Tra conflittualita' e richiami al sistema
Lo sguardo rivolto ai momenti storici in cui sono state ottenute
importanti conquiste sociali, economiche e sindacali (in piena era
democristiana) e all’attuale momento politico/sindacale deve indurre
una riflessione all’ area del sindacalismo e del movimento antagonista
(in tutte le sue componenti e diversità politiche). Lo sciopero
generale del 18 ottobre 2002 ha spaccato ulteriormente una ipocrita e
impossibile unita’ sindacale con organizzazioni da sempre
filogovernative quali la Cisl e la Uil. Tale sciopero ha segnato una
linea di demarcazione della politica della Cgil rispetto agli ultimi
dieci anni di asservimento concertativo in nome dell’ulivo e del super
stato Europa. La discussione sulla buona fede della Cgil non puo’ dare
significativi sviluppi, in quanto saranno i fatti, i comportamenti
reali futuri di tale sindacato a determinare cosa in questi mesi e’
avvenuto, cioè se ci siamo trovati di fronte ad un ripensamento
verso una politica più sociale, o ad un tentativo di alzare il
proprio prezzo in attesa degli sviluppi legislativi inerenti le
pensioni, il tfr, i fondi pensione obbligatori privati o ad un azione
politica volta a preparare la scesa in campo di Cofferati nella
prospettiva di una riorganizzazione della classe dirigente dell’ulivo.
Solo in quel momento sara’ possibile capire da chi potranno essere
difesi gli interessi della classe lavoratrice dipendente, dei precari
stanziali o migranti che siano, dei disoccupati, degli studenti, dei
pensionati. Compito dell’antagonismo sociale e sindacale e’ quello di
lavorare in stretta sintonia con la base degli iscritti al maggior
sindacato confederale al fine di rendere impossibile che si verifichino
le derive liberiste del passato, rendendo massimalista, non
concertativa e conflittuale la massa dei lavoratori che in questi mesi
di lotta ha ripreso un percorso rivendicativo che ormai appariva
dimenticato. Le rivendicazioni inerenti la generalizzazione dell’art 18
a tutti i lavoratori (al di la’ della soglia minima dei 15 dipendenti),
il ripristino della scala mobile al fine della conservazione di un vero
potere di acquisto rispetto all’inflazione reale, il rifiuto
dell’obbligatorieta’ dell’esproprio padronale del tfr in direzione di
fondi privati, una riduzione generalizzata dell’orario lavorativo a
parita’ di salario, la cancellazione di contratti palesemente
antisociali quali quello interinale e quelli a tempo determinato,
l’introduzione di un reddito di cittadinanza che non sia elemosina,
l’introduzione di reali forme di democrazia sindacali (contratti
collettivi obbligatoriamente sottoposti a referendum vincolanti fra
lavoratori; abolizione della quota del 33% riservata ai confederali
nell’ambito dell’elezione delle RSU; diritto di partecipazione reale
assicurato ai sindacati di base), dovrebbero essere costantemente poste
all’attenzione dei lavoratori, affinche’ costituiscano una forza di
pressione che non consenta alla FIOM e alla CGIL di tornare indietro
sulla via di un collateralismo che ha portato indietro di anni la
dignità e le tutele dei lavoratori. Tale opera di
massimalizzazione della lotta deve essere portata avanti non solo
tramite cortei, ma mediante assemblee a partecipazione plurale
(lavoratori, disoccupati, migranti, studenti, pensionati) e con la
costituzione di reti di contatto permanente con la base dei lavoratori
nelle fabbriche. Partire dalle fabbriche però non significa
dimenticare quella che è l’attuale frammentazione del
proletariato, diviso nelle più diverse forme di sfruttamento.
