Note sul lavoro di «riparazione».
Sono grato a Fred Divis e Sheldon Messinger per le critiche e i suggerimenti
qui usati, senza alcuno specifico riferimento. Così come sono debitore
- senza averlo citato esplicitamente - al lavoro fondamentale sull'argomento
di ALFRED H. STANTON e MORRIS S. SCHWARTZ, "Medical Opinion and the Social
Context in the Mental Hospital", in «Psychiatry», XII, 1949,
p.p. 243-49.
In ogni società vi sono modalità preferite secondo le quali due
individui possono avvicinarsi ed avere rapporti reciproci, per esempio un parente
con un parente, o la classe superiore con quella inferiore. Ognuno di questi
schemi di rapporto può essere, contemporaneamente, una fonte di identità,
una guida per una condotta ideale e la base per il formarsi di una solidarietà
o una frattura. Ogni schema coinvolge un insieme di presupposti interdipendenti,
che si intersecano l'un l'altro, formando una sorta di modello. In ogni caso
si riscontra che pressioni particolari impediscono la completa realizzazione
dei propri ideali e che le deviazioni che ne derivano vengono a ripercuotersi
con conseguenze specifiche. Uno studioso di rapporti sociali può quindi
usare, per i suoi scopi, gli stessi modelli che i membri della società
usano per i loro.
Nella nostra civiltà occidentale, una delle modalità più
significative secondo la quale due individui possono incontrarsi, è il
rapporto servitore-servito (server and served). Esaminando i presupposti e l'ideologia
che sottendono questo rapporto di lavoro, credo si sarà in grado di comprendere
alcuni problemi relativi al ricovero psichiatrico.
1.
Le attività di carattere specialistico possono dividersi in due categorie:
la prima, per mezzo della quale colui che le esercita si trova «a contatto
con il pubblico»; la seconda in cui il contatto con il pubblico non si
verifica, nel senso che chi pratica tali attività, le esegue solo per
i membri costituiti dell'organizzazione di lavoro da cui dipende. Il fatto di
aver contatto con il pubblico e di controllarlo, penso sia un fattore piuttosto
importante da meritare di analizzare insieme tutti i tipi di attività
che lo comportano. Ciò significa che l'impiegato in un magazzino di ferramenta
e l'operaio in una fabbrica di arnesi di ferro devono essere separati a scopo
di studio, senza lasciarsi trarre in inganno dalla somiglianza di ciò
che fanno.
Fra le attività che richiedono l'incontro con il pubblico, se ne possono
distinguere due tipi, uno dove il pubblico è formato da un susseguirsi
di individui, l'altro che consiste nel continuo mutare di tipi diversi di pubblico.
Un dentista appartiene alla prima categoria, un attore alla seconda.
Attività che richiedono a chi le esercita di aver contatti con il pubblico
(in entrambe le forme ora accennate) variano a seconda del grado nel quale si
presentano come un servizio personale, cioè un'assistenza desiderata
da chi la riceve. La "prestazione di un servizio personale" può
essere definita, teoricamente, come l'attività di chi presta personalmente
un servizio specializzato, per un insieme di individui con i quali il servizio
stesso comporta di impegnarsi in un rapporto personale diretto, senza esservi
costretti da altri tipi di legami (1). Secondo questa definizione, il fatto
di essere citato a giudizio, per esempio, non è un servizio personale
per chi riceve la citazione. Uno psicologo che si fa pagare per un test professionale,
fatto a persone che desiderano conoscere le proprie caratteristiche psicologiche,
presta un servizio personale; ma se egli fa il test alle stesse persone per
l'ufficio collocamento di un'organizzazione, si tratta semplicemente di oggetti
del suo lavoro e non di clienti. Analogamente, nonostante il linguaggio di coloro
che si occupano dei censimenti della popolazione, escludo dalla categoria dei
prestatori di servizio anche i domestici, poiché una cameriera ha una
padrona e non un pubblico; ed escludo il personale addetto alle pulizie, poiché
esso non instaura, d'abitudine, comunicazioni dirette con quelli che camminano
sui pavimenti da loro puliti.
In questo saggio voglio analizzare le prestazioni di servizio personale, secondo
i termini in cui le ho appena definite, inglobando tuttavia alcune attività
che non corrispondono esattamente alla mia definizione, poiché l'ideale
sul quale si fondano, include anche persone che non sono poi nella condizione
di praticarle. Le deviazioni dal modello ideale che ci si impone da sé
o che ci viene imposto da altri, creano problemi di identità, che lo
studioso deve comprendere in relazione a questo stesso ideale - cioè
a seconda del grado di deviazione rispetto ad esso - un venditore di macchine
ad alta pressione e un dottore di una compagnia di assicurazioni, fanno entrambi
qualcosa meno di un servizio personale, ma per un insieme diverso di motivi.
Un modo tradizionale di classificare le prestazioni di servizi personali, è
in rapporto al valore loro riconosciuto: le professioni libere ad un estremo
e gli umili commerci e i mestieri artigianali all'altro. E' questa, comunque,
una distinzione confusa, poiché separa in categorie sociali coloro che
sono simili in ispirito. La divisione che io voglio usare pone ad un capo estremo
coloro - come i controllori e gli operatori del telefono - che fanno un servizio
tecnico funzionale, e, all'altro, quelli che hanno un'esperienza che consiste
in una competenza razionale dimostrabile, che può essere esercitata come
fine a se stessa e non può, logicamente, essere ottenuta da colui cui
si presta il servizio. Quelli che servono meccanicamente hanno, abitualmente,
avventori, gruppi di individui e gente che richiede servizi; i tecnici hanno
dei clienti. E' probabile che in entrambi i tipi di prestazione di servizio
ci sia un certo grado di indipendenza dalle persone servite, ma solo i tecnici
si trovano nella posizione di costruire questa loro indipendenza, in ruoli solenni
e pieni di dignità. Io voglio considerare in questo saggio i presupposti
sociali e morali che sottendono l'attività di un tecnico, più
che di colui che presta un servizio meccanicamente.
Io ritengo che l'ideologia che sottende il servizio prestato da un tecnico,
nella nostra società, sia radicata nel fatto che colui che la presta
abbia un complesso sistema fisico da riparare, costruire o adattare - dove il
sistema sia un oggetto o una proprietà del cliente. Quando quindi userò
qui il termine «rapporto di servizio» (o di lavoro), mi riferirò
soltanto a questo caso, se il contesto non richiederà un riferimento
più preciso.
Noi lavoriamo su un triangolo, che ha avuto un ruolo storico determinante nella
società occidentale - colui che presta un servizio, l'oggetto e il proprietario
dell'oggetto. Ogni grande società dispone di tecnici come prestatori
di servizi, ma nessuna società ha dato più peso di quanto abbia
dato la nostra, a questo tipo di attività. La nostra è una società
di servizi, tanto che anche organizzazioni come i grandi magazzini seguono -
a parole, se non di fatto - questo modello, rispondendo al bisogno, sia dei
commessi che dei clienti, di sentire che viene loro prestato un servizio tecnico
personale, nonostante non sperino di ottenerlo.
Il tipo di rapporto sociale che prenderò in esame in questo lavoro è
quello nel quale alcune persone (i clienti) si pongono nelle mani di altre (coloro
che prestano il servizio). Teoricamente è implicito in questo rapporto
il rispetto del cliente per la competenza tecnica di colui che lo serve, e la
fiducia che userà moralmente; un senso di gratitudine e il compenso convenuto.
D'altra parte, colui che presta il servizio offre: competenza esoterica e reale
e prontezza a metterla a disposizione del cliente; discrezione professionale;
una cautela volontaria che lo porta ad imporsi di non interferire negli altri
affari del cliente o, addirittura (in casi estremi), con la ragione per la quale
il cliente gli richiede il servizio; e, per ultimo, una educazione non servile
(2). In questo consiste il servizio di «riparazione».
Si può incominciare a comprendere il rapporto di servizio, esaminando
il concetto di pagamento. C'è un doppio significato per il quale il pagamento
non è un prezzo (3). Tradizionalmente esso non è nient'altro che
ciò che vale il servizio. Quando il servizio è prestato in una
circostanza in cui agli occhi del cliente assume un grande valore, si suppone
teoricamente che colui che lo presta si limiti ad un prezzo fissato dalla tradizione
- di solito ciò di cui ha bisogno per mantenersi decentemente, mentre
si dedica alla sua professione. D'altra parte, quando si tratta di un servizio
minore, colui che lo presta si sente invece in obbligo di rinunciare a farsi
pagare, o di chiedere un basso compenso, evitando, in tal modo, di sprecare
tempo, o che il suo lavoro (in definitiva, lui stesso) sia misurato con una
valutazione che può arrivare fino a zero (4). Quando fa un servizio di
una certa importanza per clienti poveri, chi lo presta può ritenere più
dignitoso (e più sicuro) non far pagare, piuttosto che ridurre il prezzo
(5). In questo modo egli evita di ballare alla musica del cliente, o anche di
contrattare con lui, ed è quindi in grado di dimostrare di avere motivazioni
disinteressate alla propria attività. E poiché il suo lavoro è
un lavoro di riparazione (che ha a che fare con sistemi fisici chiusi e reali)
si tratta di un'attività nella quale può dimostrare una partecipazione
disinteressata: un lavoro valido dì riparazione o di costruzione, è
anche tale da potervisi identificare, aggiungendo una f onte di interesse autonomo
al lavoro stesso. Inoltre si presume che una delle motivazioni di chi presta
un servizio sia anche il f atto di aiutare l'umanità come tale.
L'adesione di chi presta un servizio alla propria definizione di sé come
di un tecnico disinteressato, e la sua prontezza ad avere, su questa base, rapporti
con gli altri, è una sorta di voto secolare di castità, che sta
alla radice del magnifico uso che fanno di lui i clienti. Nel tecnico essi trovano
qualcuno che non ha le usuali ragioni personali, ideologiche, contrattuali per
aiutarli; tuttavia, egli è colui che si interesserà temporaneamente
di loro, dal loro stesso punto di vista e secondo i loro interessi. Esattamente
come ci dice uno studioso di rapporti umani:
"Come viene definito in questa cultura, il tecnico è colui che deriva il suo reddito e la sua condizione sociale (l'uno o entrambi) dall'uso di informazioni, insolitamente esatte e adeguate nel suo campo specifico, al servizio di altri. Questo «uso al servizio di» è fissato nel nostro sistema sociale industriale-commerciale. Il tecnico non commercia in oggetti pertinenti il suo campo di conoscenza; non è un «mercante», un «collezionista», un «conoscitore» o un «amatore» poiché questi usano la loro abilità principalmente nel loro stesso interesse" (6).
Il cliente è quindi costretto a fidarsi di coloro per i quali non ha
le abituali garanzie di fiducia.
Questa onestà su richiesta, potrebbe essere una delle basi su cui si
fondano i rapporti nella nostra società, ma c'è ancora un altro
fattore: il lavoro di colui che presta un servizio ha a che fare con una competenza
razionale, oltre la quale c'è la fede nel razionalismo, nell'empirismo
e nel meccanicismo che contrasta con i processi a più inferenze del "sé"
da cui, in genere, siamo afflitti.
L'interazione fra cliente e chi gli presta un servizio assume, teoricamente,
una forma relativamente strutturata. Chi presta un servizio può dedicarsi
ad operazioni meccaniche o eseguite a mano su oggetti di proprietà del
cliente, soprattutto per quanto riguarda il lavoro di tipo diagnostico; oppure
può intrattenersi con lui in scambi verbali. La parte verbale in sé
contiene tre componenti: un elemento "tecnico", che consiste nel dare
o nel prendere informazioni relative alla riparazione (o costruzione); un elemento
"contrattuale", che consiste in un accordo, spesso relativamente breve
sul costo e il tempo approssimativo richiesto dal lavoro, eccetera; infine,
l'elemento "comunicativo" che consiste in qualche cortesia, affabilità
e segni di deferenza. E' rilevante notare che, qualsiasi cosa intercorra fra
cliente e chi gli presta un servizio, può essere rapportato a queste
componenti e che qualsiasi divergenza può essere compresa secondo queste
aspettative di norma. La completa assimilazione a questo schema di interazione
fra colui che presta un servizio e il cliente è, spesso per il primo,
una dimostrazione di garantire un «buon» rapporto di lavoro.
Le informazioni teoricamente rilevanti di cui ha bisogno chi presta un servizio,
per riparare o costruire realmente qualcosa, gli provengono da due fonti: dall'esposizione
verbale del cliente e dall'oggetto stesso, attraverso l'impressione diretta
che ne riceve chi presta il servizio. Seguendo la pratica, talvolta in uso in
medicina, si possono denominare le difficoltà riferite dal cliente, come
sintomi, e i dati ottenuti direttamente dal tecnico, come "segni",
benché non vi sia alcuna garanzia particolare per questo uso in semeiotica.
La dignità del rapporto di servizio è, in parte, basata sulla
capacità del cliente di contribuire con informazioni utili, quantunque
filtrate attraverso un linguaggio ed una sensibilità da inesperto. Colui
che presta il servizio può, quindi, entrare nello spirito di una sorta
di impresa comune, dove il tecnico mostra un certo rispetto per il giudizio
del cliente sul problema, anche se non ne è un conoscitore.
Chi presta un servizio ha contatto con due entità fondamentali: un cliente
e ciò che non funziona nel cliente. I clienti sono, in genere, persone
autonome, entità nel mondo sociale, che devono essere trattate con riguardo
e secondo le regole. L'oggetto posseduto fa parte di un altro mondo, che deve
essere costruito secondo una prospettiva tecnica e non rituale. Il successo
di questa prestazione di servizio sta nel fatto che il tecnico tenga separati
questi due tipi di entità diverse, dando a ciascuna ciò che le
è dovuto.
2.
Ritorniamo ora all'oggetto che colui che presta un servizio ripara o costruisce.
Ho descritto questo oggetto (o possesso) come un sistema fisico che ha bisogno
dell'attenzione di un tecnico e ne metterò qui a fuoco le riparazioni,
essendo queste più comuni di quanto non siano le costruzioni. Legato
alla nozione di riparazione c'è il concetto di ciclo di riparazione,
le cui fasi vorrei descrivere brevemente.
Si può incominciare dal banale concetto di eziologia. Un semplice chiodo
può servirci come punto di partenza, poiché si tratta di un oggetto
che comunemente inizia un ciclo di riparazione. Un chiodo sulla strada può
fermare una macchina; un chiodo sulla sedia può strappare i calzoni;
un chiodo su un tappeto può rovinare un aspirapolvere; un chiodo sul
pavimento può ferire un piede. E' da notare che un chiodo non è
un oggetto tipico dell'ambiente in cui si vive, ma è, in un certo senso,
un evento imprevisto. Una volta che si verifichi questo contatto, ne segue una
sorta di trasferimento causale, intimo e persistente, all'interno dell'oggetto
posseduto. Si dice infatti «Mi sono seduto e ho tirato su una scheggia»,
oppure «Stavo guidando e ho tirato su un chiodo». Sebbene il chiodo
e la macchina possano essere maledetti per i fastidi che provocano, è
fuori luogo, sia per il tipo di servizio da fare per il cliente che per chi
lo presta, attribuire seriamente un intento o una malizia a chi danneggia o
all'oggetto danneggiato. (E' solo nel caso che il cliente non segua le precauzioni
del senso comune o il consiglio dell'esperto, che il tecnico si trova, inevitabilmente,
ad assumere un ruolo morale).
