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La guerra delle immagini

Come se non bastasse quello in tuta mimetica, é sceso in campo un altro esercito armato fino ai denti, ma qui non si tratta degli eroici soldatini in divisa tipo Rambo, ma di truppe che nascondono la divisa sotto le giacche e le camice, quelli che non la tolgono nemmeno quando sono in libera uscita perché non sono ormai piu' in grado di distinguerla dalla loro pelle: sono giornalisti, cronisti, opinionisti, commentatori, critici e quanti altri hanno deciso di stare dalla parte di chi detiene il potere e servirlo; questi soldati sono muniti di armi potenti e sofisticate che adoperano con esperienza grazie all’uso quotidiano che ne fanno e il burattinaio che hanno deciso di servire  fornisce loro tutte le munizioni che desiderano.

e' dall’11 settembre che siamo disposti in fila, spalle al muro di fronte al plotone dell’informazione, sottoposti a continue raffiche di bugie, condannati ad assorbire dosi massicce di “ipocrisia mediatica” mentre pranziamo, riposiamo, studiamo, cachiamo o facciamo l’amore. Non che di cio' qualcuno provi stupore: e' proprio dei mass-media e della categoria pseudo-intellettuale in genere sostenere in blocco i poteri costituiti nei momenti di crisi e adoperarsi nel migliore dei modi possibile per arruolare gli individui sotto un’unica bandiera, ma la possibilita' di usufruire di strumenti sempre piu' sofisticati, rende l’operazione sempre piu' capillare ed efficiente, a dimostrazione del fatto che non sempre l’evoluzione della tecnologia e' accompagnata a quella dell’essere umano. Gli aerei che si schiantano contro il World Trade Center, le rovine del pentagono, donne e uomini che singhiozzano stringendo tra le mani le foto dei loro parenti scomparsi, le ricerche dei sopravvissuti, le bandierine a stelle e strisce che sventolano in ogni dove, gli occhi lucidi e azzurri di un bambino bianco-americano che chiedono di assicurargli un futuro libero dalla barbarie del terrorismo, il viso scuro del demonio Osama mentre, accovacciato, prende la mira prima di premere il grilletto del mitra e quello chiaro dello sceriffo George che promette che giustizia sara' fatta e che il bandito sara' catturato dead or alive, costituiscono solo parte della mole d’immagini destinata a rappresentare questa guerra e a fornire l’attenuante a qualsiasi azione presente e futura. Le trasmissioni di intrattenimento serale e i talk show fanno a gara a chi rappresentera' piu' crudeli gli avversari dell’ America e a quanto pare di tutto il mondo libero e democratico; i presentatori televisivi, che si rivelano d’un tratto esperti di questioni militari e diplomatiche, mostrano al pubblico le immagini tenute nel cassetto dagli Stati Uniti di atrocita' di ogni sorta, di individui celati dietro lunghe barbe nere, di Buttiglioni versione pashtun, di una cultura barbara e crudele: i terribili Talebani sono cosi' barbari solo adesso e non anche quando erano foraggiati dal governo degli Stati Uniti per combattere il vecchio demonio dell’Unione Sovietica negli anni ‘80; probabilmente tra qualche tempo balzeranno fuori anche quelle di quell’ accozzaglia di signori della guerra quale l’Alleanza del nord - appoggiata oggi da America e Russia - che ha prodotto terrore e distruzione tali che la maggior parte del popolo afghano ha accolto a suo tempo i Talebani a braccia aperte e che tra l’altro e' coinvolta nel traffico della droga diretto dal Tagikistan in Europa e negli USA.

