppio
uso fatto del denaro, nell'Ospedale Centrale. La paga ricevuta per lavare una
macchina era soltanto una parte di ciò che sarebbe costato lo stesso
lavoro all'esterno, e consisteva molto spesso semplicemente in denaro, come
parte del sistema di mercato. Così, uno dei vantaggi del lavoro in ospedale,
per alcuni membri dello staff, risultava la possibilità di far pulire
la macchina a poco prezzo. Il denaro era comunque usato anche in modo puramente
rituale. Un paziente che lavorava per un membro dello staff, poteva ricevere
occasionalmente un quarto di dollaro, non come pagamento fatto in cambio di
un servizio, ma solo come espressione di stima. Così, gli stessi pazienti
talvolta non solo compravano ad un amico una bibita al bar, ma gli davano apertamente
un nichelino o un soldo dicendo «To', comprati una coca cola». Come
per le mance, questi compensi potevano essere attesi ma non richiesti, e servivano
a date la misura di quanto si "apprezzasse" un rapporto; non si trattava
quindi di uno "scambio di valore" per un lavoro fatto.
In ogni organizzazione sociale si sviluppano legami di solidarietà fra
gruppi dei suoi membri. In istituzioni familiari e sociali, alcuni di questi
legami possono essere ufficialmente richiesti a coloro che vi partecipano, come
parte degli adattamenti primari. In altri casi, come nelle amicizie superficiali
fatte durante il tempo libero che si riscontrano in alcuni uffici commerciali,
gli adattamenti primari consisteranno in un'opzione sul fatto di lasciarsi coinvolgere
o no in queste strutture. Tuttavia, spesso i legami funzionano come parte della
vita sotterranea della istituzione, secondo due modalità. Primo, il sostegno
puramente affettivo e il senso di un legame personale che ne deriva può
non essere previsto nel piano ufficiale dell'organizzazione. Forse la forma
più esplicita di questa modalità è il cosiddetto affare
d'ufficio o, in termini ospedalieri, «un romanzetto fra malati»
perché questo tipo di legame, come è stato prima suggerito, può
assorbire un'enorme quantità di tempo dei partecipanti, riempiendo gran
parte del mondo nel quale vivono. Secondo, e più importante in questo
contesto, tali sottostrutture possono provvedere le basi per scambi economici
sociali, del tipo che risulta nel trasferimento non autorizzato di beni e di
servizi. Per considerare il ruolo degli scambi sociali nell'Ospedale Centrale
dobbiamo analizzare i tipi di solidarietà qui riscontrati.
Nell'Ospedale Centrale, come in molte altre istituzioni totali, c'erano tipi
standardizzati di legami. Le relazioni di «amicizia», nelle quali
due individui mostravano ciò che era sentito come un rapporto non sessuale
e che si identificava, fino ad un certo punto, con l'interesse che l'uno dimostrava
per l'altro (139). Le relazioni di tipo flirt, quando due persone, generalmente
di sesso opposto, dimostravano uno speciale tipo di interesse reciproco di carattere
sessuale (140). Rapporti di amicizia fra gruppi, in cui tre o più persone,
o due o più coppie, dimostravano di preferire la loro reciproca compagnia
e si scambiavano qualche aiuto reciproco. Rapporti di categoria, in cui due
internati, in virtù del fatto che si riconoscevano in quanto internati,
dimostravano segni di reciproco rispetto. Infine rapporti di protezione, che
si verificavano fra un membro dello staff e un paziente di cui faceva un qualche
uso.
Propongo di raggruppare l'amicizia, il corteggiamento e i rapporti fra gruppi,
nella categoria generale dei «rapporti personali». Di solito questi
rapporti non erano proibiti in ospedale, sebbene le coppie che si corteggiavano,
non avendo la possibilità di sposarsi, venissero diffidate dall'«andare
troppo a fondo» e le relazioni omosessuali fossero ufficialmente proibite,
anche se gruppi di omosessuali che potevano circolare liberamente, potessero
dedicarsi tranquillamente alla loro particolare solidarietà all'interno
dell'area ospedaliera.
Internati che avevano un certo rapporto personale fra di loro si prestavano
denaro, sigarette, vestiti, e libri tascabili; si aiutavano a muoversi da un
reparto all'altro; si portavano tranquillamente articoli di contrabbando dall'esterno
dell'ospedale; tentavano di far pervenire qualche oggetto di conforto a quelli,
del loro gruppo, che avevano fatto qualche «azione di disturbo»
e perciò erano stati messi in un reparto chiuso; si consigliavano l'un
l'altro, su come ottenere certi privilegi, e si ascoltavano reciprocamente nell'esposizione
dei propri casi (141).
Nell'Ospedale Centrale, come negli ospedali psichiatrici in generale, sembrava
esservi un tipo particolare di rapporto di amicizia: quello dell'«aiutante».
Un paziente, spesso considerato dagli altri seriamente malato, si prendeva l'incarico
di aiutare regolarmente un altro paziente che, secondo lo staff, era più
malato di lui. L'aiutante vestiva l'amico, gli arrotolava e gli accendeva la
sigaretta, se occorreva lo proteggeva nelle risse, lo accompagnava in refettorio,
lo aiutava a mangiare (142). Mentre molti dei servizi che l'aiutante prestava
erano quelli che il paziente avrebbe avuto il diritto di ricevere, ce n'erano
spesso altri che quel particolare paziente non avrebbe ricevuto senza l'aiuto
dell'amico. Il punto interessante è che, per un osservatore occasionale,
il rapporto appariva ad una sola via: la persona aiutata non dava niente di
visibile in cambio (143). Inoltre, poiché entrambi i partecipanti erano
spesso abbastanza regrediti, il tempo che intercorreva fra i servizi specifici,
non era impiegato in dimostrazioni socievoli di amicizia, anche se avevano tutte
le opportunità per farlo.