Ora, un agente estraneo collocato in un sistema fisico, potrebbe essere permanentemente
manipolato dalle capacità correttive interne al sistema stesso, dalle
riparazioni o dalle compensazioni naturali, così da cessare di rappresentare
un problema per colui che possiede l'oggetto. Ma se vi sono molti agenti distruttivi,
ne deriva una diversa situazione, nel senso di un aumento graduale del suo cattivo
funzionamento. Il piccolo guaio si espande, finché è messo a repentaglio
l'intero sistema. Così la gomma, una volta forata, si sgonfia piano piano,
finché la camera d'aria e il cerchione sono rovinati, e non si può
più andare avanti.
C'è un momento iniziale in cui lo stesso proprietario dell'oggetto si
rende conto che l'oggetto da lui posseduto ha sofferto un danno o una lesione.
Se non può fare da sé le riparazioni necessarie, e se ritiene
si tratti di un problema che un tecnico può risolvere, egli diventa un
cliente alla ricerca di un tecnico, o alla ricerca di un insieme di riferimenti
che lo portino da un tecnico, attraverso un sistema di intermediari.
Una volta trovato il tecnico, il cliente gli affida l'oggetto o ciò che
ne è rimasto e in più, se possibile, le parti rotte. Il punto
centrale qui è che l'intero complesso dell'oggetto, tutto ciò
di cui il tecnico ha bisogno per il suo lavoro, è messo volontariamente
a disposizione da parte del cliente.
Ora ha inizio il famoso processo: osservazione, diagnosi, prescrizione, trattamento.
Attraverso ciò che il cliente gli riferisce, il tecnico rivive l'esperienza
del fatto; si occupa brevemente di ciò che ancora funziona dell'oggetto
da riparare, il cui cattivo funzionamento, ora, si manifesta ad occhi, orecchi
e naso esperti. (E' da notare che, a questo punto, appare spesso una sorta di
camice da laboratorio, che simbolizza non solo il carattere scientifico dell'attività
del tecnico, ma anche la certezza spirituale di un suo scopo disinteressato).
Dopo che il tecnico ha fatto il suo lavoro, vi può essere la necessità
di un periodo di convalescenza, durante la quale vengono richieste all'oggetto
prestazioni ridotte, e l'attenzione si concentra sui segni di ricaduta o di
riparazione insufficiente. Attenzione e vigilanza vengono, gradualmente, limitate
a periodiche revisioni, durante le quali il cliente stesso o qualche volta il
tecnico, controlla il funzionamento per essere doppiamente sicuro che le cose
funzionino bene.
La fase finale del ciclo di riparazione consiste nel momento in cui l'oggetto
ritorna «come nuovo» o, se risulta un po' debole nel punto riparato,
lo è tuttavia ad un grado, per cui l'intero sistema che si era occupato
della sua riparazione può, con un margine di sicurezza, disinteressarsene.
Vorrei aggiungere una nota storica attinente al ciclo di riparazione. Uno dei
cambiamenti fondamentali che si sono riscontrati nei servizi di riparazione
negli ultimi cento anni, è la riduzione dei venditori ambulanti e delle
vendite fatte di casa in casa, e lo sviluppo del sistema di laboratorio. Al
posto del tecnico che va, con i suoi arnesi, dal cliente, è ora il cliente
che va dal tecnico e gli affida l'oggetto da riparare, per ritornare più
tardi a ritirare l'oggetto riparato.
Ci sono molti vantaggi nell'avere un proprio posto di lavoro che, senza dubbio,
hanno avuto un peso nello sviluppo dei «laboratori». I clienti spesso
preferiscono un indirizzo fisso, che offra loro la garanzia di un servizio continuo,
piuttosto che un servizio a domicilio secondo un ritmo annuale, mensile o settimanale.
Un altro vantaggio deriva dall'aumentata divisione del lavoro. Con un laboratorio,
il tecnico può investire un certo capitale in una grossa attrezzatura
da tenere fissa sul posto. Inoltre, può dedicarsi contemporaneamente
a più di una riparazione, spezzettando il lavoro, cosicché un
aiutante la cui prestazione gli costi cara, non perderà tempo nel fare
lavori non di precisione. Non può rifiutare un lavoro mentre sta dedicandosi
ad un altro, non può stare inattivo fra una commissione e l'altra, ma
deve organizzarsi, tenendo conto da quando gli oggetti da riparare siano in
giacenza nel negozio.
Un altro insieme di vantaggi rappresentati nel lavoro di laboratorio è
di carattere sociale, poiché ha a che fare con la diversa condizione
raggiunta dai tecnici, nel momento in cui dispongono di un negozio. Possedere
o avere in affitto il proprio negozio, significa che il cliente non può
scacciare il tecnico di casa, e che la polizia non lo può «far
circolare». E' il cliente che diventa l'ospite. Inoltre, poiché
il cliente non è presente quando viene eseguito il lavoro, possono venirgli
facilmente nascosti errori e aggiunte sulle spese e, insieme, il tempo di cui
il tecnico deve disporre per la riparazione dell'oggetto, gli consente di dare
dignità al suo servizio e di farsi pagar caro (7). Infine, il tipo di
vestiti, di gesti e di aiutanti associato al lavoro manuale, può essere
nettamente separato dal tipo di facciata personale che meglio si adatta agli
aspetti verbali del rapporto tecnico. L'addetto alle pulizie può essere
tenuto sempre «fuori dalla vista», o il gestore del laboratorio
può lavarsi le mani, togliersi il grembiule e mettersi la giacca quando
sente il campanello della porta, nella parte anteriore del negozio.
E' chiaro tuttavia che il laboratorio potrebbe anche funzionare come un indebolimento
del servizio. Dopotutto il cliente deve ora rinunciare al suo oggetto per alcuni
giorni, senza contare il controllo che deriva dall'assistere al lavoro del tecnico.
Ma forse, il fatto di dover riporre maggior fiducia, ha portato anche ad essere
più degni di fiducia. Ad ogni modo quando, in una comunità, un
posto di lavoro è fisso, colui che presta un servizio si trova soggetto
alle persone che serve. Si sa dove lo si può trovare, i clienti noiosi
possono chiamarlo; egli è quindi in balia della attitudine generale della
comunità nei suoi confronti. In queste circostanze, si sentirà
obbligato ad offrire il tipo di servizio di cui la clientela non abbia a lamentarsi.
3.
Esamineremo ora alcuni presupposti concettuali che sottendono il rapporto di
servizio e il ciclo di riparazione.
Se una proprietà o un oggetto deve essere utile a chi lo possiede, le
varie parti che lo costituiscono devono essere in un esatto ordine funzionale,
l'una rispetto all'altra. Le marce devono ingranare, il sangue deve scorrere
e le ruote o le mani devono girare. Qui c'è un coordinamento che non
può rimanere implicito: il funzionamento dell'oggetto, quando viene guardato
- come è stato fatto - dal suo stesso punto di vista, ha una qualche
relazione con il fatto che chi lo possiede sia o no capace di usarlo. In alcuni
casi, come negli oggetti meccanici, il coordinamento è stato predisposto
allo scopo, dato che l'oggetto è stato designato, in primo luogo, per
essere usato in un modo particolare, se funziona bene. In altri casi, come con
gli animali da tiro e il nostro stesso corpo, il coordinamento non è
predisposto ma è tuttavia presente. Se si deve usare un cavallo, non
deve essere molto ammalato.
Un secondo presupposto nel rapporto di servizio è che l'oggetto sia di
proprietà del cliente e che egli possa, per legge, farne ciò che
vuole.
Terzo, è previsto che l'oggetto posseduto consista, non solo in un organismo
relativamente chiuso, ma anche abbastanza piccolo da poter essere trasportato
da chi lo possiede o, se non proprio questo, che possa almeno essere visto come
un unico intero, sia da chi lo possiede che dal tecnico.
Quarto, e più importante, gli oggetti su cui si devono fare certi servizi,
formano non solo sistemi relativamente chiusi e maneggevoli, ma anche classi
di sistemi distinte e chiare. Sia che si maneggino prodotti di natura o manufatti,
si tratta di prodotti estratti da un unico modello, con limitata possibilità
di riproduzione e con l'uso di soluzioni studiate per la loro costruzione e
riparazione, anche quando l'apparenza esterna dei prodotti differisce dalla
classe cui appartengono. Ne segue che, se colui che presta un servizio conosce
le tecniche di lavoro di uno dei membri di una data classe, è automaticamente
competente a trattare con altri membri di questa classe (8).
Ci sono alcuni presupposti alla base dello sviluppo del sistema di laboratorio,
che dovremmo rendere più espliciti.
Il primo è che l'ambiente del laboratorio sia relativamente favorevole
nei confronti del danno subito dall'oggetto: il laboratorio fermerà il
corso progressivo del danno, anche se non ne effettuerà alcuna cura.
Una macchina con la capote strappata viene portata in un garage vicino o messa
sotto ad una tettoia, finché non si può incominciare il lavoro;
questa precauzione non ripara lo strappo, ma garantisce anche che esso non aumenti
o che l'imbottitura non ne sia maggiormente danneggiata. Una sedia che sta per
rompersi può non essere riparata subito nel laboratorio dove la si porta,
ma si presume che nessuno vi si sieda, aggravandone il danno.
Un secondo presupposto è che l'oggetto sia sufficientemente indipendente
dall'ambiente in cui di solito è inserito, da consentire di essere temporaneamente
trasferito al negozio, senza provocare nuovi danni.
Un terzo presupposto è che il cliente non sia inestricabilmente legato
all'oggetto di sua proprietà e che possa sopportarne l'attesa, implicita
nel f atto di portarlo in laboratorio. Spesso l'uso che il cliente fa dell'oggetto
è intermittente, così che il tempo in cui resta senza poterne
disporre, non è completamente sprecato (9), può cioè considerarlo
come un periodo speso in attività di servizio.
Ho accennato ad alcuni presupposti di cui dobbiamo tener conto al riguardo di
oggetti e laboratori di servizio, se teoricamente si vuol mantenere questo tipo
di rapporto. Un ultimo insieme di questi presupposti riguarda la struttura della
clientela.
Il carattere del rapporto di servizio sembra richiedere una clientela composta
da un insieme di persone che, volontariamente, usano il servizio in modo da
precludersi la possibilità di intraprendere certe azioni al riguardo:
esse esercitano cioè un potere sul tecnico che presta loro il servizio,
solo come un aggregato e non come una collettività. In queste circostanze
il tecnico può essere indipendente dall'atteggiamento favorevole di ognuno
di loro, rinunciando educatamente a qualsiasi cliente senta di non essere in
grado di servire adeguatamente, così come ciascun cliente può
ritirarsi se il rapporto si rivela insoddisfacente. Teoricamente c'è,
come con le persone che vivono in peccato, un doppio volontarismo nel rapporto
e un limite alle lamentele ragionevoli che entrambe le parti possono fare a
proposito del legame che le unisce, rimanendo ad esso legate. Teoricamente,
quindi, il servizio tecnico esprime un rispetto reciproco fra il cliente e colui
che gli presta un servizio, ed è designato ad essere un'operazione fra
«gentiluomini».
4.
Il carattere del rapporto di servizio qui descritto, ha in sé una sua
logica. Date le diverse premesse, chi presta un servizio sarà nella posizione
di sostenere una definizione di sé come colui che, in cambio di un semplice
compenso, offre un servizio tecnico di cui il cliente ha veramente bisogno;
e il cliente sarà così in condizione di credere che, nella società,
esistano persone estranee di buona volontà, profondamente competenti,
che si dedicano a tal punto alla loro competenza, da occuparsi degli affari
altrui, in cambio soltanto di un compenso. Tuttavia, mentre il rapporto di servizio
è tratto da questo materiale puro e nobile, manca di sostegni istituzionali
quali quelli sui quali si fondano alcuni dei nostri rapporti più altamente
considerati: i rapporti familiari. Si può quindi prevedere che l'insieme
dei diritti e dei doveri dell'uno e dell'altro polo del rapporto, formi una
specie di matrice di ansietà e di dubbio, anche quando entrambi si comportano
bene. Il cliente pensa: «Che il tecnico sia veramente competente? Sta
agendo nel mio interesse? Sta facendomi pagare troppo? E' discreto? Sta forse
disprezzando segretamente le condizioni in cui trova l'oggetto che gli ho portato
da riparare?» (Ognuno di questi stati di abbandono potenziale può
verificarsi in assenza di altri, così che il numero totale delle possibilità
risulta abbastanza elevato). Il tecnico pensa: «Il cliente ha veramente
fiducia in me? Sta nascondendomi il fatto di 'aver cercato altri' prima di venire
da me? Mi pagherà?»
Oltre a questi stati d'ansia generali, si presume ne possano derivare altri,
più specifici; una volta visto il sistema di servizio per ciò
che è, un ideale e un modello, ci rendiamo conto che ogni tipo di servizio
fornirà esempi particolari da esaminare, che non possono essere facilmente
sistemati nel modello di riferimento, il che darà luogo a difficoltà
particolari.
Per esempio ci sono bisogni di servizio, come quelli che fa un idraulico, che
si tende a presentare a chi li fa come una catastrofe: la famiglia ha bisogno
subito dell'acqua, o bisogna subito arginare l'allagamento. Allo stesso tempo,
l'idraulico non può portare il pezzo difettoso nel suo negozio protetto,
ma deve fare il lavoro sotto gli occhi della famiglia.
Un'altra difficoltà sorge con quel tipo di servizi, come la riparazione
di radio e televisori, per i quali il compenso è stato considerevolmente
ridotto, poiché i clienti spesso (e a ragione) si rendono conto di venir
imbrogliati. Ma l'apparente dignità associata a questo tipo di servizi
non è diminuita ed è sostenuta da un compenso minimo che va aumentando.
Inoltre, ci sono certe tendenze, nella società moderna, che indeboliscono
il complesso di servizio. Molte organizzazioni trovano che si guadagna di più
vendendo solo merce nuova, invece di sprecare spazio e personale in lavori di
riparazione. Quelli che fanno le riparazioni, tendono sempre più ad introdurre
interi nuovi sistemi di pezzi interni - a rimpiazzare cioè le parti maggiori,
piuttosto che ripararle abilmente (10) - oltre, naturalmente, alla tendenza
al «commercio automatico», macchina o bar, che riduce considerevolmente
il ruolo del tecnico prestatore di un servizio o che addirittura lo elimina
completamente.
Un altro problema importante sulla validità del modello di servizio è
che colui che lo presta tende a selezionare una clientela, sulla base di fattori
tecnicamente irrilevanti, come per esempio la condizione sociale e il potere
di pagamento; e altrettanto fanno i clienti. Così, è probabile
che anche colui che presta un servizio, offra ai suoi clienti un trattamento
diverso sulla base di variabili estranee, sebbene forse una maggior deviazione
dall'ideale si verifichi nel trovare un tecnico, più che nel modo di
trattarlo quando lo si è trovato.
