La casa e' di chi l'abita
La trasformazione delle politiche sulla casa è strettamente
correlata ai processi di abbattimento dello stato sociale e di
ristrutturazione del mercato del lavoro.
Nel quadro di un generale smantellamento di tutte le conquiste degli
anni ’70 si inserisce perfettamente lo smantellamento dell’edilizia
pubblica e del patrimonio pubblico, e la sua privatizzazione selvaggia.
A metà degli anni ’80 il processo di concentrazione di capitale
internazionale ha trovato sempre più ampi spazi politici,
legislativi e di pressione per il suo sviluppo e per accrescere il suo
tasso di profitto.
Le sinistre istituzionali sono state il più valido supporto a
questa drammatica svolta in tutta l’Europa, determinando lo
smantellamento di ogni parvenza di “pubblico”.
In Italia il processo è stato particolarmente pesante: prima
sono state consegnate al capitale tutte le aziende pubbliche
(autostrada, grandi imprese manifatturiere…), poi è stata la
volta delle banche statali, ed infine l’ondata di privatizzazioni
investe da un lato i servizi e le infrastrutture (sanità, case
popolari, trasporti, gas, luce, acqua…) e dall’altro i beni culturali,
identità storica del paese (patrimonio artistico, musei,
città d’arte).
Particolare attenzione e particolare zelo è stato riservato e si
riserva ancora oggi alla privatizzazione delle case: tale politica
è “fortemente voluta” (nel senso che è praticamente
“imposta”) dal FMI, dal WTO e dalla CEE, su iniziativa delle
multinazionali finanziarie.
La situazione abitativa in Italia e in Europa è, dunque, ancora
in emergenza: tale forma di riappropriazione capitalistica ha dato il
via libera, dunque, alla “cartolarizzazione” (privatizzazione del
patrimonio immobiliare pubblico) attraverso lo strumento delle
Società per Azioni, soggette alle fluttuazioni delle
speculazioni internazionali finanziarie.
La nascita in varie regioni italiane di agenzie per la casa (nella
forma di S.p.A., ovviamente) misura esattamente la gravità del
problema: tali agenzie attingono alloggi provati e pubblici per
destinarli per brevi periodi a soggetti con esigenze transitorie,
favorendo e legittimando ancora di più la diffusione di
contratti di lavoro interinale e a termine, e introducendo una logica
di precarietà locativa che non tiene conto dell’esigenza di
stabilità di cui ogni essere umano necessita per condurre
dignitosamente la propria esistenza e le proprie relazioni sociali.
Tale analisi, tra l’altro, non tiene in conto della situazione in cui
versano moltissimi precari, soprattutto nel sud dell’Italia, che si
trovano ad avere a che fare con una gestione mafiosa dei fitti.
In definiva, la casa costituisce salario indiretto e la manovra
speculativa che la investe, attraverso lo strumento delle S.p.A., altro
non può essere che sottrazione di salario.
Infatti, poiché i cardini dell’attuale sistema di
privatizzazione sono economicità (in termini di investimento) ed
efficienza (in termini di rapporto qualità/prezzo), e
considerando che tale processo comprende anche la trasformazione dei
diritti connessi a quello alla casa (servizi sanitari e trasporti
pubblici e gratuiti, ad esempio, costituiscono forme indiretto di
reddito) in servizi affidati a privati, con conseguente ricerca
incessante di profitto piuttosto che assicurazione del servizio, non fa
che innalzare i livelli di sfruttamento e di precarizzazione diffusa.
Mentre si assiste alla sistematica espulsione delle fasce sociali non
garantite dai centri storici e allo smantellamento dell’edilizia
popolare pubblica, allo stesso tempo immigrati, disoccupati, precariato
giovanile (studentesco e non), insomma le classi sociali più
deboli si trovano a vivere in condizioni penose e con fitti (spesso al
nero) onerosissimi.
Nel quadro generale del diritto primario alla casa, non per questo meno
investito da tale processo, si pone il bisogno generale e generalizzato
di spazi liberati di socialità, liberati, in definitiva, da
qualunque vincolo sistemico.
In quest’ottica, è necessario rilanciare la lotta, occupare
stabili sfitti sia come riappropriazione indiretta di reddito, sia come
riappropriazione di luoghi in cui esprimere se stessi fuori dal
congegno perverso del sistema che determina tutti i tempi di vita,
sottraendo dal tempo libero (e non ancora liberato) sempre più
larghe fette di tempo di lavoro, con cui pagare quei servizi che, in
realtà, apparterrebbero alla sfera generalissima del diritto a
vivere.
Alla precarizzazione in generale della vita contribuisce in modo grave
anche la ristrutturazione dei piani urbanistici, con l’introduzione
degli schemi a cerchi concentrici, una dinamica che tende ad esasperare
sempre più il gap esistente tra centro e periferia. Mentre nelle
zone più periferiche, la mancanza di spazi sociali comporta una
larga ghettizzazione giovanile con tutto ciò che ne consegue,
nei punti non totalmente periferici, si verifica una vera e propria
fuga verso un centro più e meno accessibile (si veda ad esempio
la situazione della zona vesuviana il cui centro “più o meno
accessibile” è Napoli).
Ciò è dovuto anche alla mancanza di alternativa, alla
mancanza si spazi liberati di socialità, alla mancanza in
definitiva di luoghi di aggregazione e confronto.
Occupazione, dunque, anche come riappropriazione di luoghi realmente
liberati dal modello di socialità imposto, autogestiti e
autofinanziati, attraverso la sperimentazione di percorsi sociali e
politici alternativi.
La riappropriazione di spazi liberati di socialità si pone anche
in una diversa ottica di intendere i rapporti sociali: il soggetto
precario può nascere solo e soltanto se legato ad un concetto
patriarcale di famiglia, nel senso che i giovani (soggetto precario per
eccellenza, ovvero chi non ha conosciuto neppure i brandelli dello
stato sociale), senza un lavoro stabile e senza nessuna forma di
reddito indiretto (accesso libero alla casa, ai trasporti, alle cure,
all’acqua, all’elettricità, ai saperi) si vedranno costretti a
restare in casa con la famiglia, gravando sul bilancio familiare da un
lato e, dall’altro, reprimendo i propri naturali istinti di
indipendenza: in questo senso l’occupazione è la forma diretta
di soddisfazione del bisogno di una casa in cui determinare i propri
tempi e modi (ad esempio comportamenti e modi di intendere
socialità e ruoli familiari) di vita. |