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A lezione da Wallerstein

”Questo è un momento particolare perché tra due o tre settimane al massimo la guerra comincerà, questa è una cosa certa, malgrado i tre milioni di manifestanti di Roma, e le centinaia di milioni nel mondo” con queste parole ha inizio l’ intervento del politologo statunitense Emmanuel Wallerstein del 19 febbraio 2003, nell’ ambito del ciclo di conferenze sul tema “capire la globalizzazione”, promosso dalla cooperativa sociale “O‘ Pappece”  presso la sala Gemito a Napoli. L’argomento centrale della conferenza è il movimento anti globalizzazione ed è proprio dalla storia dei movimenti anti sistemici che Wallerstein avvia le sue riflessioni: “per comprendere cosa sono i movimenti dobbiamo tornare indietro al diciannovesimo secolo quando i movimenti antisistemici erano deboli e oppressi ed era molto più difficile organizzare movimenti sociali che assumessero una portata nazionale.  Il principale  problema di questi piccoli movimenti era la strategia da seguire, il principale dibattito ruotava intorno alla opportunità di conquistare il potere statale, il dibattito oppose  i marxisti agli anarchici così come i nazionalisti politici ai nazionalisti culturali”. Wallerstein spiega che la strategia a uscirne vittoriosa fu quella detta “dei due passi”: il primo rappresentato dalla conquista del potere statale e il secondo  da quello della trasformazione del mondo. Nel ventesimo secolo abbiamo tre principali varietà di movimenti: quelli comunisti e quelli social democratici, in disaccordo in quanto alla strategia da seguire per conquistare il potere statale, se per via insurrezionale , come sostenevano i comunisti oppure attraverso le elezioni come sostenevano i socialdemocratici, intanto nel terzo mondo si andavano formando i movimenti di liberazione nazionale. Dopo il 1917, dopo cioè la rivoluzione sovietica, si registra però questa situazione:  i movimenti comunisti   fuori dell’ unione sovietica abbandonano la via dell’ insurrezione soprattutto in europa .Nel 1945 , al termie della seconda guerra mondiale i movimenti comunisti sovietici, giungono al potere non per via insurrezionale ma in seguito all’ intervento dell’ armata rossa. Prima del 1945, infatti con gli accordi di Yalta  di fatto veniva a costituirsi la divisione del mondo tra Unione Sovietica e Stati Uniti col criterio che assegnava, alla prima il potere nei paesi nei quali si trovava l’ armata rossa e alla seconda su tutto il resto del mondo; le due superpotenze si confrontarono in modo anche molto rumoroso ma i confini militari di Yalta non furono mai messi un discussione. Nell’ analisi di Wallerstein, il mondo dal 45 al 70 non è stato bipolare, ma un mondo a egemonia statunitense , gli stati uniti non sono mai stati così forti come allora e tuttavia, forse proprio per questo, i movimenti antisistemici conquistarono potere ovunque; un terzo del mondo, infatti; fu governato da movimenti comunisti , un terzo dai movimenti di liberazione nazionale, o come in america latina dai movimenti populisti e un altro terzo del mondo dai movimenti socialdemocratici. Il paradosso è evidente: mentre il potere degli Stati Uniti era al massimo, i movimenti antisistemici ebbero un nuovo e improvviso successo:  si trovarono al potere un po’ ovunque, conseguendo il primo passo della loro strategia: conquistare il potere statale. Questo successo, per Wallerstein, si rivelò poi la causa del loro fallimento.
