L'avevano
chiamata Giulietta.
Ma a lei quel nome non piaceva molto; avrebbe certamente preferito
Rosa, come l'unica esponente del sesso femminile di cui si sarebbe
sentita onorata di portare il nome, se proprio volevano dargliene
uno.
Era il nome di una donna che sua nonna Adelina amava mettere
in tutte le storie della buonanotte.
Le aveva raccontato che questa donna, il cui cognome ricordava
quello di una città, chissà però quale,
era stata uccisa "lottando per la libertà"-
le diceva la nonna-.
Giulietta, alias Rosa, non si era mai interessata di politica.
Ma questo personaggio, vero o finto che fosse, aveva sempre
colorato le sue notti, ormai sempre più tristi, dopo
giornate passate a fare un lavoro che non aveva scelto, ma che
fu costretta ad accettare pur di vivere.
Lei era una delle tante schiave della tratta, caricate a forza
sulle navi di paesi ad alta emigrazione e destinate ai paesi
ad alta consumazione.
Certo l'Argentina non poteva più essere considerato un
paese del terzo mondo, ma quelle come lei avevano un buon mercato
in Europa, e come gli scafisti albanesi di cui aveva sentito
parlare ora che era in Italia, anche alcuni armatori argentini
facevano l'occhietto al mercato nero pur di arricchirsi.
Anche Rosa, l'eroina della nonna Adelina, si sentiva straniera
in uno stato straniero. Dalla Polonia emigrò in Germania,
che forse a quei tempi, erano gli anni della prima o della seconda
guerra mondiale- Giulietta non lo ricordava bene-, contava di
più dello staterello da cui tanti ancora se ne vanno.
Ma lì non le andò poi tanto bene...
"Fu uccisa perché i controrivoluzionari non gradivano
le sue gesta in seno al gruppo che aveva fondato e che si chiamava
come uno schiavo del tempo dei romani, Spartaco".
Questo Giulietta lo aveva imparato da una sua compagna, che
invece di politica se ne intendeva e che lei e le altre chiamavano
Anita, come la moglie di un altro uomo importante, Garibaldi.
Ma "Anita" non era d'accordo, non amava essere chiamata
così: diceva che Garibaldi non c'entrava nulla con i
comunisti. A Giulietta e alle altre, invece, piaceva "Anita"
e si divertivano da matte a vederla sbuffare quando la chiamavano
con quel nome.
Dunque
.
Anche questo Spartaco era uno in gamba. Era un gladiatore, non
per scelta, costretto a questo mestiere "dal primo grande
popolo imperialista" - almeno così le aveva raccontato
Anita.
Con altri schiavi quell'uomo buono aveva sconfitto ben due eserciti.
Ma il terzo era stato troppo e anche questa massa di poveretti
fu sterminata.
Giulietta
era ancora giovane, amava ancora la vita; ma aveva deciso che
doveva scappare da quella vita da schiava, costretta a lavorare
per soddisfare i raccapriccianti bisogni degli uomini.
Anche se la fuga le sarebbe probabilmente costata la vita, come
a Rosa e Spartaco.
Ma a cosa sarebbe valso vivere ancora in quel modo; si sentiva
sempre più un animale, nel senso più abbietto
che gli uomini sanno dare a questa parola.
Voleva scappare, non sapeva ancora dove.
Forse in Perù o in Bolivia nel paese della nonna, uno
di quei puebliti dove ancora la gente vive della propria terra,
del lavoro delle proprie mani, dove le galline becchettano sotto
i tavoli della cucina, i cani cacciano ancora per guadagnarsi
da mangiare, le vacche pascolano tranquille e muoiono sulle
tavole dei proprietari quando sono ormai troppo vecchie per
dare latte. Dove ci si sveglia con il sole da una parte e la
luna dall'altra; con oceani verdi al posto di prati e torrenti
dove lavarsi tutti, bestie e uomini.
Ma doveva decidersi, si faceva sempre più tardi, giorno
dopo giorno.
Giulietta era giovane, sì; aveva solo diciannove mesi,
ma le restava oramai solo un mese.
Venti mesi era, infatti, il limite che il governo italiano aveva
stabilito per macellare le mucche come lei, di cui si sospettava
la pazzia.
Sì perché così avevano chiamato quel morbo
che attaccava il midollo e poi il cervello e che si trasmetteva
agli uomini che si fossero cibati della carne di quelle vacche.
Era assurdo che di pazzia fossero accusate loro, povere mucche,
carne da macello e non gli uomini che le costringevano a vivere
rinchiuse in celle d'ingrasso, senza lo spazio per muoversi,
il tempo per bivaccare (termine che ormai gli uomini avrebbero
dovuto eliminare dal loro vocabolario), alimentate con una strana
poltiglia che, girava voce fra le vacche -ma non tutte ci credevano-,
fosse farina di cadaveri di altri animali.
Ma stiamo scherzando?
Le vacche sono sempre state erbivore, sono gli uomini ad essere
carnivori.
Giulietta aveva deciso, sarebbe scappata il mattino seguente.
Adesso voleva dormire un po' e non pensare al peggio.
E se proprio questo peggio sarebbe dovuto arrivare, sperava
almeno di finire macellata da qualche commerciante di contrabbando
che l'avrebbe venduta al mercato nero. Sì perché
gli umani amavano- pensava Giulietta- stabilire delle regole
ferree per poi sovvertirle; e così come vietavano delle
carni pazze, poi c'era sempre qualcuno che le vendeva sottobanco.
Qualcuno, così, l'avrebbe mangiata, sarebbe impazzito
e la vendetta della natura sull'uomo si sarebbe compiuta, almeno
un po' e si sarebbe finalmente svelata la falsità della
teoria umana secondo cui gli uomini, a differenza degli animali,
sarebbero dotati d'intelligenza.
Ma adesso era meglio dormire e sognare magari di arrivare in
India, dove le vacche sono sacre. E dove, quando si muore, in
realtà non si muore, ma si rinasce.
In quel caso, sarebbe stata Giulietta a scegliere il proprio
nome.
O forse si sarebbe chiamata semplicemente vacca, res nella lingua
della nonna, anche se le suonava strano pure quel nome.
Forse non avrebbe dovuto chiamarsi affatto; in fondo è
un vizio degli uomini voler a tutti i costi nominare le cose
.
by
Valerius
Per contattare l'autrice valecr@hotmail.com
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