Una grave fonte di difficoltà al proposito è che la reciproca
indipendenza teoricamente esistente fra colui che presta un servizio e chi lo
riceve è spesso in pericolo. Dove colui che presta il servizio non è
«libero» - che significa dove non è indipendente nei suoi
affari - i rapporti con i clienti potrebbero essere determinati dai diritti
che la direzione da cui dipende ha su di lui. (Naturalmente la direzione può,
in corrispondenza, incontrare molti problemi a causa dei tentativi che gli impiegati
fanno per assumere il ruolo di prestatori di un servizio per i clienti della
compagnia). Si può raggiungere un compromesso quando il dirigente di
un'organizzazione di servizio, come un negozio dove si riparano scarpe, riserva
per sé il contatto con il pubblico, togliendo quindi gli altri calzolai
dalla categoria di chi presta un servizio - così come è stata
qui definita, senza alcun riferimento a suddivisioni di classe o di censo. Analogamente,
ci sono i problemi di coloro la cui professione è generalmente definita
come adatta ad una pratica indipendente, come ad esempio legge e architettura,
ma che si trovano in una condizione di gruppo nella quale si tende a mantenere
legata una particolare clientela, o sono prigionieri dei clienti, o hanno un
solo cliente; gettate nella forma tradizionale del prestatore di servizi libero,
queste persone creano difficoltà a sé o agli altri, affettando
un comportamento che non corrisponde alla realtà. I medici di corte ce
ne offrivano un esempio classico, ricordandoci che oggi la dignità di
un servizio medico richiede che il medico di un personaggio regale, sia anche
medico di altre persone. Naturalmente, nel caso in cui i clienti di colui che
presta un servizio provengano dallo stesso livello sociale, è probabile
essi siano in un reciproco rapporto potenziale, se non attuale, pronti sempre
ad allearsi in un «sistema di riferimento secolare», con un potere
imprevisto su colui che presta loro servizio (11). Se ci sono pochi avvocati
o medici nella comunità, è probabile allora che i clienti abbiano
bisogno dì questo potere.
Si dovrebbero ricordare ancora due fonti di difficoltà nell'applicazione
del modello di servizio, entrambe direttamente legate alle conseguenze sociali
della diffusione dei ruoli professionali. L'amore per la fiducia disinteressata
sembra incidere in due modi. Primo, la crescente attenzione tecnica di colui
che presta un servizio, agli interessi del cliente, può portarlo a formularne
un concetto ideale che riferito agli standard professionali del gusto, dell'efficienza
e della prudenza, può talvolta contrastare con ciò che un particolare
cliente p in una particolare circostanza, considera il suo interesse. Anche
un arredatore potrebbe invitare gentilmente il cliente a rivolgersi altrove,
non sopportandone i desideri impossibili. Secondo, quanto più il tecnico
è preoccupato di offrire un buon servizio, quanto più la sua professione
avrà il compito pubblico di controllarlo, tanto più gli sarà
affidato il mandato pubblico di mantenere i modelli della comunità; che,
a volte, non corrisponderanno all'interesse immediato di un cliente specifico.
Il codice al quale un costruttore deve attenersi, per esempio, costringe il
suo cliente a tener conto anche dell'interesse«dei vicini, che il cliente
lo voglia o no. L'obbligo degli avvocati di dare un solo avviso legale legittimo
ne è un altro esempio. C'è qui una frattura fondamentale nel concetto
iniziale di cliente e prestatore di servizio indipendenti. Ci si trova di fronte
ad una triade - cliente, colui che serve e la comunità - che può
colpire al cuore del servizio anche più delle caratteristiche triadiche
che si verificano quando colui che presta un servizio entra in un'istituzione
di qualche tipo e divide la sua lealtà fra i clienti e la direzione dell'organizzazione
da cui dipende.
5.
Ora, ritorniamo alla versione medica del modello di servizio di riparazione
(12). Il fatto di affidare il proprio corpo a colui che presta un servizio medico,
e il trattamento razionale-empirico che ne farà, è uno dei punti
più importanti del complesso di servizio. E' abbastanza interessante
il fatto che l'affermarsi graduale del corpo come di un possesso di cui ci si
può servire - un tipo di macchina psicodinamica - è spesso citato
come un trionfo dello spirito scientifico secolare, quando, di fatto, questo
trionfo sembra in parte essere stato causa ed effetto dell'interesse sempre
più grande per tutti i tipi di servizio tecnico.
Le definizioni che i medici usano abitualmente, soprattutto quelle che comportano
un lavoro rifinito di laboratorio, sono sempre più sofisticate e, tuttavia,
essi continuano a dichiarare di basarsi sul paziente per riferirne i sintomi;
il cliente è ancora uno dei poli del rapporto di servizio che deve essere
rispettato. Ma, come in altre specialità, ci sono punti particolari di
tensione nell'adattare la cura del corpo allo schema del servizio. Vorrei sottolinearne
alcuni, sottintendendo che gli stessi problemi sorgono, fino ad un certo grado,
anche in altri tipi di servizi.
Il primo punto da esaminare è che il corpo, come dicono gli psicoanalisti,
è altamente valorizzato (cathected) nella nostra società; si riconosce
grande valore al suo aspetto esteriore e al suo funzionamento e si tende ad
identificarsi in esso. Gli individui non affidano facilmente il proprio corpo
all'assistenza empirico-razionale altrui, quindi hanno bisogno che la loro «fiducia»
in colui che li serve, sia continuamente sostenuta da rassicurazioni fatte presso
il loro letto. Non si deve, tuttavia, insistere troppo su questo problema e
ciò, non perché le persone non si identifichino con i loro corpi,
ma perché stiamo lentamente imparando quanto si identifichino con oggetti
non corporei, come orologi da polso o automobili, vedendo nella minaccia a questi
«oggetti buoni», una minaccia per sé.
La stessa volontà dei clienti di mettere il destino del proprio corpo
nelle mani dei medici, comporta un problema per questi ultimi: il fatto di simpatizzare
con il paziente, può sottoporre i medici ad una tensione emotiva quando
non sanno ciò che non va e ciò che potrebbe essere fatto per lui,
o quando sanno che si può fare ben poco e devono comunicarlo alla persona
(o a chi la tutela), il cui destino sarà definitivamente segnato dalla
loro comunicazione (13). Ma qui, forse, il problema, non è tanto per
il servizio medico come tale, quanto per coloro che lo prestano.
Un altro punto è il fatto che il corpo è una proprietà
che non può essere affidata alle cure del tecnico, mentre il cliente
va in giro per altri affari. E' noto che i medici dimostrano una notevole abilità
nel proseguire nella parte verbale del loro ruolo di prestatori di un servizio,
mentre si dedicano a quella meccanica, senza che questa separazione si guasti;
ma ci sono al proposito difficoltà inevitabili, dato che il cliente è
invece molto interessato a ciò che si sta facendo del suo corpo, ed è
in una buona posizione per controllarlo. (Anche barbieri, parrucchieri e prostitute
conoscono queste situazioni, che una loro prestazione meccanica scadente può
essere subito percepita dal cliente, sempre presente). Una soluzione può
essere l'anestesia: un'altra, la magnifica formula del «trattamento impersonale»
escogitata dal mondo medico, per cui il paziente viene ricevuto, per così
dire, con civiltà e nello stesso modo salutato: tutto ciò che
accade fra la sua entrata e la sua uscita si verifica come se il paziente non
fosse una persona sociale, ma solo un oggetto che qualcuno ha dimenticato (14).
Un altro punto da esaminare è che, in medicina, si ha a che fare con
un notevole margine d'azione che ha il valore di un semplice palliativo, di
una «procedura elettiva» o di un trattamento senza successo. Nel
caso di oggetti meccanici, i guasti spesso possono venir riparati, dato che
la cosa dipende solo dalla misura in cui l'oggetto originale viene sostituito
con pezzi nuovi, il che può anche non richiedere una grande abilità.
Un mediocre radio-tecnico può sistemare qualsiasi radio rotta, col semplice
espediente di controllare le sezioni del circuito e di sostituire le parti dove
sembra sia il guasto. E' infatti il vanto di un rivenditore ben fornito di parti
di automobili, il fatto di poter costruirne una completa nel suo magazzino,
con i pezzi di cui dispone. Ma, in medicina, non è così. Alcune
parti del corpo non possono essere sostituite, e non tutti i disturbi fisici
possono essere corretti. Inoltre, l'etica professionale impedisce ad un medico
di consigliare al proprio paziente di scartare l'oggetto danneggiato o consumato
che il suo corpo può essere diventato (come possono invece fare quelli
che prestano servizi per altri tipi di oggetti), sebbene il medico possa tacitamente
dare un consiglio analogo ad altre parti interessate.
Anche se questa ridotta possibilità di riparazione è tipica della
medicina, vi sono tuttavia tecniche efficaci per la manipolazione del dubbio.
Nel caso della neurochirurgia, dove si dà per scontato di perdere metà
dei casi operati, si può far credere ai clienti che si tratti di un reparto
medico rischioso; l'ultima risorsa da tentare, dato il successo ottenuto in
altri campi. D'altra parte, ci sono servizi tecnici, anche se non del tipo di
riparazione, come quello dell'avvocato o del mediatore, dove la probabilità
di successo può essere ancora inferiore di quanto non sia in medicina
generale, e vi può sopravvivere un senso di servizio etico professionale.
In questi casi, colui che presta un servizio, può dimostrare, che abbia
successo o no, di usare le migliori tecniche con la migliore abilità
e che, in generale, è meglio contare sulle tecniche e sull'abilità
piuttosto che affidarsi al caso. Molti rapporti di stima protratti fra mediatori
e clienti, confermano il fatto che, una volta accettata la necessità
dell'intervento di un tecnico, i clienti sono pronti ad accontentarsi di una
probabilità di soluzione ancora minore a quella data dal caso fortuito,
come giustificazione al mantenimento del rapporto. Il cliente si trova a considerare,
non tanto i vantaggi ottenuti dalla prestazione del tecnico, ma quanto peggio
si sarebbe trovato senza di lui, accordando così un ultimo tributo all'abilità
esoterica: un pagamento fatto volentieri anche se l'oggetto, per la cui salvezza
il tecnico era stato pagato, è andato perduto.
Un'altra difficoltà interessante nell'applicazione del modello di riparazione
alla pratica medica, è che l'agente patogeno è riconosciuto, in
molti casi, non un evento improbabile disposto a caso nell'ambiente circostante,
ma l'ambiente stesso. Invece di esservi un chiodo per la strada, la strada è
piena di chiodi. Così, per certi disturbi fisici, un dato clima o un
dato tipo di lavoro è motivo di peggioramento. Nel caso il paziente possa
permettersi un completo cambio di scena, l'ambiente patogeno può essere
considerato semplicemente come uno dei molti ambienti possibili, e quindi come
l'elemento improbabile all'interno di una classe generalmente salubre di ambienti.
Ma per molti pazienti, è praticamente impossibile cambiare la propria
situazione di vita, e in questo caso, il modello di servizio non può
essere applicato con successo.
Associata al fatto che l'ambiente può essere un agente patogeno, c'è
la possibilità che la medicina raggiunga un livello comunitario, nel
trattamento non più di un singolo individuo, ma di una vasta unità
sociale, riducendo così la probabilità di una malattia specifica
all'interno di un intero sistema di persone, invece di curare un paziente specifico.
Il campo dell'epidemiologia si muove su questo terreno e costituisce non tanto
una minaccia alla professione privata, quanto un suo supplemento.
Mentre molti individui sono in grado di agire in piena responsabilità
- responsabili cioè di se stessi per quanto riguarda il proprio corpo
- è evidente che molti giovani, vecchi e malati mentali dovranno, «per
il loro bene», essere accompagnati da altri dal medico, così che
viene a mutarsi radicalmente il rapporto usuale fra cliente, oggetto e chi presta
un servizio. Spesso si tenta di assimilare queste situazioni al modello dell'agente-libero,
facendo in modo che il paziente sia accompagnato da qualcuno in cui si identifichi
ufficialmente, un familiare che lo possa rappresentare e di cui ci si possa
fidare come di un tutore che salvaguarda gli interessi del suo protetto. Forse
un elemento importante è qui il fatto che la ricerca del servizio medico
da parte di agenti liberi, spesso non è libera, nel senso che risulta
il prodotto di un consenso, se non di una pressione, da parte del gruppo dei
parenti del paziente. Si può aggiungere che quando si devono dare al
paziente notizie infauste sulla sua malattia, si potrebbe trovare improvvisamente
che la sua funzione di oggetto è nettamente separata da quella di cliente.
Il paziente conserva la sua condizione di oggetto, ma trasferisce sottilmente
a qualcuno a lui vicino il suo ruolo di cliente. A volte, non è che il
malato abbia perso la sua figura sociale, ma il medico rifiuta di essere coinvolto
come testimone-partecipe del responso diretto che gli conferma la perdita di
ogni speranza di vita.
Il problema del tutore può illustrare il conflitto che potrebbe derivare
tra ciò che il tecnico e la sua disciplina ritengono sia il miglior interesse
del cliente e ciò che il cliente desidera. Questo conflitto potenziale
è complicato da un altro fattore. Un esempio evidente è il caso
delle malattie contagiose, dove il medico ha l'obbligo legale di proteggere
sia la comunità che i propri clienti. Altri esempi di questo conflitto
sono l'aborto e il trattamento di ferite da arma da fuoco non denunciate; sebbene
in entrambi i casi vi sia un'illegalità, dato che spesso l'aborto viene
definito non come il «migliore» interesse della persona che lo richiede,
e le ferite da arma da fuoco sono curate solo se la polizia ne è contemporaneamente
informata. Un terzo esempio è la vecchia restrizione nell'uso della chirurgia
plastica per ragioni puramente estetiche, sebbene ciò che era messo in
discussione qui non fosse tanto l'interesse della comunità, quanto la
dignità e il disinteresse della professione medica stessa. Naturalmente,
ci sono altri esempi come il problema del medico sovietico che si trova incerto
se concedere ad un operaio quella che sarà la sua unica vacanza, anche
se non sta molto male (15); la perplessità del medico americano se «fare
la ricetta» per la droga ad un tossicomane inveterato.
Un altro problema dell'inserimento della medicina all'interno del modello di
servizio, è che i pazienti spesso sentono di poter domandare consigli
al loro medico su argomenti non tecnici, e il medico talvolta presume di disporre
di una particolare competenza, che giustifichi l'accettazione da parte sua della
dilatazione del suo ruolo (16). Più importante e sempre più diffuso
è poi un altro problema: nonostante gli sforzi delle associazioni dei
professionisti liberi, in alcuni paesi la pratica medica come sistema globale,
tende ad allontanarsi dall'ideale del professionista con una clientela privata
non organizzata, orientandosi verso sistemi burocratici di qualche tipo che
offrono il servizio ai clienti, i quali si trovano così a disporre di
una scelta di medici molto ridotta cui poter ricorrere. Questa è una
seria minaccia al rapporto di servizio classico, ma non credo si conoscano ancora
le conseguenze di lunga portata per il modello di servizio.