Altra tappa fondamentale nella storia dei movimenti antisistemici è il  1968, una rivoluzione  che attraversò da un capo all’ altro il mondo  e che al di là delle differenze nazionali condivise due caratteristiche fondamentali: la prima era la critica nei confronti degli accordi di Yalta, ossia all’egemonia statunitense sul sistema mondo e nei confronti dell’ Unione Sovietica per la concussione con gli USA, la seconda era la disapprovazione delle strategie della vecchia sinistra:  dai comunisti, ai socialdemocratici e ai movimenti di liberazione nazionale che vennero accusati di aver abbandonato, dopo aver conquistato il potere statale, l’ idea di trasformare il mondo, da “parte della soluzione, quindi, diventavano parte del problema”. Per Wallerstein il '68 fu un momento molto importante,  ma anche drammatico, per i movimenti antisistemici perché, rivelando la disillusione verso i vecchi movimenti, inaugurò i tentativi di ricerca verso strategie alternative a quella dei” due passi” . A partire da questi anni  furono elaborate quattro tipi di strategie alternative: la prima è del movimento maoista, la rivoluzione culturale del 1966 può essere considerata una parte della rivoluzione del 68, ”si trattava di un movimento curioso che affermerà che la leadership del movimento comunista portasse il movimento sul sentiero capitalistico”. Il secondo tentativo, grossomodo nella stessa epoca, fu dei nuovi movimenti sociali che potrebbero essere definiti come movimenti di coloro che erano stati “dimenticati”, questo perché nei vecchi movimenti  ogni obbiettivo  che non fosse quello previsto dalla strategia era considerato solo un diversivo: i  diritti delle donne, delle minoranze , i problemi ecologici quando venivano posti erano considerati strumenti di divisione.” Alla fine degli anni ‘70 molti dissero basta a questo atteggiamento, non si poteva aspettare in eterno per la soluzione di questi problemi e quindi si andò alla ricerca di strategie alternative per costruire un mondo migliore”. Tutti questi movimenti si impegnarono a non commettere gli stessi errori della vecchia sinistra, ma nell’ arco di circa 10 anni si ritrovarono davanti allo stesso problema strategico: conquistare o no il potere statale ; è il caso ad esempio del movimento Ecologista tedesco all’ interno del quale si fronteggiarono l’ area realistica, per la quale la strategia elettorale, la conquista di poteri all’ interno del parlamento era una strategia vincente e, quella fondamentalista che vedeva in questa metodologia una replica dell’ esperienza della vecchia sinistra. “Sta di fatto che i realisti vinsero pressoché ovunque cosicché alla fine degli anni’ 80 i nuovi movimenti sociali non erano molto diversi da quelli della vecchia sinistra”. Tra la fine degli anni ‘80, e l’ inizio degli anni  ’90, dopo il crollo dell’ URSS, emerse una terza varietà di movimenti antisistemici alla ricerca di una strada alternativa, ne sono un esempio, i movimenti per i diritti umani:” questi movimenti sostennero l’ opportunità di intervenire dove i diritti umani non venivano rispettati, il problema fu che questi movimenti non furono radicali e in particolare i movimenti occidentali finirono con l’ imporre attraverso anche i loro governi, decisioni sui paesi del terzo mondo”. L’ analisi di Wallerstein arriva ai nostri giorni:” la differenza tra il movimento antiglobalizzazione e la vecchia sinistra sta primariamente nel fatto che oggi non si sta realizzando nessun tipo di struttura organizzativa che coordini tutti questi movimenti , alcuni movimenti sono locali, altri nazionali, altri contadini , lavoratori ceti medi, movimenti di ogni tipo con ogni tipo di obbiettivo,  e inoltre che ,questi movimenti offrono un certo grado di reciproca tolleranza tra loro, cosa mai avvenuta nella storia”; e continua: ”Così come ho stabilito una connessione tra gli accordi di Yalta, le grandi potenze e  gli eventi del 68 , così posso legare ciò che sta  accadendo nel mondo con i nuovi movimenti e la crisi Irachena”. La tesi di Wallerstein si basa su due assunti: il primo è che il capitalismo per la prima volta si trova in una crisi strutturale, in un momento di compressione generale dei profitti e di sovrapproduzione e che in queste condizioni non può sopravvivere oltre; il secondo è che il potere degli stati uniti è in declino:” dal ‘45 al ‘70 l’ egemonia statunitense si fondava su tre pilastri: superiorità economico, maggiore produttività e capacità produttive di qualsiasi altro paese, in secondo luogo, come conseguenza di questa superiorità economica ,una leadership politica con alleanze in Europa occidentale e in Giappone e in fine, la superiorità militare, all’ incirca negli ani ‘70 la superiorià economica degli USA inizia a declinare allo stesso livello europeo e conseguentemente la leadership politica, l’ ultimo pilastro a restare in piedi è quello militare”. L’ idea di Wallerstein, comune ai falchi dell’ amministrazione Bush, è che il potere Statunitense ha subito effettivamente un declino, per i falchi, però,  la causa va cercata nella politica estera dei precedenti governi ,cioè nel fatto che non hanno saputo dimostrare la schiacciante superiorità USA agli altri paesi del mondo. Questo è il motivo per cui, secondo Wallerstein, ci sarà sicuramente la guerra all’ Iraq,” al di là di qualsiasi considerazione”.