Gli scambi sociali nell'ospedale erano caratterizzati dalle scarse possibilità
di cui i pazienti godevano di esprimere un reciproco rispetto e di offrire un
reciproco aiuto. Questa era una notevole mancanza, dovuta alle ridotte possibilità
della vita ospedaliera, mancanza che veniva ufficialmente riconosciuta nel fatto
di mettere a disposizione dei pazienti, nel centro sociale ricreativo, materiale
per far cartoline di Natale e di auguri da poter inviare agli altri. Quindi,
come previsto, alcuni adattamenti secondari praticati nell'ospedale, avevano
lo scopo di produrre oggetti che potevano passare ad altri - in breve, dei "rifornimenti
rituali" (144). Le stanze da pranzo dei pazienti e i refettori servivano
come una fonte di questi rifornimenti rituali, poiché quando veniva distribuita
della frutta che poteva essere trasportata - arance, mele o banane - i pazienti
la portavano in reparto senza mangiarla, non solo per farsene una scorta personale
o per fare qualche scambio economico, ma come qualcosa da dare agli amici. Così
giocando a bridge nel centro sociale ricreativo, uno poteva accettare una sigaretta,
ricambiando il favore con un'arancia; un onesto scambio economico compiuto nello
spirito di chi non si preoccupa minimamente di questa meschina onestà.
Analogamente, mettendosi in fila per un secondo piatto, un paziente poteva domandare
ai compagni che mangiavano con lui, se volevano che prendesse qualcosa per loro;
in cambio, gli altri gli avrebbero offerto sale e pepe o zucchero che si erano
portati appresso. Inoltre quando ricevevano dolci e biscotti al centro sociale
ricreativo nelle sere di festa, un paziente incartava qualcosa per portarla
all'amico, al quale non era stato permesso di lasciare il reparto. Anche il
tabacco distribuito dall'ospedale poteva essere usato nello stesso modo. In
breve, il sistema dell'ospedale poteva essere lavorato per dei rifornimenti
rituali.
Il ruolo rituale delle sigarette era particolarmente interessante. Alcuni pazienti,
soprattutto quelli appena entrati, erano ancora in una situazione abbastanza
favorevole da poterne offrire, così come si fa nel mondo esterno, benché
la cosa creasse qualche complicazione: un paziente che aveva il proprio pacchetto
accettava spesso una sigaretta quando venivano offerte in giro. (Conoscevo un
giovane che era orgoglioso di essere capace di «lavorarsi» gli altri
per ottenere una sigaretta, spegnendo quella che stava fumando, quando si avvicinava
qualcuno facilmente «lavorabile») (145). Concedere un paio di aspirate
o di «tirate» era una cortesia che si faceva comunemente ad un amico,
come dargli la cicca della propria sigaretta. (Le cicche erano inoltre uno dei
più importanti rifornimenti rituali usati dai sorveglianti, per concedere
favori ai pazienti).
Nei reparti per vecchi pazienti regrediti, la misura del valore rituale cambiava.
Qui era abbastanza improbabile che qualcuno, eccetto forse un sorvegliante,
desse ad un paziente una sigaretta intera. Alcuni degenti non riuscivano ad
arrotolare le loro sigarette, e dipendevano così dai pazienti più
abili nel farlo. L'arrotolamento diventava allora un favore, talvolta richiesto
(dato che il paziente si presentava di fronte al proprio aiutante con il necessario
per farla), mentre talvolta veniva volontariamente offerto, prima che fosse
domandato. La cicca di una sigaretta fatta a mano era ricercata da alcuni pazienti
e offerta da altri, essendo questa una moneta cerimoniale di scarso valore nelle
altre zone dell'ospedale. Generalmente la sigaretta di pacchetto soppiantava
la sigaretta fatta a mano: quest'ultima veniva infatti scartata quando si otteneva
la prima. Si riscontrava, al proposito, un tipo di rapporto di elemosina, per
cui sorveglianti e pazienti si sceglievano dei destinatari favoriti per le loro
concessioni. Un malato mutacico protetto, che volesse fare una fumata, veniva
dal suo protettore e si fermava di fronte a lui quando si accendeva o stava
già fumando una sigaretta. Il questuante stava lì ad aspettare
finché la sigaretta non fosse consumata, tanto da poter essergli regalata.
Egli stesso a sua volta poteva essere il protettore di un altro paziente, e
gli passava la cicca, dopo aver fumato quel tanto che gli pareva giusto. Colui
che la riceveva per terzo, doveva usare una specie di pinza per proteggersi
dalle scottature. Una volta gettata sul pavimento, la cicca veniva spesso raccolta
da un altro paziente che l'avrebbe ritenuta troppo piccola per fumarla, ma abbastanza
grande per usarne il tabacco. Alcuni reparti per regrediti erano organizzati
in modo che una sigaretta passasse di "routine" per tre o quattro
mani.
Un'analisi approfondita del ruolo delle sigarette, ci porterebbe tuttavia, fuori
del terreno dei legami personali di amicizia e dei gruppi di internati, ad una
considerazione sulla condizione del paziente come tale, e soprattutto alla considerazione
del fatto che due persone potevano far amicizia fra di loro, semplicemente perché
entrambi erano due pazienti. Quasi tutti i pazienti dell'ospedale, eccetto i
pochi preadolescenti, facevano riferimento ad un unico sistema di sigarette,
che comportava il diritto di chiedere e l'obbligo di garantire l'accensione
di una sigaretta da una già accesa (146). Era sorprendente il fatto che
i ricoverati dei reparti peggiori, tanto ammalati da essere mutacisti per anni,
tanto ostili da rifiutare l'offerta di una sigaretta, e tanto distratti da dimenticare
di spegnere quella che tenevano ancora accesa e che incominciava a bruciar loro
le mani, osservassero questo sistema. La funzione del quale era naturalmente
salvaguardare i pazienti dal dover pregare i sorveglianti per aver fuoco.
Come il sistema dell'ospedale, le mansioni ospedaliere venivano lavorate, non
solo in vista di ciò che poteva essere consumato o commerciato individualmente,
ma anche in nome di qualcosa che poteva passare per un sentimento di solidarietà.