Quindi necessariamente allargare il fronte della lotta sociale dove
oggi è assente o poco influente a causa della
ricattabilità in cui versano milioni di lavoratori incastrati
economicamente in contratti interinali, a tempo determinato e in
contratti di collaborazione continuativa. Fondamentale per il successo
della lotta è respingere l’assalto che verrà fatto da
parte delle forze capitalistiche di riportare la cgil al tavolo della
trattativa(o meglio della resa). Se una parte dei DS ha assunto
posizioni circa l’unità confederale sindacale non becere (rifare
l’unità sindacale ma sulla base di posizioni di lotta), la
maggioranza DS (formata anche di gente in odor di CISL e UIL) e il
resto dell’ulivo spingono per una rinnovata unità sindacale ma
schiacciata sulle posizioni concertative e filogovernative di CISL e
UIL, mettendo di fatto una firma sul PATTO PER L’ITALIA. E’ in nome di
un sindacalismo conflittuale che si deve rifiutare la trasformazione
della funzione storica del sindacato da organismo di lotta a un mero
ente bilaterale di servizi, non conflittuale, concertativo,
corporativo, gestore di soldi altrui (tfr e fondi pensione obbligatori).
La legge schiavista…
La riduzione in schiavitù dei migranti si è concretizzata
tramite la peggior legge del governo Berlusconi:la legge Bossi-Fini .
Tale abberrazione normativa si concretizza nel suo nucleo centrale
nell’obbligatorieta’ per il migrante dello sfruttamento lavorativo,
pena l’epulsione/esclusione dal civilizzato occidente. Poco importa se
ci si riferisce a esseri umani che hanno intessuto relazioni, fatto
amicizie,pagato contributi; il significato non celato è lavora
per noi, alle nostre regole, non alzare la testa, altrimenti ti
licenziamo e ti espelliamo in quanto schiavo riluttante… Tale bestemmia
sociale diverrà col tempo oltretutto un elemento contrattuale
usato per ricattare anche i lavoratori stanziali non accettanti
imposizioni padronali, ricattabili con l’arma del possibile utilizzo da
parte dell’ azienda dello schiavo di turno. Le lotta per i fratelli
migranti deve far parte di quel processo di innalzamento delle
rivendicazioni, non più difensiviste e minimaliste, ma
rivendicative di vita e lavoro degni come non lo sono mai stati.
FIAT:
La natura del capitalismo nostrano ha portato ad un dramma annunciato e
intuibile da una semplice osservazione degli ultimi anni del mondo
Fiat:il perseguimento di spropositati profitti familiari, la totale non
presa in considerazione di programmi di investimento in ricerca
tecnologica,il continuo outsourcing interno (devoluzione di servizi
all’interno delle fabbriche italiane ad imprese esterne) ed esterno
(spostamento di intere produzioni al di là dei confini nazionali
al fine di una costante riduzione del costo lavoro), l’assenza di
progetti futuri sull’auto non inquinante, l’impossessamento di fondi
pubblici (rottamazione) ripagati con cassa integrazione invece che con
aumento dei livelli occupazionali, l’opera di alleggerimento interno
(licenziamenti) al fine di costituire un più appetibile boccone
per il gigante americano (General Motors) dove potevano portare se non
alla dismissione di interi stabilimenti (Arese, Termini Imerese)?
L’unica via di uscita da questo dramma industriale ,economico e sociale
è la nazionalizzazione di un impresa che per i fondi pubblici
che ha ricevuto già dovrebbe essere tale. L’investimento
pubblico in tal senso non è neanche osteggiato dal diritto
comunitario, e l’esperienza della Wolkswagen e della Renault dimostrano
la validità dell’ impresa pubblica rispetto alla fameliche fauci
del padronato privato.Ad osteggiare questo processo di
nazionalizzazione non potevano che esserci il ghota del
capitalismo:istituti bancari creditori, la General Motor e la stessa
Fiat, il governo privo di fondi e fautore della privatizzazione del
tutto conoscibile, il grande traghettatore in Europa dell’Italia
(l’ulivo) e la Cisl, terrorizzata dall’assenza di fondi attuativi lo
scellerato patto: l’ulivo. Tutto questo a rimarcare l’ampiezza dello
schieramento avversario e le ragioni della necessaria elaborazione di
una nuova coalizione politica anticapitalista, conflittuale,
organizzata dal basso, priva di gerarchie partitiche destinate a
svilire la lotta in nome di interessi personali. Ed e’ dalla fase
embrionale e movimentistica che bisogna costruire in tale direzione, al
fine di evitare la creazione di sovrastrutture imbriglianti di cui
già se ne intravedono le ombre. |