Dal punto di vista di questo mio saggio, lo sforzo più rilevante nell'applicazione
dei modelli di servizio alla medicina, è riconosciuto nel complesso del
laboratorio, nonostante il fatto che, in alcune occasioni, come certe operazioni
chirurgiche, una camerata di persone possa essere familiarmente condotta da
una moltitudine di regole dettagliate, la maggior parte delle quali sia razionalmente
sistematizzata secondo considerazioni tecniche. Presentandosi come istituzioni
deputate a servizi pubblici, gestiti a beneficio del genere umano, alcuni ospedali
hanno apertamente operato a vantaggio dei loro proprietari ed hanno dimostrato
un interesse discriminante sulle caratteristiche sociali del loro staff e dei
pazienti. Analogamente, molti ospedali si occupano di programmi di insegnamento
che portano a scegliere alcuni trattamenti sotto l'influenza, non soltanto dei
bisogni dei pazienti, ma anche delle tecniche e delle cure per le quali l'ospedale
è specializzato. Così come molti ospedali sono interessati in
programmi di ricerca che, a volte, comportano un trattamento dettato non tanto
dai bisogni dei degenti, quanto dalle esigenze della ricerca stessa.
Ci sono anche altre difficoltà. Come è già stato detto,
il cliente troverà difficile trattare e veder trattare il suo corpo in
modo impersonale e che si sorvoli sul fatto di non poterlo usare nel modo abituale,
mentre lo stanno riparando. Inoltre, è sempre più riconosciuto
che anche un breve soggiorno in ospedale può creare, in molti giovani,
l'«ansia della separazione»; ciò che risulta implicito qui
è che il laboratorio, in questi casi, non agisce come un ambiente neutro
e favorevole, ma come un ambiente dannoso. Inoltre, dato che il cliente deve
risiedere nel laboratorio durante la fase del trattamento attivo del ciclo di
riparazione, è posto in una situazione in cui può rendersi conto
delle difficoltà di assimilazione di tutto ciò che accade attorno
a lui, al modello di servizio. Il fatto che il paziente riesca a fare questa
assimilazione si fonda, necessariamente, sul presupposto che egli venga ingannato
su certe procedure, perché parte della routine dell'ospedale non sempre
è determinata da considerazioni mediche, ma da altri fattori, di solito
regole per la manipolazione del paziente, emerse nell'istituzione, a vantaggio
e per comodità dello staff. (Questa divergenza di regole determinate
dal servizio, esiste naturalmente in ogni tipo di laboratorio, ma negli altri
il cliente non è abitualmente presente per assistere a ciò che
succede). Più dura il ricovero necessario in ospedale, più tende
a diventare cronico il disturbo, più grande è la difficoltà
del paziente di riconoscere, nell'ospedale, un servizio completamente razionale.
Nonostante queste e altre difficoltà per inglobare i servizi medici all'interno
di un'istituzione ospedaliera, vi sono fattori che servono a permettere al paziente
di assimilare la sua esperienza del ricovero al modello di servizio - sempre
naturalmente che la degenza non sia troppo lunga. Ovviamente l'ospedale offre
al paziente il beneficio di un'attrezzatura di gran valore e di strumenti specialistici
di cui nessun ambulatorio medico potrebbe disporre. Inoltre, il fatto di rimanere
immobili a letto è, dopotutto, ritenuto ciò che fa nella nostra
società chiunque si senta male e, in alcuni casi, il paziente può
sentirsi fisicamente incapace di fare qualsiasi altra cosa. Alcuni aspetti tecnici
della cura medica aggiungono altri tipi di assistenza: le fratture, molti stati
postoperatori richiedono, evidentemente, immobilità, come la richiedono
occasionalmente gli stati postoperatori in cui risulti necessaria l'applicazione
del tubo di drenaggio; alcune terapie richiedono una dieta molto rigorosa; il
lavoro di statistica e di laboratorio richiede spesso una costante disponibilità
del paziente. Tutto ciò offre una giustificazione razionale alla posizione
che il paziente deve assumere nell'ospedale.
Un altro fattore forza questa assimilazione dell'esperienza ospedaliera ad un
modello di servizio. Durante il ricovero e la cura postospedaliera si assiste
ad una frattura prodotta nell'ambiente del paziente: con una fasciatura, un'ingessatura
o una parte del corpo in qualche modo impedita, si instaura un ambiente intensivamente
medico; la condizione nella quale è mantenuto tutto ciò che è
al di là di questa frontiera, può essere quindi razionalizzata,
non sul diretto terreno della salute, quanto su una base che assicuri il mantenimento
dell'ambiente interno. In questo modo, l'area nella quale si muovono le azioni
mediche palesemente utili, può essere grandemente ridotta, senza mettere
in pericolo la possibilità che il paziente assimili tutto ciò
che gli sta accadendo al modello medico.
Queste basi di validità alle pretese di servizio fatte dagli ospedali,
rendono più sicura la posizione di servizio assunta dal medico, che può
muoversi solennemente, senza paura di non essere preso seriamente dai clienti
o da se stesso. In una situazione di grande preoccupazione per il cliente e
di fronte ad un disturbo che evidentemente non sa diagnosticare, il medico può
spesso «trasferire la merce», dimostrando così di meritare
il rispetto che la sua posizione comporta. Il cliente testimonia la validità
di ciò che dice il medico e, attraverso questo, la validità del
modello medico, adeguandosi a colui che lo sta esaminando in modo impersonale:
nessuno vuole la sua malattia, nessuno la desidera, nessuno ne ha colpa. Il
ricovero rimuoverà temporaneamente l'individuo dai suoi ruoli sociali,
ma se sopravvive a questa prova, è probabile ritorni al posto sociale
che si è lasciato alle spalle; posto che sarà tenuto scoperto
e caldo per lui, attraverso l'istituzione dell'«assenza per malattia»,
per mezzo della quale altri comprendono l'importanza del suo allontanamento.
Sebbene l'esempio del servizio tecnico sia quello sul quale si modella la pratica
medica, voglio concludere questa analisi sul modello medico notando che questo
schema di servizio individuale, non è l'unico cui si adatti l'azione
medica (precisazione questa precedentemente implicita nel riferimento ai medici
delle compagnie di assicurazioni e nell'epidemiologia). Si devono ricordare
ora altre due possibilità.
Primo: i medici possono essere impiegati non per servire un particolare individuo,
ma per assicurare che un'impresa sociale coinvolgente un numero di persone,
sia condotta in modo confacente ad alcuni livelli minimi di assistenza medica,
essendo questi stabiliti e recentemente rafforzati da agenti che operano in
nome della comunità generale. Ciò che è stato prima discusso
come una limitazione alla prestazione di servizio ad un dato cliente, può
diventare la funzione principale di un medico. Così, alcuni avvenimenti
sportivi, come gli incontri di boxe, occupano alcuni medici come cani da guardia;
come le fabbriche e le miniere sono obbligate a garantire il livello minimo
di sicurezza. In questi casi si può parlare della funzione "normativa"
della medicina. Ingegneri, elettricisti e architetti possono essere impiegati
in modo analogo.
Secondo: i medici possono venir usati nel ruolo di "manutenzione",
allo scopo di curare colui che partecipa ad una organizzazione, e ciò
non per il malato in sé o a salvaguardia della comunità, ma semplicemente
per elevare al massimo l'efficienza del lavoratore nei confronti dell'impresa.
Le droghe somministrate agli atleti e ai cavalli ne sono un esempio: la supervisione
medica alla tortura per assicurare che il prigioniero non muoia prima di aver
parlato, ne è un altro; il dar da mangiare agli internati di un campo
di lavoro, per mantenerli in vista dello scopo, ne è ancora un altro
(17). La funzione normativa e la funzione di manutenzione si trovano spesso
associate, come negli ambulatori dentistici e medici di alcune grandi organizzazioni
sociali, in particolare quelle isolate come le compagnie navali e militari.
Quindi, oltre al servizio medico individuale, vi possono essere tipi diversi
di organizzazioni sanitarie sociali. Nel suggerire questi altri modelli per
l'attività medica, non nego che il servizio individuale ricevuto da qualche
paziente non privilegiato sia, talvolta, meno adeguato - dal punto di vista
del paziente - di quello ricevuto da alcuni impiegati, come parte della manutenzione
e delle funzioni normative della medicina, nella loro organizzazione di lavoro.
La preoccupazione qui non è il tipo di attenzione medica che riceve l'individuo,
ma piuttosto la struttura organizzativa nella quale la riceve.
6.
Ora, finalmente, si può ritornare al punto proposto dal titolo di questo
lavoro: l'applicazione del modello di servizio tecnico, nella versione medica,
alla psichiatria istituzionale.
La storia occidentale delle interpretazioni date a chi sembra agire in modo
strano, è una storia drammatica: un patto intenzionale o involontario
con il diavolo, l'essere catturati da istinti animaleschi e selvaggi, eccetera
(18). In Inghilterra, nell'ultima parte del diciottesimo secolo, il mandato
medico nei confronti di questi peccatori era incominciato con spirito fervido.
Gli internati erano chiamati pazienti, gli infermieri venivano istruiti e si
tenevano cartelle di tipo medico (19). I manicomi che erano stati ribattezzati
«asili per alienati», furono chiamati ospedali psichiatrici. Un
movimento analogo era incominciato in America nel 1756 nell'ospedale di Pennsylvania
(20). Oggi, in Occidente, correnti diverse sostengono l'approccio «organico»
al malato e quello «funzionale», ma i presupposti che sottendono
entrambi i tipi di approccio confermano, analogamente, la legittimità
di applicare la versione medica del modello di servizio agli internati degli
asili. Per esempio, in molte comunità, il certificato medico è
una richiesta legale per il ricovero psichiatrico involontario.
Quando un paziente si presenta alla prima visita di ammissione, i medici applicano
immediatamente il modello di servizio medico. Qualunque siano le circostanze
sociali in cui si trova il paziente, qualunque sia la natura particolare del
suo disturbo, può essere trattato in questo contesto come qualcuno il
cui problema può essere avvicinato, se non risolto, attraverso un'unica
visuale tecnico-psichiatrica. Che un paziente differisca da un altro per sesso,
età, gruppo sociale, stato civile, religione o classe, si può
appena prendere in considerazione il fatto, per ridurlo in modo da poter applicare
la teoria psichiatrica generale e scoprire temi universali dietro alla superficialità
delle differenze esterne nella vita sociale. Come chiunque nel sistema sociale
può avere un'appendice infiammata, così chiunque può manifestare
una delle fondamentali sindromi psichiatriche. Ma la cortesia professionale
uniforme mostrata ai pazienti, è in contrasto con la possibilità
di applicare uniformemente la dottrina psichiatrica.
Vi sono certamente casi di disturbi mentali (legati a tumori cerebrali, paresi,
arteriosclerosi, meningiti eccetera) che sembrano adattarsi perfettamente alle
richieste del modello di servizio: un raro evento, distribuito a caso, attacca
il funzionamento mentale del paziente, senza che nessuno lo sappia e senza che
nessuno ne abbia colpa. Dopo un certo tempo, egli e/o altri sentono che c'è
«qualcosa che non va». Attraverso una serie di riferimenti il presunto
malato è portato, volontariamente o involontariamente, all'attenzione
degli psichiatri. Essi raccolgono informazioni, fanno osservazioni, formulano
una diagnosi, una prescrizione e suggeriscono un trattamento. Il paziente quindi
migliora o si controlla il corso della sua patologia o (così come succede
nelle «reazioni organiche») la malattia segue il suo corso lento
e inevitabile, concludendosi con la morte del malato o la sua riduzione ad uno
stato incurabile di semplice funzionamento vegetativo. Nei casi più favorevoli,
in cui il paziente può beneficiare della cura, è probabile egli
dia un nuovo valore alle sue passate esperienze, così da riconoscere
che il servizio psichiatrico è stato fatto nel suo interesse e che l'avrebbe
scelto volontariamente se avesse saputo che cos'era che non andava, e che cosa
si sarebbe potuto fare. Ogni cosa finisce bene dopo (21), e, se non finisce
bene, finisce almeno pulitamente. In alcuni ospedali psichiatrici si possono
trovare le cartelle cliniche catalogate nei corridoi degli edifici medico-chirurgici
che forniscono, di ogni caso, il profilo dei primi segni sociali di malattia
(il prodromo), i sintomi, la documentazione della loro mancata esatta valutazione,
la descrizione del comportamento del paziente mentre era ammalato, e i riferimenti
di ciò che è stato trovato nell'autopsia e che confermano l'esattezza
della diagnosi e del trattamento. Il cattivo comportamento sociale e la patologia
organica visibile, sono associate per confermare esattamente l'applicabilità
del modello medico.
Mentre alcuni casi psichiatrici possono essere affrontati all'interno dell'area
stabilita dal modello medico, ci sono evidenti fonti di difficoltà per
ciò che riguarda la più vasta categoria dei pazienti mentali,
quelli cioè affetti dalle cosiddette «psicosi funzionali».
Molte di queste difficoltà sono state descritte nella letteratura e sono
ben note in psichiatria. Vorrei qui rivederle brevemente, incominciando con
i tipi secondari, per arrivare a quelli più fondamentali.
Un esempio sul problema dell'applicabilità del modello di servizio alla
psichiatria istituzionale, è evidente nel fatto che parte del mandato
ufficiale dell'ospedale psichiatrico di stato è di proteggere la comunità
dal pericolo e dal fastidio che comportano certi tipi di comportamento anomalo.
Secondo la legge e le pressioni pubbliche cui l'ospedale psichiatrico è
sensibile, la sua funzione è prettamente custodialistica. All'interno
dell'istituzione, tuttavia, i riferimenti a questa sua funzione sono relativamente
espliciti, dato che il punto focale è centrato sui servizi di tipo medico-terapeutico
che l'ospedale fornisce ai pazienti. Se consideriamo i malati mentali come persone
con le quali altri hanno avuto particolari problemi, allora può risultare
comprensibile il ruolo custodialistico dell'ospedale (molto vicino al ruolo
custodialistico delle carceri) ed i più lo riterrebbero giustificabile;
il fatto è, tuttavia, che un servizio a beneficio dei parenti del paziente
o dei vicini o del datore di lavoro, non è necessariamente un servizio
a beneficio dell'intera comunità (qualunque essa sia); e un servizio
a beneficio di chiunque di questi non è necessariamente un servizio,
in particolare non è un servizio medico a beneficio dell'internato. Al
posto di chi presta un servizio e di colui che lo riceve, si trova qui un governatore
e un governato, un funzionario e quelli che sono a lui sottoposti (22).
Durante il ricovero è probabile che il paziente passi dalla giurisdizione
di un medico ad un altro, ma questo passaggio non è il risultato di un
sistema di riferimenti nel quale il medico suggerisce di rivolgersi ad un altro
tecnico e il paziente, spontaneamente, ne segue il consiglio; il paziente passerà
dalla giurisdizione di un medico ad un altro semplicemente a causa dei turni
giornalieri e settimanali, e per la frequenza con la quale i pazienti sono spostati
da un reparto all'altro, e lo staff medico da un dipartimento all'altro. Essendo
membri della medesima organizzazione, il paziente e il medico sono entrambi
soggetti a decisioni che non vengono prese pensando ai loro diretti destinatari
(23).