Comunque una delle immagini piu' imponentemente menzognere che tutti i mezzi di informazione hanno contribuito e stanno contribuendo a costruire e' quella del fronte contro il terrorismo, questa “grande alleanza mondiale” formata da America, Europa, Russia, Cina e i regimi arabi cosiddetti “moderati” che condurra' il mondo alla vittoria contro il terrorismo. Le immagini che in questa impresa si tengono ben celate sono quelle che riguardano gli interessi, tutt’altro che umanitari, che i paesi che compongono l’ alleanza difendono e dei vantaggi che ottengono e otterrano da questa dimostrazione di fedelta' agli Stati Uniti; la Cina, che ad oggi e' forse l’unico paese a poter prendere decisioni quasi indipendentemente da Washington, ha scambiato Tibet e le rivendicazioni autonomistiche degli Uiguri dello Xinjiang in cambio di una dichiarazione di solidarieta', ma comunque sa di essere il numero uno della lista dei futuri nemici di Washington; e stesso discorso vale per la Russia che con l’immediata adesione alla guerra al terrorismo, ha ricavato il silenzio almeno temporaneo dell’America e dell’Occidente sulla Cecenia e alla quale non e' certamente sfuggito che Washington ha approfittato della crisi per insediarsi stabilmente, con la propria presenza militare, sia in Turkmenistan che in Uzbekistan e che sa che dietro le manovre del Pakistan c’erano le compagnie petrolifere statunitensi e arabo-saudite (Unocal Corp e Delta Oil) spalleggiate attivamente dal Dipartimento di Stato, il cui scopo era quello di tagliare fuori la Russia dal controllo e dallo sfruttamento del passaggio di petrolio del Mar Caspio. Per quanto riguarda la fantomatica “alleanza del nord”, i riflettori su Kabul si vanno man mano spegnendo e delle eventuali terribili e feroci barbarie dell’alleanza forse se ne riparlera' quando gli interessi internazionali che premono sulla capitale afghana lo renderanno conveniente.

L’informazione in Europa si e' soffermata in maniera abbastanza rilevante sulle “cause profonde” dei fatti dell’11 settembre come l’ odio per i valori e il progresso occidentale, evitando cosi' di fornire troppe notizie sulle origini della rete di Bin Laden e sulle pratiche che producono rabbia, paura e disperazione in tutta la regione, che diventa cosi' un serbatoio dal quale le cellule terroristiche radicali islamiche possono attingere; l’ informazione e' riuscita cosi' ad evitare sia le imbarazzanti spiegazioni sugli incontri sulla via del petrolio delle famiglie Bush e Bin Laden, sulla compagnia petrolifera Arbusto Energy (Bush Exploration Oil e poi Harken Energy) e sulle ombre che calano sulla morte nel 1988, in un incidente aereo, di Salem Bin Laden, compagno d’avventura di George W. Bush , fratellastro di Osama e proprietario della Bin Laden Aviation sia su tutto cio' che sia in qualche modo rilevante per individuare le ragioni che hanno portato al disastro.

