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Cosa vogliamo? Tutto... ma innanzitutto SPAZIO! Spazio per vivere, comunicare e pensare. Spazio per giocare, studiare e costruire. Spazio per respirare, ballare e opporci. Spazio per parlare, sognare e muoverci. Spazio per informare, imparare e socializzare. Spazio per condividere, lottare e creare. Spazio per riappropriarci delle nostre vite. Dalla provincia vesuviana (Portici, S. Giorgio a Cremano, Ercolano, Torre del Greco) per aggregare gruppi, collettivi e singoli individui attorno ad un progetto di riconquista degli spazi.















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La casa e' di chi l'abita

La trasformazione delle politiche sulla casa è strettamente correlata ai processi di abbattimento dello stato sociale e di ristrutturazione del mercato del lavoro.
Nel quadro di un generale smantellamento di tutte le conquiste degli anni ’70 si inserisce perfettamente lo smantellamento dell’edilizia pubblica e del patrimonio pubblico, e la sua privatizzazione selvaggia.
A metà degli anni ’80 il processo di concentrazione di capitale internazionale ha trovato sempre più ampi spazi politici, legislativi e di pressione per il suo sviluppo e per accrescere il suo tasso di profitto.
Le sinistre istituzionali sono state il più valido supporto a questa drammatica svolta in tutta l’Europa, determinando lo smantellamento di ogni parvenza di “pubblico”.
In Italia il processo è stato particolarmente pesante: prima sono state consegnate al capitale tutte le aziende pubbliche (autostrada, grandi imprese manifatturiere…), poi è stata la volta delle banche statali, ed infine l’ondata di privatizzazioni investe da un lato i servizi e le infrastrutture (sanità, case popolari, trasporti, gas, luce, acqua…) e dall’altro i beni culturali, identità storica del paese (patrimonio artistico, musei, città d’arte).
Particolare attenzione e particolare zelo è stato riservato e si riserva ancora oggi alla privatizzazione delle case: tale politica è “fortemente voluta” (nel senso che è praticamente “imposta”) dal FMI, dal WTO e dalla CEE, su iniziativa delle multinazionali finanziarie.
La situazione abitativa in Italia e in Europa è, dunque, ancora in emergenza: tale forma di riappropriazione capitalistica ha dato il via libera, dunque, alla “cartolarizzazione” (privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico) attraverso lo strumento delle Società per Azioni, soggette alle fluttuazioni delle speculazioni internazionali finanziarie.
La nascita in varie regioni italiane di agenzie per la casa (nella forma di S.p.A., ovviamente) misura esattamente la gravità del problema: tali agenzie attingono alloggi provati e pubblici per destinarli per brevi periodi a soggetti con esigenze transitorie, favorendo e legittimando ancora di più la diffusione di contratti di lavoro interinale e a termine, e introducendo una logica di precarietà locativa che non tiene conto dell’esigenza di stabilità di cui ogni essere umano necessita per condurre dignitosamente la propria esistenza e le proprie relazioni sociali.
Tale analisi, tra l’altro, non tiene in conto della situazione in cui versano moltissimi precari, soprattutto nel sud dell’Italia, che si trovano ad avere a che fare con una gestione mafiosa dei fitti.
In definiva, la casa costituisce salario indiretto e la manovra speculativa che la investe, attraverso lo strumento delle S.p.A., altro non può essere che sottrazione di salario.
Infatti, poiché i cardini dell’attuale sistema di privatizzazione sono economicità (in termini di investimento) ed efficienza (in termini di rapporto qualità/prezzo), e considerando che tale processo comprende anche la trasformazione dei diritti connessi a quello alla casa (servizi sanitari e trasporti pubblici e gratuiti, ad esempio, costituiscono forme indiretto di reddito) in servizi affidati a privati, con conseguente ricerca incessante di profitto piuttosto che assicurazione del servizio, non fa che innalzare i livelli di sfruttamento e di precarizzazione diffusa.
Mentre si assiste alla sistematica espulsione delle fasce sociali non garantite dai centri storici e allo smantellamento dell’edilizia popolare pubblica, allo stesso tempo immigrati, disoccupati, precariato giovanile (studentesco e non), insomma le classi sociali più deboli si trovano a vivere in condizioni penose e con fitti (spesso al nero) onerosissimi.
Nel quadro generale del diritto primario alla casa, non per questo meno investito da tale processo, si pone il bisogno generale e generalizzato di spazi liberati di socialità, liberati, in definitiva, da qualunque vincolo sistemico.
In quest’ottica, è necessario rilanciare la lotta, occupare stabili sfitti sia come riappropriazione indiretta di reddito, sia come riappropriazione di luoghi in cui esprimere se stessi fuori dal congegno perverso del sistema che determina tutti i tempi di vita, sottraendo dal tempo libero (e non ancora liberato) sempre più larghe fette di tempo di lavoro, con cui pagare quei servizi che, in realtà, apparterrebbero alla sfera generalissima del diritto a vivere.
Alla precarizzazione in generale della vita contribuisce in modo grave anche la ristrutturazione dei piani urbanistici, con l’introduzione degli schemi a cerchi concentrici, una dinamica che tende ad esasperare sempre più il gap esistente tra centro e periferia. Mentre nelle zone più periferiche, la mancanza di spazi sociali comporta una larga ghettizzazione giovanile con tutto ciò che ne consegue, nei punti non totalmente periferici, si verifica una vera e propria fuga verso un centro più e meno accessibile (si veda ad esempio la situazione della zona vesuviana il cui centro “più o meno accessibile” è Napoli).
Ciò è dovuto anche alla mancanza di alternativa, alla mancanza si spazi liberati di socialità, alla mancanza in definitiva di luoghi di aggregazione e confronto.
Occupazione, dunque, anche come riappropriazione di luoghi realmente liberati dal modello di socialità imposto, autogestiti e autofinanziati, attraverso la sperimentazione di percorsi sociali e politici alternativi.
La riappropriazione di spazi liberati di socialità si pone anche in una diversa ottica di intendere i rapporti sociali: il soggetto precario può nascere solo e soltanto se legato ad un concetto patriarcale di famiglia, nel senso che i giovani (soggetto precario per eccellenza, ovvero chi non ha conosciuto neppure i brandelli dello stato sociale), senza un lavoro stabile e senza nessuna forma di reddito indiretto (accesso libero alla casa, ai trasporti, alle cure, all’acqua, all’elettricità, ai saperi) si vedranno costretti a restare in casa con la famiglia, gravando sul bilancio familiare da un lato e, dall’altro, reprimendo i propri naturali istinti di indipendenza: in questo senso l’occupazione è la forma diretta di soddisfazione del bisogno di una casa in cui determinare i propri tempi e modi (ad esempio comportamenti e modi di intendere socialità e ruoli familiari) di vita.






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