Inoltre, dobbiamo vedere l'ospedale psichiatrico, nel recente contesto storico
nel quale si è sviluppato, come un'istituzione in una rete di altre istituzioni,
deputate a fornire una residenza a diverse categorie di persone socialmente
indesiderate. Queste istituzioni comprendono case di cura, ospedali generali,
case per anziani, prigioni, cliniche geriatriche, case per mentalmente ritardati,
fattorie di lavoro, orfanotrofi e case di ricovero. Ogni ospedale di stato ha
una frazione notevole di pazienti che potrebbero benissimo essere ospitati in
una di queste altre istituzioni (come altre istituzioni ospitano alcuni internati
che potrebbero meglio essere ricoverati in un ospedale psichiatrico), ma che
devono rimanervi perché non è possibile trovare posto, o non si
può fornirlo altrove. Ogni volta che l'ospedale psichiatrico funziona
come il punto di arrivo in mezzo a questa rete di altre istituzioni, per far
fronte agli elementi di disturbo sociale, il modello di servizio è rinnegato.
Tutto ciò che riguarda il reclutamento dei pazienti fa parte di quello
che lo staff deve controllare, razionalizzare e rendere plausibile nel luogo
dove presta il suo servizio.
Uno dei problemi più toccanti nell'applicazione del modello di servizio
all'ospedalizzazione psichiatrica, ha a che fare, in America, con il carattere,
per la maggior parte coatto, del ricovero in ospedale psichiatrico. Come nel
caso di cure mediche richieste da persone molto giovani e molto vecchie, c'è
qui il tentativo di usare il principio di custodia e di associare l'azione intrapresa
da un parente, all'azione intrapresa dal paziente stesso. E' vero che trattando
i giovani e i vecchi come irresponsabili non ci sembra di essere incoerenti
o di alterare i rapporti che conserviamo con loro. Ma, sebbene alcuni pazienti
coatti arrivino a vedere gli errori della loro resistenza al ricovero, in generale
il risentimento del paziente che vi si oppone sembra perdurare. E' probabile
che egli avverta di essere stato instradato su un binario, verso l'ospedale,
con l'aiuto o almeno il consenso delle persone più vicine a lui. Mentre
di solito l'incontro con il tecnico può confermare la fiducia dell'individuo
nella razionalità e nella buona volontà della società in
cui vive, un incontro con gli psichiatri ospedalieri è probabile abbia
un effetto alienante.
Il paziente non è il solo, sembra, a rifiutare di vedere il suo problema
semplicemente come un tipo di malattia che deve essere curata e quindi dimenticata.
Una volta risulti che egli è stato in ospedale psichiatrico, la maggior
parte del pubblico, sia formalmente - in termini di riduzione di impiego - che
informalmente - in termini del trattamento quotidiano generale - lo considera
una persona da respingere; gli si mette addosso uno stigma (24). E' lo stesso
ospedale a riconoscere, implicitamente, che il disturbo mentale è una
vergogna; per esempio, molti ospedali forniscono un indirizzo postale cifrato,
in modo che i pazienti possano spedire e ricevere posta senza che la loro condizione
risulti reclamizzata sulla busta. Sebbene l'estensione della stigmatizzazione
stia diminuendo in alcune zone, si tratta di un fattore fondamentale nella vita
dell'ex paziente. Diversamente da ciò che succede in molte ospedalizzazioni
mediche, la durata del ricovero nell'ospedale psichiatrico è troppo lunga,
e l'effetto è troppo stigmatizzante per permettere all'individuo un facile
ritorno al posto sociale dal quale proveniva (25).
In risposta alla stigmatizzazione e al sentimento di privazione che si verifica
al momento dell'ingresso in ospedale, l'internato sviluppa di frequente qualche
alienazione nei confronti della società civile, che si esprime talvolta
nel rifiuto di lasciare l'ospedale. Questa alienazione può svilupparsi
senza alcun rapporto con il tipo di disturbo per il quale il paziente è
stato ricoverato, il che costituisce un aspetto laterale dell'ospedalizzazione
che frequentemente ha maggior significato per il paziente e per il suo processo
personale, di quanto lo abbiano le sue difficoltà originarie. Qui ci
troviamo di nuovo di fronte a qualcosa che non si adatta al modello di servizio
(26).
Un'altra difficoltà sta nella natura stessa della scienza psichiatrica.
E' da dire che il presupposto corrente, riguardo agli psicotici funzionali,
è che il paziente abbia sviluppato modalità colpevoli di rapporto
e che abbia bisogno di impegnarsi in esperienze terapeutico-educative per correggere
i modelli cui si riferisce. Ma la capacità di offrire ad un paziente
queste esperienze, non coincide con l'abilità tecnica, né può
essere direttamente insegnata come si insegna una tecnica. Inoltre, questa particolare
abilità di cui lo staff dovrebbe disporre, non può essere distribuita
nella gerarchia dei diversi gradi di abilità tecnica, come accade in
altre istituzioni di servizio, dove il personale altamente specializzato esegue
brevi compiti molto importanti, mentre il personale meno qualificato compie
un lavoro di routine preparatorio, o garantisce semplicemente che l'ambiente
sia ben tenuto. Un sorvegliante di reparto, spesso, sembra tanto ben preparato
ad offrire un «buon» rapporto ad un paziente, quanto uno psichiatra
altamente specializzato; ma che il suo contributo sia buono o cattivo, egli
si troverà in contatto continuo con il paziente, invece di avere un contatto
intermittente come quello dello psichiatra (27). Gli inservienti che preparano
il paziente ad incontrare il medico, si presume siano in grado di agire, attraverso
questi preparativi, circa quanto l'intervento dello psichiatra nella sua qualità
di psichiatra; dato che il terreno dei rapporti sociali diretti è tale
che ciascun partecipante al gioco può ugualmente portare ed usare lo
scalpello. Questo succede anche se le amministrazioni ospedaliere che operano
all'interno del modello medico, riconoscono agli psichiatri il diritto di prendere
decisioni cruciali su ciò che si deve fare del paziente.
Un altro punto è tentare di enfatizzare il fatto che risulta evidente,
un po' dovunque, una scarsa abilità psichiatrica, e che dove c'è
una certa abilità, non sempre coincide con la suddivisione gerarchica
dello staff; l'usuale cautela o la «specificità funzionale»
di colui che presta un servizio, è apertamente negata nel servizio psichiatrico.
Tutte le azioni dei pazienti, i sentimenti e i pensieri - il passato, il presente
e il futuro - sono ufficialmente usabili dal terapista nella diagnosi e nella
prescrizione. Le interpretazioni correnti sul carattere psicogenetico di molti
disturbi fisici, includono nel terreno psichiatrico anche disturbi che sarebbero,
altrimenti, di pertinenza della medicina generale, con il risultato che lo psichiatra
può veramente dichiarare di curare l'«intera persona» (28).
L'organizzazione dei servizi ausiliari all'interno dell'ospedale - internisti,
psicologi, neuropsicologi, assistenti sociali, infermieri - testimonia il vasto
mandato dello psichiatra, informandolo che lui solo gode del diritto ufficiale
di occuparsi dell'intero organismo del paziente. Tutto ciò che riguarda
il paziente riguarda quindi lo psichiatra; niente dovrebbe essere da lui tralasciato,
come non pertinente il suo lavoro. Nessun altro tecnico che disponga di un sistema
di «riparazione» sembra arrogarsi questo tipo di ruolo.
In corrispondenza al vasto mandato diagnostico dello psichiatra, ce n'è
uno altrettanto vasto di carattere descrittivo. Le istituzioni carcerarie agiscono
sulla possibilità di definire quasi tutti i diritti e i doveri degli
internati. Ma qualcuno qui si trova nella posizione di incombere fatalmente
su qualsiasi cosa l'internato riesca ad ottenere, e su qualsiasi cosa di cui
l'internato venga privato, e questa persona è, ufficialmente, lo psichiatra.
Lo psichiatra non ha bisogno di esercitare questo diritto in accordo con le
regole burocratiche generali, come dovrebbe f are qualsiasi membro del servizio
civile o militare. Quasi tutti gli ordinamenti ai quali il paziente viene legato
nel ciclo giornaliero, possono essere modificati a volontà dallo psichiatra,
purché vi sia una spiegazione psichiatrica che lo giustifichi.
E' di nuovo evidente che il ruolo dello psichiatra è unico fra i tecnici,
in quanto a nessun altro è riconosciuto un tale potere.
Nel discutere il modello medico nell'ospedale generale, si era detto che le
condizioni di vita ospedaliere, possono essere divise in una sfera interna ed
una esterna: la sfera interna contiene l'area disturbata dell'organismo in condizioni
di controllo medico adatto, rispondenti allo stato del disturbo; la sfera esterna
si occupa più grossolanamente dell'alloggiamento per la sfera interna.
Negli ospedali psichiatrici talvolta si può mantenere questa distinzione
fra l'ambiente terapeutico e quello di tipo custodialistico. Dove vengono praticati
interventi medici (come opposti a quelli psicologici) vi possono essere alcuni
tentativi di somministrare la cura in condizioni di stretto controllo, lasciando
però che il tempo che intercorre fra un trattamento e l'altro sia condotto
con minore rigore medico. Vi sono casi, come quelli di pazienti suicidi o omicidi,
dove l'intero ciclo giornaliero è rigorosamente determinato e costituisce
una sfera interna di controllo medico, intimamente adattata alle circostanze;
in questo caso le condizioni di vita possono essere assimilate alla cura. Analogamente,
per i pazienti ad uno stadio avanzato di deterioramento neuro-fisiologico, le
condizioni dei reparti per regrediti, sembrano perfettamente adatte alle capacità
dell'organismo: il fatto che il paziente sieda tutto il giorno nello stesso
posto, con un'espressione vuota sulla faccia fa, in certa misura, parte inevitabile
ed irrimediabile del suo stato.
Ma durante le precedenti fasi di deterioramento cerebrale, e durante la maggior
parte del decorso di alcuni disturbi organici, come l'epilessia, l'assoluta
assicurazione che si tratti di una sindrome organica non è, in alcun
modo, in diretta relazione con le condizioni di vita accordate al paziente nell'ospedale.
Per quanto siano senza speranza le condizioni di un paziente, sono relativamente
pochi i malati così deteriorati, per i quali la vita dei reparti per
regrediti sia da ritenersi il preciso riflesso o la risposta alle loro capacità.
Non ci sono accordi, attualmente, su quanto «normale» dovrebbe essere
il tipo di vita organizzata. La diagnosi può, quindi, essere medica,
mentre il trattamento non lo è, dato che il paziente è trattato
semplicemente con il tipo di vita adatto - in generale - a questo tipo di pazienti.
Quando ci si riferisce a dei casi funzionali, la vita di reparto cessa di essere
la risposta tecnica alle loro capacità, così come il riposo a
letto è l'espressione dello stato fisico di un paziente appena operato.
E tuttavia, come vedremo, lo staff dell'ospedale psichiatrico deduce che le
condizioni di vita dei pazienti sono l'espressione delle loro capacità
e della loro organizzazione personale e, insieme, la risposta medica ad esse.
Ora voglio accennare al fatto che, paragonato ad un ospedale generale o ad un
garage, un ospedale psichiatrico si rivela male attrezzato per essere un posto
dove si attui il ciclo classico di riparazione. Negli ospedali psichiatrici
di stato e in gran parte delle cliniche private o dei ricoveri per anziani,
l'opportunità per osservare il paziente ci sarebbe, ma lo staff è
spesso troppo occupato per registrare qualcosa oltre gli atti di disobbedienza.
D'altra parte, anche quando ci sarebbe tempo per questo tipo di lavoro, il comportamento
del paziente nel reparto può difficilmente essere preso come esempio
della sua condotta esterna: un comportamento ritenuto inaccettabile fuori, qui
non si verifica (soprattutto quando questo comportamento sia una reazione a
persone non amate, nell'ambiente familiare del paziente), mentre vengono a sovrapporsi,
a quelle precedenti, altre forme di comportamento anomalo che si verificano
in risposta alla situazione in cui l'internato è costretto. Si assiste
qui aduna sorta di rifrazione del comportamento, dove le mura dell'istituto
agiscono come un prisma che ingrandisce e colpevolizza. Ammenocché non
si dimostri la validità del fatto di sottoporre ad un esame persone che
si trovano in questa particolare condizione di stress, il reparto sembrerebbe
il posto meno indicato perché il tecnico vi possa fare le sue osservazioni.
Analogamente, anche quando si fanno consulti diagnostici su un caso, lo scopo
di questi incontri può vertere nell'accordarsi con quale etichetta fra
quelle legalmente richieste si vorrà incasellarlo; in tal modo le fasi
di questi incontri possono avere poco a che fare con la presenza o l'assenza
di una serie di dati su cui lavorare.
Ciò che è reale circa le difficoltà di formulare una diagnosi
negli ospedali psichiatrici, è ancor più reale per ciò
che riguarda la cura. Come ho già detto, il problema di ammorbidire la
disposizione del paziente verso il mondo, è confuso ed esacerbato dal
problema di ammorbidirne la disposizione verso il ricovero coatto. In ogni caso
è probabile che la cura prestata negli ospedali psichiatrici non sia
specifica per il particolare tipo di disturbo di cui soffre il paziente, così
come, di solito, accade in un ospedale generale, in un garage o in un negozio
di riparazioni radio; se viene fatta una cura, si tratta di un ciclo di terapie
che tende ad essere distribuito uniformemente ad un'intera classe di pazienti,
dove la tecnica medica viene usata più per individuare se vi siano controindicazioni
al trattamento generale, che per trovare le indicazioni esatte.
Contemporaneamente, la vita del paziente è regolata e ordinata secondo
un sistema disciplinare, sviluppato per la conduzione di un largo numero di
pazienti coatti, da parte di un piccolo staff. In questo sistema è probabile
che il sorvegliante si trovi ad essere il personaggio chiave dello staff, dato
che è lui ad informare il paziente delle punizioni e dei premi che regolano
la sua vita, promuovendo l'autorizzazione medica alla concessione di privilegi
e punizioni. Un comportamento tranquillo ed obbediente porta il paziente un
passo avanti nel sistema del reparto; un comportamento cattivo e disordinato,
ad una retrocessione. E' abbastanza interessante il fatto che, quando il paziente
si rivela desideroso di migliorare il proprio comportamento sociale, è
probabile che il sorvegliante lo porti all'attenzione del medico, come degno
di considerazione e capace di trarne profitto; così - come ha detto Ivan
Belknap - il paziente riceve attenzione medica quando ne ha meno bisogno (29).