La teoria elaborata da Wallerstein prevede che i prossimi vent’ anni  saranno dominati da tre grandi tensioni:
1.all’ interno della triade USA, Europa occidentale e Giappone per chi diventerà la principale sede di accumulazione di capitale
2.tra nord e sud del mondo
3.all’ interno del sistema mondo, considerato nel suo insieme
Nell’ ottica del conflitto interno alla triade, secondo Wallerstein, va collocato l’ atteggiamento di alcuni paesi europei nei confronti degli USA in merito alla odierna questione irachena: “da un pò di tempo tutti quelli che si occupano di geopolitica comprendono bene che ciò che gli Stati Uniti volevano evitare era la formazione dell’ asse Parigi Berlino Mosca. La Russia assume una posizione cruciale  per i progetti di  Francia e  Germania per due ragioni: la prima è che la Russia ha la forza militare senza la quale l’ Europa non è in grado di   esercitare il potere nel mondo,  la seconda è che  rappresenta un importante sbocco per il mercato europeo. Secondo Wallerstein: “la risposta economica coerente da parte degli USA potrebbe essere la formazione di un asse alternativo con Cina  Giappone e Corea, non è questo che Bush sta facendo ma potrebbe essere la strategie delle prossime amministrazioni usa.”.Si tratta insomma della tradizionale politica del potere tra le grandi potenze, il cui esito potrebbe essere, per Wallerstein, un mondo multipolare. L’ altro conflitto ancor più fondamentale del sistema mondo riguarda la dimensione nord sud : il sud del mondo ha a lungo subìto le strategie del nord. Fino a  quarant’ anni fa la strategia principale prendeva il nome di “sviluppismo”: essenzialmente questa strategia prevedeva l’ uso del potere statale per favorire, in chiave struttural-evoluzionista, l’ industrializzare nei paesi sottosviluppati e creare quindi benessere ; questa strategia si è rivelata un  fallimento. A seguito di ciò, l’ unico sostegno rimasto alla strategia Statunitense è quello rappresentato dal potere militare
ed è questo, per Wallerstein, il punto cruciale per l’ amministrazione Bush in questa crisi irachena: ”  questo spiega perché l’ amministrazione Bush è assai più prudente con l’ Iran e la Corea che le armi di distruzione di massa ce l’ hanno sicuramente” . ciò che Wallerstein prevede  sicuramente avverrà, nei prossimi decenni, è la diffusione di armi di distruzione di massa . Wallerstein scommette che  entro 20 anni: 25 paesi avranno armi nucleari e 75 armi biologiche il che creerà  un nuovo assetto geopolitico. Se il sistema mondo, come ritiene Wallerstein, è in crisi, destinato a scomparire, ci sarà un sistema alternativo che lo sostituirà ; il terzo conflitto rappresenterà “la vera lotta tra quello che è stato definito lo spirito di Davos e quello di Porto Alegre, cioè tra l’ idea di costruire un nuovo sistema gerarchico e quella di un sistema opposto relativamente democratico e relativamente egualitario”.Questa è la lotta per i prossimi 30 anni: “le cosa importante da sottolineare èche nessuno sa chi vincerà, non c’ è nessuna garanzia, ci troviamo davanti a una biforcazione imprevedibile”. Più che in ogni altro momento della storia possiamo influenzare il futuro proprio perché ci troviamo in un momento caotico e quindi, per il politologo statunitense, il movimento antiglobalizzazone dovrà   analizzare con la massima chiarezza possibile ciò che sta avvenendo, conservare questo movimento quanto più grande e molteplice possibile e infine discutere costantemente le modalità attraverso cui è possibile modificare il mondo.
L’ intervento  di Wallerstein si chiude con l’ultimo punto che riguarda uno dei di battiti  sempre presenti all’ interno dei movimenti, cioè quello sull’ agire di breve  o lungo termine: “va affermato che le persone vivono nel breve termine e ciò che conta oltre a se scoppia o meno la guerra in Iraq è ad esempio il funzionamento migliore o peggiore del sistema sanitario ,  insomma ciò che influenza immediatamente la vita delle persone; è anche in merito a queste questioni, quindi, che occorre condurre la lotta; ciò include anche le elezioni ,non come soluzione per trasformare il mondo, ma come strumento per prevenire danni peggiori”. Al termine dell’ intervento Wallerstein scandisce in un italiano goffo ma sincero: “ un altro mondo è possibile…………. non è certo, ma è possibile!” .Chi vivrà vedrà!






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