Chi lavorava nella serra poteva regalare fiori alle persone da lui preferite
dello staff; quelli che lavoravano in cucina potevano portare del cibo in reparto.
agli amici; quello che, in cambio della custodia del campo da tennis, otteneva
delle palle buone, poteva darne qualcuna ai compagni preferiti. Nei reparti
dove il caffè era servito con il latte già mescolato - privazione
questa notevole per coloro ai quali piaceva nero - i pazienti che lavoravano
nelle cucine erano in condizioni di fornire ai compagni il caffè di loro
gusto. Quelli che aiutavano a dividere le noccioline in sacchetti, da consegnare
ad ogni paziente che assisteva alle partite di calcio fuori dell'ospedale, potevano
essere assillati dagli amici che richiedevano rifornimenti, il giorno dopo la
partita.
Si può ora citare un'altra fonte di rifornimenti rituali: il cibo, le
sigarette e il denaro portati ai pazienti dai parenti. Nei pochi settori dove
regnava un alto spirito di reparto, ciò che portavano i parenti era spesso
subito distribuito ai compagni, così che il reparto veniva inondato rapidamente
di biscotti e tavolette di cioccolata.
Ho accennato che fossero le cattive condizioni di vita dei pazienti dell'Ospedale
Centrale, con l'implicita perdita di rifornimenti rituali, a portare alla creazione
di questi rifornimenti dalle materie prime che si trovavano a portata di mano.
Qui si deve precisare un paradosso. E' stato detto dai criminologi che le regole
creano la possibilità delle infrazioni e quindi delle corruzioni. Così
si può dire che sono le restrizioni a creare un desiderio attivo, ed
è il desiderio attivo che può portare a creare i mezzi per soddisfarlo.
Questi mezzi possono essere consumati privatamente e commerciati: ma possono
anche passare per un'espressione di rispetto verso gli altri. Per esempio, in
molti reparti chiusi, almeno uno o due pazienti ricevevano un quotidiano. Dopo
averlo letto, il proprietario se lo portava appresso, sottobraccio, o lo nascondeva
in reparto; durante la mattina poteva perciò concederlo in prestito agli
amici. Il materiale di lettura che mancava nel reparto diventava così
il suo rifornimento rituale. Analogamente un paziente che riusciva ad ottenere
il permesso di radersi con l'attrezzatura del reparto, in un giorno fuori programma,
poteva riuscire a tenerlo tanto a lungo da permettere anche ad un amico di radersi.
Un esempio del carattere generatore di favori delle restrizioni, può
essere individuato nelle pratiche di corteggiamento nell'Ospedale Centrale.
Quando uno dei due componenti di una coppia veniva chiuso, l'altro poteva effettuare
la consegna di messaggi, sigarette, caramelle, con l'aiuto di un compagno di
reparto dell'amico segregato che potesse invece muoversi liberamente. Inoltre,
entrando di nascosto in un edificio adiacente a quello dell'amico, era talvolta
possibile vederlo dalla finestra di un fabbricato alla finestra dell'altro.
Sapendo che l'amico rinchiuso avrebbe avuto il permesso di uscire in gruppo,
era qualche volta possibile camminargli al fianco, mentre lui, o lei, veniva
accompagnato dal reparto ad un altro edificio. Ma quando entrambi perdevano
il privilegio di muoversi liberamente all'interno dell'ospedale, o non lo avevano
ancora ottenuto, si assisteva ad una serie di rapporti veramente complicati.
Per esempio, una volta ho visto un paziente in un reparto chiuso usare la tecnica,
ormai standardizzata, di far cadere un po' di soldi in un sacchetto di carta
fuori dalla finestra, ad un amico libero di circolare, che stava lì sotto.
Secondo le istruzioni, l'amico portò i soldi al bar interno, comprò
patatine fritte e caffè e li portò ad una finestra del pianterreno
dove la ragazza, amica dell'autore del piano, li poteva ritirare. Come si può
vedere, per i pochi pazienti in questa posizione, l'ospedale forniva una sorta
di situazione scherzosa nella quale ci si poteva mettere contro l'autorità,
e alcuni dei rapporti che ne nascevano sembravano nascere, in parte, dal divertimento
che traeva colui che li metteva in atto, nell'intrigo di sostenerli.
Sebbene il passaggio di un favore da una persona ad un'altra possa essere mediato
dall'assistenza di una o anche di due altre persone, la serie di mediazioni
nell'Ospedale Centrale non sembrava estendersi oltre. Anche se piccoli gruppi
di amici potevano agire come sistemi di trasporto, e la maggior parte dei pazienti
liberi di circolare potevano parteciparvi, i pazienti come gruppo non formavano
(in questo caso) un unico sistema informale poiché eccetto per una tirata
di sigaretta, il proprio diritto poteva essere esercitato su pochi particolari
compagni, e non su qualunque paziente, in quanto tale.
Ho accennato al fatto che le restrizioni creano esse stesse la possibilità
di essere eluse, individualmente ma anche in favore dei propri amici. C'è
un altro modo in cui le condizioni di vita restrittive provocano, esse stesse,
dei rifornimenti per uno scambio sociale ed economico: dove le persone sono
tenute all'oscuro di ciò che sarà il loro futuro, e dove sono
uniformate circa il modo di «cavarsela» in una situazione dove «cavarsela»
significa sopravvivere psicologicamente, l'informazione in sé diventa
un bene cruciale, e colui che può dispensarla si trova in una posizione
favorevole nel sistema di scambio economico e sociale (147). E' comprensibile
quindi come, nelle istituzioni totali, gli amici si aiutino l'un l'altro informandosi
reciprocamente di tutto; così com'è altrettanto comprensibile
che nell'Ospedale Centrale, come nelle carceri, ci sia il desiderio, da parte
dello staff, di tenere i nuovi internati lontani da quelli vecchi, perché
i nuovi - attraverso l'amicizia o uno scambio economico - non imparino i trucchi
del mestiere.
4.
I legami personali, ora considerati, rappresentavano una importante categoria
di rapporti che forniva le basi per uno scambio sociale non ufficiale. Un secondo
tipo da considerare, è quello costituito dai "rapporti di protezione".
In molti casi, credo, questi rapporti di protezione risultavano più stabili
di quelli personali.