E' difficile che il paziente riesca a vedere sotto il profilo del modello medico
il periodo passato in ospedale psichiatrico. Una lamentela generale è:
«Non mi fanno niente. Mi lasciano qui a sedere». E, in corrispondenza
a queste difficoltà, c'è il fatto che la cura psichiatrica ufficiale
per i disturbi funzionali non offre, in sé, una probabilità di
successo, tale da giustificare la pratica della psichiatria istituzionale come
servizio professionale specialistico, come è stato qui definito; soprattutto
finché la probabilità che il ricovero danneggi le possibilità
di vita dell'individuo sia, come si è già detto, reale e frequente.
Il problema, tuttavia, non è semplicemente quello della scarsa probabilità
di successo di un servizio, ma in alcuni casi si tratta, in primo luogo, della
validità di applicare l'intero sistema di riferimenti di quel servizio.
Primo, dobbiamo vedere se è possibile la distinzione dell'entità
con cui il disturbo si manifesta. E' vero che, in casi di natura organica, il
paziente racchiude in sé il mondo nel quale possono essere apportate,
se possibile, alcune riparazioni. Ma questo non è il caso delle psicosi
funzionali. Finché il comportamento sintomatico del paziente è
ritenuto espressione della sua situazione interpersonale, il tecnico dovrebbe
trasportare la situazione globale del paziente in ospedale, per osservare le
difficoltà e curarle. Al posto di un ambiente relativamente favorevole
e passivo e un punto isolato in cui si evidenzia un disturbo, l'apparenza e
la sostanza delle usuali concezioni di servizio si fondono in un'unica realtà,
dato che l'ambiente interpersonale del paziente risulta inseparabile dal disturbo
di cui soffre. Teoricamente, naturalmente, un piccolo scambio terapeutico potrebbe
avere sul paziente un effetto benefico, dilatabile anche al suo ambiente una
volta che vi faccia ritorno; ma, in pratica, il paziente è di solito
restituito, quando viene dimesso, al sistema del quale la sua reazione psicotica
era una parte naturale.
C'è ancora un punto fondamentale da esaminare, che consiste nell'applicabilità
del concetto di «patologia». Di solito la patologia che per prima
porta l'attenzione sulla condizione del paziente, è una condotta «inappropriata
alla situazione». Ma il fatto di stabilire se un dato atto sia appropriato
o inappropriato, è spesso il risultato di una decisione presa da parte
di profani, semplicemente perché non si dispone di una mappa tecnica
delle diverse culture di comportamento nella nostra società, se se ne
tralasciano i modelli prevalenti in ognuna di esse. Le decisioni diagnostiche,
una volta eccettuati i sintomi estremi, possono diventare etnocentriche, poiché
il tecnico giudica dal punto di vista della sua cultura la condotta di individui
che può essere giudicata, in realtà, soltanto dalla prospettiva
del gruppo dal quale derivano. Inoltre, dato che il comportamento inappropriato
è di solito il comportamento che a qualcuno non piace e che ritiene estremamente
fastidioso, le decisioni in merito tendono ad avere un carattere politico, nel
senso che esprimono gli interessi particolari di una data fazione particolare,
o di una data persona, anziché un tipo di interessi che possa essere
definito come al di sopra di ciò che riguarda ogni particolarità
di gruppo, come nel caso della patologia fisica (30).
Per il paziente, l'applicazione del concetto di patologia al comportamento,
può avere effetti che risultano incompatibili con l'ideale di servizio.
Finché sente di aver agito in modo non appropriato, vede ancora la sua
azione come parte del normale mondo sociale dell'intenzionalità, della
responsabilità e della colpa - molto simile a com'era nel momento in
cui la sua condotta è stata percepita da qualcuno come fastidiosa. Avere
il proprio comportamento definito come involontario, non responsabile e non
incolpabile può risultare utile, in alcuni casi; ma la cosa, non di meno,
comporta uno schema tecnico e non uno schema sociale e, teoricamente, dovrebbe
squalificare il paziente da qualsiasi partecipazione al rapporto di servizio,
mentre lo qualifica come un oggetto di servizio. La descrizione di Szasz può
essere qui citata:
"Più precisamente, secondo la definizione del senso comune, la salute mentale è la possibilità di giocare qualsiasi gioco in cui possa consistere il vivere sociale, e di giocarlo bene. Al contrario, rifiutarsi di giocarlo, o giocarlo male, significa che la persona è mentalmente malata. Il problema che può sorgere è quali possano essere le differenze, se ce ne sono, fra ciò che è il non conformismo sociale (o la devianza) e la malattia mentale. Lasciando da parte per il momento le considerazioni psichiatriche tecniche, sostengo che la differenza fra queste due nozioni - espresse per esempio nelle frasi «Ha torto» e «E' malato di mente» - non sta necessariamente in qualsiasi <fatto> osservabile su cui si punti l'attenzione, ma può consistere solo nella differenza delle nostre <attitudini> verso il soggetto con cui ci rapportiamo. Se lo prendiamo <seriamente>, riteniamo che egli goda di diritti umani e di dignità e lo consideriamo più o meno un nostro uguale - in questo caso si parla di disaccordo, devianze, lotte, crimini, forse anche di tradimento. Ma se sentiamo che non possiamo comunicare con lui, che è in qualche modo «fondamentalmente» diverso da noi, saremo inclini a considerarlo non più un uguale, ma un inferiore (raramente un superiore) e allora si parlerà di lui come di un matto, di un pazzo, di un malato, di uno psicotico, un immaturo e così via" (31).
Non dobbiamo, tuttavia, sopravvalutare questo problema perché, di fatto,
non c'è nell'ospedale psichiatrico un grande pericolo di trovare i propri
atti uniformemente definiti, in un sistema di referenze tecniche neutrali. In
medicina è possibile agire come se non ci fossero streptococchi giusti
o sbagliati, ma semplicemente pericolosi. In psichiatria c'è un tentativo
formale di agire, come se il trattamento fosse il punto cruciale e non un giudizio
morale, ma la cosa non è abitualmente mantenuta. La neutralità
etica è difficile da sostenere in psichiatria, perché il disturbo
del paziente è intrinsecamente rapportato al suo agire, in un modo che
offende coloro che ne sono testimoni. Inoltre, la modalità usuale di
far fronte a questo tipo di offese, nella nostra società, è applicare
le sanzioni all'offensore in modo da correggerlo. La nostra società opera
su questo presupposto in ogni aspetto e dettaglio della vita, e senza un equivalente
funzionale, è difficile vedere come potremmo mantenere un ordine sociale
al di fuori di questo sistema.
E' quindi comprensibile come, anche le occasioni messe in evidenza per dimostrare
come la psicoterapia professionale non moralistica stia prendendo piede nell'istituzione,
saranno pervase da una prospettiva moralistica, seppur modificata. Ed è
quindi logico che gran parte della psicoterapia consista nel far vedere al paziente
i suoi peccati, mettendolo nella condizione di individuare l'errore del suo
comportamento. Del resto, non vedo come potrebbe o dovrebbe essere diversamente.
Il punto interessante qui è che lo staff psichiatrico si trova in una
posizione in cui non può dimenticare la finzione di neutralità,
né può sostenerla veramente.
Quando è applicato all'ospedale psichiatrico, il modello di servizio
porta ad un'ambivalenza particolare nell'azione dello staff. L'ideologia psichiatrica
richiede una neutralità etica nel trattamento dei pazienti, perché
ciò che gli altri giudicano come un cattivo comportamento, dovrebbe essere
visto dallo staff come un comportamento patologico. Anche la legge sottoscrive
questa posizione, dato che un paziente mentale gode del privilegio di commettere
crimini, senza dover affrontare un'azione legale. E tuttavia nella condizione
reale dei pazienti, l'ideale della buona condotta è sostenuto come desiderabile,
le infrazioni sono punite ed il paziente è trattato come persona «responsabile»,
capace cioè di uno sforzo personale per comportarsi bene. Lo staff psichiatrico
divide con i poliziotti lo strano compito professionale di educare e moralizzare
gli adulti; la necessità di sottomettersi a queste lezioni è una
delle conseguenze del fatto di aver commesso atti contro l'ordine sociale della
comunità.
7.
Date queste interpretazioni a giustificazione del fatto che al paziente mentale
non viene offerto un servizio tecnico, o comunque che il concetto di servizio
tecnico non viene applicato alla condizione del paziente mentale, si possono
dedurre alcune difficoltà nell'interazione fra psichiatra istituzionale
e paziente; difficoltà che sono un prodotto necessario e naturale del
ricovero in ospedale psichiatrico. La preparazione dello psichiatra, il suo
orientamento e la sua condizione gli impediscono di avvicinare un paziente mentale
civilmente, come per offrire un servizio tecnico ad un cliente che lo ha spontaneamente
richiesto. Lo psichiatra si aspetta che il paziente domandi un trattamento e
abbia una mente tanto lucida - anche se non qualificata - da venire a chiedere
assistenza a coloro i quali sono al suo servizio. L'istituzione, in ogni occasione,
conferma questo servizio attraverso la terminologia usata, le uniformi indossate
e il modo di trattare.
Tuttavia, se lo psichiatra deve considerare le parole del paziente come un valore
nominale dei suoi sintomi, così come accade nel servizio medico, allora
il paziente deve voler rispondere in un modo particolare: una contrita ammissione
di malattia, constatata in termini modestamente non tecnici, e un desiderio
sinceramente espresso di sottostare ad un cambiamento di sé, attraverso
il trattamento psichiatrico. In breve, il paziente dovrebbe seguire una linea
psichiatrica, se si vuole riconoscere lo psichiatra come un tecnico medico.
Ma la probabilità che un paziente segua la linea psichiatrica, non è
grande. Potrebbe non aver mai avuto l'occasione di rendersi conto di non essere
un cliente che si cura volontariamente, e risentire quindi della sua condizione.
Egli vede lo psichiatra come una persona che ha del potere. E' probabile gli
faccia quel tipo di domande e di richieste e prenda quel tipo di posizioni che
fanno slittare il rapporto dallo schema di servizio; per esempio far chiedere
al proprio padrone la concessione di maggiori privilegi, oppure un detenuto
potrebbe presentare rimostranze verso un carceriere che abusa del proprio potere,
o un uomo orgoglioso rifiutare di aver rapporti con qualcuno che lo reputa pazzo.
Se lo psichiatra prende seriamente queste lamentele, il rapporto cessa di essere
quello per il quale è stato preparato. Per difendere il suo ruolo professionale
e l'istituzione che lo paga, lo psichiatra è costretto a rispondere,
trattando questi sfoghi non come informazioni utili, ma come segni della malattia
stessa, da usarsi come informazioni dirette (32). Ma considerare ciò
che dice il paziente come segno, e non come riferimento di sintomi validi, significa,
negare che egli sia - insieme - un polo, così come un oggetto del rapporto
di servizio.
Lo psichiatra e il paziente sono destinati, dal contesto istituzionale, ad una
relazione falsa e difficile e sono costretti ad un rapporto che la esprimerà;
lo psichiatra deve estendere la civiltà del servizio dalla posizione
di colui che lo presta, ma non può continuare in quella posizione più
di quanto il paziente non possa accettarla. Ciascun polo della relazione è
destinato a cercare l'altro, per offrire ciò che l'altro non può
accettare, e ciascuno è destinato a rifiutare ciò che l'altro
offre. In molte istituzioni psichiatriche si può evidenziare quello che
appare come l'incontro cruciale fra paziente e psichiatra: lo psichiatra incomincia
il rapporto, offrendo al paziente i riguardi civili dovuti ad un cliente, e
riceve una risposta che non può essere integrata nell'interazione del
servizio convenzionale: quindi, anche mentre tenta di sostenere alcune forme
esterne del rapporto tecnico-cliente, deve studiare il modo di uscire dalla
situazione. Lo staff psichiatrico sembra dunque costantemente occupato nel ritirarsi
dalle proposte implicite nel suo ruolo.
8.
Nell'analizzare l'applicazione del modello di servizio tecnico ad attività
diverse, avevo accennato a qualche difficoltà e tensione, ed avevo arguito
che anche il servizio psichiatrico istituzionale dovesse affrontare un insieme
molto vasto di problemi analoghi. Questa situazione in sé non è
degna di nota; ci sono molti servizi «tecnici» che soddisfano anche
meno di quanto la psichiatria non soddisfi le richieste del modello secondo
cui si presenta, anche se pochi servizi coinvolgono tanti clienti così
duramente provati. Ciò che risulta analiticamente interessante nel caso
dell'ospedale psichiatrico, è che i medici sono coinvolti, così
come lo sono i malati coatti. I medici, nella nostra società, sono esempi
del servizio razionale di riparazione e, di solito, viene concesso di investire
le loro prestazioni di grande dignità e importanza. Avendo impegnato
tempo e denaro per ottenere il ruolo professionale medico, e dato che ritengono
che la loro attività giornaliera li sostenga nel ruolo ottenuto con la
loro preparazione, è comprensibile che si sentano obbligati a mantenere
un approccio medico e la versione medica del modello di servizio. La società
sembra sostenerli in questo, poiché tutti siamo contenti di sapere che
coloro che esiliamo nei manicomi, stanno ricevendo una cura sotto controllo
medico, e non una punizione. Contemporaneamente, il ricovero involontario (e
spesso anche quello volontario) comporta, di solito, una condizione di vita
realmente misera e desolata, che genera spesso una ostilità prolungata
verso chi la determina. La limitata applicabilità del modello medico
agli ospedali psichiatrici unisce, da una parte, un medico che non può
permettersi di interpretare la sua attività se non in termini medici,
e dall'altra un paziente che può sentire di dover combattere e odiare
chi lo custodisce, se vuole dare un significato alla durezza cui è sottoposto.
Gli ospedali psichiatrici istituzionalizzano un tipo grottesco di rapporto di
servizio.
I medici e gli internati si trovano in un sistema istituzionale difficile, ma
i primi, avendo nelle mani il controllo della situazione, hanno una maggiore
opportunità di sviluppare alcuni meccanismi per farle fronte. La loro
risposta ci fornisce, non solo un aspetto importante della vita ospedaliera,
ma anche l'esempio di casi di interazione tra modelli sociali - quello del tecnico
e delle istituzioni sociali con le quali c'è un tentativo di istituzionalizzare
un'identità di ruolo.
Ci sono alcune caratteristiche della situazione ospedaliera che aiutano lo psichiatra
nelle difficoltà dategli dal ruolo. Il mandato legale del medico sul
destino del paziente, e il suo potere istituzionale su alcuni elementi dello
staff, gli forniscono automaticamente l'autorità che altri tecnici sono
invece costretti, in parte, a conquistare attraverso un'interazione reale con
il cliente. Inoltre, mentre la scienza psichiatrica spesso non consente allo
psichiatra di prevedere esattamente il comportamento del paziente, la stessa
ignoranza gli fornisce una scappatoia interpretativa: aggiungendo alla sua analisi
"post hoc" riserve e presentimenti, lo psichiatra può ottenere
un quadro di ciò che sta accadendo che può essere più smentito
che provato, come quando un'esplosione psicotica imprevista dà l'avvio
all'interpretazione secondo la quale il paziente si sente ora abbastanza sicuro
e forte da esprimere la sua psicosi. A quest'autorità che non può
essere screditata, lo psichiatra aggiunge la forza derivatagli dalla tradizione
medica, dall'«esperienza clinica». Attraverso questa qualità
magica, alla persona formalmente qualificata, con una maggiore esperienza su
casi del genere di quello in esame, è accordata la parola finale quando
c'è un dubbio o un'incertezza, dato che si tratta del medico di più
alto livello cui si possa ricorrere.