Comunque la piu' ipocrita delle immagini che abbiamo visto produrre e' quella che non ha risparmiato di mettere a profitto le vittime del disastro delle torri gemelle, dietro la cui innocenza si nascondono i vertici dell’ amministrazione americana per persuaderci della legittimita' di qualsiasi azione militare, anche la piu' cieca e cruenta. Senza dover ricorrere a considerazioni che sicuramente sarebbero tacciate di anti-americanismo, come ci ricorda Naom Chomsky nel suo libro “11 settembre”:  gli Usa sono l’ unica nazione ad esser stata condannata (nel 1986) dalla corte internazionale per “uso illegale della forza” (terrorismo internazionale) contro il Nicaragua e ad aver poi posto il veto ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza che chiedeva a tutti gli stati di rispettare il diritto internazionale. Uno dei tanti atti terrorismo di stato senza virgolette di cui sono responsabili gli USA risale all’agosto del 1998, quando l’ amministrazione Clinton ha procurato la distruzione dell’ impianto farmaceutico di Al Shifa in Sudan, l’unico a produrre farmaci antitubercolari per piu' di centomila pazienti, al costo di circa una sterlina al mese, l’unico a produrre medicinali veterinari in un paese enorme ed essenzialmente ad economia pastorale ed inoltre specializzata in farmaci per l’eliminazione dei parassiti trasmissibili dal bestiame agli umani, una delle cause primarie di mortalita' infantile in Sudan… Le sanzioni contro il Sudan rendono impossibile tutt’oggi l’importazione di una quantita' di medicinali sufficiente a colmare il vuoto lasciato dalla distruzione dello stabilimento che produceva il 90% dei prodotti farmaceutici principali del Sudan e  il 50% di quelli di tutto il Sudan. I danni procurati sono incalcolabili. La lista dei crimini perpetrati dagli Stati Uniti e' molto lunga, il disastro di Al Shifa dovrebbe servire per lo meno a ridimensionare l’immagine del disastro dell’11 settembre a disastro piu' seguito dai media piuttosto che piu' tremendo per l’ umanita'. La gravita' in termini di vite umane di eventi tragici come questi impone in ogni caso il rispetto da parte di tutti noi, ma e' importante riconoscere che se cio' che e' accaduto e sta accadendo dopo l’11 settembre e' giustificato dal numero delle vittime del disastro, allora, data la mole enorme di vittime e disastri di cui si sono macchiati e si macchiano, gli USA dovrebbero essere ridotti ad un cumulo di macerie. Ancora un’immagine falsa che penso valga la pena  di riportare e' quella che ha concluso almeno logicamente ogni dibattito sull’intervento militare, qualunque fossero le conclusioni, e cioe' del “There Is No Alternative” dietro al quale si sono trincerati anche i nostri parlamentari, anche molti di centro pseudo-sinistra. In effetti disponendo di strumenti di distruzione cosi' potenti tanto vale usarli, ma in altri casi, altri paesi, come ad esempio il Nicaragua, che negli anni ottanta era sottoposto ad un violento attacco militare, accompagnato da una feroce guerra economica da parte degli Stati Uniti, non hanno risposto bombardando e radendo al suolo Washington; nel caso del Nicaragua il paese si rivolse alla Corte Internazionale che si espresse a suo favore, ordinando agli USA di fermarsi e di pagare cospicue riparazioni, gli Stati Uniti respinsero la sentenza della corte rispondendo con l’immediata intensificazione degli attacchi e quando il Nicaragua si appello' al Consiglio di Sicurezza che chiese agli “stati” di obbedire al diritto internazionale, l’America pose il veto. Se il Nicaragua fosse stato abbastanza potente avrebbe potuto istituire un altro tribunale con autorita' su questi crimini, cosa che potrebbe fare oggi l’America se fosse veramente solo il terrorismo a preoccuparla; in effetti un tribunale che difendesse gli interessi americani sulle risorse naturali nella regione risulterebbe di difficile  istituzione. L‘ipocrisia che il piu' delle volte viene fatta passare in merito e' quello di costringere alla scelta tra un’America straziata per le vittime dell’11 settembre che reagisce al disastro, ed un'altra che invece si muoverebbe per difendere i propri interessi [che poi e' il leitmotiv di tutta la campagna di arruolamento delle coscienze e cioe' “chi non e' con noi (chi non la pensa come noi) e' contro di noi”]. Come fa notare Michele Gambino, giornalista di Avvenimenti, sarebbe politicamente poco corretto ipotizzare che i vertici dell’amministrazione americana abbiano ragionato, dopo la tragedia, con la bandiera a stelle e strisce in mano e il petrolio in testa, ma il retropensiero e' autorizzato dalle biografie di coloro che siedono in torno al tavolo ovale. A decidere di attaccare l’ Afghanistan, minacciare l’ Iraq, rinegoziare i rapporti con l’ Iran- tutte mosse con effetti nella partita del petrolio- sono uomini e donne che dal petrolio vengono: George W. Bush ha fatto il petroliere fin dal 1978. Il suo vice Dick Cheney e' stato amministratore della Halliburton, societa' di ingegneria e costruzioni petrolifere. Condoleeza Rice, consigliera per la sicurezza, e' azionista della Chevron; Donald Evans ministro del commercio, e' stato per meta' della sua vita amministratore di una societa' petrolifera. Gale Norton, ministro dell’ interno, era l’ avvocato della Delta Petroleum, coinvolta nel progetto dell’ oleodotto afgano, e la sua campagna elettorale e' stata finanziata dalla Bp-Amoco, la societa' che costruisce le vie del petrolio americane. Insomma senza nulla togliere al dolore per le vittime, la “guerra al terrorismo” rappresenta per gli Stati Uniti un’opportunita' nella sfida all’accaparramento delle future risorse energetiche.

Bibliografia :
Naom Chomsky, 2001 - 11 settembre: Le ragioni di chi?  Milano Marco Tropea Editore
Giulietto Chiesa, 2002 - I molti padri del terrorismo: la chiave di fondo della falsificazione fatta dai media in Avvenimenti-primo piano 
Michele Gambino, 2002 - La nuova Crociata per il petrolio: in gioco il controllo delle fonti energetiche dopo l’ 11 settembre in Avvenimenti-primo piano






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