Nell'Ospedale Centrale c'erano due tipi fondamentali di suddivisioni ufficiali
nei quali il paziente veniva collocato. Uno di questi era il «sistema
di reparto», che consisteva in luoghi di residenza, nella sorveglianza
imposta, e nei rapporti con altri reparti differenziati, dai quali il paziente
proveniva e ai quali poteva essere inviato. L'altro era il «sistema di
incarichi», per il quale il paziente, lasciato il reparto per tutto il
giorno o parte di esso, passava sotto la sorveglianza del membro dello staff
per il quale lavorava, e dal quale riceveva tipi diversi di terapia.
Come è stato già detto, la teoria ospedaliera era che, poiché
l'istituto badava a tutti i loro bisogni, non c'era ragione che i pazienti venissero
pagati per il lavoro che facevano. In ospedale il desiderio di lavorare per
niente era, infatti, definito come un segno di convalescenza, un segno di interesse
in attività socialmente costruttive, dato che il lavoro era definito
in sé terapeutico. Ma, sia che fosse spinto dal desiderio di agire secondo
i modelli della vita civile, o allo scopo di ottenere disciplina e motivazioni
al lavoro, il personale al quale i degenti erano affidati, si sentiva obbligato
a «mostrare quanto apprezzasse» i «suoi»pazienti. Un
esponente dello staff, che non mostrasse questo tipo di riguardo nei confronti
dei clienti, poteva trovarsi a dover constatare, alla fine dell'anno, la diminuzione
del numero di pazienti occupati nell'attività che sovrintendeva.
Il principale vantaggio offerto a coloro che lavoravano, era il diritto di lasciare
il reparto ogni giorno per la durata del lavoro - da mezz'ora a sei ore - e
il diritto ad un tempo libero occasionale, durante le ore lavorative, per andare
al bar, o alle feste nel centro sociale ricreativo. La regola tradizionale ospedaliera
era che la libertà di circolare all'interno dell'area istituzionale fosse
data soltanto a coloro che la pagavano col lavoro. (Al tempo della mia indagine
questa regola stava mutando - con molto rammarico da parte di alcuni esponenti
dello staff, i quali sentivano che non sarebbero più stati in grado di
disciplinare le persone a loro affidate. Pazienti del reparto accettazione incominciavano
a godere di una certa libertà senza doversi impegnare in lavori, se non
simbolici; e pazienti dei dipartimenti per cronici riuscivano sempre più
ad ottenere di circolare liberamente, senza dedicarsi ad alcuna attività
istituzionale).
La direzione dell'ospedale forniva una base ufficiale per il sistema di protezione,
evidente nella consegna al personale di tabacco e carta da sigarette da distribuirsi
una o due volte alla settimana agli internati loro affidati. Inoltre, a Natale,
venivano talvolta forniti ai membri dello staff oggetti e piccoli doni, così
che i pazienti ad essi assegnati sapevano che, colui per il quale lavoravano,
avrebbe organizzato una festa annuale, che consisteva in un rinfresco e regali.
In queste occasioni il membro dello staff poteva ordinare ufficialmente gelati,
succhi di frutta, e torte, al forno dell'ospedale, senza pagare; ma quasi sempre
chi organizzava la cosa si sentiva in obbligo di aggiungere altri acquisti fatti
personalmente. I pazienti erano diventati giudici attenti della qualità
di questi rinfreschi: è probabile che il più buon gelato e i dolci
più grandi che venivano acquistati fuori, ottenessero un alto apprezzamento
in rapporto al resto, da parte di questi critici consumatori; e il solito succo
di frutta fornito dall'ospedale poteva far perdere qualche punto all'organizzatore
che lo serviva.
Oltre a queste concessioni semiufficiali, il protettore ne forniva altre che
i pazienti ormai si aspettavano. I lavoratori particolarmente efficienti di
un protettore, potevano aspettarsi occasionalmente qualche pacchetto di sigarette,
qualche coca cola, vestiti smessi, il resto di un penny rimasto dalle compere
fatte al bar interno, e a volte qualche quarto di dollaro (148). Oltre a queste
concessioni materiali, i lungo-degenti potevano occasionalmente ottenere dal
protettore che intercedesse per loro, aiutandoli ad ottenere un trasferimento
in un reparto desiderato, o a passare un giorno in città, o la riduzione
di penalità quando erano stati sorpresi a infrangere una regola. Avere
il proprio nome nella lista dei partecipanti ai balli locali, al cinema o ai
giochi di baseball fuori dell'ospedale, era un altro vantaggio imprevisto. (Il
fatto stesso che si sapesse che un membro dello staff faceva totale affidamento
su un certo paziente per portare avanti un lavoro, si presume influisse sul
modo in cui le altre persone dello staff lo trattavano). Infine, talvolta i
pazienti ottenevano una riduzione della distanza sociale che li separava dai
loro protettori, una maggior sincerità e uno spirito di uguaglianza che
non avrebbero mai ottenuto da altre persone dello staff del medesimo rango.
Il sistema dell'automobile era anche molto significativo. Uno dei simboli di
status più sicuri per differenziare lo staff dal paziente libero di circolare
all'interno dell'ospedale, era guidare la macchina, cosa severamente proibita
ai pazienti. Di conseguenza chiunque fosse stato visto al volante, veniva considerato
un non paziente. In parte in reazione a questo, in parte forse a causa di questo,
lo staff tendeva a camminare molto poco, usando la macchina anche per il più
piccolo tragitto da fare nell'area ospedaliera (149). Ora, una delle concessioni
più straordinarie che un membro dello staff potesse fare ad un paziente,
era accompagnarlo in macchina da un punto all'altro del giardino; il che non
significava soltanto che il paziente avrebbe avuto più tempo da dedicare
alla sua successiva attività prevista, ma serviva come prova del fatto
che quel paziente godeva la fiducia dello staff ed era un suo intimo. Questa
dimostrazione poteva poi essere estesa ad un vasto pubblico dal sedile anteriore
di una macchina, dato il limite di velocità molto basso consentito nell'area
ospedaliera, e la tendenza dei pazienti liberi di circolarvi, di guardare chi
andava, dove e con chi.