Lo psichiatra, avendo una preparazione medica, può fornire i pazienti
di servizi medici minori, rimettendo i casi più difficili all'ospedale
generale. Questa funzione normativa (caratteristica, come ho già detto,
di ciò che si fa sotto le armi, su una nave, in una fabbrica, o dovunque
sia riunito un gran numero di persone per contribuire ad un fine amministrativo)
invece di essere considerata un servizio ausiliario di tipo interno, è
assimilata al funzionamento centrale dell'istituto, confermando così
la base concreta dell'idea che i pazienti mentali ricevano, negli ospedali psichiatrici,
trattamenti quasi medici. E' abbastanza interessante il fatto che gli ospedali
psichiatrici di stato a volte siano così scarsi di personale che lo staff
medico può passare la giornata dedicandosi a riparazioni mediche minori
sui pazienti, così da dover applicare trattamenti psichiatrici - nella
misura in cui li applicano - a scapito delle cure mediche necessarie.
Un modo evidente per lo psichiatra di risolvere il problema del suo ruolo è
quello di lasciare l'ospedale psichiatrico di stato appena può, dichiarando
spesso di andarsene per trovare un posto dove «sia realmente possibile
fare della psichiatria». Allora può trasferirsi, specialmente per
l'ultimo anno o due del suo internato obbligatorio, in una clinica privata ad
indirizzo, forse, psicoanalitico, dove ci sarà un tipo di approccio al
paziente simile a quello della pratica privata e dove un maggior numero di pazienti
entrano volontariamente e risultano adatti alla psicoterapia. Da questa clinica
(o direttamente dall'ospedale di stato) lo psichiatra può passare alla
pratica privata, un tipo di organizzazione che non gli consentirà di
estendere la sua abilità a molti pazienti, ma gli garantirà che
l'attività è condotta in conformità al complesso di servizio:
uno studio, una segretaria, gli appuntamenti, il paziente che si presenta volontariamente
alla consultazione, il semplice controllo sulla diagnosi e il trattamento, e
così via (33). Qualunque sia il motivo, questo ciclo a due o tre fasi,
risulta abbastanza comune, da costituire uno schema standard della carriera
dello psichiatra.
Nel caso lo psichiatra non possa o non voglia andarsene dall'ospedale psichiatrico
di stato, ci sono allora pronte per lui alcune altre possibilità. Egli
potrebbe ridefinire il suo ruolo da quello di tecnico a quello di saggio governatore,
accettando cioè l'aspetto custodialistico dell'istituzione, e dedicandosi
a raddolcirne la conduzione. Può riconoscere l'impossibilità di
applicare la terapia individuale nella situazione, e orientarsi verso terapie
sociali più nuove, tentando di coinvolgere i parenti del paziente nella
psicoterapia (con il presupposto che il disturbo risieda nel sistema familiare)
(34), o tentando di allargare la terapia al complesso dei contatti giornalieri
del paziente con tutti i livelli dello staff (35). Può limitarsi alla
ricerca scientifica. Può ridurre il più possibile il contatto
con i degenti, dedicandosi alla pubblicazione di lavori, o alla psicoterapia
con i livelli meno qualificati dello staff, o con un piccolo numero di pazienti
«promettenti». Può fare un serio tentativo per informare
i pazienti di quanto poco egli sappia, ma questo tipo di sincerità sembra
destinato a fallire, perché il ruolo medico è definito diversamente
nella nostra società, e perché il potere di cui lo psichiatra
gode sul paziente, non è rapidamente inteso come qualcosa che possa essere
stato dato a chiunque ne sappia così poco (36). Qualche volta lo psichiatra
diventa «l'uomo dei pazienti», nel senso che si accorda con i loro
reclami su ciò che l'istituzione sta facendo di loro, criticando apertamente
con loro l'istituzione. Se non assume una di queste linee, può - alla
fine - diventare cinico circa il suo ruolo nell'ospedale, accontentandosi di
proteggere se stesso, se non può proteggere i suoi pazienti (37).
Oltre a questi modi di adattamento che comportano allineamenti di carriera,
si riscontrano adattamenti di tipi più diffusi, e più ideologici
cui partecipano alcuni livelli dello staff. E' come se il dilemma del servizio
costituisca un punto doloroso nel sistema sociale dell'ospedale, e che .attorno
ad esso vengano sprecate energie intellettuali per costruire una membrana protettiva
di parole, credenze e sentimenti. Qualunque sia l'origine, il sistema di credenze
che ne risulta serve a sostenere e a stabilizzare la definizione della situazione
come di un servizio medico. Siamo quindi provvisti di un esempio in miniatura
del rapporto fra ideologia e posizione sociale.
Forse l'esempio più ovvio dell'ideologia istituzionale è riscontrabile
nell'attività di public relations, abbastanza tipica negli ospedali psichiatrici.
Esposizioni nelle sale, libretti di orientamento, giornali istituzionali, attrezzature
in mostra e le più nuove terapie - queste fonti di definizioni della
situazione aspettano al varco il paziente, i parenti e i visitatori, definendo
apertamente l'intenzione da parte dell'istituto di seguire la linea del servizio
medico.
Inoltre, abbiamo negli ospedali psichiatrici una raccolta di storie tradizionali
i cui casi illustrano la validità della prospettiva usata dallo staff.
Queste storie raccontano di tempi in cui era stato concesso ad un paziente un
privilegio troppo presto, o era stato rilasciato contro l'opinione del medico,
e si era trovato a commettere un omicidio o a suicidarsi. I sorveglianti raccontano
aneddoti che illustrano la natura animalesca del paziente. I membri dello staff,
che partecipano alle consultazioni diagnostiche, hanno storielle spiritose da
riferire sul loro conto - per esempio di un internato che faceva una richiesta
perfettamente equilibrata, ma che, alla fine, ammise di essere un agente del
F.B.I. Ci sono storie di «predegenti» che presentavano sintomi psicotici
sempre più floridi e pericolosi, finché gli altri finalmente si
convincevano della loro malattia e ne provvedevano il ricovero; al qual punto
essi avevano abbandonato la sintomatologia, dato che erano riusciti a comunicare
il loro bisogno di aiuto. Infine, erano arrivati ad instaurare un buon rapporto
con un medico comprensivo e da allora erano improvvisamente migliorati. Come
altri racconti esemplari, queste storie sembrano tutte comprovare l'esattezza
della posizione presa dallo staff (38).
Le implicazioni ideologiche o interpretative dell'attività istituzionale,
sembrano mettere a fuoco due punti da esaminare: la natura del paziente e la
natura dell'attività ospedaliera, che sostengono entrambe la definizione
della situazione come di un servizio medico.
Il punto di vista cruciale per quanto riguarda il paziente è: se egli
fosse «se stesso» si ricovererebbe volontariamente e, una volta
in grado di venir dimesso, riconoscerebbe di essere stato curato come doveva
realmente essere curato. E' qui implicita una variazione del principio custodialistico.
L'idea che il paziente psicotico possegga un "sé" malato, e
di conseguenza relativamente adulto, «intatto» e «non danneggiato»,
porta un passo avanti il concetto di custodia, dato che, nella stessa struttura
dell'io, si riscontra la frattura fra oggetto e cliente, richiesta per completare
la triade di servizio.
In questo momento la cartella clinica assume il suo ruolo. Essa fornisce il
pezzo per ricostruire, sistematicamente, un quadro del passato del paziente
che dimostri come il processo della malattia fosse lentamente infiltrato nella
sua condotta, finché tutto il suo comportamento, come un intero sistema,
non fu patologico. Un comportamento che sembra normale è visto semplicemente
come una maschera o uno scudo per la malattia essenziale che sta dietro ad esso.
Viene dato alla patologia un nome totalizzante come schizofrenia, personalità
psicopatica eccetera, e questo fornisce un nuovo punto di vista sul carattere
«essenziale» del paziente (39). Quando vi è costretto, parte
del personale ammette che queste definizioni di sindromi sono vaghe e incerte,
e che vengono usate solo per poter regolare il censimento ospedaliero. Ma, in
pratica, queste categorie diventano un sistema magico per ridurre ad una singola
unità la natura del paziente - un'entità soggetta al servizio
psichiatrico. Attraverso questi meccanismi le aree di «funzionamento normale»
nel paziente, possono non essere prese in considerazione, tranne per il fatto
che lo portino ad accettare volontariamente il trattamento.
La reazione del degente al ricovero può essere, in sé, ben manipolata
attraverso la sua traduzione in uno schema tecnico di referenze per cui il contributo
dell'ospedale al disturbo del paziente diventa accessorio, dato che la cosa
più importante è il modo internamente generato del disturbo, tipico
del suo comportamento. Gli avvenimenti interpersonali sono trasferiti nel paziente,
che viene così definito come un sistema relativamente chiuso che può
essere pensato come patologico e correggibile. Un'azione intrapresa da un paziente
nei confronti di un esponente dell'istituzione che potrebbe riconoscervi un'impronta
aggressiva, viene tradotta nel termine sostantivo di «aggressività»,
che può essere ben localizzata all'interno del paziente (40). Analogamente,
in un reparto in cui gli infermieri non si preoccupano di iniziare un contatto
con i pazienti lungo-degenti (che, di fatto, risponderebbero ai loro approcci)
può essere trasferita nel paziente parlando di lui come di un «muto»
(41). Come ha suggerito Szasz, questo punto di vista è simile a quello
antico, secondo il quale il paziente mentale era preda di un diavolo o uno spirito
cattivo e doveva - ed era solo di questo che aveva bisogno - essere esorcizzato
(42).
Un tale processo di traduzione può essere chiaramente visto nella psicoterapia
di gruppo. In generale questa terapia - la principale terapia «verbale»
che i pazienti ricevano negli ospedali psichiatrici - incomincia come una sessione
di controllo durante la quale i pazienti fanno domande e presentano lamentele,
in un'atmosfera relativamente permissiva, con possibilità di accesso,
abbastanza diretto, ad un membro dello staff. La sola azione da parte del terapista
che sembra in connessione con il suo obbligo istituzionale e professionale,
consiste nel capovolgere le domande, convincendo il paziente che i problemi
che egli sente nei confronti dell'istituzione - o dei parenti, o della società
e così via - sono in realtà i suoi problemi; il terapista gli
suggerisce allora di affrontarli, riordinando il suo mondo interno e non tentando
di alterare l'azione di questi agenti esterni. Ciò cui si assiste qui
è un tentativo diretto, anche se senza dubbio non intenzionale, di trasformare
il paziente ai suoi stessi occhi, in un sistema chiuso che ha bisogno di un
servizio. Così, per citare un esempio abbastanza estremo, ho visto un
terapista trattare le rivendicazioni di un paziente negro sui rapporti razziali,
in un ospedale psichiatrico in cui vigeva una parziale discriminazione, invitandolo
a domandarsi perché, lui solo, fra tutti gli altri negri presenti, avesse
scelto quel particolare momento per esprimere i suoi sentimenti, e che significato
potesse avere per lui, in quanto persona, questa espressione, a parte la condizione
dei rapporti razziali nell'ospedale in quel particolare momento (43).
Una delle definizioni di servizio più essenziali della natura del paziente,
può essere riscontrata nell'area del «mandato pericoloso»,
tipico di molti servizi di riparazione. t stato detto che uno studente in medicina
diventa medico, nel momento in cui si trova nella posizione di fare un grosso
sbaglio (44). Sotto a quest'idea c'è la credenza secondo la quale un
sistema utile possa presentare una certa pericolosità per l'organizzazione,
che potrebbe risultare gravemente danneggiata qualora venga intrapresa un'azione
inesperta in un contesto tanto precario. Come è già stato detto,
la cosa tende a fornire il terreno razionale per una gerarchia di abilità
tecniche, ed una gerarchia sociale di tecnici in ogni organizzazione di servizio.
Anche negli ospedali psichiatrici c'è una versione del «mandato
pericoloso». Si tratta dell'opinione secondo cui un'azione errata può
mettere in serio pericolo il paziente e per la quale lo psichiatra si trova
nella posizione, datagli dalla sua preparazione e dalla sua abilità,
di intraprendere azioni potenzialmente pericolose, che persone meno qualificate,
nella gerarchia medica, non dovrebbero poter intraprendere. Naturalmente, per
quanto riguarda la prescrizione del dosaggio dei farmaci e il calcolo degli
effetti collaterali in caso di controindicazioni, il modello resiste, ma le
conseguenze nella sfera psicoterapeutica sono più incerte, sebbene spesso
non vi si insista meno. Si dice talvolta che il personale meno qualificato -
assistenti sociali, infermieri e sorveglianti - non dovrebbe occuparsi di «terapie
da dilettanti» e tantomeno di «psicoanalisi» da dilettanti.
Uno staff psichiatrico che segue un internato in sessioni speciali di psicoterapia,
non dovrebbe essere sostituito da altri nel suo lavoro, e specialmente da persone
meno qualificate. La mossa sbagliata in psicoterapia, si dice possa «precipitare»
una psicosi o far retrocedere il paziente ad uno stato di regressione dal quale
potrebbe non riprendersi più; e ci sono esempi che lo confermano. Ora,
mentre è perfettamente chiaro che quest'idea ben si adatta alla nozione
tradizionale del mandato pericoloso, e mentre è chiaro che il possesso
di questo mandato conferma la propria definizione di sé come di un tecnico
che presta un servizio, è meno chiaro che un atto puramente verbale possa,
in realtà, avere questi effetti. Ad ogni modo, come ho già detto,
ogni internato dell'ospedale in terapia individuale è probabile sia sottoposto,
durante le altre ventitre ore del giorno, ad una serie di esperienze potenzialmente
traumatizzanti, relativamente controllate quanto a crudezza, che certamente
annullano l'effetto di qualsiasi approccio verbale, che vada in direzione giusta
o sbagliata. Inoltre, dato il livello delle conoscenze e delle competenze psichiatriche,
se un approccio verbale usato a sproposito può causare questo tipo di
danni, i pazienti sarebbero in serio pericolo durante la ventiquattresima ora.
Si possono segnalare ancora due imputazioni sulla natura del paziente, entrambe
funzionanti, ancora una volta, a sostegno del modello di servizio. Quando ad
un paziente si propone la dimissione ed egli la rifiuta, talvolta facendo qualche
azione calcolata che gli assicuri di poter restare, si dice comunemente che
questo prova quanto egli sia ancora ammalato; egli è, di fatto, troppo
ammalato per poter essere dimesso. In questo modo si fa un legame fra due diversi
aspetti della situazione: l'essere definito malato o sano, e l'essere dentro
o fuori dell'ospedale. Ci sono, naturalmente, buone giustificazioni al fatto
che il paziente non voglia andarsene, che non sono connesse al modello di servizio.
