Se
pure fosse vero (e lo è nella misura in cui una resistenza
prevede l’utilizzo di oggetti atti ad offendere) che a Genova e Napoli
tutti hanno provato a difendersi dalle forze dell’ordine, e che per
farlo abbiano lanciato sassi, bastoni, eretto barricate e quant’altro
potesse servire a tenere lontano chi davvero era in piazza per
picchiare (ovvero le forze dell’ordine), è altrettanto vera ed
evidente la gravità del tipo di accuse che pendono sul movimento
tutto.
Lo schema oggi sotto gli occhi di tutti è chiaro e, non per
questo, meno inquietante: il movimento oggi è all’apice della
sua grandezza, quanto meno per il milione di persone scese in piazza a
Firenze non su una chiamata dei sindacati confederali.
C’è bisogno di alzare la tensione, c’è bisogno di accuse gravissime, c’è bisogno di repressione.
Perché, anche se, come qualcuno giustamente ipotizza, questa
manovra può sembrare avventata e fuori dalla logica, senza
apparenti vantaggi per il governo, almeno un obiettivo lo ha raggiunto.
Basta leggere il manifesto per accorgersi che le lotte dei lavoratori
della Fiat sono relegate in quinta pagina, per dare largo (e legittimo)
spazio alla repressione subita dai 42 compagni colpiti da provvedimenti.
La forza del movimento, oggi, è dunque quella di non cadere in
questa trappola “giornalistica”, è quella di lasciare l’evento
ai giornali, di riappropriarci della nostra libertà di
associazione, sia essa pure sovversiva [art.270 c.p.], perché,
è vero, sovvertire è rivoluzionare, cambiare, abbattere
un ordine economico [art.270 c.p.], turbare l’esercizio del governo
[art.270 c.p.], infrangere le leggi di un ordine che non riconosciamo
[ex art.415 c.p.], effettuare propaganda sovversiva [art.272 c.p.] (a
noi piace chiamarla controinformazione), occupare edifici [art.633
c.p.] per riappropriarci di spazi liberati di socialità e del
diritto alla casa, resistere a pubblici ufficiali [art.337 c.p.] che
usano violenza contro chi decide di esprimersi contro un ordine
economico e sociale allo stesso tempo madre e figlio di sfruttamento e
povertà.
La forza del movimento e, allo stesso tempo, l’atto di
solidarietà più grande che possiamo dare a chi ha subito
in prima persona questa repressione, la risposta più incisiva a
quest’attacco nonché l’atto più sincero di coscienza, non
può che essere il rilancio e la costruzione delle lotte.
A chi vuole farci abbassare la testa, risponderemo con le lotte sui
nostri bisogni, sui nostri diritti, sulla nostra vita quotidianamente
repressa.
Fuori i compagn* dalle galere.
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