Qualche tipo di protezione ottenuta dal paziente era, naturalmente, un prodotto
del controllo che doveva venire esercitato su di lui, per facilitare la sua
partecipazione al lavoro del protettore. Così, il paziente incaricato
di badare alla stanza a pianterreno, ufficiosamente usata come magazzino per
l'attrezzatura da giardinaggio, non solo aveva la sua sedia e il suo tavolo,
ma vi teneva sotto chiave alcune provviste di tabacco, da distribuire al gruppo
di pazienti che ufficiosamente lavoravano sotto di lui. Si trovava quindi nella
posizione di essere un protettore di diritto. Analogamente il paziente di fiducia
che aiutava in cucina durante le feste organizzate al centro sociale ricreativo,
ne aveva le chiavi e con le chiavi il compito di tenere i pazienti non autorizzati,
fuori della cucina. Era perciò nella posizione di permettere ad un amico
di entrare per fargli assaggiare qualcosa. E' qui implicito, naturalmente, un
modo particolare di «lavorarsi» il proprio incarico di lavoro (150).
Sebbene ci fossero sempre state concessioni che i pazienti, prevedendole in
anticipo, potevano ottenere lavorando con una persona particolare dello staff
(151), alcuni riuscivano a «lavorare» queste stesse tecniche abituali.
Intorno a Natale, certi pazienti, che conoscevano bene la situazione ospedaliera,
partecipavano con improvviso zelo a numerosi incarichi, facendo lavori e seguendo
diverse terapie. Quando arrivava il periodo festivo, essi potevano contare così
su molti regali e su un intero ciclo di feste - una stagione completa, nel vero
senso del termine. (I protettori non erano decisamente contrari a questo uso
della loro liberalità, perché una festa natalizia con pochi partecipanti,
esprimeva le difficoltà incontrate nel lavoro o nella terapia e, inoltre,
come ho già detto, un nome in più aggiunto alla lista delle persone
occasionalmente presenti, faceva buona impressione al direttore). Alcuni pazienti
cronici, poi, sentendo che avrebbero potuto ottenere la libertà di muoversi
nell'area ospedaliera se solo si offrivano volontari per un lavoro continuo,
assumevano il lavoro, ottenevano la libertà di muoversi e poi, gradualmente,
ne diminuivano la partecipazione, sostenendo che non sarebbero stati immediatamente
riportati, o se fossero stati riportati, non sarebbero stati immediatamente
riaccompagnati in reparto. Altri si dedicavano, per un certo tempo, ad un'attività;
stabilivano buoni rapporti con le persone dello staff incaricate, e poi andavano
a «lavorarsi» qualcun altro, tornando periodicamente dal loro primo
protettore per chiedere aiuti o qualche soldo: tentavano così di lavorarsi
l'uomo, più che l'incarico di lavoro.
Nei reparti per regrediti, dove molti pazienti dimostravano una marcata resistenza
all'instaurarsi di rapporti sociali comuni, i sorveglianti avevano uno o due
«pazienti lavoratori», che potevano essere usati come una fonte
continua di aiuto, per fare andare avanti il reparto. In questo caso, i due
sistemi (il sistema di reparto e il sistema degli incarichi di lavoro) convergevano
e il paziente si trovava a lavorare per la medesima persona che aveva l'incarico
di sorvegliarlo. Data la situazione, il paziente lavoratore poteva contare su
una serie di favori, perché le restrizioni stesse della vita del reparto
per regrediti, creavano una serie di concessioni potenziali (152). Le stanze
singole, o quasi, tendevano ad essere assegnate di diritto ai pazienti che lavoravano;
le spese fatte al bar potevano essere compensate con una sigaretta, e in caso
fossero state acquistate delle bibite, con le bottiglie vuote, che al bar venivano
valutate due centesimi l'una; i sorveglianti potevano concedere ad un paziente
il diritto di tenere rasoio e fiammiferi nella sua stanza, e i vestiti durante
la notte; quando gli veniva chiesto del fuoco, il sorvegliante poteva agire
prontamente e, in segno di particolare fiducia, gettare il suo accendino al
paziente, riducendo al minimo il significato mortificante, implicito nel fatto
di dover domandare per aver fuoco; il controllo della scorta dei vestiti e il
fatto di poter stendere la lista dei partecipanti ad attività ricreative,
mettevano i sorveglianti nella possibilità di distribuire favori.
Si deve aggiungere che il rapporto di protezione non era l'unica fonte di favori
fra staff e pazienti; esistevano rapporti personali di amicizia che non avevano
niente a che fare con l'incarico di lavoro, soprattutto, pare, fra giovani sorveglianti
e giovani pazienti, dove la solidarietà di gruppo data dall'età,
dal sesso, e dalla classe di provenienza comune, tendeva talvolta a trascurare
le distinzioni di tipo gerarchico (153). Molti sorveglianti accettavano di essere
chiamati per nome da alcuni pazienti e non da altri e gli addetti alla ginnastica,
i giardinieri, i pompieri, le guardie e la polizia si dedicavano con piacere
ad una serie di scherzi con molti degenti che godevano di una certa libertà.
Cito un esempio dai miei appunti, presi direttamente sul campo:
"Questa sera cinema. La macchina della pattuglia di polizia passa lentamente
davanti all'edificio del teatro, mentre i pazienti escono, per assicurare che
si sparpaglino ordinatamente. La macchina rallenta e si ferma, il poliziotto
guarda la folla di degenti che sta dando occhiate alle pazienti, e chiama un
paziente - noto e ben voluto - di quelli che godevano di una certa libertà.
Il paziente si volta e saluta il poliziotto come fosse un amico.
Paziente: Salve.
Poliziotto: Ti ho visto ieri sera [al ballo dei pazienti]; se ballavi ancora
ti sarebbero partite le palle.
Paziente (con un gesto come per mandarlo via): Va' via".
