Guerre di petrolio, guerre imperialiste
L’attuale situazione geopolitica vede contrapposti più assetti
di potere, ognuno dei quali portatore di vitali interessi economici e
politici. Un quadro esemplificativo:
* Stati Uniti e Gran Bretagna appoggiati dagli
storici sudditi spagnoli e italiani e dai neovassalli paesi dell’Est
(dell’ex cortina di ferro).
* Francia , Russia, Cina : stati con adeguati
eserciti e diritto di veto all’interno del consiglio di sicurezza
dell’ONU.
* Germania, superpotenza economica a vocazione pacifista per ragioni strategiche ed elettorali.
* Gerarchie sovranazionali (un po’ massoniche) dell’Unione Europea e della Nato.
* Lega Araba.
* Cosi detto Asse del Male: Nord Corea, Iran, Siria, Libia.
* Resistenza Kurda e Palestinese.
* Last but not the least Israele.
Dal 12 settembre 2001 , l’unica superpotenza sopravvissuta alla
cinquantennale guerra fredda, gli Stati Uniti, hanno pianificato una
strategia di dominio globale che ha fra i suoi punti cruciali il
ridisegno dell’ intero Medio Oriente, nei suoi confini , nei suoi
rapporti di forza, nel suo ceto politico e dirigenziale. Tale progetto
provvede a 2 esigenze fondamentali per la supremazia americana nel XXI
secolo e cioè il controllo totale delle ultime risorse
energetiche irachene, iraniane e saudite e lo spegnimento di ogni
focolaio di resistenza popolare dell’area, tutt ’ora troppo instabile e
di incerta controllabilità. Che le riserve petrolifere
statunitensi stessero agli sgoccioli lo si era intuito nel 2000 con i
progetti di trivellazione all’interno dei parchi nazionali e delle
riserve naturali dell’Alaska. Ovviamente ben poco sia per un ceto
governativo in pieno conflitto di interessi in tale questione
(l’entourage della Casa bianca, da Rumsfeld a Condoleeza Rice,
passando per Dick Cheney e George.W.Bush, è implicato in
attività finanziarie nel settore petrolifero) sia per una
nazione la cui economia è totalmente imperniata sull’utilizzo e
il consumo del petrolio e dei suoi derivati. Davanti a tale scenario,
il think thank statunitense ha intuito che o si provvedeva ad
assicurarsi la materia prima in questione a bassissimo costo o si
sarebbe assistito ad un rapido declino di quel gruppo di potere egemone
nell’ arco del XX secolo. E’ in tale prospettiva che vanno inquadrati i
progetti di omogeneizzazione politica nelle forme dello stato
fantoccio, per intenderci un estensione su vasta scala di
Afghanistan retti da burattini alla Karzai. E’ così sorta la
teoria e la prassi unipolare (un'unica potenza che decide per tutto il
pianeta) e l’idea della fattibilità delle guerre preventive, di
volta in volta giustificate in vario modo(da ragioni umanitarie a
stragi da vendicare). La “Vecchia Europa” , spiazzata
dall’intraprendenza U.S.A , oppone il concetto della
multipolarità, cioè un ordine mondiale risultato di
rapporti di forza non a senso unico, ma più o meno bilanciati
dalla presenza di più centri di potere e decisione. Dietro il
sipario , e nel merito del piano di “pace” franco/tedesco , si nasconde
un diversa metodologia colonialista, volta anche essa alla usurpazione
delle ricchezze dei popoli medio orientali, ma dietro il paravento di
mandati O.N.U e senza eccessivi e “rumorosi” spargimenti di sangue.
Nulla altro distingue l’imperialismo statunitense sull’Iraq
dall’imperialismo francese sulla Costa D’Avorio. Giochi di potere che,
nell’occidente formalmente democratico, escludono totalmente le
volontà popolari dalla gestione di tali crisi. Tutto reso
possibile dall’assordante silenzio dei media su realtà storiche
e mire attuali. Il 15 febbraio ’03 , in continuità con un
percorso di neoprotagonismo delle masse iniziato a Seattle nel 99’, 110
milioni di essere umani si sono riversati nelle strade del mondo per
urlare la loro indignazione, il loro rifiuto della guerra come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali. Coloro che sono scesi in
piazza lo hanno fatto, oggettivamente, con idee e prospettive politiche
non uguali, talvolta neanche simili, ma accomunati dall’istinto di
voler riacciuffare le sorti della storia, sorti loro sottratte da
regole della rappresentatività (democrazie formali) distanti da
classi ,moltitudini e società civili. L’imponenza delle
manifestazioni, uniche dal punto di vista numerico nella storia moderna
e contemporanea, hanno inciso sulle posizioni di alcuni governi
occidentali, su quello italiano che si è riassestato su
posizioni europeiste, e su quello inglese, più dubbioso
sull’opportunità politica di una guerra preventiva. Giornali
statunitensi hanno giustamente evidenziato la nascita della seconda
superpotenza mondiale : l’opinione pubblica. Questa è la strada
da percorrere, al momento, per ridare un senso all’abusata parola
DEMOCRAZIA.
Per la libertà e autodeterminazione di tutti i popoli (Palestinesi, kurdi, Afgani) urliamo:
* no alle guerre del petrolio
* no ad ogni guerra imperialista, da chiunque sostenuta
* no ad una storia scritta da governi sempre meno rappresentativi
* si all’autodeterminazione dei popoli medio orientali e asiatici
* si ad una gestione popolare delle crisi,
sicuri della solidarietà internazionale che ne deriverebbe
* si ad uno sciopero continentale e mondiale contro ogni guerra imperialista
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