Per esempio, egli può avere già sofferto lo stigma di essere un
paziente mentale e, in questa condizione ridotta, si trova ad avere, fuori,
prospettive ancor minori di quante ne avesse prima di entrare; inoltre, al momento
in cui sarà pronto per essere dimesso, è probabile abbia imparato
il sistema dell'ospedale, e si sia costruito una posizione desiderabile nel
«sistema del reparto».
L'altra azione del paziente, razionalizzata secondo il modello medico, è
quella dell'improvvisa alterazione del suo comportamento. Dato che la condotta
abituale del paziente si suppone sia un riflesso profondo, o un segno dell'organizzazione
della sua personalità - il suo sistema psichico - ogni alterazione improvvisa,
in direzione «sana» o «malata», apertamente non provocata,
deve in qualche modo essere spiegata. Cambiamenti improvvisi in peggio sono
talvolta chiamati ricadute o regressioni. Cambiamenti improvvisi in meglio sono
talvolta chiamati remissioni spontanee. Attraverso il potere di queste definizioni,
lo staff può dichiarare che, sebbene non si sappia ciò che ha
causato il cambiamento, il cambiamento sarà trattato all'interno della
dimensione medica. Naturalmente, questa interpretazione della situazione preclude
di usare la dimensione sociale. In ciò che è chiamato un'improvvisa
regressione, la nuova condotta può comportare ne più ne meno malattia
o salute, di qualsiasi altro allineamento alla vita; e ciò che è
accettato come una remissione spontanea, può essere il risultato del
f atto che il paziente non era ammalato fin dall'inizio.
Voglio cioè dire che la natura del carattere del paziente è ridefinita
così che, di fatto se non nelle intenzioni, egli diventa il tipo di oggetto
sul quale può essere compiuto un servizio psichiatrico. Essere ridotto
ad un paziente, significa essere ridotti ad un oggetto di cui ci si può
servire, e l'ironia di tutto questo sta nel fatto che un tale piccolo servizio
sia accessibile solo una volta che questa oggettivazione (45) sia stata fatta.
La carenza di staff psichiatrico può allora essere vista non come legata
al numero delle .persone ammalate, ma al meccanismo istituzionale che definisce
quest'area come un'area di servizio.
Voglio ora, per ultimo, considerare le definizioni che lo staff mantiene nei
confronti della natura, non del paziente, ma dell'azione ospedaliera sul paziente.
Dato che lo staff possiede la voce dell'istituzione, è attraverso queste
definizioni che il meccanismo amministrativo e disciplinare dell'ospedale viene
presentato al paziente e al pubblico. In breve, si trova che la conduzione del
reparto e le dinamiche del sistema del reparto sono espressi nel linguaggio
del servizio medico psichiatrico.
La presenza del paziente nell'ospedale è presa come testimonianza del
fatto che egli è malato di mente, poiché l'ospedalizzazione di
queste persone è la ragione stessa per cui l'istituzione esiste. Una
risposta molto comune ad un paziente che dichiara di essere sano è: «Se
non fossi ammalato, non saresti in ospedale!» A parte i servizi terapeutici
somministrati dallo staff, si dice che l'ospedale provveda un senso di sicurezza
al paziente (talvolta si può ottenerlo solo sapendo che la porta è
chiusa) (46) e un sollievo dalle responsabilità giornaliere. Entrambi
questi provvedimenti sono detti terapeutici. (Siano terapeutici o no, è
difficile trovare un ambiente che presenti un più profondo senso di insicurezza;
e le responsabilità da cui i pazienti sono sollevati, sono rimosse ad
un prezzo troppo alto e definitivo).
Si possono ricordare altre traduzioni. L'irreggimentazione può essere
definita come uno schema di regolarità terapeutica, deputata a colmare
il senso di insicurezza; la mescolanza sociale forzata di una moltitudine di
compagni eterogenei e scontenti, può essere descritta come l'opportunità
di imparare che ci sono altri che stanno peggio. I dormitori sono chiamati reparti,
il che è confermato dalla presenza di qualche attrezzatura sanitaria,
in particolare i letti, acquistati dai fornitori dell'ospedale. La punizione
di essere mandati in un reparto peggiore, è descritta come il trasferimento
di un paziente, in un reparto la cui attrezzatura può risultargli più
adatta; e la cella di isolamento è descritta come un luogo dove il paziente
potrà sentirsi a proprio agio, con la sua impossibilità di dominare
gli impulsi agli acting-out (47). Rendere un reparto quieto, di notte, attraverso
la somministrazione forzata di farmaci, che permetta allo staff di diminuire
la guardia notturna, viene chiamato trattamento medico o sedativo. Donne da
molto tempo incapaci di prestare il minimo compito medico di routine come prelevare
il sangue, sono chiamate infermiere e indossano uniformi da infermiere; medici
con preparazione in medicina generale, sono chiamati psichiatri. Gli incarichi
di lavoro sono definiti come «terapia industriale», mezzo attraverso
il quale il paziente può esprimere la sua capacità risvegliata
di riassumere i suoi doveri civili. Il premio per il buon comportamento, che
consiste nell'aumento progressivo del diritto a partecipare ad incontri sociali,
può essere descritto come un controllo psichiatrico sul dosaggio e i
tempi dell'«esposizione» sociale. I pazienti alloggiati nel reparto
di primo accoglimento si dice facciano parte del dipartimento per «acuti»;
coloro che non si ristabiliscono dopo un ciclo iniziale di azione medica, sono
trasferiti in ciò che è chiamato il «servizio per cronici»
o, più recentemente, nei «reparti a trattamento continuo»;
degenti pronti per la dimissione, sono alloggiati in un «reparto per convalescenti».
Infine, la dimissione stessa, che nel volgere di un anno tende ad essere garantita
alla maggior parte dei pazienti di prima ammissione, in genere ai pazienti collaborativi
o a qualunque altro abbia parenti che facciano pressione per il suo rientro
in famiglia, è spesso presa come la dimostrazione che c'è stato
un «miglioramento» e questo miglioramento è tacitamente imputato
all'azione della istituzione. (Fra le motivazioni alla dimissione di un particolare
paziente, vi può essere la pressione della popolazione del reparto, una
remissione spontanea, o la conformità sociale, impostagli dal potere
disciplinare del sistema del reparto). Anche le frasi concise come «dimesso
come guarito» o «dimesso in prova» implicano che l'ospedale
ha una sua parte nella cura e nel miglioramento. (Contemporaneamente, la mancata
dimissione tende ad essere attribuita alla difficoltà di curare il disturbo
mentale, alla tenacia e alla profondità del tipo di malattia, confermando
così il modello medico, anche di fronte all'evidenza di non essere in
grado di fare niente per il paziente). In realtà, un'alta percentuale
di dimissioni potrebbe, proprio per gli stessi motivi, essere presa come la
dimostrazione del cattivo funzionamento dell'ospedale, poiché, dato che
è possibile ricavare un trattamento molto limitato, il miglioramento
del paziente avviene nonostante l'ospedalizzazione, e si presume sarebbe più
frequente in circostanze diverse da quelle di assoluta privazione, tipiche dell'istituzione.
Alcune delle traduzioni verbali, individuate negli ospedali psichiatrici, rappresentano
non tanto i termini medici per pratiche disciplinari, quanto un uso disciplinare
di pratiche mediche. Qui la storia degli ospedali psichiatrici contiene qualche
indicazione esemplare per i sociologi. Si dice che, in alcuni ospedali psichiatrici,
un modo di far fronte al problema delle pazienti che restavano incinte all'interno
dell'ospedale, fosse di sottoporle ad isterectomia. Meno comune, forse, era
la maniera di risolvere il caso di quei pazienti, talvolta chiamati «morditori»
che mordevano le persone intorno a loro: la totale estrazione dei denti. Il
primo di questi atti medici era talvolta definito «trattamento per promiscuità
sessuale», il secondo «trattamento per morsi». Un altro esempio
è la moda, ora sempre più in declino negli ospedali americani,
di sottoporre a lobotomia i pazienti incorreggibili e particolarmente fastidiosi
(48). L'uso dello elettroshock, su raccomandazione del sorvegliante, come mezzo
per costringere gli internati alla disciplina, e per calmare quelli che non
ascoltano minacce, offre un esempio, in qualche modo più moderato ma
più largamente diffuso, del medesimo processo (49). In tutti questi casi,
l'attenzione medica è presentata al paziente e ai suoi parenti come un
servizio individuale, ma ciò che viene servita qui è l'istituzione,
dato che l'azione specifica si inserisce in ciò che ridurrà i
problemi della conduzione amministrativa. In breve, sotto l'apparenza di un
modello di servizio medico, si può trovare talvolta la pratica di una
manutenzione medica.
9.
Conclusioni.
Citando alcune modalità con cui l'ospedalizzazione psichiatrica non
si adatta al modello di servizio medico, non ho ricordato le difficoltà
nell'applicarlo ai pazienti esterni, in pratica privata, sebbene queste naturalmente
esistano (per esempio: la lunghezza di tempo richiesto per il trattamento, con
conseguente aumento dei compensi; la scarsa probabilità di un trattamento
efficace; e la grandissima difficoltà di sapere a cosa attribuire il
cambiamento nelle condizioni del paziente).
Inoltre, nel mettere a fuoco le difficoltà dell'applicazione all'ospedale
psichiatrico del modello di servizio medico, non intendo dire che l'applicazione
del modello non sia risultata talvolta utile a pazienti istituzionalizzati.
La presenza del personale medico nei manicomi, senza dubbio è servita
a fermare, in qualche modo, la mano ai sorveglianti. Sembra vi siano pochi dubbi
che i medici vogliano lavorare in questi ambienti malsani e isolati, solo perché
la prospettiva medica offre loro un modo di interpretare le persone che escono
dalle norme sociali standardizzate, e quindi un modo di essere, in un certo
senso, ciechi ai gusti e alle ripugnanze comuni. L'attendibilità della
versione medica della situazione ha fornito, senza dubbio, ad alcuni pazienti
il diritto ad una considerazione del tipo "middle-class" all'interno
dell'ospedale; il moratorio, nell'area ospedaliera, dalla vita familiare è
stato senza dubbio di grande aiuto ad alcuni; la nozione medica generale della
«curabilità» del disturbo mentale, conseguente alla somministrazione
del trattamento, ha facilitato senza dubbio la reintegrazione nella comunità
esterna, per alcuni degenti e per coloro presso i quali hanno fatto ritorno;
e l'idea che uno sia stato sottoposto ad un trattamento che dura tutta la vita,
sprecando i suoi anni, può fornire ad alcuni un modo di ricavare un significato
accettabile del tempo passato in esilio in ospedale.
Nel citare le limitazioni del modello di servizio, non intendo sostenere di
essere in grado di suggerire alcuni sistemi migliori per la conduzione di persone,
chiamate pazienti mentali. Gli ospedali psichiatrici non esistono nella nostra
società perché direttori, psichiatri ed infermieri hanno bisogno
di lavoro; gli ospedali psichiatrici esistono perché c'è un mercato
per loro. Se tutti gli ospedali psichiatrici, di una data regione, fossero oggi
svuotati e chiusi, domani parenti, polizia, e giudici ne richiederebbero di
nuovi; e questi clienti reali dell'ospedale psichiatrico domanderebbero un'istituzione
che soddisfacesse i loro bisogni.
Lo stesso staff professionale psichiatrico non ha un ruolo facile. La laurea
dà ai medici uno dei diritti alla deferenza e al rispetto più
forti fra quelli accessibili nella nostra società, e una delle occupazioni
dei servizi tecnici più sicuri; tuttavia nell'ospedale psichiatrico il
loro ruolo è costantemente messo in discussione. Tutto ciò che
succede in ospedale, deve essere legittimato attraverso l'assimilazione e la
traduzione, per farlo aderire allo schema del servizio medico. Le azioni giornaliere
dello staff devono essere definite e presentate in termini di osservazioni,
diagnosi e trattamento. Per effettuare questa traduzione, la realtà deve
essere considerata capovolta, in qualche modo come lo è per i giudici,
gli istruttori e gli esponenti di altre istituzioni coercitive. Si deve scoprire
un crimine che si adatti alla punizione, e ricostruire la natura dell'internato
per adattarla al crimine.
Ma lo staff non è l'unico gruppo che trova difficoltà nell'applicazione
del modello di servizio; anche i pazienti hanno problemi, con l'attenzione accentrata
sulla relazione fra la posizione in cui si trovano e la loro realtà.
La vita del paziente è dura e povera. Ma questo non ha alcun interesse
sociologico per noi qui; ci sono - dopotutto - altre situazioni nella vita americana
che sono quasi altrettanto brutte ed alcune anche peggio. La nostra preoccupazione
qui è che il modello di servizio, usato negli ospedali psichiatrici,
comporta un restringimento ed una riduzione addizionale a queste privazioni.
In un ospedale generale, le proprie incapacità fisiche sono prese come
un segno che la cura, in qualsiasi modo sia spiacevole o richieda un isolamento,
è necessaria per il proprio bene e deve essere accettata. Negli ospedali
psichiatrici, il fatto di non essere un paziente facilmente maneggiabile - il
che significa per esempio mancare nel lavoro o nell'essere gentile con lo staff
- tende ad essere preso come la dimostrazione che la persona non è «pronta»
per la libertà, e che deve essere sottoposta ad un ulteriore trattamento
. Il problema non è che l'ospedale sia un luogo odioso per i pazienti,
ma che per il paziente esprimere odio nei confronti dell'ospedale è la
dimostrazione che la sua presenza lì è perfettamente giustificata,
e che non è ancora pronto per andarsene. Viene cioè perpetuata
una confusione sistematica fra l'obbedienza agli altri e il proprio adattamento
personale.
Inoltre, quando si indagano le particolarità dei modi in cui queste istituzioni
sono fornite di personale e condotte, e le credenze su cui si fondano, si trova
che, qualunque altra cosa facciano, uno dei loro effetti principali è
sostenere il concetto del "sé" dello staff professionale, lì
impiegato. Gli internati e i livelli meno qualificati dello staff sono coinvolti
in una vasta azione di sostegno - un tributo drammatizzato ed elaborato - che
ha l'effetto, se non lo scopo, di affermare che qui è in atto un servizio
di tipo medico e che lo staff psichiatrico lo fornisce (50). Qualcosa sulla
debolezza di questa affermazione è evidente nel lavoro richiesto per
sostenerlo. (Forse viene qui suggerita una generalizzazione sociologica di tipo
emotivo: quanto più i propri ideali divergono dai fatti, tanto più
sforzo bi
sogna esercitare e più aiuto si deve avere per sostenere la propria posizione).
I pazienti mentali possono trovarsi in un legame particolare. Per uscire dall'ospedale
o per facilitare la loro vita all'interno, essi devono mostrare di accettare
il luogo loro accordato, e il luogo accordato loro deve sostenere il ruolo professionale
dello staff. Questa schiavitù morale alienativa del "sé",
che forse aiuta a giustificare il fatto che alcuni pazienti diventano dei confusi
mentali, è ottenuta invocando la grande tradizione del rapporto di servizio
tecnico, specialmente nella sua varietà medica. I pazienti mentali possono
così trovarsi frantumati dal peso di un ideale di servizio, che facilita
la vita per il resto di noi.