Dato che il sorvegliante poteva controllare, a sua discrezione, la maggior parte degli articoli di prima necessità di cui i pazienti facevano uso, la solidarietà paziente-sorvegliante (prescindendo dal rapporto di protezione) poteva servire di base per la concessione di favori. Cito al proposito un altro esempio, tratto dalle mie annotazioni:
"Sto mangiando con un amico-paziente in uno dei refettori. Mi dice: «Il cibo è buono qui, ma non mi piace il salmone [ in scatola]». Poi si scusa, rovescia il cibo nella pattumiera, va al servizio dieta per cibi a vapore, e ritorna con un piatto di uova. Sorride con un'aria scherzosa e complice e dice: «Gioco a bigliardo con il sorvegliante di questa sezione» (154).
Mentre molti di questi favori (di tipo protettivo e personale) erano in un certo senso illeciti, si dovrebbe notare che alcuni, come per esempio accendere subito la sigaretta e aprire subito una porta, dovevano essere semplicemente una cosa ufficialmente dovuta ai pazienti, che tuttavia raramente veniva fatta. Per esempio, nei reparti dove i pazienti dovevano recarsi per mangiare al refettorio centrale tre volte al giorno, i sorveglianti trovavano più comodo controllare l'ondata di pazienti, allineandoli tutti di fronte alla porta del reparto, quindici minuti prima dell'ora del pranzo, anche se la cosa costringeva gran parte dei degenti a stare ammucchiati per quindici minuti, senza aver niente da f are. I pazienti che lavoravano, o quelli che godevano di qualche particolare legame personale con i sorveglianti, potevano essere esentati da quest'obbligo e se ne andavano a pranzo, dopo che tutti gli altri erano già usciti, o li precedevano evitando l'attesa.
5.
Ho citato tre tipi di adattamenti per mezzo dei quali l'individuo può
fare uso di oggetti o di servizi di un altro: la coercizione personale, lo scambio
economico e lo scambio sociale. Ognuno di questi adattamenti ha il suo particolare
insieme di presupposti impliciti e le sue particolari necessarie condizioni
sociali. Ma questo è un quadro della situazione analiticamente semplificato.
Ognuno di questi adattamenti agisce, a sua volta, come una forza costrittiva
sul modo in cui l'individuo presenta la sua attività agli altri. Tuttavia,
nella pratica cui mi riferisco, molti modi per l'uso d'altri erano spesso usati
simultaneamente e per abitudine, dato che l'obbligo si limitava a costringere
l'apparenza dell'attività, così che uno solo dei tre modelli appare
come determinante di ciò che accade.
Per esempio nel contesto del rapporto di protezione era in genere facile distinguere
fra i compensi di tipo economico e quelli di tipo sociale; tuttavia si verificavano
casi che introducevano notevoli difficoltà. Ho sentito un sorvegliante
contrattare con un paziente su quanto lavoro giornaliero fosse da ritenersi
equo, in cambio del diritto di radersi ogni giorno; la contrattazione avveniva
prima che le parti si fossero accordate, ed è appunto questo il tipo
di scambio che, dopo un certo tempo, divenne espressione spontanea di rispetto
reciproco. Inoltre, quando un protettore richiedeva un servizio di nuovo tipo
o che non era considerato adatto, sì potevano contrattare e pattuire
prima, particolari concessioni e compensi, innestando un contratto economico
impersonale in un rapporto che non era di mercato (155).
La distinzione fra compensi economici e compensi sociali coinvolge ulteriori
problemi. Il fatto che il paziente si aspettasse che il suo protettore ingaggiasse
con lui un contratto puramente economico riguardo al lavaggio della macchina,
induceva alcune persone dello staff a pagare per il lavaggio di macchine già
pulite, fingendo così di instaurare un rapporto economico, allo scopo
di mantenere un legame affettivo. I pazienti che si presumeva avessero pagato
certi favori sessuali ad alcune degenti erano, in un certo modo, disapprovati,
così come le presunte prostitute, poiché si riteneva che l'attività
sessuale significasse un legame esclusivo (156) e non un oggetto di vendita
(157). Inoltre, sembrava esservi coinvolto un certo grado di instabilità:
ciò che era concesso una volta, come segno particolare di rispetto, poteva
diventare in breve tempo un diritto, preso per garantito, così che veniva
a verificarsi una sorta di processo regressivo - ogni nuovo modo di dimostrare
un certo riguardo, veniva trasformato in routine, perdendo quindi la sua efficacia
in quanto segno di rispetto, e doveva venire integrato con nuove successive
concessioni. Una volta che un favore venisse preso definItivamente per garantito,
il fatto che fosse ritirato poteva provocare commenti diretti e aperti. Per
esempio quando i pazienti che ballavano nel centro sociale ricreativo mangiavano
tutti i biscotti e i dolci preparati per l'occasione, gli aiutanti di cucina
si lamentavano apertamente con lo staff per essere stati privati di ciò
che era loro dovuto; per tenerli tranquilli, si permetteva loro di trattenersi
la propria parte prima ancora che il cibo fosse servito.
Si potevano trovare altre implicite combinazioni di coercizione, scambio economico
e scambio sociale. In corrispondenza al fatto che il denaro veniva dato in modo
rituale non puramente economico, c'era il fenomeno dell'accattonaggio - pratica
molto importante nei sistemi di scambio di alcune società. I pazienti
non attendevano di ricevere piccoli favori e sigarette, ma erano essi stessi
a richiederli. Un degente andava dal suo sorvegliante favorito e, a volte, da
un altro paziente a mendicare il prestito di un soldo per una coca cola o anche
di un paio di penny per raggranellare quanto gli bastava per un acquisto. Lo
stile secondo il quale veniva spesso praticato questo accattonaggio, con l'implicazione
che la persona cui si chiedeva fosse «quadrata» e colpevole di una
rispettabilità senza speranza, suggeriva che questo fosse un modo di
esprimere una certa distanza dalla propria situazione, e di elevare la propria
condizione ad una più onorevole. Qualunque fosse il suo significato,
l'accattonaggio serviva a persuadere gli altri a dimostrare simpatia, prima
che fossero disposti a farlo.
C'erano ancora altri modi di usare gli altri diversamente combinati fra loro.
Nell'Ospedale Centrale, come in altre istituzioni simili, c'era la questione
che se uno dei doveri disinteressati del sorvegliante era di costringere e forzare
materialmente i pazienti considerati come un pericolo per sé o per gli
altri, veniva loro offerta una conveniente giustificazione alla coercizione
personale. Compensi economici e sociali venivano a coprire adattamenti apparentemente
estranei ad entrambi. Quando un paziente pagava un piccolo piacere ricevuto
da un altro, con una sigaretta o una «boccata», manovrava talvolta
la transazione in modo arrogante, dando l'impressione di trarre maggior piacere
dal far fare all'altro un atto servile, che dal servizio stesso. I sorveglianti
di vecchia formazione paternalistica dei reparti più regrediti, nel dare
ad un paziente le caramelle comperate con i suoi soldi, depositati al bar interno,
potevano talvolta, per gioco, aspettare di concedergliele finché non
avesse dato qualche segno abbietto di accattonaggio, o non avesse dichiarato
di aver proprio bisogno di ciò che il sorvegliante stava per dargli.
Anche la concessione delle cicche, sia da parte dei sorveglianti che dei pazienti,
era talvolta usata per umiliare colui che le riceveva. Così, quando un'organizzazione
caritativa veniva in visita e dava delle feste per tutta la comunità,
nel centro sociale ricreativo, e durante l'intervallo alcune persone andavano
in giro per la sala, regalando a ciascun paziente un paio di sigarette, colui
che le riceveva si trovava nella posizione di ricevere qualcosa di cui aveva
bisogno, da uno sconosciuto che non gli doveva niente. Il grande bisogno di
sigarette, faceva si che quasi tutti i pazienti presenti accettassero queste
offerte, ma nel caso di pazienti appena entrati, o che si trovassero in compagnia
di visitatori, le occhiate di risentimento, di derisione seminascosta o di imbarazzo
facevano pensare che non ci fosse uno schema adatto, almeno del tipo «rispetto
di sé» in cui collocare queste attività (158).
Infine è evidente che qualunque mezzo concesso di fare uso delle proprietà
o dei servizi altrui, poteva essere ed era usato talvolta con astuzia e raggiri,
così chi giocava a carte poteva essere imbrogliato, chi comprava poteva
venir defraudato, e l'amico poteva venir sfruttato. (In teoria naturalmente,
anche colui che pensa di non contribuire in alcun modo ai fini di un altro,
e non lo farebbe se ne avesse coscienza, si può trovare nella condizione
di contribuire involontariamente ai disegni altrui).
La questione è che ogni settore della vita sociale, e più specificamente
ogni organizzazione sociale, provvede il sistema in cui le apparenze tipiche
di quell'organizzazione siano incluse nell'insieme di ordinamenti attraverso
i quali risulta possibile l'uso dell'altro, e le combinazioni di questi ordinamenti
sono sostenute al di là delle apparenze (159). Sono queste unità
strutturali di apparenza e di realtà che dobbiamo studiare (160). Vorrei
aggiungere che, data una particolare entità sociale come punto di riferimento
- un supporto, un'organizzazione sociale, un gruppo - si può esaminare
qualche caso di completo diritto ufficioso che un particolare membro di questa
entità sociale può esercitare sugli altri, ciò che in America
è a volte chiamato il proprio «clout» e in Russia il proprio
«blat».
Voglio esaminare due problemi generali nella vita sotterranea dell'Ospedale
Centrale.
Primo, dovrebbe risultare evidente che la descrizione della vita sotterranea
di un'istituzione può fornire sistematicamente un quadro prevenuto della
vita che vi pullula. Finché coloro che vi partecipano si limitano agli
adattamenti primari (sia perché ne risultano soddisfatti o per l'incapacità
di costruirsi un mondo diverso) la vita sotterranea può non essere rappresentativa,
e anche può non avere importanza. Inoltre gli adattamenti secondari che
si riscontrano più facilmente, possono essere elaborati e coloriti; nel
qual caso, come succedeva nell'Ospedale Centrale, possono essere messi in pratica
soprattutto da un gruppo di leaders informali, strettamente collegati fra di
loro. La loro condotta può essere di grande aiuto per lo studioso che
vuole imparare come un'istituzione particolare possa essere «lavorata»,
e come possano esserlo le istituzioni in generale; ma nella ricerca del numero
e dello scopo degli adattamenti secondari, lo studioso potrebbe trascurare di
vedere come viva la media di coloro che ne fanno parte. Questo lavoro mette
necessariamente a fuoco l'attività dei pazienti più abili con
libertà di movimento, dando una veduta molto rosea, sia della vita dei
pazienti come gruppo nell'Ospedale Centrale, che dell'efficacia delle loro tecniche,
per alterare ufficiosamente le loro condizioni di vita.
La seconda questione generale che voglio sollevare ha a che f are con il controllo
sociale e con la formazione di legami.
Gli adattamenti sociali che rendono possibile lo scambio economico e sociale
funzionano, ovviamente, allo scopo di garantire che l'individuo sia capace di
incorporare nel proprio piano d'azione l'azione altrui, aumentando spesso l'efficacia
di adattamenti secondari escogitati da sé e nel proprio interesse. Ora,
è chiaro che se si devono sostenere questi adattamenti sociali, si dovranno
esercitare alcune forme di controllo sociale per tenere le persone «allineate»,
per costringerle cioè a rispettare i patti e gli obblighi assunti di
concedere f avori e cerimonie ad altri. Queste forme di controllo sociale costituiranno
adattamenti secondari di un tipo molto particolare - un tipo di adattamento
che sottende e dà stabilità ad un vasto complesso di altre pratiche
non ufficiali; nelle istituzioni totali, questi controlli dovranno essere esercitati
sia sugli internati che sullo staff.
Il controllo dello staff da parte degli internati assume forme tradizionali,
per esempio provocare «incidenti» alle persone dello staff (161)
o il rifiuto in massa di un particolare cibo (162), o un rallentamento nella
produzione di lavoro, o il sabotaggio di tubature, dell'impianto elettrico,
dei sistemi di comunicazione, i quali sono tutti accessibili all'internato che
voglia in qualche modo danneggiarli (163). Altre sanzioni degli internati sullo
staff possono prendere la forma di una presa in giro «collettiva»
ed individuale, e forme più subdole di insubordinazione rituale, come
la tecnica militare di incominciare a salutare un ufficiale seccante ancora
a distanza, con troppa meticolosità o troppo lentamente. Ad una minaccia
dello staff verso un intero sistema di adattamenti nascosti, può essere
data come risposta un'azione estrema come scioperi o rivolta.
C'è un'opinione popolare secondo cui il controllo sociale del gruppo
degli internati sui suoi stessi membri, è ben organizzato e forte, come
nel caso delle «kangaroo courts». Nelle carceri la lealtà
di un internato nei confronti degli adattamenti secondari degli altri internati,
è un elemento importante per la tipologia sociale (164). Ma in generale,
la realtà dimostra che il controllo sociale esercitato da parte di internati
su altri internati, è debole. La mancanza di un'azione sotterranea che
tenda a mantenere un certo ordine, sembrava tipica della vita nascosta dell'Ospedale
Centrale (165), con l'eccezione parziale della Prison Hall (166).
Quando un paziente di un reparto si comportava male, tutti i pazienti di quel
reparto potevano essere sottoposti ad ulteriori privazioni e, naturalmente,
quando un paziente che godeva di una certa libertà fuggiva e commetteva
un delitto orrendo «fuori», le condizioni di libertà venivano
temporaneamente ridotte alla maggior parte dei pazienti; tuttavia nei casi in
cui l'azione di una singola persona rendeva più difficile agli altri
la possibilità di «accordi» con lo staff, non sembrava esservi,
nei suoi confronti, un'evidente rappresaglia (167). Inoltre, la «sicurezza»
della vita sotterranea sembrava debole. Un internato che decideva di fuggire,
poteva parlarne, senza correre alcun rischio, ad uno o due amici; ma un gruppo
di cinque o sei sembrava già essere meno fidato come confidente di un'informazione
segreta. Questo era in parte dovuto al fatto che gli psichiatri dello staff
ritenevano che i pazienti dovessero dire tutto nell'interesse della terapia
e, per una strana estensione di questo principio, molti pazienti sentivano di
poter migliorare la loro condizione psichiatrica, tradendo gli amici. Così
non era una sorpresa sentire una sorvegliante dire, con aria rassegnata e un
tono di benevolenza nella voce:
"Sai, sono come bambini. Appena qualcuno fa qualcosa che non va, gli altri vengono a dirtelo".
Né uno dei pazienti che aveva più successo per le sue imprese dire:
"Durante il campionato di baseball chiunque può capire se c'è qualcosa di nascosto, qui, di fronte al bar. Io non gioco mai qui in giro, perché ci sono troppe spie della polizia, sia bianche che di colore, e non si sa proprio. Se voglio passare un numero, telefono e al pomeriggio qualcuno sarà lì per prenderlo".
La mancanza di un controllo sociale informale e la mancanza ora descritta di una generale collaborazione fra i pazienti, potrebbero essere ritenute come l'evidenza della debolezza dell'organizzazione sociale informale dei pazienti. La psichiatria può spiegare la cosa sostenendo che i pazienti mentali sono, per definizione, incapaci di mantenere un ordine e una solidarietà, il che tuttavia non spiega l'esistenza di anomie analoghe nelle carceri e nei campi di concentramento. Ad ogni modo, è interessante cercare qualche altra spiegazione possibile. Una è che i pazienti dell'Ospedale Centrale mostravano uno scarso livello di solidarietà reattiva; invece di tenersi uniti per affermare la loro condizione di malati di fronte al mondo tradizionale, cercavano di costituirsi in gruppi o in coppie, per definirsi normali e per definire gli altri come pazzi. Insomma pochi pazienti erano o diventavano orgogliosi di essere dei malati (168). La solidarietà reattiva era molto indebolita dal fatto che era difficile definire tutto lo staff come oppressivo e crudele, anche se in realtà le condizioni di vita del reparto lo erano.
6.
Descrivendo la serie di adattamenti secondari usati dai pazienti nell'Ospedale
Centrale, ho tentato di sviluppare dei concetti secondo i quali possono anche
essere descritti gli adattamenti secondari di altre organizzazioni. L'unità
di descrizione era determinata da un interesse per l'analisi comparativa e non
tanto emotiva. Ne è risultato che l'insieme di attività dei pazienti
nell'Ospedale Centrale è stato smembrato in tante piccole parti, per
poterle classificare. Può quindi risultarne l'impressione che in tutta
la giornata i pazienti fossero occupati in giochi da bambini e in atti sconsiderati,
allo scopo di migliorare la loro posizione, e che non c'è alcunché
di incompatibile fra questa patetica esposizione e ciò che tradizionalmente
si pensa siano i pazienti mentali in quanto «ammalati». Voglio quindi
precisare che, in realtà, quasi tutti gli adattamenti secondari da me
riferiti, erano agiti dal paziente con una determinazione intelligente e aderente
alla realtà, sufficiente, una volta conosciutone il contesto, a far sentire
a proprio agio un estraneo, in una comunità molto simile a quelle da
lui conosciute. C'è un vecchio detto secondo il quale non si può
tracciare una linea ben definita fra persone normali e malati mentali, vi sarebbe
piuttosto un continuum fra un cittadino ben adattato, da un lato, e uno psicotico
conclamato dall'altro. Ciò che posso dire, dopo un periodo di acclimatazione
in un ospedale psichiatrico, è che la nozione di questo continuum mi
sembra molto presuntuosa. Una comunità è una comunità.
Così come essa può apparire bizzarra a quelli che ne stanno al
di fuori, altrettanto risulta naturale, anche se sgradevole, a coloro che ne
vivono all'interno. Il sistema di «manipolamento» di cui i pazienti
fanno uso reciproco non porta a nulla, tuttavia offre un esempio di associazione
umana, da evitare senza dubbio, ma che deve anche essere considerata, in sede
di studio, alla stessa stregua di tutti gli altri esempi di associazione raccolti.